Reg. ord. n. 185 del 2025 pubbl. su G.U. del 08/10/2025 n. 41

Ordinanza del Tribunale di Firenze  del 23/07/2025

Tra: A. M.

Oggetto:

Processo penale – Divieto di un secondo giudizio – Mancata previsione che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per il reato di danneggiamento previsto dall’art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento disciplinare, definitivamente conclusosi, per l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, numero 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per il quale gli sia stata applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune di cui all'art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975 – Violazione del principio del ne bis in idem.

- Codice di procedura penale, art. 649.

- Costituzione, artt. 24, 111 e 117, primo comma; Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), art. 4.

In subordine: Reati e pene – Danneggiamento – Preclusione per il giudice, in sede di dosimetria penale, di applicare una pena inferiore al minimo edittale nel caso in cui l’imputato sia stato già sanzionato, per il medesimo fatto, per l’illecito disciplinare di cui all’art. 77, comma 1, numero 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per il quale sia stata applicata la sanzione disciplinare dell’esclusione dall’attività in comune di cui all’art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975 – Violazione del principio di proporzionalità della pena.

- Codice penale, art. 635, secondo comma, numero 1.

- Costituzione, artt. 3, 13 e 27, commi primo e terzo. 

Norme impugnate:

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 649

codice penale  del  Num.  Art. 635  Co. 2



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 13   Co.  

Costituzione  Art. 24   Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.

Costituzione  Art. 27   Co.

Costituzione  Art. 111   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Protocollo n. 7 a Convenzione europea diritti dell'uomo  Art.  Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 185 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 luglio 2025

Ordinanza  del  23  luglio  2025  del  Tribunale   di   Firenze   nel
procedimento penale a carico di A. M. . 
 
Processo penale - Divieto di un secondo giudizio - Mancata previsione
  che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non  luogo
  a procedere nei confronti di un  imputato  per  il  reato  previsto
  dall'art. 635, secondo comma, n. 1, cod. pen., che, in relazione al
  medesimo  fatto,  sia  gia'   stato   sottoposto   a   procedimento
  disciplinare,   definitivamente    conclusosi,    per    l'illecito
  disciplinare di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, del d.P.R. n.  230
  del 2000,  per  il  quale  gli  sia  stata  applicata  la  sanzione
  disciplinare dell'esclusione  dalle  attivita'  in  comune  di  cui
  all'art. 39, comma 1, numero 5, della legge n. 354 del 1975. 
- Codice di procedura penale, art. 649. 
In subordine: Reati e pene -  Danneggiamento  -  Preclusione  per  il
  giudice, in sede  di  dosimetria  penale,  di  applicare  una  pena
  inferiore al minimo edittale nel caso in cui l'imputato  sia  stato
  gia' sanzionato, per il medesimo fatto, per l'illecito disciplinare
  di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, del d.P.R. n. 230 del 2000, per
  il   quale   sia   stata   applicata   la   sanzione   disciplinare
  dell'esclusione dall'attivita' in comune di cui all'art. 39,  comma
  1, numero 5, della legge n. 354 del 1975. 
- Codice penale, art. 635, secondo comma, numero 1. 


(GU n. 41 del 08-10-2025)

