Reg. ord. n. 186 del 2025 pubbl. su G.U. del 08/10/2025 n. 41

Ordinanza del Tribunale di Piacenza  del 17/03/2025

Tra: Sicurezza e Ambiente spa  C/ Verti Assicurazioni spa



Oggetto:

Processo civile – Competenza e giurisdizione – Conflitto di competenza – Regolamento di competenza d’ufficio – Presupposti – Competenza per materia o per territorio inderogabile in capo ad un giudice diverso da quello della riassunzione – Preclusione, per il giudice ad quem, sia per la formulazione letterale, sia per l’interpretazione assunta dal diritto vivente, della possibilità di sollevare d'ufficio il regolamento di competenza nel caso di conflitto negativo per valore (nel caso di specie: devoluzione al tribunale a seguito di dichiarazione di incompetenza, per valore, del giudice di pace) – Contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, anche in combinato disposto con i principi di terzietà ed imparzialità del giudice – Irragionevole e ingiustificata diversità di regime processuale tra controversie identiche rimessa al potenziale arbitrio del giudice di prime cure – Assenza di un rimedio in caso di provvedimento abnorme – Violazione della riserva di legge sulla giurisdizione – Lesione dei principi di buon andamento, efficienza e imparzialità – Potenziale introduzione di una prestazione tributaria indebita, conseguente all’erroneo trasferimento di competenza in capo al tribunale, con pregiudizio patrimoniale a carico della parte attrice.

Norme impugnate:

codice di procedura civile  del  Num.  Art. 45



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 25   Co.  

Costituzione  Art. 97   Co.  

Costituzione  Art. 111   Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2025

Ordinanza  del  17  marzo  2025  del  Tribunale   di   Piacenza   nel
procedimento civile promosso da Sicurezza e Ambiente spa contro Verti
Assicurazioni spa e Giovanna De Giorgi. 
 
Processo  civile  -  Competenza  e  giurisdizione  -   Conflitto   di
  competenza - Regolamento di competenza d'ufficio  -  Presupposti  -
  Competenza per materia o per territorio inderogabile in capo ad  un
  giudice diverso da quello della riassunzione - Preclusione, per  il
  giudice ad  quem,  sia  per  la  formulazione  letterale,  sia  per
  l'interpretazione assunta dal diritto vivente,  della  possibilita'
  di sollevare d'ufficio il regolamento di  competenza  nel  caso  di
  conflitto negativo per valore. 
- Codice di procedura civile, art. 45. 


(GU n. 41 del 08-10-2025)

