Reg. ord. n. 185 del 2025 pubbl. su G.U. del 08/10/2025 n. 41
Ordinanza del Tribunale di Firenze del 23/07/2025
Tra: A. M.
Oggetto:
Processo penale – Divieto di un secondo giudizio – Mancata previsione che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per il reato di danneggiamento previsto dall’art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento disciplinare, definitivamente conclusosi, per l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, numero 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per il quale gli sia stata applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune di cui all'art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975 – Violazione del principio del ne bis in idem.
- Codice di procedura penale, art. 649.
- Costituzione, artt. 24, 111 e 117, primo comma; Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), art. 4.
In subordine: Reati e pene – Danneggiamento – Preclusione per il giudice, in sede di dosimetria penale, di applicare una pena inferiore al minimo edittale nel caso in cui l’imputato sia stato già sanzionato, per il medesimo fatto, per l’illecito disciplinare di cui all’art. 77, comma 1, numero 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per il quale sia stata applicata la sanzione disciplinare dell’esclusione dall’attività in comune di cui all’art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975 – Violazione del principio di proporzionalità della pena.
- Codice penale, art. 635, secondo comma, numero 1.
- Costituzione, artt. 3, 13 e 27, commi primo e terzo.
Norme impugnate:
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 649
codice penale
del
Num.
Art. 635
Co. 2
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 13
Co.
Costituzione
Art. 24
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 1
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Costituzione
Art. 111
Co.
Costituzione
Art. 117
Co. 1
Protocollo n. 7 a Convenzione europea diritti dell'uomo
Art. 4
Co.
Testo dell'ordinanza
N. 185 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 luglio 2025
Ordinanza del 23 luglio 2025 del Tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di A. M. .
Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione
che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo
a procedere nei confronti di un imputato per il reato previsto
dall'art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., che, in relazione al
medesimo fatto, sia gia' stato sottoposto a procedimento
disciplinare, definitivamente conclusosi, per l'illecito
disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, del d.P.R. n. 230
del 2000, per il quale gli sia stata applicata la sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune di cui
all'art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975.
- Codice di procedura penale, art. 649.
In subordine: Reati e pene - Danneggiamento - Preclusione per il
giudice, in sede di dosimetria penale, di applicare una pena
inferiore al minimo edittale nel caso in cui l'imputato sia stato
gia' sanzionato, per il medesimo fatto, per l'illecito disciplinare
di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per
il quale sia stata applicata la sanzione disciplinare
dell'esclusione dall'attivita' in comune di cui all'art. 39, comma
1, numero 5, della legge n. 354 del 1975.
- Codice penale, art. 635, secondo comma, numero 1.
(GU n. 41 del 08-10-2025)
TRIBUNALE DI FIRENZE
Prima sezione penale
Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di M. A., nato in ... il ... (C.U.I. ...);
elettiv. domiciliato presso l'avv. Andrea Palazzeschi del Foro di
Firenze;
difeso di fiducia dall'avv. Andrea Palazzeschi del Foro di
Firenze;
imputato:
1) del delitto di cui all'art. 424 del codice penale perche',
presso la camera n. ... sezione Casa Circondariale «...» di ... in
cui e' detenuto, appiccava fuoco a propri indumenti personali
causando emissione di fumi con pericolo di conseguente incendio;
in ... il ...;
2) del delitto di cui all'art. 635, I e II comma, n. 1 del
codice penale perche' danneggiava, lanciandogli contro una padella in
cui era gia' rilevabile alcool distillato, lo schermo della
televisione Led Nordmende in uso alla camera n. ... sezione di cui al
Capo 1) rendendola inservibile, e successivamente danneggiava
sradicandolo il tavolo nella camera di pernottamento, dove era
trasferito temporaneamente in conseguenza dei fatti di cui al Capo
1), riducendo in pezzi e lanciava tali pezzi contro il cancello della
porta blindata all'indirizzo degli agenti danneggiando cosi' anche la
plafoniera a muro;
in ... il ...;
3) del delitto di cui all'art. 337 del codice penale perche'
in evidente stato di ebbrezza, per opporsi al Vice Isp. ..., al Vice
Isp. ..., al Vice Isp. ..., all'Isp C. ... e agli altri operatori
presenti, mentre compivano un atto del proprio ufficio consistente
nel tentativo di calmarlo, usava minaccia riferendo che, una volta
rientrato nella camera detentiva, avrebbe dato fuoco e avrebbe rotto
le suppellettili presenti nella camera di pertinenza dell'... sezione
di cui al capo 1), mantenendo durante la descritta condotta una mano
nella tasca della tuta dalla quale estraeva, su invito degli operanti
che avevano compreso che lo stesso potesse avere la disponibilita' di
un oggetto atto ad offendere, una penna priva di carica nella cui
punta era incastrata una vite
..., ...;
Capo 3) cosi' modificato all'udienza del 13 gennaio 2025
Premesso che:
con decreto del pubblico ministero del 20 aprile 2023 M. A.
veniva citato a giudizio per rispondere dei reati di danneggiamento
di alcuni indumenti seguito da pericolo di incendio, di
danneggiamento di alcuni arredi presenti all'interno della camera
dell'istituto penitenziario in cui era detenuto e di resistenza a
pubblico ufficiale, tutti in ipotesi commessi in ... (all'interno
della Casa circondariale «...») il ...;
all'udienza predibattimentale del 17 giugno 2024 il giudice,
dopo aver disposto procedersi in assenza dell'imputato, invitava il
pubblico ministero a riformulare l'imputazione di cui al Capo 3) e
rinviava il processo;
all'udienza del 13 gennaio 2025, il pubblico ministero
provvedeva, mediante deposito di atto scritto, a modificare
l'imputazione; era disposta quindi la notifica del verbale d'udienza
e dell'atto depositato all'imputato (non comparso);
il 20 giugno 2025 era depositata istanza di ammissione al
rito abbreviato da parte del difensore, munito di procura speciale;
all'udienza del 7 luglio 2025, l'imputato era ammesso al rito
richiesto e le parti illustravano le proprie conclusioni. In
particolare, il pubblico ministero chiedeva l'assoluzione per il
reato di cui al Capo 1) dell'imputazione e la condanna per i reati di
cui ai Capi 2) e 3) alla pena finale di mesi sei di reclusione. La
Difesa chiedeva: l'assoluzione per i reati di cui ai Capi 1) e 3)
dell'imputazione (e per l'ultimo, in subordine, la riqualificazione
ai sensi dell'art. 336, comma 3 del codice penale); per il reato di
cui al Capo 2) il riconoscimento delle attenuanti generiche e
dell'attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale;
all'udienza odierna, cui il processo era rinviato per
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano;
rilevato che:
A) in base alle annotazioni della Polizia penitenziaria, in
data ... l'imputato - all'interno della camera della Casa
circondariale di ... in cui era detenuto a titolo definitivo dal 5
aprile 2019 (con fine pena 20 maggio 2025 come risulta dal
certificato del DAP in atti) - avrebbe appiccato il fuoco ad alcuni
propri effetti personali, determinando cosi' una diffusione di fumo
nella cella; prima ancora dell'intervento della Polizia penitenziaria
lo stesso M. avrebbe, spontaneamente e autonomamente, posto termine
alla citata combustione.
Gli operanti della Polizia penitenziaria intervenuti (che non
avevano assistito direttamente alla fase iniziale) rilevavano che sia
M. sia il relativo compagno di cella (tale ...) evidenziavano alitosi
alcoolica (nel bagno sarebbe poi stata rinvenuta una pentola con
all'interno della frutta macerata); il televisore presente
all'interno della cella presentava lo schermo danneggiato.
Quanto agli sviluppi successivi, le varie annotazioni di P.G.
degli operanti intervenuti non sono del tutto collimanti: emerge
comunque che M. era in forte stato di agitazione; lo stesso - mentre
era nel corridoio nei pressi della cella - affermava che avrebbe dato
fuoco e rotto ai suppellettili della stanza e diceva agli agenti di
non avvicinarsi (non e' dato intendere la contestualita' o meno di
tali frasi); poiche' il predetto teneva una mano in tasca e non
ottemperava all'intimazione di consegnare quanto custodito nella
stessa, gli operanti lo bloccavano e ammanettavano; all'interno della
citata tasca sarebbe poi stata rinvenuta una penna, priva di carica e
al cui interno era incastrata una vite.
Piu' tardi, nella stessa giornata, all'interno della cella,
il prevenuto sradicava il tavolo a muro presente nella stessa e,
lanciando i relativi pezzi, danneggiava la plafoniera a muro. Si
procurava inoltre dei graffi sul corpo utilizzando dei frammenti del
citato tavolo;
B) in base al certificato medico in atti, il medico
dell'istituto penitenziario visitava il prevenuto e constatava, oltre
all'alitosi alcolica, vari tagli superficiali di varia lunghezza sul
braccio e sul pettorale, procedendo alla relativa medicazione; il
detenuto rifiutava di raccontare la propria versione dei fatti;
C) lo stesso ... M. era collocato in isolamento disciplinare
precauzionale, ove rimaneva fino al 1° ottobre 2021;
D) in sede di Consiglio di disciplina, il ... il predetto
chiedeva scusa per il danneggiamento del televisore e del tavolo,
adducendo che era brillo e stressato per motivi familiari (lo stesso
... aveva presentato un'istanza di trasferimento negli stabilimenti
di ... o di ... per motivi di lavoro, deducendo che aveva bisogno di
mantenere la propria famiglia);
E) lo stesso ... il Consiglio di disciplina della Casa
circondariale di ... infliggeva al predetto - in relazione agli
illeciti disciplinari di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, 14, 15 e 21
- la sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune per
giorni otto (gia' dal medesimo scontata in via precauzionale). Il
provvedimento non risulta essere stato impugnato;
F) in data 1° febbraio 2023 il difensore di M. domandava al
pubblico ministero l'acquisizione delle immagini di videosorveglianza
della Casa circondariale ritraenti gli eventi del ... nonche' di
procedere all'interrogatorio dello stesso M.;
G) in data 31 marzo 2023, M. in sede di interrogatorio
davanti al pubblico ministero (sempre all'intero della Casa
circondariale di ..., ove era ancora detenuto: sarebbe stato
scarcerato soltanto il 2 dicembre 2023 per l'affidamento in prova al
servizio sociale) rappresentava che: all'epoca dei fatti tutti
all'interno della Casa circondariale erano stressati a causa delle
restrizioni legate alla pandemia da Covid: egli aveva bevuto due
bicchieri di grappa, preparata dal suo compagno di cella; egli
danneggiava accidentalmente il televisore allorche' gli cadeva la
padella con cui stava cucinando: nel pulire i residui di cibo caduti
a terra, dava accidentalmente fuoco all'asciugamano che stava
utilizzando per pulire: allorche' sopraggiungevano gli operanti della
Polizia penitenziaria, temendo di essere picchiato egli si
autolesionava il braccio utilizzando un chiodo (che normalmente
utilizzava per aprire le confezioni di cibo in scatola); allorche'
usciva dalla cella, era bloccato e buttato a terra da molti
poliziotti, che lo colpivano alla schiena, al collo e al sedere; era
poi portato in isolamento, dove - per la rabbia - rompeva il tavolo
della cella; al medico che lo visitava raccontava solo che si era
autolesionato e non anche che era stato picchiato dagli agenti,
«tanto non sarebbe servito a niente». Anche in sede di contestazione
disciplinare, egli non riferiva nulla circa l'aggressione subita,
perche' sapeva «che sarebbe stata una causa persa in partenza»;
H) il pubblico ministero in data 5 aprile 2023 domandava al
direttore della Casa circondariale di ... la trasmissione delle
immagini di videosorveglianza ritraenti gli eventi del ... In data 18
aprile 2023 la Polizia penitenziaria rispondeva che le telecamere
presenti nelle sezioni detentive non erano funzionanti; l'impianto di
videosorveglianza era invece attivo negli atri, nei locali passeggi e
in alcuni varchi di accesso ai reparti, ma le immagini - in ragione
del tempo trascorso - non erano comunque piu' presenti nella memoria
del sistema;
I) alla luce di quanto precede, il reato di danneggiamento
seguito da pericolo di incendio contestato al Capo 1) non sussiste,
anche a prescindere dalla volontarieta' o accidentalita' della
condotta di danneggiamento.
Detto reato, infatti, «richiede, come elemento costitutivo,
il sorgere di un pericolo di incendio, sicche' non e' ravvisabile
qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non
possa sorgere detto pericolo» (cosi' Cassazione, Sez. 2, sentenza n.
47415 del 17 ottobre 2014, Rv. 260832 - 01, richiamata anche da
Cassazione, Sez. 2, sentenza n. 4183 del 2022). Nel caso di specie,
per l'appunto, in ragione delle modalita' e dell'oggetto della
condotta e del relativo contesto spaziale, non vi era pericolo alcuno
che potesse sorgere un incendio: gli oggetti cui il fuoco era
appiccato o che comunque prendevano fuoco erano di dimensioni molto
modeste; nell'ambiente circostante non vi erano verosimilmente
oggetti o materiali cui il fuoco potesse propagarsi facilmente (i
materiali maggiormente presenti nelle camere detentive sono il
cemento e il metallo; in ogni caso, in atti non vi e' una descrizione
degli elementi cui il fuoco avrebbe potuto propagarsi); il fuoco e'
stato spento agevolmente e velocemente dallo stesso imputato senza
l'uso di particolari strumenti e prima ancora dell'intervento degli
agenti della Polizia penitenziaria; non vi e' stato dunque alcun
concreto pericolo di diffusione di fiamme. I beni danneggiati dal
fuoco erano dello stesso imputato, per cui il fatto non puo' neppure
essere riqualificato come danneggiamento ex art. 635 del codice
penale;
L) parimenti non pare sussistere il contestato reato ex art.
337 del codice penale, e cio' a prescindere dall'adesione alla
ricostruzione dei fatti operata dalla Polizia penitenziaria o a
quella prospettata dall'imputato in sede d'interrogatorio.
Al riguardo, occorre preliminarmente rilevare che, non
essendo state reperite le immagini di videosorveglianza (pur
richieste dal pubblico ministero), questo giudice non dispone degli
elementi necessari per riscontrare la versione resa dall'imputato.
Sarebbe al riguardo necessaria un'indagine completa e a tutto tondo
(individuazione di tutti i detenuti presenti nel reparto, audizione
degli stessi, audizione del medico che visito' il prevenuto, ecc.)
che eccede le concrete possibilita' di questo giudice.
Ad ogni modo, quand'anche si ritenesse veritiera la versione
in atti degli operanti della Polizia penitenziaria, il suddetto reato
non sussisterebbe comunque, per un duplice ordine di motivi. Occorre
al riguardo considerare che il prevenuto era in forte stato di
agitazione e di alterazione da consumo di bevande alcoliche.
Il proferire che avrebbe dato fuoco alle suppellettili o
comunque rotto le stesse di per se' e' idoneo a integrare la minaccia
richiesta dalla norma incriminatrice, ma a condizione che la frase
sia diretta agli operanti, circostanza dubbia alla luce dello stato
di alterazione del predetto (gia' prima dell'intervento degli
operanti), dello scarso livello di dettaglio al riguardo delle
annotazioni di P.G. e del fatto che - in ipotesi d'accusa - egli
aveva gia' appiccato il fuoco ad alcuni oggetti e danneggiato il
televisore (prima ancora dell'intervento degli operanti): in
definitiva, e' possibile che egli semplicemente esteriorizzasse la
propria volonta' di continuare a fare cio' che stava gia' facendo.
Il dato del tenere un oggetto atto ad offendere in tasca e di
tenere la mano nella stessa tasca, nel citato contesto, puo' essere
interpretato da chi vi assista come un pericolo per la propria
incolumita' (cio' che avrebbe giustificato l'intervento fisico degli
operanti); da un punto di vista soggettivo, e' tuttavia opinabile e
quindi dubbio quale fosse l'intento del prevenuto, potendo la citata
condotta prestarsi a plurime interpretazioni (potrebbe avere tenuto
la mano in tasca per il timore che venisse scoperto l'oggetto;
potrebbe essere stato semplicemente il comportamento non coerente di
un ubriaco).
Sotto altro profilo, ad ogni modo, pare insussistente altro
requisito del reato in contestazione, M. avrebbe minacciato gli
agenti della Polizia penitenziaria mentre gli stessi erano intenti a
calmarlo (il medesimo era in stato di agitazione e di ebbrezza).
Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale - come rilevato
anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 30 del 2021) -
presuppone l'opposizione ad uno specifico atto dell'ufficio in corso
di esecuzione.
Nel caso di specie, da un lato il tentativo di calmare un
detenuto rientra genericamente nelle mansioni della Polizia
penitenziaria, ma non costituisce uno specifico atto dell'ufficio,
l'opposizione al quale offenda un interesse della pubblica
amministrazione tale da giustificare l'integrazione del reato in
questione.
Dall'altro, le frasi pronunciate dal prevenuto (affermava che
avrebbe dato fuoco e rotto i beni presenti in stanza) non
costituivano un'opposizione al tentativo degli operanti di calmarlo;
semplicemente il prevenuto era gia' agitato e il tentativo di
calmarlo non aveva successo; le frasi erano cioe' espressione dello
stato di agitazione in cui egli gia' versava, a prescindere dal
tentativo degli operanti di calmarlo;
M) sussiste viceversa pacificamente il reato di cui al Capo
2), quanto meno in relazione al danneggiamento del tavolo della
camera (ammesso dallo stesso imputato in sede d'interrogatorio e in
particolare dal medesimo ascritto al proprio stato di rabbia per
quanto prima accaduto) e al danneggiamento della plafoniera (rispetto
a quest'ultima l'imputato non ha riferito alcunche', ma il relativo
danneggiamento e' avvenuto nel medesimo contesto, in particolare in
un momento in cui il predetto era da solo in cella);
N) per poter addivenire ad una corretta decisione con
riguardo a detto reato di cui al Capo 2), appare pero' necessario il
pronunciamento della Corte costituzionale: risulta, infatti, dubbia
la legittimita' costituzionale, per violazione del principio del ne
bis in idem, dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un
imputato per il delitto previsto dall'art. 635, comma 2, n. 1 del
codice penale, che, in relazione al medesimo fatto, sia gia' stato
sottoposto a procedimento disciplinare, definitivamente conclusosi,
per l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13,
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale gli
sia stata applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n.
354/1975; nonche', in via subordinata, dell'art. 635, comma 2, n. 1
del codice penale, per violazione del principio di proporzionalita'
delle sanzioni, nella parte in cui non consente, in sede di
dosimetria della pena, di applicare una pena inferiore al minimo
edittale - pari a mesi sei di reclusione - nel caso in cui l'imputato
sia gia' stato sanzionato, per il medesimo fatto, con la sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune di cui
all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975;
Osserva
1. La rilevanza delle questioni.
1.1. Alla luce di quanto sopra esposto, l'imputato andrebbe
condannato unicamente per il reato di cui al Capo 2)
dell'imputazione, vale a dire per il danneggiamento di beni
dell'amministrazione penitenziaria presenti all'interno della Casa
circondariale e destinati a pubblico servizio.
Per i medesimi fatti, l'imputato e' stato sanzionato dal
Consiglio di disciplina con la sanzione dell'esclusione dalle
attivita' in comune per otto giorni, con provvedimento del ...
(notificato al detenuto il ...), per violazione dell'art. 77, comma
1, nn. 13, 14, 15 e 21, del decreto del Presidente della Repubblica
n. 230/2000, provvedimento che non risulta essere stato impugnato e
quindi deve ritenersi definitivo (la sanzione e' anche stata
concretamente eseguita).
1.3. Alla luce di quanto sopraesposto e sulla base degli atti,
questo Giudice si trova a giudicare l'odierno imputato per i medesimi
fatti per i quali e' gia' stato oggetto di sanzioni disciplinari da
ritenersi punitive, dovendo irrogare al medesimo ulteriori sanzioni
penali. Non e' applicabile, infatti, la disciplina di cui all'art.
649 del codice di procedura penale, la quale si riferisce
esclusivamente all'ipotesi di doppio procedimento formalmente penale,
non impedendo che ad un procedimento punitivo extra-penale ne segua
un secondo formalmente penale. La Corte costituzionale con la
sentenza n. 149 del 2022 e' intervenuta al riguardo limitatamente ad
un'unica ipotesi di «doppio binario» (in materia di diritti
d'autore).
Ne', per altro verso, la disciplina sostanziale consente di
tenere in debito conto, in sede di dosimetria della pena,
l'intervento della precedente sanzione disciplinare punitiva, al fine
di scongiurare la violazione del principio di proporzionalita' delle
sanzioni punitive.
Occorre, pertanto, investire la Corte costituzionale del giudizio
incidentale sulla legittimita' costituzionale - in via principale -
dell'art. 649 del codice di procedura penale e - in via subordinata -
dell'art. 635 del codice penale.