 
                         TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima sezione penale 
 
    Il Giudice, dott. Franco Attina', nel procedimento sopra indicato
a carico di M. A., nato in ... il ... (C.U.I. ...); 
    elettiv. domiciliato presso l'avv. Andrea Palazzeschi del Foro di
Firenze; 
    difeso di  fiducia  dall'avv.  Andrea  Palazzeschi  del  Foro  di
Firenze; 
    imputato: 
        1) del delitto di cui all'art. 424 del codice penale perche',
presso la camera n. ... sezione Casa Circondariale «...»  di  ...  in
cui  e'  detenuto,  appiccava  fuoco  a  propri  indumenti  personali
causando emissione di fumi con pericolo di conseguente incendio; 
        in ... il ...; 
        2) del delitto di cui all'art. 635, I e II  comma,  n.  1 del
codice penale perche' danneggiava, lanciandogli contro una padella in
cui  era  gia'  rilevabile  alcool  distillato,  lo   schermo   della
televisione Led Nordmende in uso alla camera n. ... sezione di cui al
Capo  1)  rendendola  inservibile,  e   successivamente   danneggiava
sradicandolo il  tavolo  nella  camera  di  pernottamento,  dove  era
trasferito temporaneamente in conseguenza dei fatti di  cui  al  Capo
1), riducendo in pezzi e lanciava tali pezzi contro il cancello della
porta blindata all'indirizzo degli agenti danneggiando cosi' anche la
plafoniera a muro; 
        in ... il ...; 
        3) del delitto di cui all'art. 337 del codice penale  perche'
in evidente stato di ebbrezza, per opporsi al Vice Isp. ..., al  Vice
Isp. ..., al Vice Isp. ..., all'Isp C. ...  e  agli  altri  operatori
presenti, mentre compivano un atto del  proprio  ufficio  consistente
nel tentativo di calmarlo, usava minaccia riferendo  che,  una  volta
rientrato nella camera detentiva, avrebbe dato fuoco e avrebbe  rotto
le suppellettili presenti nella camera di pertinenza dell'... sezione
di cui al capo 1), mantenendo durante la descritta condotta una  mano
nella tasca della tuta dalla quale estraeva, su invito degli operanti
che avevano compreso che lo stesso potesse avere la disponibilita' di
un oggetto atto ad offendere, una penna priva  di  carica  nella  cui
punta era incastrata una vite 
        ..., ...; 
Capo 3) cosi' modificato all'udienza del 13 gennaio 2025 
    Premesso che: 
        con decreto del pubblico ministero del 20 aprile 2023  M.  A.
veniva citato a giudizio per rispondere dei reati  di  danneggiamento
di  alcuni  indumenti   seguito   da   pericolo   di   incendio,   di
danneggiamento di alcuni arredi  presenti  all'interno  della  camera
dell'istituto penitenziario in cui era detenuto  e  di  resistenza  a
pubblico ufficiale, tutti in ipotesi  commessi  in  ...  (all'interno
della Casa circondariale «...») il ...; 
        all'udienza predibattimentale del 17 giugno 2024 il  giudice,
dopo aver disposto procedersi in assenza dell'imputato,  invitava  il
pubblico ministero a riformulare l'imputazione di cui al  Capo  3)  e
rinviava il processo; 
        all'udienza  del  13  gennaio  2025,  il  pubblico  ministero
provvedeva,  mediante  deposito  di  atto   scritto,   a   modificare
l'imputazione; era disposta quindi la notifica del verbale  d'udienza
e dell'atto depositato all'imputato (non comparso); 
        il 20 giugno 2025 era depositata  istanza  di  ammissione  al
rito abbreviato da parte del difensore, munito di procura speciale; 
        all'udienza del 7 luglio 2025, l'imputato era ammesso al rito
richiesto  e  le  parti  illustravano  le  proprie  conclusioni.   In
particolare, il pubblico  ministero  chiedeva  l'assoluzione  per  il
reato di cui al Capo 1) dell'imputazione e la condanna per i reati di
cui ai Capi 2) e 3) alla pena finale di mesi sei  di  reclusione.  La
Difesa chiedeva: l'assoluzione per i reati di cui ai  Capi  1)  e  3)
dell'imputazione (e per l'ultimo, in subordine,  la  riqualificazione
ai sensi dell'art. 336, comma 3 del codice penale); per il  reato  di
cui al  Capo  2)  il  riconoscimento  delle  attenuanti  generiche  e
dell'attenuante ex art. 62, n. 4 del codice penale; 
        all'udienza  odierna,  cui  il  processo  era  rinviato   per
eventuali repliche, le parti vi rinunciavano; 
    rilevato che: 
        A) in base alle annotazioni della Polizia  penitenziaria,  in
data  ...  l'imputato  -  all'interno   della   camera   della   Casa
circondariale di ... in cui era detenuto a titolo  definitivo  dal  5
aprile  2019  (con  fine  pena  20  maggio  2025  come  risulta   dal
certificato del DAP in atti) - avrebbe appiccato il fuoco  ad  alcuni
propri effetti personali, determinando cosi' una diffusione  di  fumo
nella cella; prima ancora dell'intervento della Polizia penitenziaria
lo stesso M. avrebbe, spontaneamente e autonomamente,  posto  termine
alla citata combustione. 
        Gli operanti della Polizia penitenziaria intervenuti (che non
avevano assistito direttamente alla fase iniziale) rilevavano che sia
M. sia il relativo compagno di cella (tale ...) evidenziavano alitosi
alcoolica (nel bagno sarebbe poi  stata  rinvenuta  una  pentola  con
all'interno  della   frutta   macerata);   il   televisore   presente
all'interno della cella presentava lo schermo danneggiato. 
        Quanto agli sviluppi successivi, le varie annotazioni di P.G.
degli operanti intervenuti non  sono  del  tutto  collimanti:  emerge
comunque che M. era in forte stato di agitazione; lo stesso -  mentre
era nel corridoio nei pressi della cella - affermava che avrebbe dato
fuoco e rotto ai suppellettili della stanza e diceva agli  agenti  di
non avvicinarsi (non e' dato intendere la contestualita'  o  meno  di
tali frasi); poiche' il predetto teneva  una  mano  in  tasca  e  non
ottemperava all'intimazione  di  consegnare  quanto  custodito  nella
stessa, gli operanti lo bloccavano e ammanettavano; all'interno della
citata tasca sarebbe poi stata rinvenuta una penna, priva di carica e
al cui interno era incastrata una vite. 
        Piu' tardi, nella stessa giornata, all'interno  della  cella,
il prevenuto sradicava il tavolo a  muro  presente  nella  stessa  e,
lanciando i relativi pezzi, danneggiava  la  plafoniera  a  muro.  Si
procurava inoltre dei graffi sul corpo utilizzando dei frammenti  del
citato tavolo; 
        B)  in  base  al  certificato  medico  in  atti,  il   medico
dell'istituto penitenziario visitava il prevenuto e constatava, oltre
all'alitosi alcolica, vari tagli superficiali di varia lunghezza  sul
braccio e sul pettorale, procedendo  alla  relativa  medicazione;  il
detenuto rifiutava di raccontare la propria versione dei fatti; 
        C) lo stesso ... M. era collocato in isolamento  disciplinare
precauzionale, ove rimaneva fino al 1° ottobre 2021; 
        D) in sede di Consiglio di disciplina,  il  ...  il  predetto
chiedeva scusa per il danneggiamento del  televisore  e  del  tavolo,
adducendo che era brillo e stressato per motivi familiari (lo  stesso
... aveva presentato un'istanza di trasferimento  negli  stabilimenti
di ... o di ... per motivi di lavoro, deducendo che aveva bisogno  di
mantenere la propria famiglia); 
        E) lo stesso  ...  il  Consiglio  di  disciplina  della  Casa
circondariale di ... infliggeva  al  predetto  -  in  relazione  agli
illeciti disciplinari di cui all'art. 77, comma 1, n. 13, 14, 15 e 21
-  la  sanzione  dell'esclusione  dalle  attivita'  in   comune   per
giorni otto (gia' dal medesimo scontata  in  via  precauzionale).  Il
provvedimento non risulta essere stato impugnato; 
        F) in data 1° febbraio 2023 il difensore di M.  domandava  al
pubblico ministero l'acquisizione delle immagini di videosorveglianza
della Casa circondariale ritraenti gli  eventi  del  ...  nonche'  di
procedere all'interrogatorio dello stesso M.; 
        G) in data 31  marzo  2023,  M.  in  sede  di  interrogatorio
davanti  al  pubblico  ministero  (sempre   all'intero   della   Casa
circondariale  di  ...,  ove  era  ancora  detenuto:  sarebbe   stato
scarcerato soltanto il 2 dicembre 2023 per l'affidamento in prova  al
servizio  sociale)  rappresentava  che:  all'epoca  dei  fatti  tutti
all'interno della Casa circondariale erano stressati  a  causa  delle
restrizioni legate alla pandemia da  Covid:  egli  aveva  bevuto  due
bicchieri di grappa,  preparata  dal  suo  compagno  di  cella;  egli
danneggiava accidentalmente il televisore  allorche'  gli  cadeva  la
padella con cui stava cucinando: nel pulire i residui di cibo  caduti
a  terra,  dava  accidentalmente  fuoco  all'asciugamano  che   stava
utilizzando per pulire: allorche' sopraggiungevano gli operanti della
Polizia  penitenziaria,  temendo  di   essere   picchiato   egli   si
autolesionava il  braccio  utilizzando  un  chiodo  (che  normalmente
utilizzava per aprire le confezioni di cibo  in  scatola);  allorche'