 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI PIACENZA 
 
 
                           Sezione Civile 
 
    Il giudice letti  gli  atti  e  sciogliendo  la  riserva  assunta
all'udienza del 21 gennaio 2025 pronuncia la  seguente  ordinanza  di
rimessione alla Corte costituzionale della questione di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  45  del  codice  di  procedura  civile  in
relazione agli articoli 3, 25, 97 e 111 della Costituzione. 
    1.  Svolgimento  del  processo  e   rilevanza   della   questione
sollevata. Il presente procedimento si deve alla riassunzione, avanti
al tribunale, del procedimento  originariamente  promosso  avanti  al
Giudice  di  pace  di  Piacenza.  La  riassunzione   si   deve   alla
declaratoria, da parte del giudice di prime cure, di incompetenza per
valore, cosi' motivata: 
        «Questo giudicante non puo' che  non  rilevare,  come  dovere
d'ufficio, che questo ufficio e' incompetente per valore  a  decidere
della controversia  avendo  la  stessa  valore  indeterminato.  Nello
specifico, la richiesta di accertare e dichiarare la  responsabilita'
di un sinistro avvenuto  fra  parti  non  presenti  in  giudizio  che
andrebbero   citate   quali   litisconsorti   necessari   (parti    e
assicurazioni di entrambi i mezzi coinvolti), ha valore indeterminato
e comporterebbe una ricostruzione del sinistro sul quale  non  si  ha
nemmeno la certezza che non vi sia causa in corso fra le parti per il
riconoscimento della responsabilita'.  Anche  la  sola  richiesta  di
parte ricorrente alla condanna di una somma  quale  risarcimento  del
danno, o quella minore o maggiore che si sarebbe accertata  in  corsi
di  causa  a  mezzo  CTU,  ha  attribuito  alla   causa   un   valore
indeterminato cosi' come  stabilito  dalla  Corte  secondo  la  quale
l'inserimento della clausola "o della somma maggiore o minore che  si
sarebbe  accertata  in  corso  di  causa"  e'  di  per  se  idonea  a
manifestare  la   volonta'   della   parte   di   attribuire   valore
indeterminato alla  domanda.  Ai  sensi  dell'art.  1367  del  codice
civile,  applicabile  in  materia  di  interpretazione   degli   atti
processuali, la suddetta clausola non puo'  ritenersi  apposta  senza
effetti, dovendosi al contrario ritenere che l'attore, cosi' facendo,
abbia voluto rimettere la quantificazione della pretesa all'esito del
giudizio,   indicando   nell'atto   introduttivo   solo   un   valore
orientativo.  (fra  le  tante:  Corte  di  cassazione,  ordinanza  n.
10984/2022) ultimo, considerato che il valore della  controversia  e'
determinata dalla somma delle  richieste  formulate  dalle  parti,  e
dovendo  il  giudice  dichiarare  la   propria   incompetenza   anche
d'ufficio»  (ordinanza  4  maggio  2024,  dott.ssa   Maria   Cristina
Ferraresi). 
    Dalla piana lettura degli atti emerge tuttavia come l'oggetto del
giudizio era, fosse, e sia tuttora, esclusivamente la domanda, svolta
da Sicurezza e Ambiente S.p.a., di pagamento della fattura emessa per
il servizio di pulizia della strada dopo il verificarsi del sinistro,
servizio affidatole mediante concessione pubblica, per  l'importo  di
euro 1.862,62 IVA compresa. Nessuna delle parti ha svolto domanda  di
risarcimento danni per il sinistro de quo. Nessuno ha svolto  domanda
riconvenzionale o trasversale. 
    Il valore della controversia e' dunque da ritenersi correttamente
fissato in euro 1.862,62, sicche' il giudice di prime cure ha  emesso
un provvedimento  manifestamente  contrario  agli  atti  di  causa  e
illegittimo  per  violazione  delle  norme  processuali  in  tema  di
competenza del giudice adito; si' da integrare le fattispecie di  cui
all'art. 21, comma 4, decreto legislativo 13  luglio  2017,  n.  116,
lettere a) («grave violazione di  legge  o  travisamento  del  fatto,
determinati  da  ignoranza  o  negligenza»)  e   b)   («adozione   di
provvedimenti affetti da palese e intenzionale  incompatibilita'  tra
la parte dispositiva  e  la  motivazione,  tali  da  manifestare  una
inequivocabile contraddizione  sul  piano  logico,  contenutistico  o
argomentativo»); per cui occorre disporre, altresi', la  trasmissione
degli atti al Presidente della Sezione Civile  e  al  Presidente  del