2. La non manifesta infondatezza.
2.1. Si dubita, in via principale, della legittimita'
costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un
imputato per il reato di cui all'art. 635, comma 2, n. 1 del codice
penale al quale, con riguardo al medesimo fatto, sia gia' stata
irrogata in via definitiva - nell'ambito di un procedimento
disciplinare penitenziario per l'illecito disciplinare di cui
all'art. 77, comma 1, n. 13, decreto del Presidente della Repubblica
n. 230/2000 - la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n.
354/1975.
In particolare, la possibilita' - non preclusa dall'art. 649
del codice di procedura penale - di sottoporre a procedimento penale
e di punire per il danneggiamento di cose dell'amministrazione
penitenziaria l'imputato gia' sanzionato ex articoli 77, comma 1, n.
13), decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 e 39, legge
n. 354/1975 non pare conforme al divieto del ne bis in idem, come
enunciato dall'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), rilevante ai sensi
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, principio peraltro gia'
evincibile a livello nazionale dagli articoli 24 e 111, Cost. (come
sottolineato dalla stessa Corte costituzionale nella gia' citata
sentenza n. 149 del 2022).
2.2. L'illecito disciplinare in esame e' previsto dall'art. 77,
comma 1, n. 13), regolamento sull'ordinamento penitenziario di cui al
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000, a mente del
quale «l. Le sanzioni disciplinari sono inflitte ai detenuti e agli
internati che si siano resi responsabili di: [...]13) appropriazione
o danneggiamento di beni dell'amministrazione». Le sanzioni
applicabili sono quelle in via generale previste dall'art 39 ord.
pen. in virtu' del quale «Le infrazione disciplinari possono dar
luogo solo alle seguenti sanzioni: 1) richiamo del direttore; 2)
ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al
personale e di un gruppo di detenuti o internati; 3) esclusione da
attivita' ricreative e sportive per non piu' di dieci giorni; 4)
isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non piu' di
dieci giorni; 5) esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di
quindici giorni».
2.3. Sul piano generale, deve osservarsi come la struttura
dell'illecito disciplinare penitenziario ricalchi la morfologia
dell'illecito penale: anche in relazione al primo e' punito il
tentativo (art. 77, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica
n. 230/2000); ha rilievo aggravante la recidiva (che consente, ex
art. 77, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000, l'irrogazione delle sanzioni piu' gravi anche per le
infrazioni che normalmente dovrebbero essere punite con sanzioni piu'
miti); in caso di prognosi positiva di non recidivanza la sanzione
puo' essere sospesa e, ove la prognosi venga poi smentita dal
comportamento illecito successivo del sanzionato, la sospensione puo'
essere revocata (art. 80, decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000); infine, e' possibile applicare in via cautelare le
sanzioni previste, con eventuale sconto del c.d. «presofferto» in
caso di sanzione definitiva (art. 78, comma 1 e 4, decreto del
Presidente della Repubblica n. 230/2000).
2.4. A tale analoga struttura fa eco un'unitaria funzione delle
sanzioni disciplinari in scrutinio e delle sanzioni penali.
Gia' in base a quanto posto in rilievo, ma pure avendo riguardo
ai principi che governano la disciplina sanzionatoria, lo scopo della
sanzione disciplinare - al pari di quello della pena - e' complesso,
perche' la stessa e' chiamata a svolgere finzioni di prevenzione
generale, speciale e retributive.
Oltre agli istituti della sospensione condizionale della sanzione
e della recidiva gia' menzionati, rileva quanto sancito dall'art. 38
ord. pen. in forza del quale «I detenuti e gli internati non possono
essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come
infrazione dal regolamento. Nessuna sanzione puo' essere inflitta se
non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell'addebito
all'interessato, il quale e' ammesso ad esporre le proprie discolpe.
Nell'applicazione delle sanzioni bisogna tener conto, oltre che della
natura e della gravita' del fatto, del comportamento e delle
condizioni personali del soggetto. Le sanzioni sono eseguite nel
rispetto della personalita'».
L'illecito disciplinare in esame e il reato condividono il
principio strutturale di tipicita' e i criteri di commisurazione
della sanzione.
2.4.1. In primo luogo, infatti, il principio di legalita' e di
tipicita' assolve, tra le altre, la funzione di garantire al membro
della collettivita' (generale o ristretta che sia) la prevedibilita'
delle conseguenze sanzionatorie questa e' un presupposto
irrinunciabile della facolta' dello Stato di punire il comportamento
dei consociati, poiche' ove e' incomprensibile o non prevedibile il
confine tra lecito ed illecito il singolo non e' in grado di
autodeterminarsi al cospetto dei valori dell'ordinamento. Pertanto,
sebbene la tipicita' dell'illecito non sia un carattere esclusivo
degli illeciti punitivi, rappresenta per questi un tratto
indispensabile e caratterizzante.
2.4.2. In secondo luogo, il criterio di commisurazione della
sanzione disciplinare incentrato, oltre che sulla natura e gravita'
del fatto, sul comportamento e sulle condizioni personali dell'autore
dell'illecito, testimonia ulteriormente la finalita' anche
special-preventiva - oltre che retributiva e di prevenzione generale
- della sanzione.
2.5. Tanto premesso, l'illecito disciplinare in esame (art. 77,
comma 1, n. 13), decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000)
e' punibile con ognuna delle sanzioni disciplinari previste dall'art.
39 ord. pen. e, dunque, mediante «1) richiamo del direttore; 2)
ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al
personale e di un gruppo di detenuti o internati; 3) esclusione da
attivita' ricreative e sportive per non piu' di dieci giorni; 4)
isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non piu' di
dieci giorni; 5) esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di
quindici giorni».
E' applicabile, pertanto, anche la piu' grave tra le sanzioni
disciplinari contemplate dall'ordinamento, ossia l'isolamento per
motivi disciplinari di cui al n. 5 del citato art. 39.
Cio', come gia' evidenziato, e' quanto avvenuto nel caso di
specie.
Occorre allora vagliare la portata punitiva di siffatta sanzione
e, dunque, la eventuale natura sostanzialmente penale della stessa.
2.6. La nota giurisprudenza convenzionale sui criteri Engel
(elaborati a seguito della sentenza della Corte EDU, Engel c. Paesi
Bassi, del 1976) ha affermato che il riscontro di anche uno solo dei
tre criteri e' sufficiente a qualificare una sanzione come penale ai
fini della Convenzione europea. Tali criteri sono costituiti
essenzialmente 1) dalla qualificazione ai sensi del diritto interno,
2) dalla natura dell'infrazione, 3) dalla severita' della sanzione.
A fronte di questi tre macro-criteri, la giurisprudenza
convenzionale (e nazionale che degli orientamenti europei ha dato
specifica applicazione) ha enucleato una pluralita' di indici
sintomatici dai quali poter dedurre la natura sostanzialmente penale
della sanzione formalmente extra-penale. Tra di essi v'e' da
considerare: a) il carattere generale degli interessi lesi
dall'illecito; b) la funzione punitiva dell'illecito e della relativa
sanzione; c) l'efficacia afflittiva della sanzione (anche se solo
comminata in astratto, come ha precisato nella pronuncia Corte EDU,
Sez. IV, 20 maggio 2014, Nykanen c. Finlandia), la quale puo' trarsi
dalla capacita' della stessa di incidere sia - com'e' ovvio - sulla
liberta' personale (anche in via solo potenziale), sia in modo
apprezzabile su altri diritti fondamentali della persona; d) la
qualificazione formale assegnata dall'ordinamento nazionale
(ancorche' rappresenti ormai un criterio recessivo); nonche', piu' di
recente, e) il collegamento della sanzione rispetto ad un illecito
penale (anche se oggetto di depenalizzazione, secondo la
giurisprudenza domestica); f) lo scopo dissuasivo o affittivo della
sanzione (dunque, la sua funzione general o special-preventiva); g)
la sede di irrogazione della sanzione (dunque, in sintesi se si
tratti di sede giurisdizionale o meno, come emerge dalla sentenza A e
B c. Norvegia del 2016).
2.7. Alla luce di tali indici occorre accertare se la sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune sino a
quindici giorni (cioe' l'isolamento disciplinare) per l'ipotesi di
danneggiamento dei beni dell'amministrazione penitenziaria (articoli
77, comma 1, n. 13), decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000 e 39 ord. pen.) presenti o meno natura sostanzialmente
penale.
2.8. A tal fine, appare opportuno svolgere preliminarmente alcune
considerazioni sistematiche in ordine alla citata sanzione
dell'esclusione dalle attivita' in comune.
2.8.1. Poiche' il trattamento penitenziario, secondo l'art. 1,
comma 2, legge n. 354/1975, in applicazione dell'art. 27, comma 3,
Cost. «tende, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al
reinserimento sociale ed e' attuato secondo un criterio di
individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli
interessati», vi sono numerose disposizioni normative che regolano lo
svolgimento di attivita' in comune tra i detenuti, essendo questo un
aspetto centrale del trattamento penitenziario alla luce della
funzione risocializzante cui deve tendere la pena.
Cosi' l'art. 6, comma 2, legge n. 354/1975 stabilisce che «le
aree residenziali devono essere dotate di spazi comuni al fine di
consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa
della vita quotidiana nella sfera domestica». Il successivo terzo
comma prevede che «I locali destinati al pernottamento consistono in
camere dotate di uno o piu' posti». L'art. 10, comma 4, prevede che
«La permanenza all'aria aperta e' effettuata in gruppi a meno che non
ricorrano i casi indicati nell'art. 33 e nei numeri 4) e 5) dell'art.
39 [...]». Ai sensi dell'art. 12, comma 1 «Negli istituti
penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate
attrezzature per lo svolgimento di attivita' lavorative, di
istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di
ogni altra attivita' in comune». L'art. 14, comma 3, stabilisce che
«L'assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti
e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti
con particolare riguardo alla possibilita' di procedere a trattamento
rieducativo comune [...]». Nello stesso solco si collocano poi gli
articoli 15, comma 1, 17, comma 1 e 18, comma 1 della legge n.
354/1975.
2.8.2. Nel suddetto quadro s'innesta l'art. 33 (Isolamento) della
legge n. 354/1975, prevedendo che «1. Negli istituti penitenziari
l'isolamento continuo e' ammesso: a) quando e' prescritto per ragioni
sanitarie; b) durante l'esecuzione della sanzione della esclusione
dalle attivita' in comune; c) per gli indagati e imputati se vi sono
ragioni di cautela processuale; il provvedimento dell'autorita'
giudiziario competente indica la durata e le ragioni dell'isolamento.
2. Il regolamento specifica le modalita' di esecuzione
dell'isolamento. 3. Durante la sottoposizione all'isolamento non sono
ammesse limitazioni alle normali condizioni di vita, ad eccezione di
quelle funzionali alle ragioni che lo hanno determinato. 4.
L'isolamento non preclude l'esercizio del diritto di effettuare
colloqui visivi con i soggetti autorizzati». L'art. 39 (Sanzioni
disciplinari), come gia' evidenziato, prevede quale sanzione piu'
grave quella della esclusione dalle attivita' in comune. L'art. 40,
infine, stabilisce che - ad eccezione delle sanzioni del richiamo e
dell'ammonizione (di competenza del direttore) - «Le altre sanzioni
sono deliberale dal consiglio di disciplina [...]».
A livello di formazione secondaria, l'art. 73 (Isolamento) del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000 al secondo comma prevede: «L'isolamento continuo durante
l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attivita' in
comune e' eseguito in una camera ordinaria, a meno che il
comportamento del detenuto o dell'internato sia tale da arrecare
disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine e la disciplina.
Anche in tal caso, l'isolamento si esegue in locali con le
caratteristiche di cui all'art. 6 della legge». Il successivo terzo
comma prevede che «Ai detenuti e gli internati, nel periodo di
esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e' precluso
di comunicare con i compagni».
2.8.3. Dunque, in termini generali le norme sul trattamento
penitenziario prevedono come regola l'ammissione dei detenuti alla
vita in comune. Come ha rilevato la Corte di cassazione,
«l'isolamento del detenuto dal resto della popolazione carceraria
deve intendersi potenzialmente non ricompresa nell'ordinario
trattamento penitenziario, dovendo intendersi che la regola generale
sia quella dell'ammissione del condannato alla vita in comune onde
consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e il suo
recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27, Cost., comma 3»
(Cass. Pen., Sez. 1, sentenza n. 9300 del 2014).
Rispetto a tale regime generale la legge ha previsto alcune
eccezioni, tra cui - per quanto qui rileva - l'isolamento continuo
(diurno e notturno) connesso alla sanzione disciplinare (deliberata
dal Consiglio di disciplina) dell'esclusione dalle attivita' in
comune ai sensi degli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1,
n. 5, legge n. 354/1975.
In ragione delle possibili conseguenze negative sulla salute e
sul benessere dell'individuo, la legge prevede poi particolari
cautele da adottare e in particolare verifiche sanitarie circa la
sopportabilita' della misura, sia preventivamente sia in corso di
applicazione.
2.9. Cosi' succintamente richiamato il quadro normativo di
riferimento, occorre misurare la portata della sanzione disciplinare
dell'isolamento continuo (diurno e notturno) alla stregua dei
parametri Engel al fine di saggiarne l'eventuale natura
sostanzialmente penale.
2.9.1. In primo luogo, giova evidenziare sul piano della
qualificazione formale della misura che l'ordinamento nazionale
qualifica in maniera espressa la stessa come «sanzione», termine che
gia' a livello lessicale costituisce quanto meno un indizio circa la
natura della misura.
Si tratta, per di piu', di una sanzione che gia' sul piano
formale conosce un'omologa sanzione di natura schiettamente penale:
l'isolamento diurno di cui all'art. 72 del codice penale.
Tale disposizione prevede che «Al colpevole di piu' delitti,
ciascuno dei quali importa la pena dell'ergastolo, si applica la
detta pena con l'isolamento diurno da sei mesi a tre anni», mentre
«nel caso di concorso di un delitto che importa la pena
dell'ergastolo, con uno o piu' delitti che importano pene detentive
temporanee per un tempo complessivo superiore a cinque anni, si
applica la pena dell'ergastolo, con l'isolamento diurno per un
periodo di tempo da due a diciotto mesi».
Il codice penale non annovera espressamente l'isolamento tra le
pene principali (o accessorie), regolandolo quale modalita' aggravata
di espiazione della pena dell'ergastolo. Non si tratta tuttavia di
una modalita' di esecuzione della pena che attenga al percorso
trattamentale dell'ergastolano, di precisa competenza della
Magistratura di sorveglianza, bensi' di una sanzione aggiuntiva che
l'ordinamento prevede per chi, autore di un delitto punito con la
pena dell'ergastolo, abbia commesso altri delitti: in altri termini,
«l'isolamento diurno opera unicamente come sanzione per i delitti
commessi in concorso con quello punito con l'ergastolo», «delitti per
i quali la pena per ciascuno stabilita (ergastolo o pena detentiva
temporanea) non sarebbe applicabile, in quanto il delitto col quale
essi concorrono gia' importa la pena dell'ergastolo» (cosi' la Corte
costituzionale nella lontana sentenza n. 115 del 1964). La Corte di
cassazione nella gia' citata sentenza n. 9300 del 2014 ha poi
affermato che «L'isolamento diurno previsto dall'art. 72 del codice
penale ha natura giuridica di sanzione penale, di inasprimento
dell'ergastolo, con la conseguenza che, in relazione ad esso, il
Magistrato di sorveglianza non puo' disporre modalita' esecutive tali
da renderlo privo di contenuto effettivo».
Si tratta quindi di una sanzione aggiuntiva comminata per le
ipotesi in assoluto piu' gravi previste dall'ordinamento penale.
Sebbene la sanzione dell'isolamento diurno (che si assomma alla
pena dell'ergastolo, la quale importava normalmente l'isolamento
notturno nella visione del legislatore del codice) non sia
formalmente annoverata tra le pene principali e sia invece regolata
in materia di concorso di reati, si deve ritenere che l'isolamento
diurno costituisca dunque una sanzione che gia' per l'ordinamento
domestico ha natura penale.
La ragione e' di facile comprensione. Benche', infatti, la pena
in parola non incida sul quantum temporale della limitazione della
liberta' personale, si tratta di una misura che incide drasticamente
sulla qualita' e sulla profondita' di detta limitazione e che quindi
si presta ad esplicare un'efficacia deterrente anche rispetto ai
soggetti cui sarebbe comunque applicata la pena dell'ergastolo.
2.9.2. Se tale considerazione in punto di afflittivita' vale con
riferimento alla misura aggravatrice della pena dell'ergastolo, si
deve ritenere che la stessa sanzione abbia natura (sostanzialmente)
penale anche quando sia applicata al detenuto che commetta
un'infrazione disciplinare, specie ove tale infrazione coincida
integralmente con il reato.
Tali considerazioni si legano, ad ogni modo, all'afflittivita'
della sanzione in questione. Quest'ultima puo' essere vagliata avuto
riguardo all'incidenza sulla liberta' personale o comunque sulla
liberta' di comunicazione: la citata sanzione disciplinare realizza
una pesante compressione della liberta' di comunicazione; non si
tratta di una limitazione normalmente conseguente alla restrizione
della liberta' personale implicita nell'esecuzione della pena
detentiva, ne' di una limitazione conseguente alle normali regole di
una vita in comunita'; al contrario, la limitazione/soppressione
della liberta' di comunicazione con gli altri detenuti costituisce lo
scopo precipuo e il contenuto principale della sanzione disciplinare
in questione; il divieto di comunicazione e' poi espressamente
previsto dall'art. 73, comma 3, decreto del Presidente della
Repubblica n. 230/2000.
Ma puo' essere vagliata altresi' guardando alla gravosita' della
misura tenuto conto delle possibili ripercussioni su altri valori
della persona, in primis il relativo benessere psicofisico. Di tanto
si mostra edotto lo stesso legislatore disciplinare, che, consapevole
della gravosita' della misura, ha previsto che «la sanzione della
esclusione dalle attivita' in comune non puo' essere eseguita senza
la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che
il soggetto puo' sopportarla. Il soggetto escluso dalle attivita' in
comune e' sottoposto a costante controllo sanitario» (art. 39, comma
II, ord. pen.). Si tratta di cautele che, con ogni evidenza, non
hanno l'effetto di rendere meno gravosa la sanzione, ma solo di
renderla, per quanto possibile, «sicura» in termini di ripercussioni
sullo stato di salute del sanzionato; cio', tuttavia, non fa altro
che evidenziare con maggior nettezza l'attitudine della sanzione a
porre in sofferenza le prerogative fondamentali della persona.
2.9.3. La gravosita' dell'isolamento ha condotto, peraltro,
all'adozione di specifiche carte sovranazionali, volte a limitare la
possibilita' per l'autorita' statale di irrogare sanzioni tanto
gravose su soggetti che, in quanto detenuti, risultano gia'
fortemente limitati nell'esercizio e nel godimento delle liberta'
fondamentali, nonche' volte a costellare tali sanzioni da presidi di
garanzia. In questo senso, un primario ruolo e' svolto dalle
Raccomandazioni R (2006)2 sulle Regole penitenziarie europee (atto
adottato dal Comitato dei ministri 1'11 gennaio 2006, rivisto ed
emendato dal Comitato dei ministri del 1° luglio 2020), che, dopo
aver sancito limitazioni oggettive e soggettive alla misura
dell'isolamento penitenziario, evidenziano al punto 60.6. e che
«Qualora venga imposta la sanzione dell'isolamento per un nuovo
illecito disciplinare a un detenuto che ha gia' trascorso il periodo
massimo di isolamento [stabilito dalla legge nazionale], tale
sanzione non deve essere eseguita senza prima consentire al detenuto
di riprendersi dagli effetti negativi del precedente periodo di
isolamento» (1) Benche' non sia certa la natura di autentica fonte
del diritto di tali riferimenti internazionali, tale da essere
rilevante anche ai fini di cui all'art. 117, comma I, Cost.,
potendosi ritenere siffatto compendio di raccomandazioni
riconducibile al piano della c.d. soft law, esse rappresentano
comunque un condensato dell'elaborazione sovranazionale in tema di
diritti fondamentali dei detenuti che, a ragione, e' stato impiegato
anche dalla stessa Corte costituzionale al fine di dettagliare e dare
sostanza alle prerogative inalienabili dei soggetti detenuti (cfr. in
particolare la sentenza n. 143 del 2013, ma anche, piu' di recente,
la sentenza n. 18 del 2022 e la sentenza n. 10 del 2024).
Nella stessa direzione possono essere, inoltre, menzionate le
Norme minime stabilite dalle Nazioni Unite in materia di trattamento
delle persone detenute (cc.dd. «Mandela Rules»), le quali, alla
Regola 44, sanciscono che «Nell'ambito delle presenti regole, con
"isolamento" si intende la misura che prevede di isolare la persona
detenuta per 22 ore (o piu') al giorno, senza alcun contatto con
altre persone. L'isolamento prolungato indica il confinamento per un
periodo superiore ai quindici giorni consecutivi» e, alla Regola 45,
stabiliscono che «l'isolamento deve essere utilizzato soltanto in
casi eccezionali, come ultima istanza, per il minimo indispensabile e
a seguito di una revisione indipendente, nonche' solo in forza
dell'autorizzazione di un ente competente. Non puo' essere comminato
sulla base della condanna di una persona detenuta».