usciva  dalla  cella,  era  bloccato  e  buttato  a  terra  da  molti
poliziotti, che lo colpivano alla schiena, al collo e al sedere;  era
poi portato in isolamento, dove - per la rabbia - rompeva  il  tavolo
della cella; al medico che lo visitava raccontava  solo  che  si  era
autolesionato e non anche  che  era  stato  picchiato  dagli  agenti,
«tanto non sarebbe servito a niente». Anche in sede di  contestazione
disciplinare, egli non riferiva  nulla  circa  l'aggressione  subita,
perche' sapeva «che sarebbe stata una causa persa in partenza»; 
        H) il pubblico ministero in data 5 aprile 2023  domandava  al
direttore della Casa  circondariale  di  ...  la  trasmissione  delle
immagini di videosorveglianza ritraenti gli eventi del ... In data 18
aprile 2023 la Polizia penitenziaria  rispondeva  che  le  telecamere
presenti nelle sezioni detentive non erano funzionanti; l'impianto di
videosorveglianza era invece attivo negli atri, nei locali passeggi e
in alcuni varchi di accesso ai reparti, ma le immagini -  in  ragione
del tempo trascorso - non erano comunque piu' presenti nella  memoria
del sistema; 
        I) alla luce di quanto precede, il  reato  di  danneggiamento
seguito da pericolo di incendio contestato al Capo 1)  non  sussiste,
anche  a  prescindere  dalla  volontarieta'  o  accidentalita'  della
condotta di danneggiamento. 
        Detto reato, infatti, «richiede, come  elemento  costitutivo,
il sorgere di un pericolo di incendio,  sicche'  non  e'  ravvisabile
qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non
possa sorgere detto pericolo» (cosi' Cassazione, Sez. 2, sentenza  n.
47415 del 17 ottobre 2014, Rv.  260832  -  01,  richiamata  anche  da
Cassazione, Sez. 2, sentenza n. 4183 del 2022). Nel caso  di  specie,
per l'appunto,  in  ragione  delle  modalita'  e  dell'oggetto  della
condotta e del relativo contesto spaziale, non vi era pericolo alcuno
che potesse sorgere  un  incendio:  gli  oggetti  cui  il  fuoco  era
appiccato o che comunque prendevano fuoco erano di  dimensioni  molto
modeste;  nell'ambiente  circostante  non  vi  erano   verosimilmente
oggetti o materiali cui il fuoco  potesse  propagarsi  facilmente  (i
materiali  maggiormente  presenti  nelle  camere  detentive  sono  il
cemento e il metallo; in ogni caso, in atti non vi e' una descrizione
degli elementi cui il fuoco avrebbe potuto propagarsi); il  fuoco  e'
stato spento agevolmente e velocemente dallo  stesso  imputato  senza
l'uso di particolari strumenti e prima ancora  dell'intervento  degli
agenti della Polizia penitenziaria; non  vi  e'  stato  dunque  alcun
concreto pericolo di diffusione di fiamme.  I  beni  danneggiati  dal
fuoco erano dello stesso imputato, per cui il fatto non puo'  neppure
essere riqualificato come  danneggiamento  ex  art.  635  del  codice
penale; 
        L) parimenti non pare sussistere il contestato reato ex  art.
337 del codice  penale,  e  cio'  a  prescindere  dall'adesione  alla
ricostruzione dei fatti  operata  dalla  Polizia  penitenziaria  o  a
quella prospettata dall'imputato in sede d'interrogatorio. 
        Al  riguardo,  occorre  preliminarmente  rilevare  che,   non
essendo  state  reperite  le  immagini  di   videosorveglianza   (pur
richieste dal pubblico ministero), questo giudice non  dispone  degli
elementi necessari per riscontrare la  versione  resa  dall'imputato.
Sarebbe al riguardo necessaria un'indagine completa e a  tutto  tondo
(individuazione di tutti i detenuti presenti nel  reparto,  audizione
degli stessi, audizione del medico che visito'  il  prevenuto,  ecc.)
che eccede le concrete possibilita' di questo giudice. 
        Ad ogni modo, quand'anche si ritenesse veritiera la  versione
in atti degli operanti della Polizia penitenziaria, il suddetto reato
non sussisterebbe comunque, per un duplice ordine di motivi.  Occorre
al riguardo considerare che  il  prevenuto  era  in  forte  stato  di
agitazione e di alterazione da consumo di bevande alcoliche. 
        Il proferire che avrebbe  dato  fuoco  alle  suppellettili  o
comunque rotto le stesse di per se' e' idoneo a integrare la minaccia
richiesta dalla norma incriminatrice, ma a condizione  che  la  frase
sia diretta agli operanti, circostanza dubbia alla luce  dello  stato
di  alterazione  del  predetto  (gia'  prima  dell'intervento   degli
operanti), dello  scarso  livello  di  dettaglio  al  riguardo  delle
annotazioni di P.G. e del fatto che -  in  ipotesi  d'accusa  -  egli
aveva gia' appiccato il fuoco ad  alcuni  oggetti  e  danneggiato  il
televisore  (prima  ancora  dell'intervento   degli   operanti):   in
definitiva, e' possibile che egli  semplicemente  esteriorizzasse  la
propria volonta' di continuare a fare cio' che stava gia' facendo. 
        Il dato del tenere un oggetto atto ad offendere in tasca e di
tenere la mano nella stessa tasca, nel citato contesto,  puo'  essere
interpretato da chi vi  assista  come  un  pericolo  per  la  propria
incolumita' (cio' che avrebbe giustificato l'intervento fisico  degli
operanti); da un punto di vista soggettivo, e' tuttavia  opinabile  e
quindi dubbio quale fosse l'intento del prevenuto, potendo la  citata
condotta prestarsi a plurime interpretazioni (potrebbe  avere  tenuto
la mano in tasca  per  il  timore  che  venisse  scoperto  l'oggetto;
potrebbe essere stato semplicemente il comportamento non coerente  di
un ubriaco). 
        Sotto altro profilo, ad ogni modo, pare  insussistente  altro
requisito del reato  in  contestazione,  M.  avrebbe  minacciato  gli
agenti della Polizia penitenziaria mentre gli stessi erano intenti  a
calmarlo (il medesimo era in stato di agitazione e di ebbrezza). 
        Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale - come rilevato
anche  dalla  Corte  costituzionale  (sentenza  n.  30  del   2021) -
presuppone l'opposizione ad uno specifico atto dell'ufficio in  corso
di esecuzione. 
        Nel caso di specie, da un lato il  tentativo  di  calmare  un
detenuto  rientra  genericamente   nelle   mansioni   della   Polizia
penitenziaria, ma non costituisce uno  specifico  atto  dell'ufficio,
l'opposizione  al  quale  offenda   un   interesse   della   pubblica
amministrazione tale da  giustificare  l'integrazione  del  reato  in
questione. 
        Dall'altro, le frasi pronunciate dal prevenuto (affermava che
avrebbe  dato  fuoco  e  rotto  i  beni  presenti  in   stanza)   non
costituivano un'opposizione al tentativo degli operanti di  calmarlo;
semplicemente il  prevenuto  era  gia'  agitato  e  il  tentativo  di
calmarlo non aveva successo; le frasi erano cioe'  espressione  dello
stato di agitazione in cui  egli  gia'  versava,  a  prescindere  dal
tentativo degli operanti di calmarlo; 
        M) sussiste viceversa pacificamente il reato di cui  al  Capo
2), quanto meno in  relazione  al  danneggiamento  del  tavolo  della
camera (ammesso dallo stesso imputato in sede d'interrogatorio  e  in
particolare dal medesimo ascritto al  proprio  stato  di  rabbia  per
quanto prima accaduto) e al danneggiamento della plafoniera (rispetto
a quest'ultima l'imputato non ha riferito alcunche', ma  il  relativo
danneggiamento e' avvenuto nel medesimo contesto, in  particolare  in
un momento in cui il predetto era da solo in cella); 
        N)  per  poter  addivenire  ad  una  corretta  decisione  con
riguardo a detto reato di cui al Capo 2), appare pero' necessario  il
pronunciamento della Corte costituzionale: risulta,  infatti,  dubbia
la legittimita' costituzionale, per violazione del principio  del  ne
bis in idem, dell'art. 649 del  codice  di  procedura  penale,  nella
parte in  cui  non  prevede  che  il  giudice  pronunci  sentenza  di
proscioglimento o di non  luogo  a  procedere  nei  confronti  di  un
imputato per il delitto previsto dall'art. 635, comma  2,  n.  1  del
codice penale, che, in relazione al medesimo fatto,  sia  gia'  stato
sottoposto a procedimento disciplinare,  definitivamente  conclusosi,
per l'illecito disciplinare di cui  all'art.  77,  comma  1,  n.  13,
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale  gli
sia stata applicata la sanzione  disciplinare  dell'esclusione  dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39,  comma  1,  n.  5,  legge  n.
354/1975; nonche', in via subordinata, dell'art. 635, comma 2,  n.  1
del codice penale, per violazione del principio  di  proporzionalita'
delle  sanzioni,  nella  parte  in  cui  non  consente,  in  sede  di
dosimetria della pena, di applicare  una  pena  inferiore  al  minimo
edittale - pari a mesi sei di reclusione - nel caso in cui l'imputato
sia gia' stato sanzionato, per il medesimo  fatto,  con  la  sanzione
disciplinare  dell'esclusione  dalle  attivita'  in  comune  di   cui
all'art. 39, comma 1, n. 5, legge n. 354/1975; 
 