tribunale per le determinazioni agli stessi riservate. 
    2. Cio' premesso, la giurisprudenza di legittimita' ha avuto modo
di osservare come «Ai fini dell'individuazione del giudice competente
per valore, la domanda avente ad oggetto il pagamento  di  una  somma
determinata ovvero, in alternativa, di quella "maggiore o minore  che
verra' ritenuta di giustizia" si risolve  nella  mancata  indicazione
della somma stessa, dovendosi conseguentemente  presumere  rientrante
nella competenza del giudice adito, ai sensi dell'art. 14,  comma  1,
del codice di procedura civile» (Cass. 2 febbraio 2023, n.  3142).  E
se nel caso di specie  la  domanda  era  stata  proposta  davanti  al
Giudice di  pace,  ed  e'  stata  poi  confermata  in  Cassazione  la
competenza del tribunale,  cio'  si  deve  unicamente  al  fatto  che
l'attrice «nel fare ricorso  alla  suddetta  formula  in  alternativa
all'indicazione  della  somma  di  euro  3.450,00,   aveva   altresi'
rinviato, per la determinazione del "quantum", alle risultanze di una
consulenza  tecnica  d'ufficio  da   espletarsi   eventualmente   nel
giudizio» (Cass. 2 febbraio  2023,  n.  3142):  nel  caso  di  specie
nessuno  ha  chiesto  consulenze  tecniche  d'ufficio  ne'  ulteriori
accertamenti. 
    Al riguardo, pertanto, non puo'  che  richiamarsi  l'orientamento
(assolutamente consolidato) sempre di legittimita' per cui  «In  tema
di determinazione della competenza per valore,  nell'ipotesi  in  cui
una domanda di risarcimento danni venga proposta avanti al Giudice di
pace con la richiesta della condanna della controparte  al  pagamento
di un importo indicato in una somma  inferiore  (o  pari)  al  limite
della giurisdizione equitativa del Giudice di pace ovvero della somma
maggiore o minore che  risulti  dovuta  all'esito  del  giudizio,  la
formulazione di questa seconda richiesta alternativa non puo'  essere
considerata - agli effetti dell'art.  112  del  codice  di  procedura
civile -  come  meramente  di  stile,  in  quanto  essa  (come  altre
consimili),  lungi  dall'avere  un   contenuto   meramente   formale,
manifesta la ragionevole incertezza della  parte  sull'ammontare  del
danno effettivamente da liquidarsi e ha lo  scopo  di  consentire  al
giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere
vincolato all'ammontare della somma determinata  che  venga  indicata
nelle conclusioni specifiche. Ne discende che la  suddetta  richiesta
alternativa si risolve in una mancanza  di  indicazione  della  somma
domandata, con la conseguenza che la domanda, ai sensi della  seconda
proposizione dell'art. 14 del codice di  procedura  civile,  si  deve
presumere di valore eguale alla competenza del giudice adito  e  che,
ai sensi del comma 3 della stessa norma, in difetto di  contestazione
da parte del convenuto del valore cosi' presunto, quest'ultimo rimane
"fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della  competenza
del giudice adito", cioe' nel massimo della competenza per valore del
Giudice di pace sulla tipologia di domande  fra  cui  rientra  quella
proposta.» (Cass. 25 agosto 2021, n. 23434). 
    Se si dovesse  aver  riguardo  agli  atti  di  causa,  dunque  al
principio della  domanda,  al  petitum,  alla  causa  petendi  -  che
delineano chiaramente come oggetto della controversia solo e soltanto
la domanda,  svolta  dal  concessionario  di  pubblico  servizio,  di
pagamento del corrispettivo per la prestazione  resa  in  adempimento
della  convenzione,  e  nei  confronti  del   soggetto   che   quella
convenzione individua come obbligato - non v'e' chi non veda come  il
giudizio  non  verta  affatto  sul  sinistro  stradale  (che  rimane,
estraneo e sullo sfondo, come  mero  antecedente  in  fatto),  bensi'
sull'esistenza, attualita'  ed  esigibilita'  del  credito  azionato.
Obbligazioni pecuniarie, dunque, e nulla piu'; su cui - in assenza di
qualsiasi  profilo  di  competenza  funzionale  -  la  competenza  si
determina solo e soltanto per  valore.  Con  la  conseguenza  che  il
giudice ad quem, odierno remittente, non e' certamente competente. La
violazione delle regole di competenza - perpetrata  merce'  l'abnorme
provvedimento del giudice a quo - appare, allo stato, irrimediabile. 