Da quanto sin qui esposto emerge con chiarezza come l'effetto
diretto della misura sia gravemente afflittivo, nonche' (come gia'
evidenziato e come si dira' meglio nel prosieguo) come la stessa
abbia in sede di comminatoria una funzione generalpreventiva e in
sede applicativa ed esecutiva una funzione repressivo-punitiva della
condotta dell'autore dell'infrazione.
2.9.4. Si deve poi evidenziare la portata stigmatizzante della
sanzione in questione, gia' evidente per il fatto che sia applicata
dalle autorita' carcerarie nei confronti di un detenuto e che
comporti l'isolamento dello stesso dalla restante parte della
comunita' carceraria.
Tale profilo di stigmatizzazione emerge poi anche avendo riguardo
agli effetti indiretti e secondari della sanzione disciplinare. Gli
ulteriori pregiudizi, benche' non costituiscano una sanzione
dell'infrazione a monte, finiscono per accompagnarsi alla sanzione
disciplinare, facendo cosi' emergere un profilo di stigmatizzazione
del detenuto che incorre in un'infrazione disciplinare e che, per
questo, viene sanzionato. Si fa riferimento, tra gli altri, agli
istituti del permesso premio e della liberazione anticipata, i quali
legandosi strettamente ad una valutazione positiva della condotta
carceraria (regolare condotta carceraria e assenza di pericolosita'
sociale del detenuto per il permesso premio, ex art. 30-ter ord. pen;
prova della partecipazione all'opera di rieducazione per la
liberazione anticipata, ex art. 54, ord. pen.) finiscono per essere
fortemente influenzati dall'irrogazione della piu' grave sanzione
disciplinare (l'isolamento). Cio' peraltro acuisce l'idoneita', anche
solo potenziale, della misura in parola ad attingere il bene della
liberta' personale o comunque le prerogative fondamentali residue del
detenuto.
2.10. Il quadro sinora delineato consente, dunque, di ritenere la
misura formalmente extra-penale dell'isolamento disciplinare una pena
in senso sostanziale.
2.10.1. La giurisprudenza di legittimita', tuttavia, sul punto
non risulta univoca, registrandosi in seno alla stessa due opposti
orientamenti. Con due sentenze la Sesta sezione della Corte di
cassazione (Cass., VI, n. 31873/2017 e Cass., VI, n. 1645/2020) ha
affermato che l'isolamento disciplinare, per qualificazione
giuridica, natura e grado di severita', non puo' essere equiparato
alla sanzione penale (2) . Viceversa, con due pronunce della Prima
sezione, la Suprema Corte (Cass. I, n. 15865/2021; Cass., I, n.
21348/2021) ha riconosciuto la natura sanzionatoria del procedimento
disciplinare e ha riconosciuto, avuto riguardo al profilo
contenutistico, la natura sostanzialmente penale delle sole sanzioni
disciplinari carcerarie piu' gravi, ossia quelle interferenti con
beni personali primari del detenuto (3) (in tal senso gia' in
precedenza si era espressa Cass., Sez. II, n. 9184 del 15 dicembre
2016, Rv. 269237 - 01).
Per le ragioni gia' esposte non puo' che aderirsi al secondo
degli orientamenti ora succintamente riportati.
In questo stesso senso pare orientata anche la piu' recente
giurisprudenza costituzionale, secondo la quale «le sanzioni
disciplinari attengano in senso lato al diritto sanzionatorio
punitivo, e proprio per tale ragione attraggano su di se' alcune
delle garanzie che la Costituzione e le carie internazionali dei
diritti riservano alla pena» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n.
197 del 2018, par. 11 cons. in dir., espressasi con riguardo alla
responsabilita' disciplinare dei magistrati ordinari).
A siffatta estensione delle guarentigie proprie del diritto
penale non pare dover fare eccezione il sistema delle sanzioni
disciplinari applicabili ai detenuti e agli internati. Come gia'
precisato, infatti, e' sufficiente a qualificare una misura
formalmente extra-penale come pena sostanziale il riscontro anche di
uno solo dei tre macro criteri Engel gia' indicati. Nel caso di
specie, invero, l'isolamento disciplinare tende a mostrarsi come una
sanzione sostanzialmente penale in virtu' di piu' criteri
utilizzabili.
2.10.2. In primo luogo, infatti, il diritto nazionale qualifica
espressamente la misura come «sanzione» e ne delinea un contenuto del
tutto equivalente alla sanzione penale aggiuntiva dell'isolamento
diurno (il quale accede alla pena dell'ergastolo).
2.10.3. La natura dell'infrazione ha spessore criminoso in virtu'
di plurimi indici: l'interesse leso e' chiaramente di carattere
generale, trattandosi di danneggiamento di beni pubblici e destinati
a pubblico servizio, nonche' di beni strumentali alla vita della
comunita' carceraria; cio' e' testimoniato anche dal dato per cui il
medesimo fatto di danneggiamento delle cose appartenenti
all'amministrazione penitenziaria e' punito a titolo di reato (art.
635, comma II, n. 1. del codice penale) ed e', peraltro, procedibile
d'ufficio.
2.10.4. Giova poi evidenziare che la natura della sanzione e il
suo scopo sono chiaramente punitivi. Sulla distinzione tra
afflittivita' e punizione si sono, invero, di recente espresse in via
generale (sebbene con riferimento ad altro tema) le Sezioni Unite
(Cass. Pen., Sez. Un., 8 febbraio 2025 (ud. 26 settembre 2024), n.
13783), le quali hanno evidenziato come sussista tra afflizione e
punizione un rapporto di genere a specie, nel senso che ogni
punizione e' afflittiva, ma non ogni misura afflittiva e' anche
punitiva. Il proprium della punizione risiede, infatti, nella
finalita' della sanzione in senso stretto, che consiste
nell'assolvere, ad un tempo, ad una funzione di prevenzione generale
e di prevenzione speciale; la sanzione propriamente intesa e',
dunque, quella che punisce, infliggendo un male, per dissuadere il
corpo sociale (o il gruppo ristretto cui la norma e' rivolta), in
generale, e il sanzionato, in particolare, dal commettere illeciti
del medesimo tipo.
Tale pare essere per l'appunto la funzione della sanzione
disciplinare dell'isolamento.
A nulla varrebbe, peraltro, evocare una finalita' regolativa e
ordinatoria della vita carceraria. Dopotutto, lo scopo primario del
diritto penale e' quello di assicurare al monopolista della forza il
controllo sociale in forma coercitiva; in cio' non e' dissimile il
provvedimento col quale s'irroghi una grave sanzione disciplinare
volta a dissuadere il sanzionato (e gli altri detenuti) dal compiere
nuovamente atti che pongano in pericolo la serenita' della comunita'
carceraria. Sicche', la non negabile funzione regolativa e
ordinatoria riconducibile alle sanzioni disciplinari dell'ordinamento
penitenziario non consente affatto di escludere la funzione punitiva
della sanzione stessa.
Ne' pare persuasivo l'argomento collegato che, per escludere la
natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare, fa leva
sul fatto che le sanzioni disciplinari sono valide ed efficaci
soltanto all'interno di una ristretta cerchia di consociati: da un
lato, tale dato e' comune altresi' ad illeciti che sono anche
formalmente penali (si pensi al settore dell'ordinamento penale
militare); dall'altro, le sanzioni disciplinari applicate ai detenuti
presentano un'innegabile specificita', consistente nel fatto che il
detenuto non puo' sottrarsi alle regole e alle sanzioni disciplinari
semplicemente allontanandosi volontariamente da quella cerchia
ristretta.
D'altronde, nel caso Ezeh et Connors c. Royaume-Uni (relativo per
l'appunto a sanzioni disciplinari applicate a due detenuti) la Grande
Camera della Corte di Strasburgo, richiamando il proprio precedente
nel caso Campbell et Fell, ha espressamente confutato i citati
argomenti avanzati dal Governo del Regno Unito (4) e poi concluso per
la natura sostanzialmente penale delle sanzioni applicate ai
ricorrenti, pur previste dal regolamento penitenziario e qualificate
formalmente come sanzioni disciplinari.
2.10.4. In terzo luogo, affinche' il delineato scopo punitivo sia
idoneo ad essere raggiunto dalla sanzione, e' necessario saggiare la
gravosita' della stessa, ossia l'idoneita' a generare nel
destinatario una significativa sofferenza e afflizione. E' evidente,
infatti, come a fronte di una sanzione particolarmente mite, gli
obiettivi di prevenzione generale e speciale sfumerebbero. La
severita' della sanzione dell'isolamento si deduce con facilita' da
tutti gli elementi gia' posti in risalto; e in particolare, dal fatto
che il legislatore la considera una modalita' idonea ad aggravare la
pena piu' grave che l'ordinamento conosca, dal fatto che varie carte
internazionali presidino la misura di molteplici garanzie,
limitandone l'applicazione e vietandola con riferimento a soggetti
vulnerabili, nonche' dal dato oggettivo per cui la stessa sanzione
puo' produrre gravi pregiudizi sul detenuto; quest'ultimo - va
ricordato - prima di essere sottoposto ad isolamento deve essere
oggetto di visita medica di idoneita' a sopportare la misura e
oggetto di costante controllo sanitario; la sanzione in questione
comporta una pesante limitazione della liberta' di comunicazione. A
cio' solo si aggiungono gli ulteriori effetti indiretti circa
l'accesso a permessi premio e liberazione anticipata gia' menzionati.
La gravosita' della sanzione e' testimoniata, inoltre, dalla
procedura garantita prevista per la sua irrogazione: non e'
competente il direttore dell'istituto, ma il Consiglio di disciplina
(art. 40 ord. pen.), contro la cui decisione e' ammesso reclamo al
Magistrato di sorveglianza (art. 69, comma 6, lettera a), ord. pen.).
Quest'ultimo nella regolarita' dei casi esercita sul provvedimento
disciplinare un sindacato di legittimita'; mentre, e' tributario di
un sindacato di merito della decisione del Consiglio di disciplina
nell'ipotesi della sanzione dell'isolamento durante la permanenza
all'aria aperta e della sanzione dell'esclusione dalle attivita' in
comune. Si tratta, infatti, delle sanzioni disciplinari piu' gravi e
che maggiormente hanno l'attitudine ad attingere i valori
fondamentali della persona del detenuto.
D'altro canto, l'art. 59 delle citate regole penitenziarie
europee stabilisce garanzie processuali per il detenuto accusato di
un'infrazione disciplinare pressoche' identiche a quelle che l'art.
6, par. 3, CEDU riconosce alla persona accusa di un reato.
2.10.5. Per tali ragioni, quantomeno la sanzione disciplinare
piu' grave deve essere qualificata come sanzione sostanzialmente
penale.
A nulla valgono, peraltro. possibili parallelismi con le sanzioni
disciplinari conosciute nell'ambito del diritto del lavoro. In quel
contesto, oltre a venire in rilievo un rapporto consensuale tra
privati e non gia' un rapporto di soggezione tra amministrazione
penitenziaria e una persona privata della liberta' personale, la
sanzione disciplinare assolve ad una funzione del tutto peculiare. La
sanzione disciplinare del lavoratore, infatti, presuppone
sostanzialmente un inadempimento (quantomeno parziale) di una delle
obbligazioni che gravano sul lavoratore (obbligazione prestazionale,
obbligo di fedelta', etc.); a fronte di cio', ove l'inadempimento non
abbia scarsa rilevanza, l'ordinamento civile riconoscerebbe il
diritto del creditore (in questo caso, dunque, del datore di lavoro)
di risolvere il rapporto contrattuale. Al fine di scongiurare
l'interruzione del rapporto di lavoro a fronte di inadempimenti che,
seppur di non scarsa importanza, non siano tanto gravi da incrinare
irrimediabilmente il rapporto tra lavoratore e datare di lavoro,
l'ordinamento ha apprestato strumenti manutentivi del rapporto di
lavoro. La sanzione disciplinare in questo peculiare ambito compendia
e bilancia, dunque, le contrapposte esigenze del lavoratore, che ha
interesse a mantenere il posto di lavoro, e del datore di lavoro, che
ha il diritto di non subire inerme l'inadempimento del lavoratore.
2.11. Dalla riconduzione dell'illecito disciplinare in scrutinio
e della relativa sanzione dell'isolamento al concetto convenzionale
di «materia penale», emerge un serio dubbio circa il rispetto del
principio di rango costituzionale e convenzionale del divieto di bis
in idem di cui agli articoli 24 e 111 della Costituzione e all'art. 4
del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU.
2.11.1. Il principio e' stato oggetto di fondamentali
pronunciamenti della Corte di Strasburgo e della Corte costituzionale
in anni recenti. Con la sentenza ... del 2014, la Corte europea ha
affermato che la natura sostanzialmente penale, alla stregua dei
criteri Engel, di sanzioni formalmente extra-penali per l'ordinamento
nazionale comporta la violazione del ne bis in idem laddove il fatto
storico per cui si e' proceduto sia il medesimo. Con la sentenza
Nykanen c. Finlandia del 2014, la Corte ha, peraltro, precisato che
dal divieto in parola derivano tre distinte prerogative
dell'individuo: i. il diritto di non essere esposti alla possibilita'
di essere processuali una seconda volta; ii. il diritto a non essere
concretamente processati una seconda volta; iii. il diritto di non
essere condannati due volte per il medesimo fatto.
Dalla giurisprudenza convenzionale si delineava una garanzia
procedimentale autonoma ed inderogabile (salve le ipotesi del tutto
eccezionali stabilite dall'art. 4, par. 2, del Protocollo addizionale
n. 7 alla Cedu). Com'e' noto, la Corte di Strasburgo, con la sentenza
A. e B. c. Norvegia del 2016, ha teso a relativizzare il principio
processuale del ne bis in idem, elidendo il carattere inderogabile
del divieto innestandovi valutazioni discrezionali in ordine ai
rapporti tra i piu' procedimenti che s'interessino di un medesimo
fatto e dando rilievo a profili di diritto sostanziale legati alla
proporzionalita' della sanzione.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 43 del 2018 ha avuto
modo di osservare che «Il ne bis in idem convenzionale cessa di agire
quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la
definitivita' del primo procedimento, ma viene subordinato a un
apprezzamento proprio della discrezionalita' giudiziaria in ordine al
nesso che lega i procedimenti, perche' in presenza di una "dose
connection" e' permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della
definizione dell'altro.
Inoltre neppure si puo' continuare a sostenere che il divieto di
bis in idem convenzionale ha carattere esclusivamente processuale,
giacche' criterio eminente per affermare o negare il legame materiale
e' proprio quello relativo all'entita' della sanzione
complessivamente irrogata. Se pertanto la prima sanzione fosse
modesta, sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del
legame temporale, procedere nuovamente al fine di giungere
all'applicazione di una sanzione che nella sua totalita' non
risultasse sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame
materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem
pienamente operante.
Cosi', cio' che il divieto di bis in idem ha perso in termini di
garanzia individuale, a causa dell'attenuazione del suo carattere
inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel
complesso sproporzionate».
Alla luce di tali pronunciamenti, al fine di vagliare la
legittimita' di un doppio procedimento e' necessario accertare i
seguenti profili:
l'esistenza di una connessione sufficientemente stretta fra i
procedimenti, per oggetto e per tempistiche, la quale deve consentire
anche adeguate modalita' di coordinamento fra le autorita' procedenti
al fine di evitare duplicazioni istruttorie a detrimento
dell'attivita' difensiva del soggetto sottoposto ai procedimenti;
la prevedibilita' del doppio procedimento (e della duplice
risposta sanzionatoria);
il perseguimento di finalita' diverse e complementari da
parte dei due procedimenti, mirando in astratto e in concreto a
sanzionare profili diversi della condotta illecita;
il rispetto, considerando la sanzione complessiva, del
principio di proporzionalita'.
Se il c.d. close connection test ha esito positivo e la
proporzionalita' della pena e' salvaguardata, non vi e' violazione
del ne bis in idem. Solo in questi casi, dunque, la scelta dello
Stato di articolare la risposta punitiva anche mediante una
pluralita' di tipologie di sanzioni non e' censurabile.
2.11.2. Tanto premesso sul punto, deve evidenziarsi come tra
l'illecito disciplinare previsto dall'art. 77, comma 1, n. 13),
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 e il reato di cui
all'art. 635, comma II, n. 1, del codice penale vi e' sostanziale
sovrapposizione.
Il primo, infatti, punisce colui che realizza un «danneggiamento
di beni dell'amministrazione», mentre il secondo punisce (per quanto
in questa sede rileva) colui che «distrugge, disperde, deteriora o
rende, in tutto o in parte, inservibili [id est, danneggia] le cose
indicate nel numero 7) dell'art. 625», cioe' le cose «esistenti in
uffici o stabilimenti pubblici, [...] o destinate a pubblico servizio
o a pubblica utilita'».
La condotta e' la medesima, l'oggetto del danneggiamento e'
coincidente atteso che i «beni dell'amministrazione» cui si riferisce
il citato art. 77 non possono che essere i beni che si trovano
all'interno dell'istituto penitenziario (ossia, un ufficio o uno
stabilimento pubblico) ovvero altri beni dell'amministrazione
penitenziaria che sono logicamente destinati al servizio pubblico
svolto dalla medesima (si pensi, ad esempio, ai veicoli utilizzati
per la traduzione dei detenuti). Ne deriva che, ogni volta che
l'illecito disciplinare sia integrato dal detenuto, risulta integrato
anche il delitto di cui all'art. 635, comma II, n. 1, del codice
penale.
Tra i due illeciti e tra i fatti concretamente addebitati
all'imputato nelle due diverse sedi (disciplinare e penale) vi e'
sostanziale coincidenza e, pertanto, i due illeciti hanno ad oggetto
un medesimo fatto ai sensi della giurisprudenza convenzionale (cfr.
Corte EDU, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro
Russia, spec. paragrafi 79-84).
Vi e', a ben riflettere, un rapporto di specialita' unilaterale
tra l'illecito disciplinare di danneggiamento e il reato codicistico.
L'ordinamento non contempla tuttavia una norma - sulla falsariga
dell'art. 9, legge n. 689/1981 - che regoli il rapporto di
specialita' tra illecito disciplinare e illecito penale; ne' l'art.
9, legge n. 689/1981, relativo ai rapporti tra illecito
amministrativo e illecito penale, e' applicabile al caso di specie.
2.11.3. In alcuni settori, nei quali non opera il criterio di
specialita' come canone risolutivo del concorso di norme punitive, il
legislatore nazionale ha teso altrimenti ad evitare la doppia
punizione. In questa sede, due esempi sono di particolare importanza.
In primo luogo, si fa riferimento a quanto prevede l'art. 33, comma
II, ord. pen. in caso di evasione per mancato rientro dal permesso
premio: in ossequio al principio di proporzione ed extrema ratio
della sanzione penale, tale evasione costituisce illecito
disciplinare se il detenuto fa rientro nell'istituto penitenziario
entro dodici ore, mentre integra il reato di cui all'art. 385 del
codice penale solo ove si superi detta soglia temporale. In secondo
luogo, si ha riguardo a quanto sancisce l'art. 4, comma 1, lettera
c), decreto legislativo n. 7 del 2016, laddove, nell'elevare ad
illecito civile punitivo la condotta di danneggiamento delle cose
mobili o immobili altrui, prevede che la sanzione civile si applichi
solo ove non sia applicabile la sanzione penale.
2.11.4. Nell'ipotesi del concorso tra l'illecito disciplinare
penitenziario di danneggiamento e il delitto di danneggiamento non vi
e' alcuna norma di raccordo che consenta di evitare la doppia
punizione; pertanto, come anticipato, il duplice procedimento
punitivo porta a violare il principio del ne bis in idem.
2.11.5. Tutte le sentenze della Corte di cassazione che hanno
affrontato la questione hanno del resto escluso l'applicabilita' del
principio del ne bis in idem e confermato la validita' delle condanne
in sede penale (nonostante la precedente sanzione disciplinare),
talora riconoscendo la natura sostanzialmente penale della sanzione
dell'esclusione dalle attivita' in comune ma affermando esservi un
sufficiente collegamento tra i due procedimenti (cosi', Cass. pen. ,
Sez. II, n. 9184 del 15 dicembre 2016, Rv. 269237 - 01), talora
negando la natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare
(cosi', da ultimo, Cass., Sez. 2, sentenza n. 10399 del 2024).
In particolare, nella sentenza Sez. II, n. 9184 del 15 novembre
2016, Rv. 269237 - 01, la Corte ha affermato: «Non sussiste la
preclusione all'esercizio dell'azione penale di cui all'art. 649 del
codice di procedura penale, quale conseguenza della gia' avvenuta
irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione amministrativa ma
formalmente "penale", ai sensi dell'art. 7 CEDU - come interpretato
dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa
A e B c/Norvegia del 15 novembre 2016 - allorquando le due procedure
risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento di
finalita' sociali differenti, e determinino l'inflizione di una
sanzione penale "integrata", che sia prevedibile e, in concreto,
complessivamente proporzionata al disvalore del fatto. (In
applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la
sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di
danneggiamento aggravato commesso da un detenuto su una finestra
della casa circondariale in cui era ristretto, sulla base della
considerazione che l'imputato aveva gia' subito la sanzione
disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune per cinque
giorni)».