                               Osserva 
 
1. La rilevanza delle questioni. 
    1.1. Alla luce  di  quanto  sopra  esposto,  l'imputato  andrebbe
condannato  unicamente   per   il   reato   di   cui   al   Capo   2)
dell'imputazione,  vale  a  dire  per  il  danneggiamento   di   beni
dell'amministrazione penitenziaria presenti  all'interno  della  Casa
circondariale e destinati a pubblico servizio. 
    Per  i  medesimi  fatti,  l'imputato  e'  stato  sanzionato   dal
Consiglio  di  disciplina  con  la  sanzione  dell'esclusione   dalle
attivita' in comune  per  otto  giorni,  con  provvedimento  del  ...
(notificato al detenuto il ...), per violazione dell'art.  77,  comma
1, nn. 13, 14, 15 e 21, del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 230/2000, provvedimento che non risulta essere stato  impugnato  e
quindi  deve  ritenersi  definitivo  (la  sanzione  e'  anche   stata
concretamente eseguita). 
    1.3. Alla luce di quanto sopraesposto e sulla  base  degli  atti,
questo Giudice si trova a giudicare l'odierno imputato per i medesimi
fatti per i quali e' gia' stato oggetto di sanzioni  disciplinari  da
ritenersi punitive, dovendo irrogare al medesimo  ulteriori  sanzioni
penali. Non e' applicabile, infatti, la disciplina  di  cui  all'art.
649  del  codice  di  procedura  penale,  la   quale   si   riferisce
esclusivamente all'ipotesi di doppio procedimento formalmente penale,
non impedendo che ad un procedimento punitivo extra-penale  ne  segua
un  secondo  formalmente  penale.  La  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 149 del 2022 e' intervenuta al riguardo limitatamente  ad
un'unica  ipotesi  di  «doppio  binario»  (in  materia   di   diritti
d'autore). 
    Ne', per altro  verso,  la  disciplina  sostanziale  consente  di
tenere  in  debito  conto,  in  sede  di   dosimetria   della   pena,
l'intervento della precedente sanzione disciplinare punitiva, al fine
di scongiurare la violazione del principio di proporzionalita'  delle
sanzioni punitive. 
    Occorre, pertanto, investire la Corte costituzionale del giudizio
incidentale sulla legittimita' costituzionale - in  via  principale -
dell'art. 649 del codice di procedura penale e - in via subordinata -
dell'art. 635 del codice penale. 
2. La non manifesta infondatezza. 
    2.1.  Si  dubita,   in   via   principale,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 649 del codice di  procedura  penale,  nella
parte in  cui  non  prevede  che  il  giudice  pronunci  sentenza  di
proscioglimento o di non  luogo  a  procedere  nei  confronti  di  un
imputato per il reato di cui all'art. 635, comma 2, n.  1  del codice
penale al quale, con riguardo  al  medesimo  fatto,  sia  gia'  stata
irrogata  in  via  definitiva -  nell'ambito   di   un   procedimento
disciplinare  penitenziario  per  l'illecito  disciplinare   di   cui
all'art. 77, comma 1, n. 13, decreto del Presidente della  Repubblica
n. 230/2000 -  la   sanzione   disciplinare   dell'esclusione   dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39,  comma  1,  n.  5,  legge  n.
354/1975. 
    In particolare, la  possibilita' -  non  preclusa  dall'art.  649
del codice di procedura penale - di sottoporre a procedimento  penale
e di  punire  per  il  danneggiamento  di  cose  dell'amministrazione
penitenziaria l'imputato gia' sanzionato ex articoli 77, comma 1,  n.
13), decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 e 39,  legge
n. 354/1975 non pare conforme al divieto del ne  bis  in  idem,  come
enunciato  dall'art.  4  del  Protocollo  addizionale   n.   7   alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), rilevante ai  sensi
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, principio  peraltro  gia'
evincibile a livello nazionale dagli articoli 24 e 111,  Cost.  (come
sottolineato dalla stessa  Corte  costituzionale  nella  gia'  citata
sentenza n. 149 del 2022). 
    2.2. L'illecito disciplinare in esame e' previsto  dall'art.  77,
comma 1, n. 13), regolamento sull'ordinamento penitenziario di cui al
decreto del Presidente della Repubblica  n.  230/2000,  a  mente  del
quale «l. Le sanzioni disciplinari sono inflitte ai detenuti  e  agli
internati che si siano resi responsabili di: [...]13)  appropriazione
o  danneggiamento  di   beni   dell'amministrazione».   Le   sanzioni
applicabili sono quelle in via generale  previste  dall'art  39  ord.
pen. in virtu' del quale  «Le  infrazione  disciplinari  possono  dar
luogo solo alle seguenti sanzioni:  1)  richiamo  del  direttore;  2)
ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti  al
personale e di un gruppo di detenuti o internati;  3)  esclusione  da
attivita' ricreative e sportive per non  piu'  di  dieci  giorni;  4)
isolamento durante la permanenza all'aria  aperta  per  non  piu'  di
dieci giorni; 5) esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di
quindici giorni». 
    2.3. Sul  piano  generale,  deve  osservarsi  come  la  struttura
dell'illecito  disciplinare  penitenziario  ricalchi  la   morfologia
dell'illecito penale: anche  in  relazione  al  primo  e'  punito  il
tentativo (art. 77, comma 2, decreto del Presidente della  Repubblica
n. 230/2000); ha rilievo aggravante la  recidiva  (che  consente,  ex
art.  77,  comma  3,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
230/2000, l'irrogazione  delle  sanzioni  piu'  gravi  anche  per  le
infrazioni che normalmente dovrebbero essere punite con sanzioni piu'
miti); in caso di prognosi positiva di non  recidivanza  la  sanzione
puo' essere sospesa  e,  ove  la  prognosi  venga  poi  smentita  dal
comportamento illecito successivo del sanzionato, la sospensione puo'
essere revocata (art. 80, decreto del Presidente della Repubblica  n.
230/2000);  infine,  e'  possibile  applicare  in  via  cautelare  le
sanzioni previste, con eventuale sconto  del  c.d.  «presofferto»  in
caso di sanzione definitiva (art.  78,  comma  1  e  4,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 230/2000). 
    2.4. A tale analoga struttura fa eco un'unitaria  funzione  delle
sanzioni disciplinari in scrutinio e delle sanzioni penali. 
    Gia' in base a quanto posto in rilievo, ma pure  avendo  riguardo
ai principi che governano la disciplina sanzionatoria, lo scopo della
sanzione disciplinare - al pari di quello della pena - e'  complesso,
perche' la stessa e' chiamata  a  svolgere  finzioni  di  prevenzione
generale, speciale e retributive. 
    Oltre agli istituti della sospensione condizionale della sanzione
e della recidiva gia' menzionati, rileva quanto sancito dall'art.  38
ord. pen. in forza del quale «I detenuti e gli internati non  possono
essere puniti per un fatto che non sia  espressamente  previsto  come
infrazione dal regolamento. Nessuna sanzione puo' essere inflitta  se
non con provvedimento motivato dopo  la  contestazione  dell'addebito
all'interessato, il quale e' ammesso ad esporre le proprie  discolpe.
Nell'applicazione delle sanzioni bisogna tener conto, oltre che della
natura  e  della  gravita'  del  fatto,  del  comportamento  e  delle
condizioni personali del soggetto.  Le  sanzioni  sono  eseguite  nel
rispetto della personalita'». 
    L'illecito disciplinare  in  esame  e  il  reato  condividono  il
principio strutturale di tipicita'  e  i  criteri  di  commisurazione
della sanzione. 
    2.4.1. In primo luogo, infatti, il principio di  legalita'  e  di
tipicita' assolve, tra le altre, la funzione di garantire  al  membro
della collettivita' (generale o ristretta che sia) la  prevedibilita'
delle   conseguenze   sanzionatorie   questa   e'   un    presupposto
irrinunciabile della facolta' dello Stato di punire il  comportamento
dei consociati, poiche' ove e' incomprensibile o non  prevedibile  il
confine tra lecito  ed  illecito  il  singolo  non  e'  in  grado  di
autodeterminarsi al cospetto dei valori  dell'ordinamento.  Pertanto,
sebbene la tipicita' dell'illecito non  sia  un  carattere  esclusivo
degli  illeciti  punitivi,   rappresenta   per   questi   un   tratto
indispensabile e caratterizzante. 
    2.4.2. In secondo luogo,  il  criterio  di  commisurazione  della
sanzione disciplinare incentrato, oltre che sulla natura  e  gravita'
del fatto, sul comportamento e sulle condizioni personali dell'autore
dell'illecito,   testimonia   ulteriormente   la   finalita'    anche
special-preventiva - oltre che retributiva e di prevenzione  generale
- della sanzione. 
    2.5. Tanto premesso, l'illecito disciplinare in esame  (art.  77,
comma 1, n. 13), decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000)
e' punibile con ognuna delle sanzioni disciplinari previste dall'art.
39 ord. pen. e, dunque,  mediante  «1)  richiamo  del  direttore;  2)
ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di appartenenti  al
personale e di un gruppo di detenuti o internati;  3)  esclusione  da
attivita' ricreative e sportive per non  piu'  di  dieci  giorni;  4)
isolamento durante la permanenza all'aria  aperta  per  non  piu'  di
dieci giorni; 5) esclusione dalle attivita' in comune per non piu' di
quindici giorni». 
    E' applicabile, pertanto, anche la piu'  grave  tra  le  sanzioni
disciplinari contemplate  dall'ordinamento,  ossia  l'isolamento  per
motivi disciplinari di cui al n. 5 del citato art. 39. 
    Cio', come gia' evidenziato,  e'  quanto  avvenuto  nel  caso  di
specie. 
    Occorre allora vagliare la portata punitiva di siffatta  sanzione
e, dunque, la eventuale natura sostanzialmente penale della stessa. 
    2.6. La  nota  giurisprudenza  convenzionale  sui  criteri  Engel
(elaborati a seguito della sentenza della Corte EDU, Engel  c.  Paesi
Bassi, del 1976) ha affermato che il riscontro di anche uno solo  dei
tre criteri e' sufficiente a qualificare una sanzione come penale  ai
fini  della  Convenzione  europea.  Tali  criteri   sono   costituiti
essenzialmente 1) dalla qualificazione ai sensi del diritto  interno,
2) dalla natura dell'infrazione, 3) dalla severita' della sanzione. 
    A  fronte  di  questi  tre   macro-criteri,   la   giurisprudenza
convenzionale (e nazionale che degli  orientamenti  europei  ha  dato
specifica  applicazione)  ha  enucleato  una  pluralita'  di   indici
sintomatici dai quali poter dedurre la natura sostanzialmente  penale
della  sanzione  formalmente  extra-penale.  Tra  di  essi  v'e'   da
considerare:  a)  il  carattere   generale   degli   interessi   lesi
dall'illecito; b) la funzione punitiva dell'illecito e della relativa
sanzione; c) l'efficacia afflittiva della  sanzione  (anche  se  solo
comminata in astratto, come ha precisato nella pronuncia  Corte  EDU,
Sez. IV, 20 maggio 2014, Nykanen c. Finlandia), la quale puo'  trarsi