    3. Il diritto vivente. Non e'  chiaro  come  le  parti  potessero
impugnare l'ordinanza estintiva (ha  disposto  la  cancellazione  dal
ruolo) del giudice di prime cure (ove mai avessero voluto, sul che e'
d'uopo astenersi da ogni commento). Vero e' invece che il regolamento
di competenza d'ufficio, ex articoli 38, 45 e 47, comma 4 del  codice
di procedura civile, e' limitato  ai  soli  casi  di  (conflitto  di)
competenza per materia o per  territorio  inderogabile.  Quanto  alla
competenza per valore, la giurisprudenza  di  legittimita'  e'  ferma
nell'avallare l'errore del giudice a quo che  infondatamente  declini
la propria competenza: «ai sensi dell'art. 45 del codice di procedura
civile, rubricato "Conflitto  di  competenza",  "Quando,  in  seguito
all'ordinanza che  dichiara  l'incompetenza  del  giudice  adito  per
ragione di materia o per territorio nei casi di cui all'art.  28,  la
causa nei termini di cui all'art. 50 e' riassunta  davanti  ad  altro
giudice, questi, se ritiene  di  essere  a  sua  volta  incompetente,
richiede d'ufficio il regolamento di competenza"; la norma disciplina
espressamente  l'ipotesi   del   conflitto   negativo   virtuale   di
competenza, che si verifica quando, declinata la competenza da  parte
del giudice adito, per ragioni funzionali, di  materia  o  territorio
inderogabile, il  giudice  da  questi  individuato  come  competente,
riassunta la causa davanti a lui ex art. 50 si ritiene  a  sua  volta
incompetente a conoscere della controversia (v. Cassazione 31 gennaio
2007, n. 2154); discende  dunque  direttamente  dalla  lettera  della
legge e dalla sua piana interpretazione, che, perche' possa  proporsi
regolamento  di  competenza  d'ufficio,  il  giudice  ad  quem   deve
ritenersi  incompetente  per  ragioni   di   materia   o   territorio
inderogabile, e non, invece,  per  ragioni  di  valore  o  territorio
semplice; ne consegue che qualora il secondo giudice, adito a seguito
della  riassunzione,  non  individui  la  competenza  per  materia  o
territoriale inderogabile del primo o di altro giudice ritenendo  che
la competenza sia regolata soltanto per  valore,  il  regolamento  di
competenza deve ritenersi inammissibile (v. e pluribus  Cassazione  4
ottobre 1996, n. 728; 25 febbraio 2005, n. 4077; 17 luglio  2008,  n.
19792; 23 luglio 2010, n. 17454; 16 luglio 2012, n. 12152; Sez. U. 19
ottobre 2011, n. 21582; 6 novembre 2012, n. 19167; 17  ottobre  2012,
n. 17811; 19 gennaio 2015, n. 728;  22  luglio  2016,  n.  15138;  15
novembre 2017, n. 27130; 15 gennaio 2018, n. 775; 25 gennaio 2018, n.
1835, che motivano tale soluzione in base  all'assunto  secondo  cui,
per effetto della pronuncia del giudice a quo, la competenza  ratione
valoris del giudice ad quem a conoscere della lite dovrebbe ritenersi
ormai radicata e non piu' suscettibile  di  contestazione;  v.  anche
Cassazione Sez. U. 18 gennaio 2018, n. 1202, che pur  confermando  la
medesima soluzione, la  giustificano  facendo  leva  su  una  lettura
dell'art. 45 del codice di  procedura  civile  che  esse  qualificano
"minimalista", in forza della quale la norma in questione non sarebbe
volta a garantire l'esatto rispetto ad ogni costo  delle  regole  che
presiedono al riparto della competenza, bensi' assicurerebbe soltanto
il rispetto del minimo irrinunciabile di quelle regole concernenti la
"qualita'" della domanda, rendendo dunque accettabile - in nome della
ragionevole durata del processo - che  una  data  controversia  possa
eventualmente essere decisa da  un  giudice  normalmente  preposto  a
conoscerne altre di differente valore e  per  converso  inammissibile
una istanza di regolamento d'ufficio che, per quanto  motivato  dalla
insussistenza della competenza funzionale affermata dal primo giudice
- questo era il caso  posto  all'attenzione  delle  Sezioni  unite  -
condurrebbe in conclusione, con  il  suo  eventuale  accoglimento  da
parte  della  Corte  regolatrice,  all'effetto  d'un  regolamento  di
competenza d'ufficio ratione valoris, che  invece  l'ordinamento  non
accorda per esplicita e legittima, in  quanto  tale  non  sindacabile
innanzi alla Corte costituzionale, scelta  di  merito  legislativo);»
(Cass. 29 marzo 2023, n. 8891, in motivazione; enfasi aggiunte). 