La conclusione non e' condivisibile, poiche' dei citati quattro
elementi da vagliare in applicazione del c.d. dose connection test,
nel caso di specie risulta rispettata esclusivamente la
prevedibilita' del doppio procedimento e della doppia sanzione.
2.11.6. Non sussiste alcun coordinamento tra il procedimento
disciplinare e il procedimento penale che sia idoneo a scongiurare i
pregiudizi per l'individuo che il ne bis in idem vuole evitare.
La possibilita' riconosciuta, dall'art. 79, decreto del
Presidente della Repubblica n. 230/2000, al Consiglio di disciplina
di sospendere il procedimento disciplinare in pendenza di un
procedimento penale costituisce un potere discrezionale (e
sostanzialmente insindacabile) dell'autorita' amministrativa
procedente, il quale non ha peraltro lo scopo di scongiurare la
doppia punizione (non essendo prevista alcuna causa di non
applicazione della sanzione disciplinare dipendente dall'eventuale
condanna in sede penale), ma verosimilmente quello di evitare il
possibile contrasto di decisioni. Si tratta, inoltre, di una
possibilita' astratta, essendo statisticamente infrequente.
D'altro canto, deve osservarsi come il procedimento disciplinare
(regolato dall'art. 81, decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000) si caratterizza per la sommarieta' delle forme e la
celerita', la quale garantisce ad un tempo una spiccata effettivita'
della sanzione e una significativa efficacia deterrente.
Normalmente, infatti, il procedimento penale prende avvio quando
il procedimento disciplinare si e' gia' concluso (nel caso in esame,
ad esempio, il procedimento disciplinare si esauriva nell'ottobre
2021 e il pubblico ministero esercitava l'azione penale nell'aprile
2023).
Peraltro, la mancanza di coordinamento tra i procedimenti
sanzionatori e, quindi, il notevole lasso temporale che puo'
intercorrere tra l'applicazione della sanzione disciplinare
(normalmente molto vicina al fatto) e la concreta applicazione della
pena conseguente alla condanna penale possono condurre ad esiti
altamente disfunzionali. Il detenuto sanzionato disciplinarmente,
infatti, ben potrebbe gia' essere uscito dal carcere allorche'
sopraggiunga la condanna penale irrevocabile; pertanto, potrebbe
essere costretto a fare nuovo ingresso nell'istituto carcerario
rendendo vani gli sforzi inerenti al delicato reinserimento nella
societa' del soggetto. Si tratta di un risultato che non appare
giustificato ove tale soggetto, per il medesimo fatto, sia gia' stato
sufficientemente sanzionato.
2.11.7. Per le ragioni gia' esposte, poi, non puo' ritenersi che
i due procedimenti sanzionatori e le due sanzioni attendano a
funzioni diverse, come pare sostenere la Corte di cassazione nella
citata sentenza n. 9184 del 15 dicembre 2016. La sanzione
disciplinare penitenziaria, infatti, nel presentare una finalita'
regolativa e ordinatoria della vita della comunita' dei detenuti,
assolve ineluttabilmente ad una funzione punitiva (repressiva e
dissuasiva), che e' propria anche della sanzione penale (come
riconosciuto anche dalla Corte EDU nella gia' citata sentenza nel
caso Ezeh et Connors c. Royaume-Uni).
2.11.8. Infine, il combinarsi delle due sanzioni (l'isolamento
per un massimo di giorni quindici e la pena da mesi sei ad anni tre
di reclusione) non garantisce la proporzionalita' della risposta
sanzionatoria. La mancanza di coordinamento procedimentale e
l'assenza di idonee soglie di offensivita' che selezionino i fatti
piu' gravi, meritevoli di rilevanza penale, rispetto al generale
illecito disciplinare finiscono per generare un compendio
sanzionatorio eccessivo ed ingiustificato.
Sono gia' stati ampiamente posti in rilievo, infatti, tutti i
profili di afflittivita' e gravosita' della sanzione dell'isolamento.
In tale sede e' sufficiente soggiungere come tale incidenza della
sanzione sui valori primari della persona risulti aggravata dalla
particolare effettivita' della misura dell'isolamento disciplinare,
celere e di applicazione immediata (elementi questi da valutare nella
misurazione dell'afflittivita' della sanzione, come ha evidenziato la
stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 223 del 2018).
In conclusione, si deve ritenere che l'isolamento continuo per la
durata massima di giorni quindici e la sanzione penale (che non puo'
scendere al di sotto di sei mesi di reclusione) costituiscano una
risposta sanzionatoria manifestamente eccessiva rispetto a fatti di
modesto rilievo offensivo, trattandosi frequentemente di
danneggiamenti di oggetto di modico valore. Si deve peraltro rilevare
che ne' l'illecito disciplinare ne' il delitto di danneggiamento
contemplano - al fine di selezionare i fatti che potrebbero darvi
luogo - soglie quantitative in relazione al valore dei beni
danneggiati.
2.12. Pertanto, il doppio procedimento e la duplice sanzione
punitiva sembrano violare il principio del ne bis in idem: pare
necessario pertanto l'intervento della Corte costituzionale, volto a
consentire di applicare la disciplina dettata dall'art. 649 del
codice di procedura penale anche all'ipotesi in cui si proceda
penalmente per un fatto che e' gia' stato punito in ambito
penitenziario mediante la sanzione disciplinare dell'isolamento.
2.13. Nell'ipotesi in cui la Corte non dovesse ritenere fondata
la prospettata questione di legittimita' dell'art. 649 del codice di
procedura penale, in via subordinata si deve sollevare l'ulteriore
questione concernente la proporzionalita' del trattamento
sanzionatorio complessivamente irrogabile (e dunque il rispetto degli
articoli 3, 13 e 27, comma 1 e comma 3, Cost., da cui e' ricavabile
di principio di proporzionalita' della pena) all'autore di un
danneggiamento - anche di modesta rilevanza - derivante dal
combinarsi della piu' grave sanzione disciplinare e della non
minimale sanzione penale prevista dall'art. 635 del codice penale.
2.13.1. L'illecito disciplinare e' punito con la sanzione
(dotata - come gia' detto - di particolare afflittivita')
dell'isolamento per la durata massima di giorni quindici. Il reato di
danneggiamento di cui al secondo comma dell'art. 635 del codice
penale e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Al fine di comparare le due sanzioni di specie diversa puo'
essere utile fare riferimento a quanto prevede l'art. 72 del codice
penale, senza elevarlo a stretto parametro di ragguaglio, ma
impiegabile come parametro orientativo di riferimento. Tale
disposizione, infatti, prevede l'isolamento diurno per la durata da
mesi sei ad anni tre in caso di concorso con un delitto punito con
l'ergastolo di altro delitto punito con la pena perpetua, nonche'
l'isolamento per la durata da mesi due a mesi diciotto in caso di
concorso con un delitto punito con la pena dell'ergastolo di altri
delitti puniti con pene temporanee complessivamente superiori ad anni
cinque.
In tale sede, dunque, l'ordinamento mostra di considerare
l'isolamento diurno per la durata di mesi due quale pena aggravata
idonea a punire il condannato che si sia reso responsabile di altri
delitti in concreto puniti con pena detentiva superiore a cinque
anni. Sebbene, pertanto, tali parametri non costituiscano autentici
criteri di ragguaglio, gli stessi consentono di dare la misura della
gravita' della sanzione dell'isolamento.
2.13.2. Alla luce di cio', l'isolamento continuo per la durata
massima di giorni quindici sembra gia' remunerare adeguatamente il
disvalore del fatto di danneggiamento. E tuttavia, allorche' non si
ritenga integralmente illegittima l'irrogazione dell'ulteriore
sanzione penale (per violazione dei requisiti anche sostanziali
sottesi al citato principio del ne bis in idem), dovrebbe essere
consentito al giudice - cui e' affidato il compito di commisurare in
concreto la sanzione al fatto - di applicare una pena inferiore al
minimo edittale previsto dall'art. 635 del codice penale quando il
medesimo fatto risulti essere gia' stato punito sul piano
disciplinare.
Il rispetto (di cui comunque si dubita) del principio del ne bis
in idem, lascia infatti impregiudicata l'autonoma valutazione che
deve essere compiuta in ordine alla proporzionalita' della pena (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 149 del 2022, par. 5.1.1 del
considerato in diritto).
2.13.3. Deve peraltro rilevarsi come il principio di
proporzionalita' e' un requisito fondamentale di legittimita' che
riguarda non solo la pena, ma tutte le sanzioni punitive. Si pensi in
questa prospettiva a quanto ha riconosciuto la Corte costituzionale
in relazione alle sanzioni disciplinari punitive (sentenza n. 197 del
2018) e a quanto hanno osservato le Sezioni Unite con riferimento ai
cc.dd, danni punitivi (Cass. Civ., Sez. Un. 5 luglio 2017, n. 16601).
2.13.4. D'altro canto, la stessa Corte costituzionale ha
affermato che il principio di proporzionalita' e' un cardine del
nostro ordinamento costituzionale in relazione a qualunque misura
quale che ne sia la relativa funzione che incida su diritti
fondamentali dell'individuo.
Cio' porta a concludere che - quand'anche si ritenesse che la
sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune non
sia di natura sostanzialmente penale - la stessa, in quanto comunque
certamente afflittiva, dovrebbe in ogni caso essere presa in
considerazione nel valutare la proporzionalita' della risposta
sanzionatoria complessiva dell'ordinamento ad un fatto che integri al
tempo stesso un illecito disciplinare e un reato. Nel commisurare
concretamente la pena nei confronti di un soggetto che per il
medesimo fatto abbia gia' patito la citata sanzione disciplinare
massima, il giudice - a prescindere dalla natura punitiva o meno
della sanzione disciplinare - onde evitare una risposta
dell'ordinamento (complessivamente considerata) sproporzionata
dovrebbe poter applicare una pena inferiore al minimo edittale.
2.13.5 Al fine di adeguare la sanzione al fatto non risulta
coerentemente utilizzabile l'espediente del riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis del codice
penale, sia perche' queste devono fondarsi su presupposti altri e non
rappresentano, nella loro fisiologia, uno strumento idoneo a
correggere un trattamento edittale sproporzionato (si veda tra le
altre la sentenza della Corte costituzionale n. 46 del 2024), sia
perche' ove l'imputato fosse meritevole gia' di per se' del
riconoscimento delle attenuanti generiche, l'aver utilizzato l'art.
62-bis del codice penale per dare rilievo alla precedente sanzione
disciplinare finirebbe per obliterare le ulteriori e significative
ragioni di trattamento piu' clemente (le sole a trovare legittima
soddisfazione nell'applicazione del citato art. 62-bis del codice
penale), applicando in concreto all'imputato una pena ingiusta.
2.13.5. L'intervento della Corte costituzionale si renderebbe,
pertanto, necessario al fine di consentire al giudice di collocare la
misura della pena al di sotto del minimo edittale - fermo il minimo
strutturale della pena della reclusione, di quindici giorni ex art.
23 codice penale - in ragione dell'irrogazione della precedente
sanzione disciplinare. Nelle ipotesi di c.d. doppio binario
sanzionatorio (non violativo del ne bis in idem, al ricorrere delle
condizioni gia' analizzate), la giurisprudenza di legittimita' e'
gia' ricorsa a questa soluzione al fine di preservare le istanze di
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio. Si fa riferimento a
quanto la Corte di cassazione ha affermato in caso di c.d. insider
trading, disapplicando il limite tracciato dal minimo edittale per
contrarieta' al principio eurounitario di proporzionalita' delle
sanzioni, di diretta ed immediata applicazione (cfr. Cassazione Pen.,
Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 49869).
Non vertendo invece, nel caso di specie, in materia oggetto di
attribuzioni dell'Unione europea, il dettato dell'art. 49 CDFUE non
puo' condurre alla disapplicazione del minimo edittale di cui
all'art. 635 del codice penale ed e', quindi, necessario l'intervento
erga omnes della Corte costituzionale.
3. Tentativo di interpretazione conforme.
Alla luce del chiaro dato testuale dell'art. 649 del codice di
procedura penale e del principio di legalita' delle pene con riguardo
all'art. 635 del codice penale, non e' percorribile alcuna
interpretazione adeguatrice che consenta di rendere il sistema
normativo coerente con i parametri di legittimita' costituzionale
invocati. D'altro canto, la giurisprudenza della Corte di cassazione
e' costante (sia pur motivando in modo diverso nelle varie sentenze)
nel negare la possibilita' di applicare le garanzie qui invocate
all'imputato gia' sanzionato in via disciplinare con la (massima)
sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune.
(1) Piu' in particolare, le citate Raccomandazioni, sanciscono nella
versione in lingua ufficiale che «60.6.a Solitary confinement,
that is the confinement of a prisoner for more than 22 hours a
day without meaningful human contact, shall never be imposed on
children, pregnant women, breastfeeding mothers or parents with
infants in prison. 60.6.b The decision on solitary confinement
shall take into account the current state of health of the
prisoner concerned. Solitary confinement shall not be imposed on
prisoners with mental or phisical disabilities when their
condition would be exacerbated by it. Where solitary confinement
has been imposed, its execution shall be terminated or suspended
if the prisoner's mental or physical condition has deteriorated.
60.6.c Solitay confinement shall not be imposed as a disciplinary
punishment, other than in exceptional cases and then for a
specified period, which shall be as short as possible and shall
never amount to torture or inhuman or degrading treatment or
punishment. 60.6.d The maximum period for which solitary
confinement may be imposed shall be set in national law. 60.6.e
Where a punishment of solitary confinement is imposed for a new
disciplinary offence on a prisoner who has alreadv spent the
maximum period in solitary confinement, such a punishment shall
not be implemented without first allowing the prisoner to recover
from the adverse effects of the previous period of solitary
confinement. 60.6.f Prisoners who are in solitary confinement
shall be visited daily, including by the director of the prison
or by a member of staff acting on behalf of the director of the
prison».
(2) «Non integra una violazione del principio del "ne bis in idem"
l'irrogazione, per un fatto corrispondente a quello oggetto di
sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per
qualificazione giuridica, natura e grado di severita' non puo'
essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data
dalla sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
nella causa "Grande Stevens contro Italia" del 4 marzo 2014.
(Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di non
luogo a procedere avente ad oggetto il reato previsto dall'art.
341-bis del codice penale, commesso da un detenuto, emessa sul
presupposto che per lo stesso fatto fosse stata inflitta la
sanzione disciplinare della esclusione dall'attivita' in comune;
in motivazione la Corte ha ritenuto che ln sanzione disciplinare
indicata non potesse essere equiparata alle corrispondenti
sanzioni penali previste per il delitto di oltraggio)» (Cass.
Pen. Sez. 6, n. 31873 del 9 maggio 2017, P.g. in proc. ..., Rv.
270852 - 01): «Non integra una violazione del principio del "ne
bis in idem" l'irrogazione, per il medesimo fatto oggetto di
sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per
qualificazione giuridica, natura e grado di severita' non puo'
essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data
dalla sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
nella causa "Grande Stevens contro Italia" del 4 marzo 2014.
(Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza
di assoluzione dal delitto di cui all'art. 337 del codice penale,
emessa, nei confronti di un detenuto, sul presupposto che per il
medesimo fatto gli fosse stata inflitta la sanzione disciplinare
prevista dall'art. 391, 26 luglio 1975, n. 354)» (Cass, Pen.,
Sez. 6. n. 1645 del 12 novembre 2019, dep. 2020, Pg, Rv. 278099 -
01).
(3) «In tema di procedimenti disciplinari dell'amministrazione
penitenziaria, opera il principio del divieto di "bis in idem"
per cui, una volta concluso il procedimento a carico di un
detenuto, e' preclusa la possibilita' di una sua riapertura per
l'applicazione di sanzioni per lo stesso fatto in ragione della
natura sanzionatoria del procedimento e della mancanza di una
esplicita previsione normativa che la consenta» (Cass. Pen., Sez.
1, n. 15865 del 3 marzo 2021. E., Rv. 281190 - 01); «In tema di
sanzioni disciplinari ai detenuti, e' manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale - sollevata per
contrasto con gli arti, 3, 113 e 117 Cost. in relazione all'art.
6 CEDU - degli articoli 35-bis e 69, comma 6, lettera a), della
legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui riservano al
magistrato di sorveglianza, investilo di un reclamo contro una
sanzione disciplinare diversa dall'isolamento e dall'esclusione
dalle attivita' in comune, un sindacato limitato ai profili di
legittimita' della sanzione stessa e del relativo procedimento e
gli inibiscono ogni valutazione di merito, non costituendo tale
scelta legislativa per gli illeciti meno gravi fonte di
irrazionale disparita' di trattamento, concernendo la garanzia
costituzionale di cui all'art. 113, comma 2, Cost. il solo
controllo giurisdizionale di legittimita' degli atti, anche
sanzionatori, adottati dalle pubbliche amministrazioni, che le
citate disposizioni dell'ordinamento penitenziario non rinnegano,
e potendosi considerare penali sotto il profilo contenutistico,
ai fini dell'applicazione delle garanzie di cui all'art. 6 CEDU,
le sole sanzioni disciplinari carcerarie piu' severe,
interferenti con beni personali primari del detenuto, tra i quali
non rientra la mera esclusione temporanea dalle attivita'
ricreative e sportive» (Cass. Pen., Sez. 1, n. 21348 del 31 marzo
2021, Rv. 281227 - 01).
(4) «103. Dans la presente affarre, la Cour releve en premier lieu
que les infractions en question concernaient un groupe ayant un
statut specifique, a' savoir les detenus, et non l'ensemble des
citovens. Toutefois, la Cour ne souscrit pas a' l'argument du
Gonvernement selon lequel ce fait donne aux infractions un
caractere de prime abord disciplinaire. Ce n'est qu'une
"indication" parmi d'autres pour apprecier la nature de
l'infraction (arret Campbell et Fell precite', p. 36, §71). [...]
105. Troisiemement, le Gouvernement fait valoir que les regles et
sanctions disciplinaires en prison sont conçues essentiellement
pour assurer le bon fonctionnement d'un systeme de liberation
anticipee, de sorte que l'element "repressif" de l'infraction est
secondaire par rapport au but premier de "prevention" des
troubles. La Cour estime que les condamnations a' des jours de
detention supplementaires out ete' en toute hypothese prononcees
a' la suite d'un verdict de culpabilite' (arret Benham precite',
p. 756, § 56) afin de punir les requerants pour les infractions
qu'ils avaient commises et pour les empecher, eux et les autres
detenus, d'eu commettre d'autres. La Cour n'est pas convaincue
par l'argument du Gouvernement consistant a' distinguer eutre les
objectifs de repression et de dissuasion des infractions en
question, ces objectifs ne s'excluant pas mutuellement (arret
Öztürk precite', pp. 20-21, § 53) et etant tenus pour
caracteristiques des sanctions penales (paragraphe 102
ci-dessus). 106. En consequence, la Cour considere que ces
elements, même s'ils ne suffisent pas en soi pour l'amener a'
conclure que les infractions reprochees aut requerants doivent
être tenues pour "penales" aux fins de la Convention, leur
impriment manifestement un aspect qui ne coincide pas exactement
avec celui d'un probleme de pure discipline. 107. La Cour esimie
donc, comme la chambre, qu'il s'impose de passer au troisieme
critere: la nature et le degre' de severite' des sanctions que
risquaient de subir les requerants (arrets Engel et autres, pp.
34-35, § 82, et Campbell et Fell, pp. 37-38, § 72, precites.»
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 Cost., 23 ss., legge n. 87/1953;
ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata:
solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale
della norma di cui all'art. 649 del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un
imputato per il delitto previsto dall'art. 635, comma 2, n. 1 del
codice penale, che, in relazione al medesimo fatto, sia gia' stato
sottoposto a procedimento disciplinare, definitivamente conclusosi,
per l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13,
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale gli
sia stata applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n.
354/1975, per violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione,
in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nonche' degli
articoli 24 e 111 della Costituzione;
e in subordine:
solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 635, comma 2, numero 1), del codice penale nella parte in
cui non consente al giudice, in sede di dosimetria della pena, di
applicare una pena inferiore al minimo edittale nel caso in cui
l'imputato sia gia' stato sanzionato, per il medesimo fatto, per
l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13 decreto
del Pesidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale gli sia stata
applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in
comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975, per
violazione degli articoli 3, 13 e 27, comma 1 e 3, della
Costituzione;
sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini di
prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale;
dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale
della presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso;
manda alla Cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza all'imputato, al difensore, al pubblico ministero, al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione
ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte
costituzionale.
Firenze, 23 luglio 2025
Il Giudice: Attina'
Oggetto:
Processo penale – Divieto di un secondo giudizio – Mancata previsione che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per il reato di danneggiamento previsto dall’art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento disciplinare, definitivamente conclusosi, per l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, numero 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per il quale gli sia stata applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune di cui all'art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975 – Violazione del principio del ne bis in idem.