dalla capacita' della stessa di incidere sia - com'e'  ovvio  - sulla
liberta' personale (anche  in  via  solo  potenziale),  sia  in  modo
apprezzabile su altri  diritti  fondamentali  della  persona;  d)  la
qualificazione   formale   assegnata    dall'ordinamento    nazionale
(ancorche' rappresenti ormai un criterio recessivo); nonche', piu' di
recente, e) il collegamento della sanzione rispetto  ad  un  illecito
penale  (anche   se   oggetto   di   depenalizzazione,   secondo   la
giurisprudenza domestica); f) lo scopo dissuasivo o  affittivo  della
sanzione (dunque, la sua funzione general o  special-preventiva);  g)
la sede di irrogazione della  sanzione  (dunque,  in  sintesi  se  si
tratti di sede giurisdizionale o meno, come emerge dalla sentenza A e
B c. Norvegia del 2016). 
    2.7. Alla luce di tali indici occorre accertare  se  la  sanzione
disciplinare  dell'esclusione  dalle  attivita'  in  comune  sino   a
quindici giorni (cioe' l'isolamento disciplinare)  per  l'ipotesi  di
danneggiamento dei beni dell'amministrazione penitenziaria  (articoli
77, comma 1, n. 13),  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
230/2000 e 39 ord.  pen.)  presenti  o  meno  natura  sostanzialmente
penale. 
    2.8. A tal fine, appare opportuno svolgere preliminarmente alcune
considerazioni  sistematiche   in   ordine   alla   citata   sanzione
dell'esclusione dalle attivita' in comune. 
    2.8.1. Poiche' il trattamento penitenziario,  secondo  l'art.  1,
comma 2, legge n. 354/1975, in applicazione dell'art.  27,  comma  3,
Cost. «tende, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno,  al
reinserimento  sociale  ed  e'  attuato  secondo   un   criterio   di
individualizzazione in  rapporto  alle  specifiche  condizioni  degli
interessati», vi sono numerose disposizioni normative che regolano lo
svolgimento di attivita' in comune tra i detenuti, essendo questo  un
aspetto  centrale  del  trattamento  penitenziario  alla  luce  della
funzione risocializzante cui deve tendere la pena. 
    Cosi' l'art. 6, comma 2, legge n.  354/1975  stabilisce  che  «le
aree residenziali devono essere dotate di spazi  comuni  al  fine  di
consentire ai detenuti e  agli  internati  una  gestione  cooperativa
della vita quotidiana nella sfera  domestica».  Il  successivo  terzo
comma prevede che «I locali destinati al pernottamento consistono  in
camere dotate di uno o piu' posti». L'art. 10, comma 4,  prevede  che
«La permanenza all'aria aperta e' effettuata in gruppi a meno che non
ricorrano i casi indicati nell'art. 33 e nei numeri 4) e 5) dell'art.
39  [...]».  Ai  sensi  dell'art.   12,   comma 1   «Negli   istituti
penitenziari, secondo le esigenze del  trattamento,  sono  approntate
attrezzature  per  lo  svolgimento  di   attivita'   lavorative,   di
istruzione scolastica e professionale,  ricreative,  culturali  e  di
ogni altra attivita' in comune». L'art. 14, comma 3,  stabilisce  che
«L'assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli  istituti
e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto  sono  disposti
con particolare riguardo alla possibilita' di procedere a trattamento
rieducativo comune [...]». Nello stesso solco si  collocano  poi  gli
articoli 15, comma 1, 17, comma 1  e  18,  comma  1  della  legge  n.
354/1975. 
    2.8.2. Nel suddetto quadro s'innesta l'art. 33 (Isolamento) della
legge n. 354/1975, prevedendo che  «1.  Negli  istituti  penitenziari
l'isolamento continuo e' ammesso: a) quando e' prescritto per ragioni
sanitarie; b) durante l'esecuzione della  sanzione  della  esclusione
dalle attivita' in comune; c) per gli indagati e imputati se vi  sono
ragioni  di  cautela  processuale;  il  provvedimento  dell'autorita'
giudiziario competente indica la durata e le ragioni dell'isolamento.
2.   Il   regolamento   specifica   le   modalita'   di    esecuzione
dell'isolamento. 3. Durante la sottoposizione all'isolamento non sono
ammesse limitazioni alle normali condizioni di vita, ad eccezione  di
quelle  funzionali  alle  ragioni  che  lo  hanno   determinato.   4.
L'isolamento non  preclude  l'esercizio  del  diritto  di  effettuare
colloqui visivi con i  soggetti  autorizzati».  L'art.  39  (Sanzioni
disciplinari), come gia' evidenziato,  prevede  quale  sanzione  piu'
grave quella della esclusione dalle attivita' in comune.  L'art.  40,
infine, stabilisce che - ad eccezione delle sanzioni del  richiamo  e
dell'ammonizione (di competenza del direttore) - «Le  altre  sanzioni
sono deliberale dal consiglio di disciplina [...]». 
    A livello di formazione secondaria, l'art.  73  (Isolamento)  del
regolamento di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
230/2000 al secondo comma  prevede:  «L'isolamento  continuo  durante
l'esecuzione della  sanzione  della  esclusione  dalle  attivita'  in
comune  e'  eseguito  in  una  camera  ordinaria,  a  meno   che   il
comportamento del detenuto o  dell'internato  sia  tale  da  arrecare
disturbo o da costituire pregiudizio per l'ordine  e  la  disciplina.
Anche  in  tal  caso,  l'isolamento  si  esegue  in  locali  con   le
caratteristiche di cui all'art. 6 della legge». Il  successivo  terzo
comma prevede che «Ai  detenuti  e  gli  internati,  nel  periodo  di
esclusione dalle attivita' in comune, di cui al comma 2, e'  precluso
di comunicare con i compagni». 
    2.8.3. Dunque, in  termini  generali  le  norme  sul  trattamento
penitenziario prevedono come regola l'ammissione  dei  detenuti  alla
vita  in  comune.  Come  ha  rilevato   la   Corte   di   cassazione,
«l'isolamento del detenuto dal  resto  della  popolazione  carceraria
deve  intendersi   potenzialmente   non   ricompresa   nell'ordinario
trattamento penitenziario, dovendo intendersi che la regola  generale
sia quella dell'ammissione del condannato alla vita  in  comune  onde
consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e  il  suo
recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27, Cost.,  comma  3»
(Cass. Pen., Sez. 1, sentenza n. 9300 del 2014). 
    Rispetto a tale regime  generale  la  legge  ha  previsto  alcune
eccezioni, tra cui - per quanto qui rileva  -  l'isolamento  continuo
(diurno e notturno) connesso alla sanzione  disciplinare  (deliberata
dal Consiglio  di  disciplina)  dell'esclusione  dalle  attivita'  in
comune ai sensi degli articoli 33, comma 1, lettera b) e 39, comma 1,
n. 5, legge n. 354/1975. 
    In ragione delle possibili conseguenze negative  sulla  salute  e
sul  benessere  dell'individuo,  la  legge  prevede  poi  particolari
cautele da adottare e in particolare  verifiche  sanitarie  circa  la
sopportabilita' della misura, sia preventivamente  sia  in  corso  di
applicazione. 
    2.9.  Cosi'  succintamente  richiamato  il  quadro  normativo  di
riferimento, occorre misurare la portata della sanzione  disciplinare
dell'isolamento  continuo  (diurno  e  notturno)  alla  stregua   dei
parametri   Engel   al   fine   di   saggiarne   l'eventuale   natura
sostanzialmente penale. 
    2.9.1.  In  primo  luogo,  giova  evidenziare  sul  piano   della
qualificazione  formale  della  misura  che  l'ordinamento  nazionale
qualifica in maniera espressa la stessa come «sanzione», termine  che
gia' a livello lessicale costituisce quanto meno un indizio circa  la
natura della misura. 
    Si tratta, per di piu',  di  una  sanzione  che  gia'  sul  piano
formale conosce un'omologa sanzione di natura  schiettamente  penale:
l'isolamento diurno di cui all'art. 72 del codice penale. 
    Tale disposizione prevede che  «Al  colpevole  di  piu'  delitti,
ciascuno dei quali importa la  pena  dell'ergastolo,  si  applica  la
detta pena con l'isolamento diurno da sei mesi a  tre  anni»,  mentre
«nel  caso  di  concorso  di  un  delitto   che   importa   la   pena
dell'ergastolo, con uno o piu' delitti che importano  pene  detentive
temporanee per un tempo  complessivo  superiore  a  cinque  anni,  si
applica la  pena  dell'ergastolo,  con  l'isolamento  diurno  per  un
periodo di tempo da due a diciotto mesi». 
    Il codice penale non annovera espressamente l'isolamento  tra  le
pene principali (o accessorie), regolandolo quale modalita' aggravata
di espiazione della pena dell'ergastolo. Non si  tratta  tuttavia  di
una modalita' di  esecuzione  della  pena  che  attenga  al  percorso
trattamentale   dell'ergastolano,   di   precisa   competenza   della
Magistratura di sorveglianza, bensi' di una sanzione  aggiuntiva  che
l'ordinamento prevede per chi, autore di un  delitto  punito  con  la
pena dell'ergastolo, abbia commesso altri delitti: in altri  termini,
«l'isolamento diurno opera unicamente come  sanzione  per  i  delitti
commessi in concorso con quello punito con l'ergastolo», «delitti per
i quali la pena per ciascuno stabilita (ergastolo  o  pena  detentiva
temporanea) non sarebbe applicabile, in quanto il delitto  col  quale
essi concorrono gia' importa la pena dell'ergastolo» (cosi' la  Corte
costituzionale nella lontana sentenza n. 115 del 1964). La  Corte  di
cassazione nella gia'  citata  sentenza  n.  9300  del  2014  ha  poi
affermato che «L'isolamento diurno previsto dall'art. 72  del  codice
penale ha  natura  giuridica  di  sanzione  penale,  di  inasprimento
dell'ergastolo, con la conseguenza che,  in  relazione  ad  esso,  il
Magistrato di sorveglianza non puo' disporre modalita' esecutive tali
da renderlo privo di contenuto effettivo». 
    Si tratta quindi di una  sanzione  aggiuntiva  comminata  per  le
ipotesi in assoluto piu' gravi previste dall'ordinamento penale. 
    Sebbene la sanzione dell'isolamento diurno (che si  assomma  alla
pena dell'ergastolo,  la  quale  importava  normalmente  l'isolamento
notturno  nella  visione  del  legislatore  del   codice)   non   sia
formalmente annoverata tra le pene principali e sia  invece  regolata
in materia di concorso di reati, si deve  ritenere  che  l'isolamento
diurno costituisca dunque una sanzione  che  gia'  per  l'ordinamento
domestico ha natura penale. 
    La ragione e' di facile comprensione. Benche', infatti,  la  pena
in parola non incida sul quantum temporale  della  limitazione  della
liberta' personale, si tratta di una misura che incide  drasticamente
sulla qualita' e sulla profondita' di detta limitazione e che  quindi
si presta ad esplicare  un'efficacia  deterrente  anche  rispetto  ai
soggetti cui sarebbe comunque applicata la pena dell'ergastolo. 
    2.9.2. Se tale considerazione in punto di afflittivita' vale  con
riferimento alla misura aggravatrice della  pena  dell'ergastolo,  si
deve ritenere che la stessa sanzione abbia  natura  (sostanzialmente)
penale  anche  quando  sia  applicata  al   detenuto   che   commetta
un'infrazione  disciplinare,  specie  ove  tale  infrazione  coincida