    4. Il vincolo interpretativo e il conseguente rilievo ex  officio
della q.l.c. Questo giudice non  ritiene  condivisibile  il  predetto
orientamento. Vero e' che la norma di cui all'art. 45 del  codice  di
procedura  civile  sembra  consentire  il  regolamento  d'ufficio  di
competenza nei soli casi in cui il conflitto (negativo)  riguardi  la
competenza per materia o per territorio inderogabile, e  che  a  tale
assunto conduce la formulazione letterale della norma, sull'argomento
per cui «ubi lex voluit, dixit» sicche' si tratterebbe di  scelta  di
politica legislativa, discrezionale e  come  tale  insindacabile  nel
merito. Tuttavia, appare palese  l'effetto  distorsivo,  illegittimo,
illegale ed iniquo  di  consentire,  in  tal  modo,  che  il  giudice
naturale si spogli della causa «sgradita», affermando  dolosamente  o
con colpa  grave  (ignorantia  legis)  la  propria  incompetenza  per
valore, radicando definitivamente la  competenza  in  capo  ad  altro
giudice senza che ne sussistano i presupposti di legge. 
    Tanto induce questo giudice a sollevare d'ufficio,  ex  art.  23,
comma  3,  legge  n.  87/1953,  la  questione  di   costituzionalita'
dell'art. 45 del codice di procedura civile che riveste  natura  ictu
oculi pregiudiziale nel giudizio a quo, in quanto ha ad oggetto norme
che devono essere necessariamente applicate in detta sede processuale
(cfr.   Corte   costituzionale   n.   203/2016):    l'interpretazione
strettamente letterale dell'art. 45 del codice di  procedura  civile,
nei modi e termini veduti, si pone ad avviso di codesto remittente in
contrasto con il principio del  giudice  naturale  precostituito  per
legge (art. 25 della Costituzione), nella parte in cui,  in  caso  di
declaratoria  di  incompetenza  per  valore  manifestamente  erronea,
precludendo al giudice ad quem di sollevare d'ufficio il  regolamento
di competenza, consente  al  giudice  naturale  di  spogliarsi  della
competenza a decidere cause non gradite, in violazione  delle  regole
di ripartizione verticale della competenza (nel caso di  specie,  tra
Giudice  di  pace  e  tribunale  ordinario).  L'irretrattabilita'   -
discendente dal disposto dell'art. 45 del codice di procedura  civile
cosi'  come  interpretato  dalla  Cassazione   -   della   competenza
individuata dalla (abnorme) decisione del giudice a  quo  si  risolve
infatti  nella  devoluzione  della  cognizione  ad  un  giudice   non
naturale, cioe' non precostituito per legge, bensi' individuato - con
decisione insindacabile, irrimediabile ed indiscutibile - dal giudice
a quo stesso secondo il proprio capriccio. 
    Come si cerchera' di  illustrare  nei  paragrafi  successivi,  il
carattere imperativo dell'invocato precetto legislativo, che  per  la
sua formulazione non lascia  alcun  margine  di  discrezionalita'  al
giudice,  non  sembra  conciliabile  con  i  principi   del   vigente
ordinamento  processuale;  determina  effetti  ingiusti,   iniqui   e
pesantemente distorsivi del sistema processuale; reca altresi'  grave
nocumento   all'efficienza   (e    all'immagine)    della    funzione
giurisdizionale. 
    Questo  giudice  ben  conosce  la  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale,   secondo   cui   il   sindacato   di    legittimita'
costituzionale  si  arresta   dinanzi   alla   discrezionalita'   del
legislatore;  tuttavia,  per   i   modi   e   termini   in   cui   la
discrezionalita' e' stata esercitata, resi manifesti da  un  precetto
normativo che resiste ad ogni  sforzo  esegetico  teso  a  darne  una
lettura  costituzionalmente  orientata,  si  ritiene  che  essa   sia
trasmodata in  arbitrio  o  quantomeno  in  una  scelta  di  politica
legislativa non conforme ai canoni  di  ragionevolezza  e  come  tale
sindacabile (per questo rilievo, in relazione allo  specifico  ambito
del diritto processuale, v. Corte costituzionale n.  117  del  2012).
Nei paragrafi che seguono si cerchera' di  esporre  sinteticamente  i
motivi di conflitto con i parametri costituzionali,  considerando  la
norma da diversi angoli prospettici in ragione  della  pluralita'  di
interessi lesi. 
    5. Violazione dell'art. 25 della Costituzione, sia  isolatamente,
sia in combinato disposto con l'art. 111 della Costituzione. 