- Codice di procedura penale, art. 649.
- Costituzione, artt. 24, 111 e 117, primo comma; Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), art. 4.
In subordine: Reati e pene – Danneggiamento – Preclusione per il giudice, in sede di dosimetria penale, di applicare una pena inferiore al minimo edittale nel caso in cui l’imputato sia stato già sanzionato, per il medesimo fatto, per l’illecito disciplinare di cui all’art. 77, comma 1, numero 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per il quale sia stata applicata la sanzione disciplinare dell’esclusione dall’attività in comune di cui all’art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975 – Violazione del principio di proporzionalità della pena.
- Codice penale, art. 635, secondo comma, numero 1.
- Costituzione, artt. 3, 13 e 27, commi primo e terzo.
Norme impugnate:
codice di procedura penale del Num. Art. 649
codice penale del Num. Art. 635 Co. 2
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 13 Co.
Costituzione Art. 24 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 1
Costituzione Art. 27 Co. 3
Costituzione Art. 111 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Protocollo n. 7 a Convenzione europea diritti dell'uomo Art. 4 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 185 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 luglio 2025
Ordinanza del 23 luglio 2025 del Tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di A. M. .
Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione
che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo
a procedere nei confronti di un imputato per il reato previsto
dall'art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., che, in relazione al
medesimo fatto, sia gia' stato sottoposto a procedimento
disciplinare, definitivamente conclusosi, per l'illecito
disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, del d.P.R. n. 230
del 2000, per il quale gli sia stata applicata la sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune di cui
all'art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975.
- Codice di procedura penale, art. 649.
In subordine: Reati e pene - Danneggiamento - Preclusione per il
giudice, in sede di dosimetria penale, di applicare una pena
inferiore al minimo edittale nel caso in cui l'imputato sia stato
gia' sanzionato, per il medesimo fatto, per l'illecito disciplinare
di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per
il quale sia stata applicata la sanzione disciplinare
dell'esclusione dall'attivita' in comune di cui all'art. 39, comma
1, numero 5, della legge n. 354 del 1975.
- Codice penale, art. 635, secondo comma, numero 1.
(GU n. 41 del 08-10-2025)
TRIBUNALE DI FIRENZE
Prima sezione penale
Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di M. A., nato in ... il ... (C.U.I. ...);
elettiv. domiciliato presso l'avv. Andrea Palazzeschi del Foro di
Firenze;
difeso di fiducia dall'avv. Andrea Palazzeschi del Foro di
Firenze;
imputato:
1) del delitto di cui all'art. 424 del codice penale perche',
presso la camera n. ... sezione Casa Circondariale «...» di ... in
cui e' detenuto, appiccava fuoco a propri indumenti personali
causando emissione di fumi con pericolo di conseguente incendio;
in ... il ...;
2) del delitto di cui all'art. 635, I e II comma, n. 1 del
codice penale perche' danneggiava, lanciandogli contro una padella in
cui era gia' rilevabile alcool distillato, lo schermo della
televisione Led Nordmende in uso alla camera n. ... sezione di cui al
Capo 1) rendendola inservibile, e successivamente danneggiava
sradicandolo il tavolo nella camera di pernottamento, dove era
trasferito temporaneamente in conseguenza dei fatti di cui al Capo
1), riducendo in pezzi e lanciava tali pezzi contro il cancello della
porta blindata all'indirizzo degli agenti danneggiando cosi' anche la
plafoniera a muro;
in ... il ...;
3) del delitto di cui all'art. 337 del codice penale perche'
in evidente stato di ebbrezza, per opporsi al Vice Isp. ..., al Vice
Isp. ..., al Vice Isp. ..., all'Isp C. ... e agli altri operatori
presenti, mentre compivano un atto del proprio ufficio consistente
nel tentativo di calmarlo, usava minaccia riferendo che, una volta
rientrato nella camera detentiva, avrebbe dato fuoco e avrebbe rotto
le suppellettili presenti nella camera di pertinenza dell'... sezione
di cui al capo 1), mantenendo durante la descritta condotta una mano
nella tasca della tuta dalla quale estraeva, su invito degli operanti
che avevano compreso che lo stesso potesse avere la disponibilita' di
un oggetto atto ad offendere, una penna priva di carica nella cui
punta era incastrata una vite
..., ...;
Capo 3) cosi' modificato all'udienza del 13 gennaio 2025
Premesso che:
con decreto del pubblico ministero del 20 aprile 2023 M. A.
veniva citato a giudizio per rispondere dei reati di danneggiamento
di alcuni indumenti seguito da pericolo di incendio, di
danneggiamento di alcuni arredi presenti all'interno della camera
dell'istituto penitenziario in cui era detenuto e di resistenza a
pubblico ufficiale, tutti in ipotesi commessi in ... (all'interno
della Casa circondariale «...») il ...;
all'udienza predibattimentale del 17 giugno 2024 il giudice,
dopo aver disposto procedersi in assenza dell'imputato, invitava il
pubblico ministero a riformulare l'imputazione di cui al Capo 3) e
rinviava il processo;
all'udienza del 13 gennaio 2025, il pubblico ministero
provvedeva, mediante deposito di atto scritto, a modificare
l'imputazione; era disposta quindi la notifica del verbale d'udienza
e dell'atto depositato all'imputato (non comparso);
il 20 giugno 2025 era depositata istanza di ammissione al
rito abbreviato da parte del difensore, munito di procura speciale;
all'udienza del 7 luglio 2025, l'imputato era ammesso al rito
richiesto e le parti illustravano le proprie conclusioni. In
particolare, il pubblico ministero chiedeva l'assoluzione per il
reato di cui al Capo 1) dell'imputazione e la condanna per i reati di
cui ai Capi 2) e 3) alla pena finale di mesi sei di reclusione. La
Difesa chiedeva: l'assoluzione per i reati di cui ai Capi 1) e 3)
dell'imputazione (e per l'ultimo, in subordine, la riqualificazione
ai sensi dell'art. 336, comma 3 del codice penale); per il reato di
cui al Capo 2) il riconoscimento delle attenuanti generiche e
dell'attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale;
all'udienza odierna, cui il processo era rinviato per
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano;
rilevato che:
A) in base alle annotazioni della Polizia penitenziaria, in
data ... l'imputato - all'interno della camera della Casa
circondariale di ... in cui era detenuto a titolo definitivo dal 5
aprile 2019 (con fine pena 20 maggio 2025 come risulta dal
certificato del DAP in atti) - avrebbe appiccato il fuoco ad alcuni
propri effetti personali, determinando cosi' una diffusione di fumo
nella cella; prima ancora dell'intervento della Polizia penitenziaria
lo stesso M. avrebbe, spontaneamente e autonomamente, posto termine
alla citata combustione.
Gli operanti della Polizia penitenziaria intervenuti (che non
avevano assistito direttamente alla fase iniziale) rilevavano che sia
M. sia il relativo compagno di cella (tale ...) evidenziavano alitosi
alcoolica (nel bagno sarebbe poi stata rinvenuta una pentola con
all'interno della frutta macerata); il televisore presente
all'interno della cella presentava lo schermo danneggiato.
Quanto agli sviluppi successivi, le varie annotazioni di P.G.
degli operanti intervenuti non sono del tutto collimanti: emerge
comunque che M. era in forte stato di agitazione; lo stesso - mentre
era nel corridoio nei pressi della cella - affermava che avrebbe dato
fuoco e rotto ai suppellettili della stanza e diceva agli agenti di
non avvicinarsi (non e' dato intendere la contestualita' o meno di
tali frasi); poiche' il predetto teneva una mano in tasca e non
ottemperava all'intimazione di consegnare quanto custodito nella
stessa, gli operanti lo bloccavano e ammanettavano; all'interno della
citata tasca sarebbe poi stata rinvenuta una penna, priva di carica e
al cui interno era incastrata una vite.
Piu' tardi, nella stessa giornata, all'interno della cella,
il prevenuto sradicava il tavolo a muro presente nella stessa e,
lanciando i relativi pezzi, danneggiava la plafoniera a muro. Si
procurava inoltre dei graffi sul corpo utilizzando dei frammenti del
citato tavolo;
B) in base al certificato medico in atti, il medico
dell'istituto penitenziario visitava il prevenuto e constatava, oltre
all'alitosi alcolica, vari tagli superficiali di varia lunghezza sul
braccio e sul pettorale, procedendo alla relativa medicazione; il
detenuto rifiutava di raccontare la propria versione dei fatti;
C) lo stesso ... M. era collocato in isolamento disciplinare
precauzionale, ove rimaneva fino al 1° ottobre 2021;
D) in sede di Consiglio di disciplina, il ... il predetto
chiedeva scusa per il danneggiamento del televisore e del tavolo,
adducendo che era brillo e stressato per motivi familiari (lo stesso
... aveva presentato un'istanza di trasferimento negli stabilimenti
di ... o di ... per motivi di lavoro, deducendo che aveva bisogno di
mantenere la propria famiglia);
E) lo stesso ... il Consiglio di disciplina della Casa
circondariale di ... infliggeva al predetto - in relazione agli
illeciti disciplinari di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, 14, 15 e 21
- la sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune per
giorni otto (gia' dal medesimo scontata in via precauzionale). Il
provvedimento non risulta essere stato impugnato;
F) in data 1° febbraio 2023 il difensore di M. domandava al
pubblico ministero l'acquisizione delle immagini di videosorveglianza
della Casa circondariale ritraenti gli eventi del ... nonche' di
procedere all'interrogatorio dello stesso M.;
G) in data 31 marzo 2023, M. in sede di interrogatorio
davanti al pubblico ministero (sempre all'intero della Casa
circondariale di ..., ove era ancora detenuto: sarebbe stato
scarcerato soltanto il 2 dicembre 2023 per l'affidamento in prova al
servizio sociale) rappresentava che: all'epoca dei fatti tutti
all'interno della Casa circondariale erano stressati a causa delle
restrizioni legate alla pandemia da Covid: egli aveva bevuto due
bicchieri di grappa, preparata dal suo compagno di cella; egli
danneggiava accidentalmente il televisore allorche' gli cadeva la
padella con cui stava cucinando: nel pulire i residui di cibo caduti
a terra, dava accidentalmente fuoco all'asciugamano che stava
utilizzando per pulire: allorche' sopraggiungevano gli operanti della
Polizia penitenziaria, temendo di essere picchiato egli si
autolesionava il braccio utilizzando un chiodo (che normalmente
utilizzava per aprire le confezioni di cibo in scatola); allorche'
usciva dalla cella, era bloccato e buttato a terra da molti
poliziotti, che lo colpivano alla schiena, al collo e al sedere; era
poi portato in isolamento, dove - per la rabbia - rompeva il tavolo
della cella; al medico che lo visitava raccontava solo che si era
autolesionato e non anche che era stato picchiato dagli agenti,
«tanto non sarebbe servito a niente». Anche in sede di contestazione
disciplinare, egli non riferiva nulla circa l'aggressione subita,
perche' sapeva «che sarebbe stata una causa persa in partenza»;
H) il pubblico ministero in data 5 aprile 2023 domandava al
direttore della Casa circondariale di ... la trasmissione delle
immagini di videosorveglianza ritraenti gli eventi del ... In data 18
aprile 2023 la Polizia penitenziaria rispondeva che le telecamere
presenti nelle sezioni detentive non erano funzionanti; l'impianto di
videosorveglianza era invece attivo negli atri, nei locali passeggi e
in alcuni varchi di accesso ai reparti, ma le immagini - in ragione
del tempo trascorso - non erano comunque piu' presenti nella memoria
del sistema;
I) alla luce di quanto precede, il reato di danneggiamento
seguito da pericolo di incendio contestato al Capo 1) non sussiste,
anche a prescindere dalla volontarieta' o accidentalita' della
condotta di danneggiamento.
Detto reato, infatti, «richiede, come elemento costitutivo,
il sorgere di un pericolo di incendio, sicche' non e' ravvisabile
qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non
possa sorgere detto pericolo» (cosi' Cassazione, Sez. 2, sentenza n.
47415 del 17 ottobre 2014, Rv. 260832 - 01, richiamata anche da
Cassazione, Sez. 2, sentenza n. 4183 del 2022). Nel caso di specie,
per l'appunto, in ragione delle modalita' e dell'oggetto della
condotta e del relativo contesto spaziale, non vi era pericolo alcuno
che potesse sorgere un incendio: gli oggetti cui il fuoco era
appiccato o che comunque prendevano fuoco erano di dimensioni molto
modeste; nell'ambiente circostante non vi erano verosimilmente
oggetti o materiali cui il fuoco potesse propagarsi facilmente (i
materiali maggiormente presenti nelle camere detentive sono il
cemento e il metallo; in ogni caso, in atti non vi e' una descrizione
degli elementi cui il fuoco avrebbe potuto propagarsi); il fuoco e'
stato spento agevolmente e velocemente dallo stesso imputato senza
l'uso di particolari strumenti e prima ancora dell'intervento degli
agenti della Polizia penitenziaria; non vi e' stato dunque alcun
concreto pericolo di diffusione di fiamme. I beni danneggiati dal
fuoco erano dello stesso imputato, per cui il fatto non puo' neppure
essere riqualificato come danneggiamento ex art. 635 del codice
penale;
L) parimenti non pare sussistere il contestato reato ex art.
337 del codice penale, e cio' a prescindere dall'adesione alla
ricostruzione dei fatti operata dalla Polizia penitenziaria o a
quella prospettata dall'imputato in sede d'interrogatorio.
Al riguardo, occorre preliminarmente rilevare che, non
essendo state reperite le immagini di videosorveglianza (pur
richieste dal pubblico ministero), questo giudice non dispone degli
elementi necessari per riscontrare la versione resa dall'imputato.
Sarebbe al riguardo necessaria un'indagine completa e a tutto tondo
(individuazione di tutti i detenuti presenti nel reparto, audizione
degli stessi, audizione del medico che visito' il prevenuto, ecc.)
che eccede le concrete possibilita' di questo giudice.
Ad ogni modo, quand'anche si ritenesse veritiera la versione
in atti degli operanti della Polizia penitenziaria, il suddetto reato
non sussisterebbe comunque, per un duplice ordine di motivi. Occorre
al riguardo considerare che il prevenuto era in forte stato di
agitazione e di alterazione da consumo di bevande alcoliche.
Il proferire che avrebbe dato fuoco alle suppellettili o
comunque rotto le stesse di per se' e' idoneo a integrare la minaccia
richiesta dalla norma incriminatrice, ma a condizione che la frase
sia diretta agli operanti, circostanza dubbia alla luce dello stato
di alterazione del predetto (gia' prima dell'intervento degli
operanti), dello scarso livello di dettaglio al riguardo delle
annotazioni di P.G. e del fatto che - in ipotesi d'accusa - egli
aveva gia' appiccato il fuoco ad alcuni oggetti e danneggiato il
televisore (prima ancora dell'intervento degli operanti): in
definitiva, e' possibile che egli semplicemente esteriorizzasse la
propria volonta' di continuare a fare cio' che stava gia' facendo.
Il dato del tenere un oggetto atto ad offendere in tasca e di
tenere la mano nella stessa tasca, nel citato contesto, puo' essere
interpretato da chi vi assista come un pericolo per la propria
incolumita' (cio' che avrebbe giustificato l'intervento fisico degli
operanti); da un punto di vista soggettivo, e' tuttavia opinabile e
quindi dubbio quale fosse l'intento del prevenuto, potendo la citata
condotta prestarsi a plurime interpretazioni (potrebbe avere tenuto
la mano in tasca per il timore che venisse scoperto l'oggetto;
potrebbe essere stato semplicemente il comportamento non coerente di
un ubriaco).
Sotto altro profilo, ad ogni modo, pare insussistente altro
requisito del reato in contestazione, M. avrebbe minacciato gli
agenti della Polizia penitenziaria mentre gli stessi erano intenti a
calmarlo (il medesimo era in stato di agitazione e di ebbrezza).
Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale - come rilevato
anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 30 del 2021) -
presuppone l'opposizione ad uno specifico atto dell'ufficio in corso
di esecuzione.
Nel caso di specie, da un lato il tentativo di calmare un
detenuto rientra genericamente nelle mansioni della Polizia
penitenziaria, ma non costituisce uno specifico atto dell'ufficio,
l'opposizione al quale offenda un interesse della pubblica
amministrazione tale da giustificare l'integrazione del reato in
questione.
Dall'altro, le frasi pronunciate dal prevenuto (affermava che
avrebbe dato fuoco e rotto i beni presenti in stanza) non
costituivano un'opposizione al tentativo degli operanti di calmarlo;
semplicemente il prevenuto era gia' agitato e il tentativo di
calmarlo non aveva successo; le frasi erano cioe' espressione dello
stato di agitazione in cui egli gia' versava, a prescindere dal
tentativo degli operanti di calmarlo;
M) sussiste viceversa pacificamente il reato di cui al Capo
2), quanto meno in relazione al danneggiamento del tavolo della
camera (ammesso dallo stesso imputato in sede d'interrogatorio e in
particolare dal medesimo ascritto al proprio stato di rabbia per
quanto prima accaduto) e al danneggiamento della plafoniera (rispetto
a quest'ultima l'imputato non ha riferito alcunche', ma il relativo
danneggiamento e' avvenuto nel medesimo contesto, in particolare in
un momento in cui il predetto era da solo in cella);
N) per poter addivenire ad una corretta decisione con
riguardo a detto reato di cui al Capo 2), appare pero' necessario il
pronunciamento della Corte costituzionale: risulta, infatti, dubbia
la legittimita' costituzionale, per violazione del principio del ne
bis in idem, dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un
imputato per il delitto previsto dall'art. 635, comma 2, n. 1 del
codice penale, che, in relazione al medesimo fatto, sia gia' stato
sottoposto a procedimento disciplinare, definitivamente conclusosi,
per l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13,
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale gli
sia stata applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n.
354/1975; nonche', in via subordinata, dell'art. 635, comma 2, n. 1
del codice penale, per violazione del principio di proporzionalita'
delle sanzioni, nella parte in cui non consente, in sede di
dosimetria della pena, di applicare una pena inferiore al minimo
edittale - pari a mesi sei di reclusione - nel caso in cui l'imputato
sia gia' stato sanzionato, per il medesimo fatto, con la sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune di cui
all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975;
Osserva
1. La rilevanza delle questioni.
1.1. Alla luce di quanto sopra esposto, l'imputato andrebbe
condannato unicamente per il reato di cui al Capo 2)
dell'imputazione, vale a dire per il danneggiamento di beni
dell'amministrazione penitenziaria presenti all'interno della Casa
circondariale e destinati a pubblico servizio.
Per i medesimi fatti, l'imputato e' stato sanzionato dal
Consiglio di disciplina con la sanzione dell'esclusione dalle
attivita' in comune per otto giorni, con provvedimento del ...
(notificato al detenuto il ...), per violazione dell'art. 77, comma
1, nn. 13, 14, 15 e 21, del decreto del Presidente della Repubblica
n. 230/2000, provvedimento che non risulta essere stato impugnato e
quindi deve ritenersi definitivo (la sanzione e' anche stata
concretamente eseguita).
1.3. Alla luce di quanto sopraesposto e sulla base degli atti,
questo Giudice si trova a giudicare l'odierno imputato per i medesimi
fatti per i quali e' gia' stato oggetto di sanzioni disciplinari da
ritenersi punitive, dovendo irrogare al medesimo ulteriori sanzioni
penali. Non e' applicabile, infatti, la disciplina di cui all'art.
649 del codice di procedura penale, la quale si riferisce
esclusivamente all'ipotesi di doppio procedimento formalmente penale,
non impedendo che ad un procedimento punitivo extra-penale ne segua
un secondo formalmente penale. La Corte costituzionale con la
sentenza n. 149 del 2022 e' intervenuta al riguardo limitatamente ad
un'unica ipotesi di «doppio binario» (in materia di diritti
d'autore).
Ne', per altro verso, la disciplina sostanziale consente di
tenere in debito conto, in sede di dosimetria della pena,
l'intervento della precedente sanzione disciplinare punitiva, al fine
di scongiurare la violazione del principio di proporzionalita' delle
sanzioni punitive.
Occorre, pertanto, investire la Corte costituzionale del giudizio
incidentale sulla legittimita' costituzionale - in via principale -
dell'art. 649 del codice di procedura penale e - in via subordinata -
dell'art. 635 del codice penale.
2. La non manifesta infondatezza.
2.1. Si dubita, in via principale, della legittimita'
costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un
imputato per il reato di cui all'art. 635, comma 2, n. 1 del codice
penale al quale, con riguardo al medesimo fatto, sia gia' stata
irrogata in via definitiva - nell'ambito di un procedimento
disciplinare penitenziario per l'illecito disciplinare di cui
all'art. 77, comma 1, n. 13, decreto del Presidente della Repubblica
n. 230/2000 - la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n.
354/1975.