integralmente con il reato. 
    Tali considerazioni si legano, ad  ogni  modo,  all'afflittivita'
della sanzione in questione. Quest'ultima puo' essere vagliata  avuto
riguardo all'incidenza sulla  liberta'  personale  o  comunque  sulla
liberta' di comunicazione: la citata sanzione  disciplinare  realizza
una pesante compressione della  liberta'  di  comunicazione;  non  si
tratta di una limitazione normalmente  conseguente  alla  restrizione
della  liberta'  personale  implicita  nell'esecuzione   della   pena
detentiva, ne' di una limitazione conseguente alle normali regole  di
una vita in  comunita';  al  contrario,  la  limitazione/soppressione
della liberta' di comunicazione con gli altri detenuti costituisce lo
scopo precipuo e il contenuto principale della sanzione  disciplinare
in questione;  il  divieto  di  comunicazione  e'  poi  espressamente
previsto  dall'art.  73,  comma  3,  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 230/2000. 
    Ma puo' essere vagliata altresi' guardando alla gravosita'  della
misura tenuto conto delle possibili  ripercussioni  su  altri  valori
della persona, in primis il relativo benessere psicofisico. Di  tanto
si mostra edotto lo stesso legislatore disciplinare, che, consapevole
della gravosita' della misura, ha previsto  che  «la  sanzione  della
esclusione dalle attivita' in comune non puo' essere  eseguita  senza
la certificazione scritta, rilasciata dal sanitario,  attestante  che
il soggetto puo' sopportarla. Il soggetto escluso dalle attivita'  in
comune e' sottoposto a costante controllo sanitario» (art. 39,  comma
II, ord. pen.). Si tratta di cautele  che,  con  ogni  evidenza,  non
hanno l'effetto di rendere meno  gravosa  la  sanzione,  ma  solo  di
renderla, per quanto possibile, «sicura» in termini di  ripercussioni
sullo stato di salute del sanzionato; cio', tuttavia,  non  fa  altro
che evidenziare con maggior nettezza l'attitudine  della  sanzione  a
porre in sofferenza le prerogative fondamentali della persona. 
    2.9.3.  La  gravosita'  dell'isolamento  ha  condotto,  peraltro,
all'adozione di specifiche carte sovranazionali, volte a limitare  la
possibilita' per  l'autorita'  statale  di  irrogare  sanzioni  tanto
gravose  su  soggetti  che,  in  quanto  detenuti,   risultano   gia'
fortemente limitati nell'esercizio e  nel  godimento  delle  liberta'
fondamentali, nonche' volte a costellare tali sanzioni da presidi  di
garanzia.  In  questo  senso,  un  primario  ruolo  e'  svolto  dalle
Raccomandazioni R (2006)2 sulle Regole  penitenziarie  europee  (atto
adottato dal Comitato dei ministri  1'11  gennaio  2006,  rivisto  ed
emendato dal Comitato dei ministri del 1°  luglio  2020),  che,  dopo
aver  sancito  limitazioni  oggettive  e   soggettive   alla   misura
dell'isolamento penitenziario,  evidenziano  al  punto  60.6.  e  che
«Qualora venga imposta  la  sanzione  dell'isolamento  per  un  nuovo
illecito disciplinare a un detenuto che ha gia' trascorso il  periodo
massimo  di  isolamento  [stabilito  dalla  legge  nazionale],   tale
sanzione non deve essere eseguita senza prima consentire al  detenuto
di riprendersi dagli  effetti  negativi  del  precedente  periodo  di
isolamento» (1) Benche' non sia certa la natura  di  autentica  fonte
del diritto  di  tali  riferimenti  internazionali,  tale  da  essere
rilevante anche  ai  fini  di  cui  all'art.  117,  comma  I,  Cost.,
potendosi   ritenere   siffatto    compendio    di    raccomandazioni
riconducibile al  piano  della  c.d.  soft  law,  esse  rappresentano
comunque un condensato dell'elaborazione sovranazionale  in  tema  di
diritti fondamentali dei detenuti che, a ragione, e' stato  impiegato
anche dalla stessa Corte costituzionale al fine di dettagliare e dare
sostanza alle prerogative inalienabili dei soggetti detenuti (cfr. in
particolare la sentenza n. 143 del 2013, ma anche, piu'  di  recente,
la sentenza n. 18 del 2022 e la sentenza n. 10 del 2024). 
    Nella stessa direzione possono  essere,  inoltre,  menzionate  le
Norme minime stabilite dalle Nazioni Unite in materia di  trattamento
delle persone detenute  (cc.dd.  «Mandela  Rules»),  le  quali,  alla
Regola 44, sanciscono che «Nell'ambito  delle  presenti  regole,  con
"isolamento" si intende la misura che prevede di isolare  la  persona
detenuta per 22 ore (o piu') al  giorno,  senza  alcun  contatto  con
altre persone. L'isolamento prolungato indica il confinamento per  un
periodo superiore ai quindici giorni consecutivi» e, alla Regola  45,
stabiliscono che «l'isolamento deve  essere  utilizzato  soltanto  in
casi eccezionali, come ultima istanza, per il minimo indispensabile e
a seguito di  una  revisione  indipendente,  nonche'  solo  in  forza
dell'autorizzazione di un ente competente. Non puo' essere  comminato
sulla base della condanna di una persona detenuta». 
    Da quanto sin qui esposto emerge  con  chiarezza  come  l'effetto
diretto della misura sia gravemente afflittivo,  nonche'  (come  gia'
evidenziato e come si dira' meglio  nel  prosieguo)  come  la  stessa
abbia in sede di comminatoria una  funzione  generalpreventiva  e  in
sede applicativa ed esecutiva una funzione repressivo-punitiva  della
condotta dell'autore dell'infrazione. 
    2.9.4. Si deve poi evidenziare la  portata  stigmatizzante  della
sanzione in questione, gia' evidente per il fatto che  sia  applicata
dalle autorita'  carcerarie  nei  confronti  di  un  detenuto  e  che
comporti  l'isolamento  dello  stesso  dalla  restante  parte   della
comunita' carceraria. 
    Tale profilo di stigmatizzazione emerge poi anche avendo riguardo
agli effetti indiretti e secondari della sanzione  disciplinare.  Gli
ulteriori  pregiudizi,  benche'  non   costituiscano   una   sanzione
dell'infrazione a monte, finiscono per  accompagnarsi  alla  sanzione
disciplinare, facendo cosi' emergere un profilo  di  stigmatizzazione
del detenuto che incorre in un'infrazione  disciplinare  e  che,  per
questo, viene sanzionato. Si fa  riferimento,  tra  gli  altri,  agli
istituti del permesso premio e della liberazione anticipata, i  quali
legandosi strettamente ad una  valutazione  positiva  della  condotta
carceraria (regolare condotta carceraria e assenza  di  pericolosita'
sociale del detenuto per il permesso premio, ex art. 30-ter ord. pen;
prova  della  partecipazione  all'opera  di   rieducazione   per   la
liberazione anticipata, ex art. 54, ord. pen.) finiscono  per  essere
fortemente influenzati dall'irrogazione  della  piu'  grave  sanzione
disciplinare (l'isolamento). Cio' peraltro acuisce l'idoneita', anche
solo potenziale, della misura in parola ad attingere  il  bene  della
liberta' personale o comunque le prerogative fondamentali residue del
detenuto. 
    2.10. Il quadro sinora delineato consente, dunque, di ritenere la
misura formalmente extra-penale dell'isolamento disciplinare una pena
in senso sostanziale. 
    2.10.1. La giurisprudenza di legittimita',  tuttavia,  sul  punto
non risulta univoca, registrandosi in seno alla  stessa  due  opposti
orientamenti. Con due  sentenze  la  Sesta  sezione  della  Corte  di
cassazione (Cass., VI, n. 31873/2017 e Cass., VI,  n.  1645/2020)  ha
affermato   che   l'isolamento   disciplinare,   per   qualificazione
giuridica, natura e grado di severita', non  puo'  essere  equiparato
alla sanzione penale (2) . Viceversa, con due  pronunce  della  Prima
sezione, la Suprema Corte (Cass.  I,  n.  15865/2021;  Cass.,  I,  n.
21348/2021) ha riconosciuto la natura sanzionatoria del  procedimento
disciplinare  e  ha   riconosciuto,   avuto   riguardo   al   profilo
contenutistico, la natura sostanzialmente penale delle sole  sanzioni
disciplinari carcerarie piu' gravi,  ossia  quelle  interferenti  con
beni personali primari del  detenuto   (3)  (in  tal  senso  gia'  in
precedenza si era espressa Cass., Sez. II, n. 9184  del  15  dicembre
2016, Rv. 269237 - 01). 
    Per le ragioni gia' esposte non  puo'  che  aderirsi  al  secondo
degli orientamenti ora succintamente riportati. 
    In questo stesso senso  pare  orientata  anche  la  piu'  recente
giurisprudenza  costituzionale,  secondo  la   quale   «le   sanzioni
disciplinari  attengano  in  senso  lato  al  diritto   sanzionatorio
punitivo, e proprio per tale ragione  attraggano  su  di  se'  alcune
delle garanzie che la Costituzione  e  le  carie  internazionali  dei
diritti riservano alla pena» (cfr. Corte costituzionale, sentenza  n.
197 del 2018, par. 11 cons. in dir.,  espressasi  con  riguardo  alla
responsabilita' disciplinare dei magistrati ordinari). 
    A siffatta  estensione  delle  guarentigie  proprie  del  diritto
penale non pare  dover  fare  eccezione  il  sistema  delle  sanzioni
disciplinari applicabili ai detenuti  e  agli  internati.  Come  gia'
precisato,  infatti,  e'  sufficiente  a   qualificare   una   misura
formalmente extra-penale come pena sostanziale il riscontro anche  di
uno solo dei tre macro criteri  Engel  gia'  indicati.  Nel  caso  di
specie, invero, l'isolamento disciplinare tende a mostrarsi come  una
sanzione  sostanzialmente  penale   in   virtu'   di   piu'   criteri
utilizzabili. 
    2.10.2. In primo luogo, infatti, il diritto  nazionale  qualifica
espressamente la misura come «sanzione» e ne delinea un contenuto del
tutto equivalente alla  sanzione  penale  aggiuntiva  dell'isolamento
diurno (il quale accede alla pena dell'ergastolo). 
    2.10.3. La natura dell'infrazione ha spessore criminoso in virtu'
di plurimi indici:  l'interesse  leso  e'  chiaramente  di  carattere
generale, trattandosi di danneggiamento di beni pubblici e  destinati
a pubblico servizio, nonche' di  beni  strumentali  alla  vita  della
comunita' carceraria; cio' e' testimoniato anche dal dato per cui  il
medesimo   fatto   di   danneggiamento   delle   cose    appartenenti
all'amministrazione penitenziaria e' punito a titolo di  reato  (art.
635, comma II, n. 1. del codice penale) ed e', peraltro,  procedibile
d'ufficio. 
    2.10.4. Giova poi evidenziare che la natura della sanzione  e  il
suo  scopo  sono  chiaramente   punitivi.   Sulla   distinzione   tra
afflittivita' e punizione si sono, invero, di recente espresse in via
generale (sebbene con riferimento ad altro  tema)  le  Sezioni  Unite
(Cass. Pen., Sez. Un., 8 febbraio 2025 (ud. 26  settembre  2024),  n.
13783), le quali hanno evidenziato come  sussista  tra  afflizione  e
punizione un  rapporto  di  genere  a  specie,  nel  senso  che  ogni
punizione e' afflittiva, ma  non  ogni  misura  afflittiva  e'  anche
punitiva.  Il  proprium  della  punizione  risiede,  infatti,   nella
finalita'   della   sanzione   in   senso   stretto,   che   consiste