    L'art. 25, comma 1, della  Costituzione,  individua  il  «giudice
naturale», investito della trattazione della  controversia  -  dunque
del compito di giudicare i fatti, e valutare gli  interessi  attinti,
in modo equilibrato, terzo e imparziale (art. 111 della Costituzione:
le  due  norme  si  compenetrano  funzionalmente,  l'una  essendo  al
contempo  presupposto  ed  attuazione  dell'altra)  -   nel   giudice
precostituito per legge (cfr. Corte costituzionale n. 460 del  1994).
L'on. Consesso adito ha gia' avuto modo di chiarire come ne  discenda
non solo il «diritto alla certezza  che  a  giudicare  non  sara'  un
giudice  creato  a  posteriori  in  relazione  ad   un   fatto   gia'
verificatosi» (C. Cosituzionale n. 88  del  1962)  bensi',  cio'  che
rileva nel caso di specie, il diritto alla certezza del giudice:  «il
principio di certezza del giudice, di cui all'art. 25,  primo  comma,
della  Costituzione,  e'  efficacemente  espresso  nel  concetto   di
"precostituzione   del   giudice",   vale   a   dire   nella   previa
determinazione  della  competenza,  con  riferimento  a   fattispecie
astratte realizzabili in futuro, non gia', a posteriori, in relazione
ad una regiudicanda gia' insorta». In altri termini, «Il principio in
esame e' osservato "purche' l'organo giudicante sia  stato  istituito
dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e  non
in vista  di  singole  controversie"  (sentenza  n.  452  del  1997).
Inoltre, la Corte ha chiarito che l'art. 25  della  Costituzione  non
viene violato allorche' «la legge, sia pure  con  effetto  anche  sui
processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri  in
base ai quali deve  essere  individuato  il  giudice  competente:  in
questo  caso,  infatti,  lo  spostamento  della  competenza  dall'uno
all'altro ufficio giudiziario  non  avviene  in  conseguenza  di  una
deroga alla disciplina generale, che sia adottata  in  vista  di  una
determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo
ordinamento - e, dunque,  della  designazione  di  un  nuovo  giudice
"naturale" - che il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile
potere di merito, sostituisce a quello vigente" (cosi', da ultimo, la
sentenza n. 237 del 2007)»  (C.  Costituzione  n.  30  del  2011,  in
motivazione). 
    Con tutta evidenza, la vicenda odierna  non  appare  conforme  ai
predetti canoni costituzionali: le parti sono state distolte dal loro
«giudice naturale», che si  e'  arbitrariamente  ed  illegittimamente
spogliato della controversia, attribuita senza rimedio  ad  un  altro
giudice, ancorche' superiore. Rimangono oscure  le  ragioni  di  tale
condotta - peraltro, a quanto consta, rivendicata dal giudice a  quo,
come riferito per le vie  brevi  dai  difensori  all'udienza  del  21
gennaio 2025  -  che,  in  disparte  ogni  valutazione  dell'elemento
soggettivo, sul piano meramente oggettivo appare non in linea  con  i
precetti di terzieta' ed imparzialita' (art. 111 della Costituzione),
e particolarmente problematica sotto il profilo dell'equilibrio  (che
della funzione giudicante e' pre-requisito). 
    6. Violazione dell'art.  3  della  Costituzione.  Cio'  determina
altresi', ad avviso di questo giudice, violazione dell'art.  3  della
Costituzione. La rigidita' della formulazione dell'art. 45 del codice
di procedura civile, nella parte  in  cui  non  offre  alcun  rimedio
all'abnorme provvedimento declinatorio della competenza, determina il
paradossale ed inaccettabile effetto di consentire che casi  identici
vengano trattati dal giudice naturale (Giudice di pace) o dal giudice
sbagliato (tribunale) in ragione non di un criterio legale, ma  della
correttezza e buona fede della persona fisica designata come  giudice
naturale: un Giudice di pace ligio al codice di  rito  tratter(r)ebbe
la causa, un altro (piu' spregiudicato) se ne spoglierebbe  radicando
la competenza definitivamente  davanti  al  tribunale;  sicche'  casi
identici  avrebbero  giudici  diversi  -  e  rito  diverso,  per   la
diversita'  strutturale  tra  rito  ordinario  di   primo   grado   e
procedimento davanti al Giudice di pace - in  ragione  della  casuale
inclinazione etica o psichica del singolo Giudice di  pace:  e  valga