In particolare, la possibilita' - non preclusa dall'art. 649
del codice di procedura penale - di sottoporre a procedimento penale
e di punire per il danneggiamento di cose dell'amministrazione
penitenziaria l'imputato gia' sanzionato ex articoli 77, comma 1, n.
13), decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 e 39, legge
n. 354/1975 non pare conforme al divieto del ne bis in idem, come
enunciato dall'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), rilevante ai sensi
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, principio peraltro gia'
evincibile a livello nazionale dagli articoli 24 e 111, Cost. (come
sottolineato dalla stessa Corte costituzionale nella gia' citata
sentenza n. 149 del 2022).
2.2. L'illecito disciplinare in esame e' previsto dall'art. 77,
comma 1, n. 13), regolamento sull'ordinamento penitenziario di cui al
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000, a mente del
quale «l. Le sanzioni disciplinari sono inflitte ai detenuti e agli
internati che si siano resi responsabili di: [...]13) appropriazione
o danneggiamento di beni dell'amministrazione». Le sanzioni
applicabili sono quelle in via generale previste dall'art 39 ord.
pen. in virtu' del quale «Le infrazione disciplinari possono dar
luogo solo alle seguenti sanzioni: 1) richiamo del direttore; 2)
ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al
personale e di un gruppo di detenuti o internati; 3) esclusione da
attivita' ricreative e sportive per non piu' di dieci giorni; 4)
isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non piu' di
dieci giorni; 5) esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di
quindici giorni».
2.3. Sul piano generale, deve osservarsi come la struttura
dell'illecito disciplinare penitenziario ricalchi la morfologia
dell'illecito penale: anche in relazione al primo e' punito il
tentativo (art. 77, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica
n. 230/2000); ha rilievo aggravante la recidiva (che consente, ex
art. 77, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000, l'irrogazione delle sanzioni piu' gravi anche per le
infrazioni che normalmente dovrebbero essere punite con sanzioni piu'
miti); in caso di prognosi positiva di non recidivanza la sanzione
puo' essere sospesa e, ove la prognosi venga poi smentita dal
comportamento illecito successivo del sanzionato, la sospensione puo'
essere revocata (art. 80, decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000); infine, e' possibile applicare in via cautelare le
sanzioni previste, con eventuale sconto del c.d. «presofferto» in
caso di sanzione definitiva (art. 78, comma 1 e 4, decreto del
Presidente della Repubblica n. 230/2000).
2.4. A tale analoga struttura fa eco un'unitaria funzione delle
sanzioni disciplinari in scrutinio e delle sanzioni penali.
Gia' in base a quanto posto in rilievo, ma pure avendo riguardo
ai principi che governano la disciplina sanzionatoria, lo scopo della
sanzione disciplinare - al pari di quello della pena - e' complesso,
perche' la stessa e' chiamata a svolgere finzioni di prevenzione
generale, speciale e retributive.
Oltre agli istituti della sospensione condizionale della sanzione
e della recidiva gia' menzionati, rileva quanto sancito dall'art. 38
ord. pen. in forza del quale «I detenuti e gli internati non possono
essere puniti per un fatto che non sia espressamente previsto come
infrazione dal regolamento. Nessuna sanzione puo' essere inflitta se
non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell'addebito
all'interessato, il quale e' ammesso ad esporre le proprie discolpe.
Nell'applicazione delle sanzioni bisogna tener conto, oltre che della
natura e della gravita' del fatto, del comportamento e delle
condizioni personali del soggetto. Le sanzioni sono eseguite nel
rispetto della personalita'».
L'illecito disciplinare in esame e il reato condividono il
principio strutturale di tipicita' e i criteri di commisurazione
della sanzione.
2.4.1. In primo luogo, infatti, il principio di legalita' e di
tipicita' assolve, tra le altre, la funzione di garantire al membro
della collettivita' (generale o ristretta che sia) la prevedibilita'
delle conseguenze sanzionatorie questa e' un presupposto
irrinunciabile della facolta' dello Stato di punire il comportamento
dei consociati, poiche' ove e' incomprensibile o non prevedibile il
confine tra lecito ed illecito il singolo non e' in grado di
autodeterminarsi al cospetto dei valori dell'ordinamento. Pertanto,
sebbene la tipicita' dell'illecito non sia un carattere esclusivo
degli illeciti punitivi, rappresenta per questi un tratto
indispensabile e caratterizzante.
2.4.2. In secondo luogo, il criterio di commisurazione della
sanzione disciplinare incentrato, oltre che sulla natura e gravita'
del fatto, sul comportamento e sulle condizioni personali dell'autore
dell'illecito, testimonia ulteriormente la finalita' anche
special-preventiva - oltre che retributiva e di prevenzione generale
- della sanzione.
2.5. Tanto premesso, l'illecito disciplinare in esame (art. 77,
comma 1, n. 13), decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000)
e' punibile con ognuna delle sanzioni disciplinari previste dall'art.
39 ord. pen. e, dunque, mediante «1) richiamo del direttore; 2)
ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti al
personale e di un gruppo di detenuti o internati; 3) esclusione da
attivita' ricreative e sportive per non piu' di dieci giorni; 4)
isolamento durante la permanenza all'aria aperta per non piu' di
dieci giorni; 5) esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di
quindici giorni».
E' applicabile, pertanto, anche la piu' grave tra le sanzioni
disciplinari contemplate dall'ordinamento, ossia l'isolamento per
motivi disciplinari di cui al n. 5 del citato art. 39.
Cio', come gia' evidenziato, e' quanto avvenuto nel caso di
specie.
Occorre allora vagliare la portata punitiva di siffatta sanzione
e, dunque, la eventuale natura sostanzialmente penale della stessa.
2.6. La nota giurisprudenza convenzionale sui criteri Engel
(elaborati a seguito della sentenza della Corte EDU, Engel c. Paesi
Bassi, del 1976) ha affermato che il riscontro di anche uno solo dei
tre criteri e' sufficiente a qualificare una sanzione come penale ai
fini della Convenzione europea. Tali criteri sono costituiti
essenzialmente 1) dalla qualificazione ai sensi del diritto interno,
2) dalla natura dell'infrazione, 3) dalla severita' della sanzione.
A fronte di questi tre macro-criteri, la giurisprudenza
convenzionale (e nazionale che degli orientamenti europei ha dato
specifica applicazione) ha enucleato una pluralita' di indici
sintomatici dai quali poter dedurre la natura sostanzialmente penale
della sanzione formalmente extra-penale. Tra di essi v'e' da
considerare: a) il carattere generale degli interessi lesi
dall'illecito; b) la funzione punitiva dell'illecito e della relativa
sanzione; c) l'efficacia afflittiva della sanzione (anche se solo
comminata in astratto, come ha precisato nella pronuncia Corte EDU,
Sez. IV, 20 maggio 2014, Nykanen c. Finlandia), la quale puo' trarsi
dalla capacita' della stessa di incidere sia - com'e' ovvio - sulla
liberta' personale (anche in via solo potenziale), sia in modo
apprezzabile su altri diritti fondamentali della persona; d) la
qualificazione formale assegnata dall'ordinamento nazionale
(ancorche' rappresenti ormai un criterio recessivo); nonche', piu' di
recente, e) il collegamento della sanzione rispetto ad un illecito
penale (anche se oggetto di depenalizzazione, secondo la
giurisprudenza domestica); f) lo scopo dissuasivo o affittivo della
sanzione (dunque, la sua funzione general o special-preventiva); g)
la sede di irrogazione della sanzione (dunque, in sintesi se si
tratti di sede giurisdizionale o meno, come emerge dalla sentenza A e
B c. Norvegia del 2016).
2.7. Alla luce di tali indici occorre accertare se la sanzione
disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune sino a
quindici giorni (cioe' l'isolamento disciplinare) per l'ipotesi di
danneggiamento dei beni dell'amministrazione penitenziaria (articoli
77, comma 1, n. 13), decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000 e 39 ord. pen.) presenti o meno natura sostanzialmente
penale.
2.8. A tal fine, appare opportuno svolgere preliminarmente alcune
considerazioni sistematiche in ordine alla citata sanzione
dell'esclusione dalle attivita' in comune.
2.8.1. Poiche' il trattamento penitenziario, secondo l'art. 1,
comma 2, legge n. 354/1975, in applicazione dell'art. 27, comma 3,
Cost. «tende, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al
reinserimento sociale ed e' attuato secondo un criterio di
individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli
interessati», vi sono numerose disposizioni normative che regolano lo
svolgimento di attivita' in comune tra i detenuti, essendo questo un
aspetto centrale del trattamento penitenziario alla luce della
funzione risocializzante cui deve tendere la pena.
Cosi' l'art. 6, comma 2, legge n. 354/1975 stabilisce che «le
aree residenziali devono essere dotate di spazi comuni al fine di
consentire ai detenuti e agli internati una gestione cooperativa
della vita quotidiana nella sfera domestica». Il successivo terzo
comma prevede che «I locali destinati al pernottamento consistono in
camere dotate di uno o piu' posti». L'art. 10, comma 4, prevede che
«La permanenza all'aria aperta e' effettuata in gruppi a meno che non
ricorrano i casi indicati nell'art. 33 e nei numeri 4) e 5) dell'art.
39 [...]». Ai sensi dell'art. 12, comma 1 «Negli istituti
penitenziari, secondo le esigenze del trattamento, sono approntate
attrezzature per lo svolgimento di attivita' lavorative, di
istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di
ogni altra attivita' in comune». L'art. 14, comma 3, stabilisce che
«L'assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti
e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti
con particolare riguardo alla possibilita' di procedere a trattamento
rieducativo comune [...]». Nello stesso solco si collocano poi gli
articoli 15, comma 1, 17, comma 1 e 18, comma 1 della legge n.
354/1975.
2.8.2. Nel suddetto quadro s'innesta l'art. 33 (Isolamento) della
legge n. 354/1975, prevedendo che «1. Negli istituti penitenziari
l'isolamento continuo e' ammesso: a) quando e' prescritto per ragioni
sanitarie; b) durante l'esecuzione della sanzione della esclusione
dalle attivita' in comune; c) per gli indagati e imputati se vi sono
ragioni di cautela processuale; il provvedimento dell'autorita'
giudiziario competente indica la durata e le ragioni dell'isolamento.
2. Il regolamento specifica le modalita' di esecuzione
dell'isolamento. 3. Durante la sottoposizione all'isolamento non sono
ammesse limitazioni alle normali condizioni di vita, ad eccezione di
quelle funzionali alle ragioni che lo hanno determinato. 4.
L'isolamento non preclude l'esercizio del diritto di effettuare
colloqui visivi con i soggetti autorizzati». L'art. 39 (Sanzioni
disciplinari), come gia' evidenziato, prevede quale sanzione piu'
grave quella della esclusione dalle attivita' in comune. L'art. 40,
infine, stabilisce che - ad eccezione delle sanzioni del richiamo e
dell'ammonizione (di competenza del direttore) - «Le altre sanzioni
sono deliberale dal consiglio di disciplina [...]».
A livello di formazione secondaria, l'art. 73 (Isolamento) del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000 al secondo comma prevede: «L'isolamento continuo durante
l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attivita' in
comune e' eseguito in una camera ordinaria, a meno che il
comportamento del detenuto o dell'internato sia tale da arrecare
disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine e la disciplina.
Anche in tal caso, l'isolamento si esegue in locali con le
caratteristiche di cui all'art. 6 della legge». Il successivo terzo
comma prevede che «Ai detenuti e gli internati, nel periodo di
esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e' precluso
di comunicare con i compagni».
2.8.3. Dunque, in termini generali le norme sul trattamento
penitenziario prevedono come regola l'ammissione dei detenuti alla
vita in comune. Come ha rilevato la Corte di cassazione,
«l'isolamento del detenuto dal resto della popolazione carceraria
deve intendersi potenzialmente non ricompresa nell'ordinario
trattamento penitenziario, dovendo intendersi che la regola generale
sia quella dell'ammissione del condannato alla vita in comune onde
consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e il suo
recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27, Cost., comma 3»
(Cass. Pen., Sez. 1, sentenza n. 9300 del 2014).
Rispetto a tale regime generale la legge ha previsto alcune
eccezioni, tra cui - per quanto qui rileva - l'isolamento continuo
(diurno e notturno) connesso alla sanzione disciplinare (deliberata
dal Consiglio di disciplina) dell'esclusione dalle attivita' in
comune ai sensi degli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1,
n. 5, legge n. 354/1975.
In ragione delle possibili conseguenze negative sulla salute e
sul benessere dell'individuo, la legge prevede poi particolari
cautele da adottare e in particolare verifiche sanitarie circa la
sopportabilita' della misura, sia preventivamente sia in corso di
applicazione.
2.9. Cosi' succintamente richiamato il quadro normativo di
riferimento, occorre misurare la portata della sanzione disciplinare
dell'isolamento continuo (diurno e notturno) alla stregua dei
parametri Engel al fine di saggiarne l'eventuale natura
sostanzialmente penale.
2.9.1. In primo luogo, giova evidenziare sul piano della
qualificazione formale della misura che l'ordinamento nazionale
qualifica in maniera espressa la stessa come «sanzione», termine che
gia' a livello lessicale costituisce quanto meno un indizio circa la
natura della misura.
Si tratta, per di piu', di una sanzione che gia' sul piano
formale conosce un'omologa sanzione di natura schiettamente penale:
l'isolamento diurno di cui all'art. 72 del codice penale.
Tale disposizione prevede che «Al colpevole di piu' delitti,
ciascuno dei quali importa la pena dell'ergastolo, si applica la
detta pena con l'isolamento diurno da sei mesi a tre anni», mentre
«nel caso di concorso di un delitto che importa la pena
dell'ergastolo, con uno o piu' delitti che importano pene detentive
temporanee per un tempo complessivo superiore a cinque anni, si
applica la pena dell'ergastolo, con l'isolamento diurno per un
periodo di tempo da due a diciotto mesi».
Il codice penale non annovera espressamente l'isolamento tra le
pene principali (o accessorie), regolandolo quale modalita' aggravata
di espiazione della pena dell'ergastolo. Non si tratta tuttavia di
una modalita' di esecuzione della pena che attenga al percorso
trattamentale dell'ergastolano, di precisa competenza della
Magistratura di sorveglianza, bensi' di una sanzione aggiuntiva che
l'ordinamento prevede per chi, autore di un delitto punito con la
pena dell'ergastolo, abbia commesso altri delitti: in altri termini,
«l'isolamento diurno opera unicamente come sanzione per i delitti
commessi in concorso con quello punito con l'ergastolo», «delitti per
i quali la pena per ciascuno stabilita (ergastolo o pena detentiva
temporanea) non sarebbe applicabile, in quanto il delitto col quale
essi concorrono gia' importa la pena dell'ergastolo» (cosi' la Corte
costituzionale nella lontana sentenza n. 115 del 1964). La Corte di
cassazione nella gia' citata sentenza n. 9300 del 2014 ha poi
affermato che «L'isolamento diurno previsto dall'art. 72 del codice
penale ha natura giuridica di sanzione penale, di inasprimento
dell'ergastolo, con la conseguenza che, in relazione ad esso, il
Magistrato di sorveglianza non puo' disporre modalita' esecutive tali
da renderlo privo di contenuto effettivo».
Si tratta quindi di una sanzione aggiuntiva comminata per le
ipotesi in assoluto piu' gravi previste dall'ordinamento penale.
Sebbene la sanzione dell'isolamento diurno (che si assomma alla
pena dell'ergastolo, la quale importava normalmente l'isolamento
notturno nella visione del legislatore del codice) non sia
formalmente annoverata tra le pene principali e sia invece regolata
in materia di concorso di reati, si deve ritenere che l'isolamento
diurno costituisca dunque una sanzione che gia' per l'ordinamento
domestico ha natura penale.
La ragione e' di facile comprensione. Benche', infatti, la pena
in parola non incida sul quantum temporale della limitazione della
liberta' personale, si tratta di una misura che incide drasticamente
sulla qualita' e sulla profondita' di detta limitazione e che quindi
si presta ad esplicare un'efficacia deterrente anche rispetto ai
soggetti cui sarebbe comunque applicata la pena dell'ergastolo.
2.9.2. Se tale considerazione in punto di afflittivita' vale con
riferimento alla misura aggravatrice della pena dell'ergastolo, si
deve ritenere che la stessa sanzione abbia natura (sostanzialmente)
penale anche quando sia applicata al detenuto che commetta
un'infrazione disciplinare, specie ove tale infrazione coincida
integralmente con il reato.
Tali considerazioni si legano, ad ogni modo, all'afflittivita'
della sanzione in questione. Quest'ultima puo' essere vagliata avuto
riguardo all'incidenza sulla liberta' personale o comunque sulla
liberta' di comunicazione: la citata sanzione disciplinare realizza
una pesante compressione della liberta' di comunicazione; non si
tratta di una limitazione normalmente conseguente alla restrizione
della liberta' personale implicita nell'esecuzione della pena
detentiva, ne' di una limitazione conseguente alle normali regole di
una vita in comunita'; al contrario, la limitazione/soppressione
della liberta' di comunicazione con gli altri detenuti costituisce lo
scopo precipuo e il contenuto principale della sanzione disciplinare
in questione; il divieto di comunicazione e' poi espressamente
previsto dall'art. 73, comma 3, decreto del Presidente della
Repubblica n. 230/2000.
Ma puo' essere vagliata altresi' guardando alla gravosita' della
misura tenuto conto delle possibili ripercussioni su altri valori
della persona, in primis il relativo benessere psicofisico. Di tanto
si mostra edotto lo stesso legislatore disciplinare, che, consapevole
della gravosita' della misura, ha previsto che «la sanzione della
esclusione dalle attivita' in comune non puo' essere eseguita senza
la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario, attestante che
il soggetto puo' sopportarla. Il soggetto escluso dalle attivita' in
comune e' sottoposto a costante controllo sanitario» (art. 39, comma
II, ord. pen.). Si tratta di cautele che, con ogni evidenza, non
hanno l'effetto di rendere meno gravosa la sanzione, ma solo di
renderla, per quanto possibile, «sicura» in termini di ripercussioni
sullo stato di salute del sanzionato; cio', tuttavia, non fa altro
che evidenziare con maggior nettezza l'attitudine della sanzione a
porre in sofferenza le prerogative fondamentali della persona.
2.9.3. La gravosita' dell'isolamento ha condotto, peraltro,
all'adozione di specifiche carte sovranazionali, volte a limitare la
possibilita' per l'autorita' statale di irrogare sanzioni tanto
gravose su soggetti che, in quanto detenuti, risultano gia'
fortemente limitati nell'esercizio e nel godimento delle liberta'
fondamentali, nonche' volte a costellare tali sanzioni da presidi di
garanzia. In questo senso, un primario ruolo e' svolto dalle
Raccomandazioni R (2006)2 sulle Regole penitenziarie europee (atto
adottato dal Comitato dei ministri 1'11 gennaio 2006, rivisto ed
emendato dal Comitato dei ministri del 1° luglio 2020), che, dopo
aver sancito limitazioni oggettive e soggettive alla misura
dell'isolamento penitenziario, evidenziano al punto 60.6. e che
«Qualora venga imposta la sanzione dell'isolamento per un nuovo
illecito disciplinare a un detenuto che ha gia' trascorso il periodo
massimo di isolamento [stabilito dalla legge nazionale], tale
sanzione non deve essere eseguita senza prima consentire al detenuto
di riprendersi dagli effetti negativi del precedente periodo di
isolamento» (1) Benche' non sia certa la natura di autentica fonte
del diritto di tali riferimenti internazionali, tale da essere
rilevante anche ai fini di cui all'art. 117, comma I, Cost.,
potendosi ritenere siffatto compendio di raccomandazioni
riconducibile al piano della c.d. soft law, esse rappresentano
comunque un condensato dell'elaborazione sovranazionale in tema di
diritti fondamentali dei detenuti che, a ragione, e' stato impiegato
anche dalla stessa Corte costituzionale al fine di dettagliare e dare
sostanza alle prerogative inalienabili dei soggetti detenuti (cfr. in
particolare la sentenza n. 143 del 2013, ma anche, piu' di recente,
la sentenza n. 18 del 2022 e la sentenza n. 10 del 2024).
Nella stessa direzione possono essere, inoltre, menzionate le
Norme minime stabilite dalle Nazioni Unite in materia di trattamento
delle persone detenute (cc.dd. «Mandela Rules»), le quali, alla
Regola 44, sanciscono che «Nell'ambito delle presenti regole, con
"isolamento" si intende la misura che prevede di isolare la persona
detenuta per 22 ore (o piu') al giorno, senza alcun contatto con
altre persone. L'isolamento prolungato indica il confinamento per un
periodo superiore ai quindici giorni consecutivi» e, alla Regola 45,
stabiliscono che «l'isolamento deve essere utilizzato soltanto in
casi eccezionali, come ultima istanza, per il minimo indispensabile e
a seguito di una revisione indipendente, nonche' solo in forza
dell'autorizzazione di un ente competente. Non puo' essere comminato
sulla base della condanna di una persona detenuta».