nell'assolvere, ad un tempo, ad una funzione di prevenzione  generale
e di  prevenzione  speciale;  la  sanzione  propriamente  intesa  e',
dunque, quella che punisce, infliggendo un male,  per  dissuadere  il
corpo sociale (o il gruppo ristretto cui la  norma  e'  rivolta),  in
generale, e il sanzionato, in particolare,  dal  commettere  illeciti
del medesimo tipo. 
    Tale  pare  essere  per  l'appunto  la  funzione  della  sanzione
disciplinare dell'isolamento. 
    A nulla varrebbe, peraltro, evocare una  finalita'  regolativa  e
ordinatoria della vita carceraria. Dopotutto, lo scopo  primario  del
diritto penale e' quello di assicurare al monopolista della forza  il
controllo sociale in forma coercitiva; in cio' non  e'  dissimile  il
provvedimento col quale s'irroghi  una  grave  sanzione  disciplinare
volta a dissuadere il sanzionato (e gli altri detenuti) dal  compiere
nuovamente atti che pongano in pericolo la serenita' della  comunita'
carceraria.  Sicche',  la  non   negabile   funzione   regolativa   e
ordinatoria riconducibile alle sanzioni disciplinari dell'ordinamento
penitenziario non consente affatto di escludere la funzione  punitiva
della sanzione stessa. 
    Ne' pare persuasivo l'argomento collegato che, per  escludere  la
natura sostanzialmente penale della sanzione  disciplinare,  fa  leva
sul fatto che  le  sanzioni  disciplinari  sono  valide  ed  efficaci
soltanto all'interno di una ristretta cerchia di  consociati:  da  un
lato, tale dato  e'  comune  altresi'  ad  illeciti  che  sono  anche
formalmente penali  (si  pensi  al  settore  dell'ordinamento  penale
militare); dall'altro, le sanzioni disciplinari applicate ai detenuti
presentano un'innegabile specificita', consistente nel fatto  che  il
detenuto non puo' sottrarsi alle regole e alle sanzioni  disciplinari
semplicemente  allontanandosi  volontariamente  da   quella   cerchia
ristretta. 
    D'altronde, nel caso Ezeh et Connors c. Royaume-Uni (relativo per
l'appunto a sanzioni disciplinari applicate a due detenuti) la Grande
Camera della Corte di Strasburgo, richiamando il  proprio  precedente
nel caso Campbell  et  Fell,  ha  espressamente  confutato  i  citati
argomenti avanzati dal Governo del Regno Unito (4) e poi concluso per
la  natura  sostanzialmente  penale  delle  sanzioni   applicate   ai
ricorrenti, pur previste dal regolamento penitenziario e  qualificate
formalmente come sanzioni disciplinari. 
    2.10.4. In terzo luogo, affinche' il delineato scopo punitivo sia
idoneo ad essere raggiunto dalla sanzione, e' necessario saggiare  la
gravosita'  della  stessa,   ossia   l'idoneita'   a   generare   nel
destinatario una significativa sofferenza e afflizione. E'  evidente,
infatti, come a fronte di  una  sanzione  particolarmente  mite,  gli
obiettivi  di  prevenzione  generale  e  speciale  sfumerebbero.   La
severita' della sanzione dell'isolamento si deduce con  facilita'  da
tutti gli elementi gia' posti in risalto; e in particolare, dal fatto
che il legislatore la considera una modalita' idonea ad aggravare  la
pena piu' grave che l'ordinamento conosca, dal fatto che varie  carte
internazionali  presidino   la   misura   di   molteplici   garanzie,
limitandone l'applicazione e vietandola con  riferimento  a  soggetti
vulnerabili, nonche' dal dato oggettivo per cui  la  stessa  sanzione
puo' produrre  gravi  pregiudizi  sul  detenuto;  quest'ultimo  -  va
ricordato - prima di essere  sottoposto  ad  isolamento  deve  essere
oggetto di visita medica  di  idoneita'  a  sopportare  la  misura  e
oggetto di costante controllo sanitario;  la  sanzione  in  questione
comporta una pesante limitazione della liberta' di  comunicazione.  A
cio'  solo  si  aggiungono  gli  ulteriori  effetti  indiretti  circa
l'accesso a permessi premio e liberazione anticipata gia' menzionati. 
    La gravosita' della  sanzione  e'  testimoniata,  inoltre,  dalla
procedura  garantita  prevista  per  la  sua  irrogazione:   non   e'
competente il direttore dell'istituto, ma il Consiglio di  disciplina
(art. 40 ord. pen.), contro la cui decisione e'  ammesso  reclamo  al
Magistrato di sorveglianza (art. 69, comma 6, lettera a), ord. pen.).
Quest'ultimo nella regolarita' dei casi  esercita  sul  provvedimento
disciplinare un sindacato di legittimita'; mentre, e'  tributario  di
un sindacato di merito della decisione del  Consiglio  di  disciplina
nell'ipotesi della sanzione  dell'isolamento  durante  la  permanenza
all'aria aperta e della sanzione dell'esclusione dalle  attivita'  in
comune. Si tratta, infatti, delle sanzioni disciplinari piu' gravi  e
che  maggiormente  hanno   l'attitudine   ad   attingere   i   valori
fondamentali della persona del detenuto. 
    D'altro  canto,  l'art.  59  delle  citate  regole  penitenziarie
europee stabilisce garanzie processuali per il detenuto  accusato  di
un'infrazione disciplinare pressoche' identiche a quelle  che  l'art.
6, par. 3, CEDU riconosce alla persona accusa di un reato. 
    2.10.5. Per tali ragioni,  quantomeno  la  sanzione  disciplinare
piu' grave deve  essere  qualificata  come  sanzione  sostanzialmente
penale. 
    A nulla valgono, peraltro. possibili parallelismi con le sanzioni
disciplinari conosciute nell'ambito del diritto del lavoro.  In  quel
contesto, oltre a venire  in  rilievo  un  rapporto  consensuale  tra
privati e non gia' un  rapporto  di  soggezione  tra  amministrazione
penitenziaria e una persona  privata  della  liberta'  personale,  la
sanzione disciplinare assolve ad una funzione del tutto peculiare. La
sanzione   disciplinare   del   lavoratore,    infatti,    presuppone
sostanzialmente un inadempimento (quantomeno parziale) di  una  delle
obbligazioni che gravano sul lavoratore (obbligazione  prestazionale,
obbligo di fedelta', etc.); a fronte di cio', ove l'inadempimento non
abbia  scarsa  rilevanza,  l'ordinamento  civile  riconoscerebbe   il
diritto del creditore (in questo caso, dunque, del datore di  lavoro)
di  risolvere  il  rapporto  contrattuale.  Al  fine  di  scongiurare
l'interruzione del rapporto di lavoro a fronte di inadempimenti  che,
seppur di non scarsa importanza, non siano tanto gravi  da  incrinare
irrimediabilmente il rapporto tra  lavoratore  e  datare  di  lavoro,
l'ordinamento ha apprestato strumenti  manutentivi  del  rapporto  di
lavoro. La sanzione disciplinare in questo peculiare ambito compendia
e bilancia, dunque, le contrapposte esigenze del lavoratore,  che  ha
interesse a mantenere il posto di lavoro, e del datore di lavoro, che
ha il diritto di non subire inerme l'inadempimento del lavoratore. 
    2.11. Dalla riconduzione dell'illecito disciplinare in  scrutinio
e della relativa sanzione dell'isolamento al  concetto  convenzionale
di «materia penale», emerge un serio dubbio  circa  il  rispetto  del
principio di rango costituzionale e convenzionale del divieto di  bis
in idem di cui agli articoli 24 e 111 della Costituzione e all'art. 4
del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU. 
    2.11.1.  Il  principio   e'   stato   oggetto   di   fondamentali
pronunciamenti della Corte di Strasburgo e della Corte costituzionale
in anni recenti. Con la sentenza ... del 2014, la  Corte  europea  ha
affermato che la natura  sostanzialmente  penale,  alla  stregua  dei
criteri Engel, di sanzioni formalmente extra-penali per l'ordinamento
nazionale comporta la violazione del ne bis in idem laddove il  fatto
storico per cui si e' proceduto sia  il  medesimo.  Con  la  sentenza
Nykanen c. Finlandia del 2014, la Corte ha, peraltro,  precisato  che
dal   divieto   in   parola   derivano   tre   distinte   prerogative
dell'individuo: i. il diritto di non essere esposti alla possibilita'
di essere processuali una seconda volta; ii. il diritto a non  essere
concretamente processati una seconda volta; iii. il  diritto  di  non
essere condannati due volte per il medesimo fatto. 
    Dalla giurisprudenza  convenzionale  si  delineava  una  garanzia
procedimentale autonoma ed inderogabile (salve le ipotesi  del  tutto
eccezionali stabilite dall'art. 4, par. 2, del Protocollo addizionale
n. 7 alla Cedu). Com'e' noto, la Corte di Strasburgo, con la sentenza
A. e B. c. Norvegia del 2016, ha teso a  relativizzare  il  principio
processuale del ne bis in idem, elidendo  il  carattere  inderogabile
del divieto  innestandovi  valutazioni  discrezionali  in  ordine  ai
rapporti tra i piu' procedimenti che  s'interessino  di  un  medesimo
fatto e dando rilievo a profili di diritto  sostanziale  legati  alla
proporzionalita' della sanzione. 
    La Corte costituzionale, con sentenza n. 43  del  2018  ha  avuto
modo di osservare che «Il ne bis in idem convenzionale cessa di agire
quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d'atto circa la
definitivita' del primo  procedimento,  ma  viene  subordinato  a  un
apprezzamento proprio della discrezionalita' giudiziaria in ordine al
nesso che lega i procedimenti,  perche'  in  presenza  di  una  "dose
connection" e' permesso proseguire nel nuovo giudizio ad  onta  della
definizione dell'altro. 
    Inoltre neppure si puo' continuare a sostenere che il divieto  di
bis in idem convenzionale ha  carattere  esclusivamente  processuale,
giacche' criterio eminente per affermare o negare il legame materiale
e'   proprio   quello    relativo    all'entita'    della    sanzione
complessivamente  irrogata.  Se  pertanto  la  prima  sanzione  fosse
modesta, sarebbe in linea di  massima  consentito,  in  presenza  del
legame  temporale,  procedere  nuovamente   al   fine   di   giungere
all'applicazione  di  una  sanzione  che  nella  sua  totalita'   non
risultasse  sproporzionata,  mentre  nel  caso  opposto   il   legame
materiale dovrebbe ritenersi spezzato e il divieto  di  bis  in  idem
pienamente operante. 
    Cosi', cio' che il divieto di bis in idem ha perso in termini  di
garanzia individuale, a causa  dell'attenuazione  del  suo  carattere
inderogabile,  viene  compensato  impedendo  risposte  punitive   nel
complesso sproporzionate». 
    Alla  luce  di  tali  pronunciamenti,  al  fine  di  vagliare  la
legittimita' di un doppio  procedimento  e'  necessario  accertare  i
seguenti profili: 
        l'esistenza di una connessione sufficientemente stretta fra i
procedimenti, per oggetto e per tempistiche, la quale deve consentire
anche adeguate modalita' di coordinamento fra le autorita' procedenti
al  fine   di   evitare   duplicazioni   istruttorie   a   detrimento
dell'attivita' difensiva del soggetto sottoposto ai procedimenti; 
        la prevedibilita' del doppio procedimento  (e  della  duplice
risposta sanzionatoria); 
        il perseguimento di  finalita'  diverse  e  complementari  da