sul punto osservare come il presente contenzioso abbia natura seriale
e come gli altri giudici di pace dello stesso ufficio,  e  lo  stesso
decidente a quo in passato, si siano ben guardati  dal  declinare  la
propria competenza senza che ne ricorressero i presupposti. E  se  la
base normativa di tale vizio e' l'art. 45  del  codice  di  procedura
civile con la sua veduta delimitazione oggettiva, deve ritenersi  che
sia detta norma a consentire  questo  diverso  trattamento  privo  di
qualsiasi ragionevole giustificazione, «si'  da  svelare  una  scelta
arbitraria che sarebbe preclusa al legislatore in una  materia,  come
quella processuale, nella quale pure gode di ampia  discrezionalita'»
(C. Costituzione n. 96 del 2024). 
    7. Emerge altresi' violazione dell'art. 111  della  Costituzione.
Come rilevato in  dottrina,  la  riserva  di  legge  c.d.  rinforzata
contenuta nel 1° comma dell'art. 111 della Costituzione e' oggetto di
due diverse letture. Per una prima tesi, la norma  non  precluderebbe
al legislatore di attribuire al giudice poteri discrezionali  piu'  o
meno ampi nella  determinazione  delle  forme,  delle  fasi  e  delle
scansioni cronologiche delle attivita' processuali. Per altra, e piu'
rigorosa, lettura, viceversa, non puo'  essere  ritenuto  conforme  a
Costituzione un processo nel quale i poteri delle parti e del giudice
siano  tutti  rimessi,  quanto  alle  modalita'  e  ai  tempi,   alla
discrezionalita' del giudice stesso: al piu',  tale  discrezionalita'
puo' sussistere per i soli poteri di  governance  del  processo,  non
anche per quelli che influiscono sul contenuto  della  decisione.  In
aderenza a tale seconda tesi - che, per quel che puo'  valere,  anche
chi scrive condivide - deve ritenersi che «il criterio  generale  per
valutare la legittimita' costituzionale di norme che attribuiscano al
giudice spazi di discrezionalita' nella conformazione del processo e'
probabilmente quello della ragionevolezza, in senso  teleologico.  Si
deve, cioe', operare un bilanciamento fra le diverse esigenze interne
al principio del giusto processo. L'attribuzione al  giudice  di  una
discrezionalita' nella conformazione del processo puo' essere  allora
giustificata solo nella misura in cui realizza direttamente una delle
finalita' del giusto processo, ad  esempio  sotto  il  profilo  della
ragionevole durata. Il legislatore non potra' mai, pertanto, affidare
al  giudice  spazi  di  assoluta   e   ingiustificata   arbitrarieta'
nell'applicazione della disciplina processuale»: poiche' il  processo
non  sarebbe  «regolato  dalla  legge»  ma  rimesso,  appunto,   alla
mutevole, ondivaga ed imprevedibile volonta'  della  singola  persona
fisica: nel caso di specie, in ordine all'individuazione del  giudice
competente e, per l'effetto, del rito applicabile. 
    8. Emerge altresi' violazione dell'art.  97  della  Costituzione,
sotto plurimi profili.  In  primo  luogo  poiche'  l'attivita'  della
amministrazione della giustizia sarebbe non  conforme  ai  canoni  di
buon  andamento,   efficienza,   imparzialita':   le   regole   della
giurisdizione non possono essere affidate al caso ma,  appunto,  alla
legge. In secondo luogo,  perche'  l'illegittima  trasmigrazione  del
procedimento dal Giudice di  pace  al  tribunale  si  risolve  in  un
indebito aggravio del carico di lavoro complessivo dell'ufficio e dei
singoli magistrati, specie laddove - come nel caso presente -  emerga
la natura non episodica od occasionale, bensi'  volutamente  seriale,
di tale «spoliazione» da parte del giudice a quo: dalle  informazioni
acquisite in cancelleria risultano trasmessi, con ordinanza-fotocopia
resa dal medesimo Giudice di  pace  persona  fisica,  una  decina  di
procedimenti (alla data del 21 gennaio  2025)  (1)  tutti  di  valore
contenuto entro la soglia di competenza  del  giudice  a  quo,  tutti
sulla medesima tipologia  di  controversia  (richiesta  di  pagamento
della fattura per il  servizio  di  pulizia  stradale  post-sinistro,
svolta   dalla   concessionaria   di   pubblico    servizio    contro
l'Assicurazione RCA del responsabile  e  contro  quest'ultimo;  senza
dunque alcuna contestazione della responsabilita'  per  il  sinistro,
ne'  di  accertamento  della  responsabilita',  ne',  tantomeno,   di