Da quanto sin qui esposto emerge con chiarezza come l'effetto
diretto della misura sia gravemente afflittivo, nonche' (come gia'
evidenziato e come si dira' meglio nel prosieguo) come la stessa
abbia in sede di comminatoria una funzione generalpreventiva e in
sede applicativa ed esecutiva una funzione repressivo-punitiva della
condotta dell'autore dell'infrazione.
2.9.4. Si deve poi evidenziare la portata stigmatizzante della
sanzione in questione, gia' evidente per il fatto che sia applicata
dalle autorita' carcerarie nei confronti di un detenuto e che
comporti l'isolamento dello stesso dalla restante parte della
comunita' carceraria.
Tale profilo di stigmatizzazione emerge poi anche avendo riguardo
agli effetti indiretti e secondari della sanzione disciplinare. Gli
ulteriori pregiudizi, benche' non costituiscano una sanzione
dell'infrazione a monte, finiscono per accompagnarsi alla sanzione
disciplinare, facendo cosi' emergere un profilo di stigmatizzazione
del detenuto che incorre in un'infrazione disciplinare e che, per
questo, viene sanzionato. Si fa riferimento, tra gli altri, agli
istituti del permesso premio e della liberazione anticipata, i quali
legandosi strettamente ad una valutazione positiva della condotta
carceraria (regolare condotta carceraria e assenza di pericolosita'
sociale del detenuto per il permesso premio, ex art. 30-ter ord. pen;
prova della partecipazione all'opera di rieducazione per la
liberazione anticipata, ex art. 54, ord. pen.) finiscono per essere
fortemente influenzati dall'irrogazione della piu' grave sanzione
disciplinare (l'isolamento). Cio' peraltro acuisce l'idoneita', anche
solo potenziale, della misura in parola ad attingere il bene della
liberta' personale o comunque le prerogative fondamentali residue del
detenuto.
2.10. Il quadro sinora delineato consente, dunque, di ritenere la
misura formalmente extra-penale dell'isolamento disciplinare una pena
in senso sostanziale.
2.10.1. La giurisprudenza di legittimita', tuttavia, sul punto
non risulta univoca, registrandosi in seno alla stessa due opposti
orientamenti. Con due sentenze la Sesta sezione della Corte di
cassazione (Cass., VI, n. 31873/2017 e Cass., VI, n. 1645/2020) ha
affermato che l'isolamento disciplinare, per qualificazione
giuridica, natura e grado di severita', non puo' essere equiparato
alla sanzione penale (2) . Viceversa, con due pronunce della Prima
sezione, la Suprema Corte (Cass. I, n. 15865/2021; Cass., I, n.
21348/2021) ha riconosciuto la natura sanzionatoria del procedimento
disciplinare e ha riconosciuto, avuto riguardo al profilo
contenutistico, la natura sostanzialmente penale delle sole sanzioni
disciplinari carcerarie piu' gravi, ossia quelle interferenti con
beni personali primari del detenuto (3) (in tal senso gia' in
precedenza si era espressa Cass., Sez. II, n. 9184 del 15 dicembre
2016, Rv. 269237 - 01).
Per le ragioni gia' esposte non puo' che aderirsi al secondo
degli orientamenti ora succintamente riportati.
In questo stesso senso pare orientata anche la piu' recente
giurisprudenza costituzionale, secondo la quale «le sanzioni
disciplinari attengano in senso lato al diritto sanzionatorio
punitivo, e proprio per tale ragione attraggano su di se' alcune
delle garanzie che la Costituzione e le carie internazionali dei
diritti riservano alla pena» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n.
197 del 2018, par. 11 cons. in dir., espressasi con riguardo alla
responsabilita' disciplinare dei magistrati ordinari).
A siffatta estensione delle guarentigie proprie del diritto
penale non pare dover fare eccezione il sistema delle sanzioni
disciplinari applicabili ai detenuti e agli internati. Come gia'
precisato, infatti, e' sufficiente a qualificare una misura
formalmente extra-penale come pena sostanziale il riscontro anche di
uno solo dei tre macro criteri Engel gia' indicati. Nel caso di
specie, invero, l'isolamento disciplinare tende a mostrarsi come una
sanzione sostanzialmente penale in virtu' di piu' criteri
utilizzabili.
2.10.2. In primo luogo, infatti, il diritto nazionale qualifica
espressamente la misura come «sanzione» e ne delinea un contenuto del
tutto equivalente alla sanzione penale aggiuntiva dell'isolamento
diurno (il quale accede alla pena dell'ergastolo).
2.10.3. La natura dell'infrazione ha spessore criminoso in virtu'
di plurimi indici: l'interesse leso e' chiaramente di carattere
generale, trattandosi di danneggiamento di beni pubblici e destinati
a pubblico servizio, nonche' di beni strumentali alla vita della
comunita' carceraria; cio' e' testimoniato anche dal dato per cui il
medesimo fatto di danneggiamento delle cose appartenenti
all'amministrazione penitenziaria e' punito a titolo di reato (art.
635, comma II, n. 1. del codice penale) ed e', peraltro, procedibile
d'ufficio.
2.10.4. Giova poi evidenziare che la natura della sanzione e il
suo scopo sono chiaramente punitivi. Sulla distinzione tra
afflittivita' e punizione si sono, invero, di recente espresse in via
generale (sebbene con riferimento ad altro tema) le Sezioni Unite
(Cass. Pen., Sez. Un., 8 febbraio 2025 (ud. 26 settembre 2024), n.
13783), le quali hanno evidenziato come sussista tra afflizione e
punizione un rapporto di genere a specie, nel senso che ogni
punizione e' afflittiva, ma non ogni misura afflittiva e' anche
punitiva. Il proprium della punizione risiede, infatti, nella
finalita' della sanzione in senso stretto, che consiste
nell'assolvere, ad un tempo, ad una funzione di prevenzione generale
e di prevenzione speciale; la sanzione propriamente intesa e',
dunque, quella che punisce, infliggendo un male, per dissuadere il
corpo sociale (o il gruppo ristretto cui la norma e' rivolta), in
generale, e il sanzionato, in particolare, dal commettere illeciti
del medesimo tipo.
Tale pare essere per l'appunto la funzione della sanzione
disciplinare dell'isolamento.
A nulla varrebbe, peraltro, evocare una finalita' regolativa e
ordinatoria della vita carceraria. Dopotutto, lo scopo primario del
diritto penale e' quello di assicurare al monopolista della forza il
controllo sociale in forma coercitiva; in cio' non e' dissimile il
provvedimento col quale s'irroghi una grave sanzione disciplinare
volta a dissuadere il sanzionato (e gli altri detenuti) dal compiere
nuovamente atti che pongano in pericolo la serenita' della comunita'
carceraria. Sicche', la non negabile funzione regolativa e
ordinatoria riconducibile alle sanzioni disciplinari dell'ordinamento
penitenziario non consente affatto di escludere la funzione punitiva
della sanzione stessa.
Ne' pare persuasivo l'argomento collegato che, per escludere la
natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare, fa leva
sul fatto che le sanzioni disciplinari sono valide ed efficaci
soltanto all'interno di una ristretta cerchia di consociati: da un
lato, tale dato e' comune altresi' ad illeciti che sono anche
formalmente penali (si pensi al settore dell'ordinamento penale
militare); dall'altro, le sanzioni disciplinari applicate ai detenuti
presentano un'innegabile specificita', consistente nel fatto che il
detenuto non puo' sottrarsi alle regole e alle sanzioni disciplinari
semplicemente allontanandosi volontariamente da quella cerchia
ristretta.
D'altronde, nel caso Ezeh et Connors c. Royaume-Uni (relativo per
l'appunto a sanzioni disciplinari applicate a due detenuti) la Grande
Camera della Corte di Strasburgo, richiamando il proprio precedente
nel caso Campbell et Fell, ha espressamente confutato i citati
argomenti avanzati dal Governo del Regno Unito (4) e poi concluso per
la natura sostanzialmente penale delle sanzioni applicate ai
ricorrenti, pur previste dal regolamento penitenziario e qualificate
formalmente come sanzioni disciplinari.
2.10.4. In terzo luogo, affinche' il delineato scopo punitivo sia
idoneo ad essere raggiunto dalla sanzione, e' necessario saggiare la
gravosita' della stessa, ossia l'idoneita' a generare nel
destinatario una significativa sofferenza e afflizione. E' evidente,
infatti, come a fronte di una sanzione particolarmente mite, gli
obiettivi di prevenzione generale e speciale sfumerebbero. La
severita' della sanzione dell'isolamento si deduce con facilita' da
tutti gli elementi gia' posti in risalto; e in particolare, dal fatto
che il legislatore la considera una modalita' idonea ad aggravare la
pena piu' grave che l'ordinamento conosca, dal fatto che varie carte
internazionali presidino la misura di molteplici garanzie,
limitandone l'applicazione e vietandola con riferimento a soggetti
vulnerabili, nonche' dal dato oggettivo per cui la stessa sanzione
puo' produrre gravi pregiudizi sul detenuto; quest'ultimo - va
ricordato - prima di essere sottoposto ad isolamento deve essere
oggetto di visita medica di idoneita' a sopportare la misura e
oggetto di costante controllo sanitario; la sanzione in questione
comporta una pesante limitazione della liberta' di comunicazione. A
cio' solo si aggiungono gli ulteriori effetti indiretti circa
l'accesso a permessi premio e liberazione anticipata gia' menzionati.
La gravosita' della sanzione e' testimoniata, inoltre, dalla
procedura garantita prevista per la sua irrogazione: non e'
competente il direttore dell'istituto, ma il Consiglio di disciplina
(art. 40 ord. pen.), contro la cui decisione e' ammesso reclamo al
Magistrato di sorveglianza (art. 69, comma 6, lettera a), ord. pen.).
Quest'ultimo nella regolarita' dei casi esercita sul provvedimento
disciplinare un sindacato di legittimita'; mentre, e' tributario di
un sindacato di merito della decisione del Consiglio di disciplina
nell'ipotesi della sanzione dell'isolamento durante la permanenza
all'aria aperta e della sanzione dell'esclusione dalle attivita' in
comune. Si tratta, infatti, delle sanzioni disciplinari piu' gravi e
che maggiormente hanno l'attitudine ad attingere i valori
fondamentali della persona del detenuto.
D'altro canto, l'art. 59 delle citate regole penitenziarie
europee stabilisce garanzie processuali per il detenuto accusato di
un'infrazione disciplinare pressoche' identiche a quelle che l'art.
6, par. 3, CEDU riconosce alla persona accusa di un reato.
2.10.5. Per tali ragioni, quantomeno la sanzione disciplinare
piu' grave deve essere qualificata come sanzione sostanzialmente
penale.
A nulla valgono, peraltro. possibili parallelismi con le sanzioni
disciplinari conosciute nell'ambito del diritto del lavoro. In quel
contesto, oltre a venire in rilievo un rapporto consensuale tra
privati e non gia' un rapporto di soggezione tra amministrazione
penitenziaria e una persona privata della liberta' personale, la
sanzione disciplinare assolve ad una funzione del tutto peculiare. La
sanzione disciplinare del lavoratore, infatti, presuppone
sostanzialmente un inadempimento (quantomeno parziale) di una delle
obbligazioni che gravano sul lavoratore (obbligazione prestazionale,
obbligo di fedelta', etc.); a fronte di cio', ove l'inadempimento non
abbia scarsa rilevanza, l'ordinamento civile riconoscerebbe il
diritto del creditore (in questo caso, dunque, del datore di lavoro)
di risolvere il rapporto contrattuale. Al fine di scongiurare
l'interruzione del rapporto di lavoro a fronte di inadempimenti che,
seppur di non scarsa importanza, non siano tanto gravi da incrinare
irrimediabilmente il rapporto tra lavoratore e datare di lavoro,
l'ordinamento ha apprestato strumenti manutentivi del rapporto di
lavoro. La sanzione disciplinare in questo peculiare ambito compendia
e bilancia, dunque, le contrapposte esigenze del lavoratore, che ha
interesse a mantenere il posto di lavoro, e del datore di lavoro, che
ha il diritto di non subire inerme l'inadempimento del lavoratore.
2.11. Dalla riconduzione dell'illecito disciplinare in scrutinio
e della relativa sanzione dell'isolamento al concetto convenzionale
di «materia penale», emerge un serio dubbio circa il rispetto del
principio di rango costituzionale e convenzionale del divieto di bis
in idem di cui agli articoli 24 e 111 della Costituzione e all'art. 4
del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU.
2.11.1. Il principio e' stato oggetto di fondamentali
pronunciamenti della Corte di Strasburgo e della Corte costituzionale
in anni recenti. Con la sentenza ... del 2014, la Corte europea ha
affermato che la natura sostanzialmente penale, alla stregua dei
criteri Engel, di sanzioni formalmente extra-penali per l'ordinamento
nazionale comporta la violazione del ne bis in idem laddove il fatto
storico per cui si e' proceduto sia il medesimo. Con la sentenza
Nykanen c. Finlandia del 2014, la Corte ha, peraltro, precisato che
dal divieto in parola derivano tre distinte prerogative
dell'individuo: i. il diritto di non essere esposti alla possibilita'
di essere processuali una seconda volta; ii. il diritto a non essere
concretamente processati una seconda volta; iii. il diritto di non
essere condannati due volte per il medesimo fatto.
Dalla giurisprudenza convenzionale si delineava una garanzia
procedimentale autonoma ed inderogabile (salve le ipotesi del tutto
eccezionali stabilite dall'art. 4, par. 2, del Protocollo addizionale
n. 7 alla Cedu). Com'e' noto, la Corte di Strasburgo, con la sentenza
A. e B. c. Norvegia del 2016, ha teso a relativizzare il principio
processuale del ne bis in idem, elidendo il carattere inderogabile
del divieto innestandovi valutazioni discrezionali in ordine ai
rapporti tra i piu' procedimenti che s'interessino di un medesimo
fatto e dando rilievo a profili di diritto sostanziale legati alla
proporzionalita' della sanzione.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 43 del 2018 ha avuto
modo di osservare che «Il ne bis in idem convenzionale cessa di agire
quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la
definitivita' del primo procedimento, ma viene subordinato a un
apprezzamento proprio della discrezionalita' giudiziaria in ordine al
nesso che lega i procedimenti, perche' in presenza di una "dose
connection" e' permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della
definizione dell'altro.
Inoltre neppure si puo' continuare a sostenere che il divieto di
bis in idem convenzionale ha carattere esclusivamente processuale,
giacche' criterio eminente per affermare o negare il legame materiale
e' proprio quello relativo all'entita' della sanzione
complessivamente irrogata. Se pertanto la prima sanzione fosse
modesta, sarebbe in linea di massima consentito, in presenza del
legame temporale, procedere nuovamente al fine di giungere
all'applicazione di una sanzione che nella sua totalita' non
risultasse sproporzionata, mentre nel caso opposto il legame
materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto di bis in idem
pienamente operante.
Cosi', cio' che il divieto di bis in idem ha perso in termini di
garanzia individuale, a causa dell'attenuazione del suo carattere
inderogabile, viene compensato impedendo risposte punitive nel
complesso sproporzionate».
Alla luce di tali pronunciamenti, al fine di vagliare la
legittimita' di un doppio procedimento e' necessario accertare i
seguenti profili:
l'esistenza di una connessione sufficientemente stretta fra i
procedimenti, per oggetto e per tempistiche, la quale deve consentire
anche adeguate modalita' di coordinamento fra le autorita' procedenti
al fine di evitare duplicazioni istruttorie a detrimento
dell'attivita' difensiva del soggetto sottoposto ai procedimenti;
la prevedibilita' del doppio procedimento (e della duplice
risposta sanzionatoria);
il perseguimento di finalita' diverse e complementari da
parte dei due procedimenti, mirando in astratto e in concreto a
sanzionare profili diversi della condotta illecita;
il rispetto, considerando la sanzione complessiva, del
principio di proporzionalita'.
Se il c.d. close connection test ha esito positivo e la
proporzionalita' della pena e' salvaguardata, non vi e' violazione
del ne bis in idem. Solo in questi casi, dunque, la scelta dello
Stato di articolare la risposta punitiva anche mediante una
pluralita' di tipologie di sanzioni non e' censurabile.
2.11.2. Tanto premesso sul punto, deve evidenziarsi come tra
l'illecito disciplinare previsto dall'art. 77, comma 1, n. 13),
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 e il reato di cui
all'art. 635, comma II, n. 1, del codice penale vi e' sostanziale
sovrapposizione.
Il primo, infatti, punisce colui che realizza un «danneggiamento
di beni dell'amministrazione», mentre il secondo punisce (per quanto
in questa sede rileva) colui che «distrugge, disperde, deteriora o
rende, in tutto o in parte, inservibili [id est, danneggia] le cose
indicate nel numero 7) dell'art. 625», cioe' le cose «esistenti in
uffici o stabilimenti pubblici, [...] o destinate a pubblico servizio
o a pubblica utilita'».
La condotta e' la medesima, l'oggetto del danneggiamento e'
coincidente atteso che i «beni dell'amministrazione» cui si riferisce
il citato art. 77 non possono che essere i beni che si trovano
all'interno dell'istituto penitenziario (ossia, un ufficio o uno
stabilimento pubblico) ovvero altri beni dell'amministrazione
penitenziaria che sono logicamente destinati al servizio pubblico
svolto dalla medesima (si pensi, ad esempio, ai veicoli utilizzati
per la traduzione dei detenuti). Ne deriva che, ogni volta che
l'illecito disciplinare sia integrato dal detenuto, risulta integrato
anche il delitto di cui all'art. 635, comma II, n. 1, del codice
penale.
Tra i due illeciti e tra i fatti concretamente addebitati
all'imputato nelle due diverse sedi (disciplinare e penale) vi e'
sostanziale coincidenza e, pertanto, i due illeciti hanno ad oggetto
un medesimo fatto ai sensi della giurisprudenza convenzionale (cfr.
Corte EDU, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro
Russia, spec. paragrafi 79-84).
Vi e', a ben riflettere, un rapporto di specialita' unilaterale
tra l'illecito disciplinare di danneggiamento e il reato codicistico.
L'ordinamento non contempla tuttavia una norma - sulla falsariga
dell'art. 9, legge n. 689/1981 - che regoli il rapporto di
specialita' tra illecito disciplinare e illecito penale; ne' l'art.
9, legge n. 689/1981, relativo ai rapporti tra illecito
amministrativo e illecito penale, e' applicabile al caso di specie.
2.11.3. In alcuni settori, nei quali non opera il criterio di
specialita' come canone risolutivo del concorso di norme punitive, il
legislatore nazionale ha teso altrimenti ad evitare la doppia
punizione. In questa sede, due esempi sono di particolare importanza.
In primo luogo, si fa riferimento a quanto prevede l'art. 33, comma
II, ord. pen. in caso di evasione per mancato rientro dal permesso
premio: in ossequio al principio di proporzione ed extrema ratio
della sanzione penale, tale evasione costituisce illecito
disciplinare se il detenuto fa rientro nell'istituto penitenziario
entro dodici ore, mentre integra il reato di cui all'art. 385 del
codice penale solo ove si superi detta soglia temporale. In secondo
luogo, si ha riguardo a quanto sancisce l'art. 4, comma 1, lettera
c), decreto legislativo n. 7 del 2016, laddove, nell'elevare ad
illecito civile punitivo la condotta di danneggiamento delle cose
mobili o immobili altrui, prevede che la sanzione civile si applichi
solo ove non sia applicabile la sanzione penale.
2.11.4. Nell'ipotesi del concorso tra l'illecito disciplinare
penitenziario di danneggiamento e il delitto di danneggiamento non vi
e' alcuna norma di raccordo che consenta di evitare la doppia
punizione; pertanto, come anticipato, il duplice procedimento
punitivo porta a violare il principio del ne bis in idem.
2.11.5. Tutte le sentenze della Corte di cassazione che hanno
affrontato la questione hanno del resto escluso l'applicabilita' del
principio del ne bis in idem e confermato la validita' delle condanne
in sede penale (nonostante la precedente sanzione disciplinare),
talora riconoscendo la natura sostanzialmente penale della sanzione
dell'esclusione dalle attivita' in comune ma affermando esservi un
sufficiente collegamento tra i due procedimenti (cosi', Cass. pen. ,
Sez. II, n. 9184 del 15 dicembre 2016, Rv. 269237 - 01), talora
negando la natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare
(cosi', da ultimo, Cass., Sez. 2, sentenza n. 10399 del 2024).
In particolare, nella sentenza Sez. II, n. 9184 del 15 novembre
2016, Rv. 269237 - 01, la Corte ha affermato: «Non sussiste la
preclusione all'esercizio dell'azione penale di cui all'art. 649 del
codice di procedura penale, quale conseguenza della gia' avvenuta
irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione amministrativa ma
formalmente "penale", ai sensi dell'art. 7 CEDU - come interpretato
dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa
A e B c/Norvegia del 15 novembre 2016 - allorquando le due procedure
risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento di
finalita' sociali differenti, e determinino l'inflizione di una
sanzione penale "integrata", che sia prevedibile e, in concreto,
complessivamente proporzionata al disvalore del fatto. (In
applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la
sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di
danneggiamento aggravato commesso da un detenuto su una finestra
della casa circondariale in cui era ristretto, sulla base della
considerazione che l'imputato aveva gia' subito la sanzione
disciplinare della esclusione dalle attivita' in comune per cinque
giorni)».