risarcimento del danno a persone o  cose),  ed  assegnati  a  diversi
giudici  onorari  e  togati   che   subiscono   pertanto   l'indebita
assegnazione  di   un   procedimento   in   via   definitiva,   senza
possibilita', negata dall'art. 45 del codice di procedura civile,  di
rimediare alle  distorsioni  recate  dall'abnorme  provvedimento  del
giudice  a  quo.  Anche  le  parti,  poi,  non  potranno  che  patire
disorientamento  e  disagio  nel  vedere  controversie   bagatellari,
pacificamente seriali, improvvisamente  assegnate  ex  officio  a  un
giudice diverso senza che alcuna  delle  domande  proposte  ne  abbia
determinato le condizioni e senza possibilita' di ritornare avanti al
giudice naturale; il tutto in spregio del legittimo affidamento sulla
buona  fede,  correttezza,  efficienza,  efficacia  ed   effettivita'
dell'azione amministrativa, rilevante anche sotto il diverso  profilo
della prevedibilita' delle decisioni giudiziarie. 
    In  secondo   luogo,   l'interpretazione   dell'art.   45   della
Costituzione veicolata anche dalle SS.UU. si pone non in linea con  i
canoni costituzionali di cui all'art. 97 della Costituzione anche,  e
sotto diverso profilo, nella parte in cui,  consentendo  di  ritenere
cristallizzata la  riqualificazione  della  domanda  come  di  valore
indeterminabile,  sostanzialmente   avalla   l'imposizione   di   una
prestazione tributaria indebita,  come  l'incremento  del  contributo
unificato: nel caso di specie, passato da 98 a 518 euro senza che  ne
ricorressero i presupposti di legge. 
    9.  Conclusioni.  Si  ritiene,  in  definitiva,  censurabile   di
illegittimita' costituzionale il disposto dell'art. 45 del codice  di
procedura  civile  nella  parte  in  cui,  sia  per  la  formulazione
letterale, sia  per  l'interpretazione  datane  dal  diritto  vivente
tramite la Corte di cassazione a Sezioni unite (18 gennaio  2018,  n.
1202) e semplici (da ultimo  Cassazione  2  agosto  2024,  n.  21829;
Cassazione 29 marzo 2023, n. 8891): 1) impone al giudice ad  quem  la
trattazione di un procedimento illegittimamente devolutogli da  altro
giudice dichiaratosi incompetente per valore; 2) preclude al  giudice
ad  quem  l'attivazione   dei   rimedi   astrattamente   ipotizzabili
(regolamento di competenza ex  officio)  per  dirimere  il  conflitto
negativo; 3) determina l'ingiustificato aggravio  delle  assegnazioni
tabellari per i giudici dell'ufficio ad quem, in violazione:  a)  del
principio di pre-costituzione del giudice  naturale  (art.  25  della
Costituzione);  b)  del  principio  di  buon  andamento,  efficienza,
efficacia e razionalita' dell'azione amministrativa  (art.  97  della
Costituzione);  4)  determina  la  violazione  dell'art.  111   della
Costituzione rendendo il processo regolato non  dalla  legge  ma,  in
definitiva,  dall'arbitrio  del   singolo   giudice;   5)   determina
l'irragionevole e ingiustificata diversita' di regime processuale tra
controversie  identiche,  in  funzione  della  casuale  e  soggettiva
valutazione di un presupposto rigidamente oggettivo (il valore  della
controversia) ad opera del singolo giudice, in violazione dell'art. 3
della Costituzione; 6) determina un pregiudizio patrimoniale  per  la
parte attrice, indebitamente costretta al pagamento di un  contributo
unificato maggiore rispetto a quello effettivamente dovuto. 

(1) 1  RG  1272/2024,  1296/2024,  1509/2024,  1793/2024,  1935/2024,
    1950/2024, 2021/2024, 69/2025 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli  134  della  Costituzione,  23  ss.  legge  n.
87/1953; 
    Ritenuta ex officio rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 45 del  codice  di
procedura civile, nei modi e termini di cui in parte motiva, sospende
il procedimento in corso; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa, alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, e comunicata alla Presidenza del Senato e della Camera  dei
Deputati; 
    Dispone trasmettersi gli atti al Presidente della Sezione  Civile
e al Presidente del  Tribunale,  per  le  valutazioni  di  rispettiva
competenza di cui in parte motiva. 
    Si comunichi. 
        Piacenza, 17 marzo 2025 
 
                          Il Giudice: Fazio