La conclusione non e' condivisibile, poiche' dei citati quattro
elementi da vagliare in applicazione del c.d. dose connection test,
nel caso di specie risulta rispettata esclusivamente la
prevedibilita' del doppio procedimento e della doppia sanzione.
2.11.6. Non sussiste alcun coordinamento tra il procedimento
disciplinare e il procedimento penale che sia idoneo a scongiurare i
pregiudizi per l'individuo che il ne bis in idem vuole evitare.
La possibilita' riconosciuta, dall'art. 79, decreto del
Presidente della Repubblica n. 230/2000, al Consiglio di disciplina
di sospendere il procedimento disciplinare in pendenza di un
procedimento penale costituisce un potere discrezionale (e
sostanzialmente insindacabile) dell'autorita' amministrativa
procedente, il quale non ha peraltro lo scopo di scongiurare la
doppia punizione (non essendo prevista alcuna causa di non
applicazione della sanzione disciplinare dipendente dall'eventuale
condanna in sede penale), ma verosimilmente quello di evitare il
possibile contrasto di decisioni. Si tratta, inoltre, di una
possibilita' astratta, essendo statisticamente infrequente.
D'altro canto, deve osservarsi come il procedimento disciplinare
(regolato dall'art. 81, decreto del Presidente della Repubblica n.
230/2000) si caratterizza per la sommarieta' delle forme e la
celerita', la quale garantisce ad un tempo una spiccata effettivita'
della sanzione e una significativa efficacia deterrente.
Normalmente, infatti, il procedimento penale prende avvio quando
il procedimento disciplinare si e' gia' concluso (nel caso in esame,
ad esempio, il procedimento disciplinare si esauriva nell'ottobre
2021 e il pubblico ministero esercitava l'azione penale nell'aprile
2023).
Peraltro, la mancanza di coordinamento tra i procedimenti
sanzionatori e, quindi, il notevole lasso temporale che puo'
intercorrere tra l'applicazione della sanzione disciplinare
(normalmente molto vicina al fatto) e la concreta applicazione della
pena conseguente alla condanna penale possono condurre ad esiti
altamente disfunzionali. Il detenuto sanzionato disciplinarmente,
infatti, ben potrebbe gia' essere uscito dal carcere allorche'
sopraggiunga la condanna penale irrevocabile; pertanto, potrebbe
essere costretto a fare nuovo ingresso nell'istituto carcerario
rendendo vani gli sforzi inerenti al delicato reinserimento nella
societa' del soggetto. Si tratta di un risultato che non appare
giustificato ove tale soggetto, per il medesimo fatto, sia gia' stato
sufficientemente sanzionato.
2.11.7. Per le ragioni gia' esposte, poi, non puo' ritenersi che
i due procedimenti sanzionatori e le due sanzioni attendano a
funzioni diverse, come pare sostenere la Corte di cassazione nella
citata sentenza n. 9184 del 15 dicembre 2016. La sanzione
disciplinare penitenziaria, infatti, nel presentare una finalita'
regolativa e ordinatoria della vita della comunita' dei detenuti,
assolve ineluttabilmente ad una funzione punitiva (repressiva e
dissuasiva), che e' propria anche della sanzione penale (come
riconosciuto anche dalla Corte EDU nella gia' citata sentenza nel
caso Ezeh et Connors c. Royaume-Uni).
2.11.8. Infine, il combinarsi delle due sanzioni (l'isolamento
per un massimo di giorni quindici e la pena da mesi sei ad anni tre
di reclusione) non garantisce la proporzionalita' della risposta
sanzionatoria. La mancanza di coordinamento procedimentale e
l'assenza di idonee soglie di offensivita' che selezionino i fatti
piu' gravi, meritevoli di rilevanza penale, rispetto al generale
illecito disciplinare finiscono per generare un compendio
sanzionatorio eccessivo ed ingiustificato.
Sono gia' stati ampiamente posti in rilievo, infatti, tutti i
profili di afflittivita' e gravosita' della sanzione dell'isolamento.
In tale sede e' sufficiente soggiungere come tale incidenza della
sanzione sui valori primari della persona risulti aggravata dalla
particolare effettivita' della misura dell'isolamento disciplinare,
celere e di applicazione immediata (elementi questi da valutare nella
misurazione dell'afflittivita' della sanzione, come ha evidenziato la
stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 223 del 2018).
In conclusione, si deve ritenere che l'isolamento continuo per la
durata massima di giorni quindici e la sanzione penale (che non puo'
scendere al di sotto di sei mesi di reclusione) costituiscano una
risposta sanzionatoria manifestamente eccessiva rispetto a fatti di
modesto rilievo offensivo, trattandosi frequentemente di
danneggiamenti di oggetto di modico valore. Si deve peraltro rilevare
che ne' l'illecito disciplinare ne' il delitto di danneggiamento
contemplano - al fine di selezionare i fatti che potrebbero darvi
luogo - soglie quantitative in relazione al valore dei beni
danneggiati.
2.12. Pertanto, il doppio procedimento e la duplice sanzione
punitiva sembrano violare il principio del ne bis in idem: pare
necessario pertanto l'intervento della Corte costituzionale, volto a
consentire di applicare la disciplina dettata dall'art. 649 del
codice di procedura penale anche all'ipotesi in cui si proceda
penalmente per un fatto che e' gia' stato punito in ambito
penitenziario mediante la sanzione disciplinare dell'isolamento.
2.13. Nell'ipotesi in cui la Corte non dovesse ritenere fondata
la prospettata questione di legittimita' dell'art. 649 del codice di
procedura penale, in via subordinata si deve sollevare l'ulteriore
questione concernente la proporzionalita' del trattamento
sanzionatorio complessivamente irrogabile (e dunque il rispetto degli
articoli 3, 13 e 27, comma 1 e comma 3, Cost., da cui e' ricavabile
di principio di proporzionalita' della pena) all'autore di un
danneggiamento - anche di modesta rilevanza - derivante dal
combinarsi della piu' grave sanzione disciplinare e della non
minimale sanzione penale prevista dall'art. 635 del codice penale.
2.13.1. L'illecito disciplinare e' punito con la sanzione
(dotata - come gia' detto - di particolare afflittivita')
dell'isolamento per la durata massima di giorni quindici. Il reato di
danneggiamento di cui al secondo comma dell'art. 635 del codice
penale e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Al fine di comparare le due sanzioni di specie diversa puo'
essere utile fare riferimento a quanto prevede l'art. 72 del codice
penale, senza elevarlo a stretto parametro di ragguaglio, ma
impiegabile come parametro orientativo di riferimento. Tale
disposizione, infatti, prevede l'isolamento diurno per la durata da
mesi sei ad anni tre in caso di concorso con un delitto punito con
l'ergastolo di altro delitto punito con la pena perpetua, nonche'
l'isolamento per la durata da mesi due a mesi diciotto in caso di
concorso con un delitto punito con la pena dell'ergastolo di altri
delitti puniti con pene temporanee complessivamente superiori ad anni
cinque.
In tale sede, dunque, l'ordinamento mostra di considerare
l'isolamento diurno per la durata di mesi due quale pena aggravata
idonea a punire il condannato che si sia reso responsabile di altri
delitti in concreto puniti con pena detentiva superiore a cinque
anni. Sebbene, pertanto, tali parametri non costituiscano autentici
criteri di ragguaglio, gli stessi consentono di dare la misura della
gravita' della sanzione dell'isolamento.
2.13.2. Alla luce di cio', l'isolamento continuo per la durata
massima di giorni quindici sembra gia' remunerare adeguatamente il
disvalore del fatto di danneggiamento. E tuttavia, allorche' non si
ritenga integralmente illegittima l'irrogazione dell'ulteriore
sanzione penale (per violazione dei requisiti anche sostanziali
sottesi al citato principio del ne bis in idem), dovrebbe essere
consentito al giudice - cui e' affidato il compito di commisurare in
concreto la sanzione al fatto - di applicare una pena inferiore al
minimo edittale previsto dall'art. 635 del codice penale quando il
medesimo fatto risulti essere gia' stato punito sul piano
disciplinare.
Il rispetto (di cui comunque si dubita) del principio del ne bis
in idem, lascia infatti impregiudicata l'autonoma valutazione che
deve essere compiuta in ordine alla proporzionalita' della pena (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 149 del 2022, par. 5.1.1 del
considerato in diritto).
2.13.3. Deve peraltro rilevarsi come il principio di
proporzionalita' e' un requisito fondamentale di legittimita' che
riguarda non solo la pena, ma tutte le sanzioni punitive. Si pensi in
questa prospettiva a quanto ha riconosciuto la Corte costituzionale
in relazione alle sanzioni disciplinari punitive (sentenza n. 197 del
2018) e a quanto hanno osservato le Sezioni Unite con riferimento ai
cc.dd, danni punitivi (Cass. Civ., Sez. Un. 5 luglio 2017, n. 16601).
2.13.4. D'altro canto, la stessa Corte costituzionale ha
affermato che il principio di proporzionalita' e' un cardine del
nostro ordinamento costituzionale in relazione a qualunque misura
quale che ne sia la relativa funzione che incida su diritti
fondamentali dell'individuo.
Cio' porta a concludere che - quand'anche si ritenesse che la
sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in comune non
sia di natura sostanzialmente penale - la stessa, in quanto comunque
certamente afflittiva, dovrebbe in ogni caso essere presa in
considerazione nel valutare la proporzionalita' della risposta
sanzionatoria complessiva dell'ordinamento ad un fatto che integri al
tempo stesso un illecito disciplinare e un reato. Nel commisurare
concretamente la pena nei confronti di un soggetto che per il
medesimo fatto abbia gia' patito la citata sanzione disciplinare
massima, il giudice - a prescindere dalla natura punitiva o meno
della sanzione disciplinare - onde evitare una risposta
dell'ordinamento (complessivamente considerata) sproporzionata
dovrebbe poter applicare una pena inferiore al minimo edittale.
2.13.5 Al fine di adeguare la sanzione al fatto non risulta
coerentemente utilizzabile l'espediente del riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis del codice
penale, sia perche' queste devono fondarsi su presupposti altri e non
rappresentano, nella loro fisiologia, uno strumento idoneo a
correggere un trattamento edittale sproporzionato (si veda tra le
altre la sentenza della Corte costituzionale n. 46 del 2024), sia
perche' ove l'imputato fosse meritevole gia' di per se' del
riconoscimento delle attenuanti generiche, l'aver utilizzato l'art.
62-bis del codice penale per dare rilievo alla precedente sanzione
disciplinare finirebbe per obliterare le ulteriori e significative
ragioni di trattamento piu' clemente (le sole a trovare legittima
soddisfazione nell'applicazione del citato art. 62-bis del codice
penale), applicando in concreto all'imputato una pena ingiusta.
2.13.5. L'intervento della Corte costituzionale si renderebbe,
pertanto, necessario al fine di consentire al giudice di collocare la
misura della pena al di sotto del minimo edittale - fermo il minimo
strutturale della pena della reclusione, di quindici giorni ex art.
23 codice penale - in ragione dell'irrogazione della precedente
sanzione disciplinare. Nelle ipotesi di c.d. doppio binario
sanzionatorio (non violativo del ne bis in idem, al ricorrere delle
condizioni gia' analizzate), la giurisprudenza di legittimita' e'
gia' ricorsa a questa soluzione al fine di preservare le istanze di
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio. Si fa riferimento a
quanto la Corte di cassazione ha affermato in caso di c.d. insider
trading, disapplicando il limite tracciato dal minimo edittale per
contrarieta' al principio eurounitario di proporzionalita' delle
sanzioni, di diretta ed immediata applicazione (cfr. Cassazione Pen.,
Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 49869).
Non vertendo invece, nel caso di specie, in materia oggetto di
attribuzioni dell'Unione europea, il dettato dell'art. 49 CDFUE non
puo' condurre alla disapplicazione del minimo edittale di cui
all'art. 635 del codice penale ed e', quindi, necessario l'intervento
erga omnes della Corte costituzionale.
3. Tentativo di interpretazione conforme.
Alla luce del chiaro dato testuale dell'art. 649 del codice di
procedura penale e del principio di legalita' delle pene con riguardo
all'art. 635 del codice penale, non e' percorribile alcuna
interpretazione adeguatrice che consenta di rendere il sistema
normativo coerente con i parametri di legittimita' costituzionale
invocati. D'altro canto, la giurisprudenza della Corte di cassazione
e' costante (sia pur motivando in modo diverso nelle varie sentenze)
nel negare la possibilita' di applicare le garanzie qui invocate
all'imputato gia' sanzionato in via disciplinare con la (massima)
sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune.
(1) Piu' in particolare, le citate Raccomandazioni, sanciscono nella
versione in lingua ufficiale che «60.6.a Solitary confinement,
that is the confinement of a prisoner for more than 22 hours a
day without meaningful human contact, shall never be imposed on
children, pregnant women, breastfeeding mothers or parents with
infants in prison. 60.6.b The decision on solitary confinement
shall take into account the current state of health of the
prisoner concerned. Solitary confinement shall not be imposed on
prisoners with mental or phisical disabilities when their
condition would be exacerbated by it. Where solitary confinement
has been imposed, its execution shall be terminated or suspended
if the prisoner's mental or physical condition has deteriorated.
60.6.c Solitay confinement shall not be imposed as a disciplinary
punishment, other than in exceptional cases and then for a
specified period, which shall be as short as possible and shall
never amount to torture or inhuman or degrading treatment or
punishment. 60.6.d The maximum period for which solitary
confinement may be imposed shall be set in national law. 60.6.e
Where a punishment of solitary confinement is imposed for a new
disciplinary offence on a prisoner who has alreadv spent the
maximum period in solitary confinement, such a punishment shall
not be implemented without first allowing the prisoner to recover
from the adverse effects of the previous period of solitary
confinement. 60.6.f Prisoners who are in solitary confinement
shall be visited daily, including by the director of the prison
or by a member of staff acting on behalf of the director of the
prison».
(2) «Non integra una violazione del principio del "ne bis in idem"
l'irrogazione, per un fatto corrispondente a quello oggetto di
sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per
qualificazione giuridica, natura e grado di severita' non puo'
essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data
dalla sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
nella causa "Grande Stevens contro Italia" del 4 marzo 2014.
(Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di non
luogo a procedere avente ad oggetto il reato previsto dall'art.
341-bis del codice penale, commesso da un detenuto, emessa sul
presupposto che per lo stesso fatto fosse stata inflitta la
sanzione disciplinare della esclusione dall'attivita' in comune;
in motivazione la Corte ha ritenuto che ln sanzione disciplinare
indicata non potesse essere equiparata alle corrispondenti
sanzioni penali previste per il delitto di oltraggio)» (Cass.
Pen. Sez. 6, n. 31873 del 9 maggio 2017, P.g. in proc. ..., Rv.
270852 - 01): «Non integra una violazione del principio del "ne
bis in idem" l'irrogazione, per il medesimo fatto oggetto di
sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per
qualificazione giuridica, natura e grado di severita' non puo'
essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data
dalla sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
nella causa "Grande Stevens contro Italia" del 4 marzo 2014.
(Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza
di assoluzione dal delitto di cui all'art. 337 del codice penale,
emessa, nei confronti di un detenuto, sul presupposto che per il
medesimo fatto gli fosse stata inflitta la sanzione disciplinare
prevista dall'art. 391, 26 luglio 1975, n. 354)» (Cass, Pen.,
Sez. 6. n. 1645 del 12 novembre 2019, dep. 2020, Pg, Rv. 278099 -
01).
(3) «In tema di procedimenti disciplinari dell'amministrazione
penitenziaria, opera il principio del divieto di "bis in idem"
per cui, una volta concluso il procedimento a carico di un
detenuto, e' preclusa la possibilita' di una sua riapertura per
l'applicazione di sanzioni per lo stesso fatto in ragione della
natura sanzionatoria del procedimento e della mancanza di una
esplicita previsione normativa che la consenta» (Cass. Pen., Sez.
1, n. 15865 del 3 marzo 2021. E., Rv. 281190 - 01); «In tema di
sanzioni disciplinari ai detenuti, e' manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale - sollevata per
contrasto con gli arti, 3, 113 e 117 Cost. in relazione all'art.
6 CEDU - degli articoli 35-bis e 69, comma 6, lettera a), della
legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui riservano al
magistrato di sorveglianza, investilo di un reclamo contro una
sanzione disciplinare diversa dall'isolamento e dall'esclusione
dalle attivita' in comune, un sindacato limitato ai profili di
legittimita' della sanzione stessa e del relativo procedimento e
gli inibiscono ogni valutazione di merito, non costituendo tale
scelta legislativa per gli illeciti meno gravi fonte di
irrazionale disparita' di trattamento, concernendo la garanzia
costituzionale di cui all'art. 113, comma 2, Cost. il solo
controllo giurisdizionale di legittimita' degli atti, anche
sanzionatori, adottati dalle pubbliche amministrazioni, che le
citate disposizioni dell'ordinamento penitenziario non rinnegano,
e potendosi considerare penali sotto il profilo contenutistico,
ai fini dell'applicazione delle garanzie di cui all'art. 6 CEDU,
le sole sanzioni disciplinari carcerarie piu' severe,
interferenti con beni personali primari del detenuto, tra i quali
non rientra la mera esclusione temporanea dalle attivita'
ricreative e sportive» (Cass. Pen., Sez. 1, n. 21348 del 31 marzo
2021, Rv. 281227 - 01).
(4) «103. Dans la presente affarre, la Cour releve en premier lieu
que les infractions en question concernaient un groupe ayant un
statut specifique, a' savoir les detenus, et non l'ensemble des
citovens. Toutefois, la Cour ne souscrit pas a' l'argument du
Gonvernement selon lequel ce fait donne aux infractions un
caractere de prime abord disciplinaire. Ce n'est qu'une
"indication" parmi d'autres pour apprecier la nature de
l'infraction (arret Campbell et Fell precite', p. 36, §71). [...]
105. Troisiemement, le Gouvernement fait valoir que les regles et
sanctions disciplinaires en prison sont conçues essentiellement
pour assurer le bon fonctionnement d'un systeme de liberation
anticipee, de sorte que l'element "repressif" de l'infraction est
secondaire par rapport au but premier de "prevention" des
troubles. La Cour estime que les condamnations a' des jours de
detention supplementaires out ete' en toute hypothese prononcees
a' la suite d'un verdict de culpabilite' (arret Benham precite',
p. 756, § 56) afin de punir les requerants pour les infractions
qu'ils avaient commises et pour les empecher, eux et les autres
detenus, d'eu commettre d'autres. La Cour n'est pas convaincue
par l'argument du Gouvernement consistant a' distinguer eutre les
objectifs de repression et de dissuasion des infractions en
question, ces objectifs ne s'excluant pas mutuellement (arret
Öztürk precite', pp. 20-21, § 53) et etant tenus pour
caracteristiques des sanctions penales (paragraphe 102
ci-dessus). 106. En consequence, la Cour considere que ces
elements, même s'ils ne suffisent pas en soi pour l'amener a'
conclure que les infractions reprochees aut requerants doivent
être tenues pour "penales" aux fins de la Convention, leur
impriment manifestement un aspect qui ne coincide pas exactement
avec celui d'un probleme de pure discipline. 107. La Cour esimie
donc, comme la chambre, qu'il s'impose de passer au troisieme
critere: la nature et le degre' de severite' des sanctions que
risquaient de subir les requerants (arrets Engel et autres, pp.
34-35, § 82, et Campbell et Fell, pp. 37-38, § 72, precites.»
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 Cost., 23 ss., legge n. 87/1953;
ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata:
solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale
della norma di cui all'art. 649 del codice di procedura penale, nella
parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un
imputato per il delitto previsto dall'art. 635, comma 2, n. 1 del
codice penale, che, in relazione al medesimo fatto, sia gia' stato
sottoposto a procedimento disciplinare, definitivamente conclusosi,
per l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13,
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale gli
sia stata applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n.
354/1975, per violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione,
in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nonche' degli
articoli 24 e 111 della Costituzione;
e in subordine:
solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 635, comma 2, numero 1), del codice penale nella parte in
cui non consente al giudice, in sede di dosimetria della pena, di
applicare una pena inferiore al minimo edittale nel caso in cui
l'imputato sia gia' stato sanzionato, per il medesimo fatto, per
l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13 decreto
del Pesidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale gli sia stata
applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in
comune di cui all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975, per
violazione degli articoli 3, 13 e 27, comma 1 e 3, della
Costituzione;
sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini di
prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale;
dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale
della presente ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso;
manda alla Cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza all'imputato, al difensore, al pubblico ministero, al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione
ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte
costituzionale.
Firenze, 23 luglio 2025
Il Giudice: Attina'