parte dei due procedimenti, mirando  in  astratto  e  in  concreto  a
sanzionare profili diversi della condotta illecita; 
        il  rispetto,  considerando  la  sanzione  complessiva,   del
principio di proporzionalita'. 
        Se il c.d. close connection  test  ha  esito  positivo  e  la
proporzionalita' della pena e' salvaguardata, non  vi  e'  violazione
del ne bis in idem. Solo in questi  casi,  dunque,  la  scelta  dello
Stato  di  articolare  la  risposta  punitiva  anche   mediante   una
pluralita' di tipologie di sanzioni non e' censurabile. 
    2.11.2. Tanto premesso sul  punto,  deve  evidenziarsi  come  tra
l'illecito disciplinare previsto  dall'art.  77,  comma  1,  n.  13),
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 e il reato di cui
all'art. 635, comma II, n. 1, del codice  penale  vi  e'  sostanziale
sovrapposizione. 
    Il primo, infatti, punisce colui che realizza un  «danneggiamento
di beni dell'amministrazione», mentre il secondo punisce (per  quanto
in questa sede rileva) colui che «distrugge,  disperde,  deteriora  o
rende, in tutto o in parte, inservibili [id est, danneggia]  le  cose
indicate nel numero 7) dell'art. 625», cioe' le  cose  «esistenti  in
uffici o stabilimenti pubblici, [...] o destinate a pubblico servizio
o a pubblica utilita'». 
    La condotta e'  la  medesima,  l'oggetto  del  danneggiamento  e'
coincidente atteso che i «beni dell'amministrazione» cui si riferisce
il citato art. 77 non possono  che  essere  i  beni  che  si  trovano
all'interno dell'istituto penitenziario  (ossia,  un  ufficio  o  uno
stabilimento  pubblico)  ovvero   altri   beni   dell'amministrazione
penitenziaria che sono logicamente  destinati  al  servizio  pubblico
svolto dalla medesima (si pensi, ad esempio,  ai  veicoli  utilizzati
per la traduzione dei  detenuti).  Ne  deriva  che,  ogni  volta  che
l'illecito disciplinare sia integrato dal detenuto, risulta integrato
anche il delitto di cui all'art. 635, comma  II,  n.  1,  del  codice
penale. 
    Tra i  due  illeciti  e  tra  i  fatti  concretamente  addebitati
all'imputato nelle due diverse sedi (disciplinare  e  penale)  vi  e'
sostanziale coincidenza e, pertanto, i due illeciti hanno ad  oggetto
un medesimo fatto ai sensi della giurisprudenza  convenzionale  (cfr.
Corte EDU, Grande  Camera,  10  febbraio  2009,  Zolotoukhine  contro
Russia, spec. paragrafi 79-84). 
    Vi e', a ben riflettere, un rapporto di  specialita'  unilaterale
tra l'illecito disciplinare di danneggiamento e il reato codicistico.
L'ordinamento non contempla tuttavia  una  norma  -  sulla  falsariga
dell'art.  9,  legge  n.  689/1981  - che  regoli  il   rapporto   di
specialita' tra illecito disciplinare e illecito penale;  ne'  l'art.
9,  legge  n.   689/1981,   relativo   ai   rapporti   tra   illecito
amministrativo e illecito penale, e' applicabile al caso di specie. 
    2.11.3. In alcuni settori, nei quali non  opera  il  criterio  di
specialita' come canone risolutivo del concorso di norme punitive, il
legislatore  nazionale  ha  teso  altrimenti  ad  evitare  la  doppia
punizione. In questa sede, due esempi sono di particolare importanza.
In primo luogo, si fa riferimento a quanto prevede l'art.  33,  comma
II, ord. pen. in caso di evasione per mancato  rientro  dal  permesso
premio: in ossequio al principio  di  proporzione  ed  extrema  ratio
della   sanzione   penale,   tale   evasione   costituisce   illecito
disciplinare se il detenuto fa  rientro  nell'istituto  penitenziario
entro dodici ore, mentre integra il reato di  cui  all'art.  385  del
codice penale solo ove si superi detta soglia temporale.  In  secondo
luogo, si ha riguardo a quanto sancisce l'art. 4,  comma  1,  lettera
c), decreto legislativo n.  7  del  2016,  laddove,  nell'elevare  ad
illecito civile punitivo la condotta  di  danneggiamento  delle  cose
mobili o immobili altrui, prevede che la sanzione civile si  applichi
solo ove non sia applicabile la sanzione penale. 
    2.11.4. Nell'ipotesi del  concorso  tra  l'illecito  disciplinare
penitenziario di danneggiamento e il delitto di danneggiamento non vi
e' alcuna norma  di  raccordo  che  consenta  di  evitare  la  doppia
punizione;  pertanto,  come  anticipato,  il   duplice   procedimento
punitivo porta a violare il principio del ne bis in idem. 
    2.11.5. Tutte le sentenze della Corte  di  cassazione  che  hanno
affrontato la questione hanno del resto escluso l'applicabilita'  del
principio del ne bis in idem e confermato la validita' delle condanne
in sede penale  (nonostante  la  precedente  sanzione  disciplinare),
talora riconoscendo la natura sostanzialmente penale  della  sanzione
dell'esclusione dalle attivita' in comune ma  affermando  esservi  un
sufficiente collegamento tra i due procedimenti (cosi', Cass. pen.  ,
Sez. II, n. 9184 del 15 dicembre  2016,  Rv.  269237  -  01),  talora
negando la natura sostanzialmente penale della sanzione  disciplinare
(cosi', da ultimo, Cass., Sez. 2, sentenza n. 10399 del 2024). 
    In particolare, nella sentenza Sez. II, n. 9184 del  15  novembre
2016, Rv. 269237 - 01,  la  Corte  ha  affermato:  «Non  sussiste  la
preclusione all'esercizio dell'azione penale di cui all'art. 649  del
codice di procedura penale, quale  conseguenza  della  gia'  avvenuta
irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione  amministrativa  ma
formalmente "penale", ai sensi dell'art. 7 CEDU -  come  interpretato
dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella  causa
A e B c/Norvegia del 15 novembre 2016 - allorquando le due  procedure
risultino complementari, in  quanto  dirette  al  soddisfacimento  di
finalita' sociali  differenti,  e  determinino  l'inflizione  di  una
sanzione penale "integrata", che  sia  prevedibile  e,  in  concreto,
complessivamente  proporzionata   al   disvalore   del   fatto.   (In
applicazione del principio,  la  S.C.  ha  annullato  con  rinvio  la
sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per il  reato  di
danneggiamento aggravato commesso da  un  detenuto  su  una  finestra
della casa circondariale in  cui  era  ristretto,  sulla  base  della
considerazione  che  l'imputato  aveva  gia'   subito   la   sanzione
disciplinare della esclusione dalle attivita' in  comune  per  cinque
giorni)». 
    La conclusione non e' condivisibile, poiche' dei  citati  quattro
elementi da vagliare in applicazione del c.d. dose  connection  test,
nel   caso   di   specie   risulta   rispettata   esclusivamente   la
prevedibilita' del doppio procedimento e della doppia sanzione. 
    2.11.6. Non sussiste  alcun  coordinamento  tra  il  procedimento
disciplinare e il procedimento penale che sia idoneo a scongiurare  i
pregiudizi per l'individuo che il ne bis in idem vuole evitare. 
    La  possibilita'  riconosciuta,   dall'art.   79,   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 230/2000, al Consiglio  di  disciplina
di  sospendere  il  procedimento  disciplinare  in  pendenza  di   un
procedimento  penale   costituisce   un   potere   discrezionale   (e
sostanzialmente    insindacabile)    dell'autorita'    amministrativa
procedente, il quale non ha  peraltro  lo  scopo  di  scongiurare  la
doppia  punizione  (non  essendo  prevista  alcuna   causa   di   non
applicazione della sanzione  disciplinare  dipendente  dall'eventuale
condanna in sede penale), ma  verosimilmente  quello  di  evitare  il
possibile  contrasto  di  decisioni.  Si  tratta,  inoltre,  di   una
possibilita' astratta, essendo statisticamente infrequente. 
    D'altro canto, deve osservarsi come il procedimento  disciplinare
(regolato dall'art. 81, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
230/2000) si  caratterizza  per  la  sommarieta'  delle  forme  e  la
celerita', la quale garantisce ad un tempo una spiccata  effettivita'
della sanzione e una significativa efficacia deterrente. 
    Normalmente, infatti, il procedimento penale prende avvio  quando
il procedimento disciplinare si e' gia' concluso (nel caso in  esame,
ad esempio, il procedimento  disciplinare  si  esauriva  nell'ottobre
2021 e il pubblico ministero esercitava l'azione  penale  nell'aprile
2023). 
    Peraltro,  la  mancanza  di  coordinamento  tra  i   procedimenti
sanzionatori  e,  quindi,  il  notevole  lasso  temporale  che   puo'
intercorrere   tra   l'applicazione   della   sanzione   disciplinare
(normalmente molto vicina al fatto) e la concreta applicazione  della
pena conseguente alla  condanna  penale  possono  condurre  ad  esiti
altamente disfunzionali.  Il  detenuto  sanzionato  disciplinarmente,
infatti, ben  potrebbe  gia'  essere  uscito  dal  carcere  allorche'
sopraggiunga la  condanna  penale  irrevocabile;  pertanto,  potrebbe
essere costretto  a  fare  nuovo  ingresso  nell'istituto  carcerario
rendendo vani gli sforzi inerenti  al  delicato  reinserimento  nella
societa' del soggetto. Si tratta  di  un  risultato  che  non  appare
giustificato ove tale soggetto, per il medesimo fatto, sia gia' stato
sufficientemente sanzionato. 
    2.11.7. Per le ragioni gia' esposte, poi, non puo' ritenersi  che
i due  procedimenti  sanzionatori  e  le  due  sanzioni  attendano  a
funzioni diverse, come pare sostenere la Corte  di  cassazione  nella
citata  sentenza  n.  9184  del  15  dicembre   2016.   La   sanzione
disciplinare penitenziaria, infatti,  nel  presentare  una  finalita'
regolativa e ordinatoria della vita  della  comunita'  dei  detenuti,
assolve ineluttabilmente  ad  una  funzione  punitiva  (repressiva  e
dissuasiva),  che  e'  propria  anche  della  sanzione  penale  (come
riconosciuto anche dalla Corte EDU nella  gia'  citata  sentenza  nel
caso Ezeh et Connors c. Royaume-Uni). 
    2.11.8. Infine, il combinarsi delle  due  sanzioni  (l'isolamento
per un massimo di giorni quindici e la pena da mesi sei ad  anni  tre
di reclusione) non  garantisce  la  proporzionalita'  della  risposta
sanzionatoria.  La  mancanza  di   coordinamento   procedimentale   e
l'assenza di idonee soglie di offensivita' che  selezionino  i  fatti
piu' gravi, meritevoli di  rilevanza  penale,  rispetto  al  generale
illecito   disciplinare   finiscono   per   generare   un   compendio
sanzionatorio eccessivo ed ingiustificato. 
    Sono gia' stati ampiamente posti in  rilievo,  infatti,  tutti  i
profili di afflittivita' e gravosita' della sanzione dell'isolamento.
In tale sede e' sufficiente soggiungere  come  tale  incidenza  della
sanzione sui valori primari della  persona  risulti  aggravata  dalla
particolare effettivita' della misura  dell'isolamento  disciplinare,
celere e di applicazione immediata (elementi questi da valutare nella
misurazione dell'afflittivita' della sanzione, come ha evidenziato la
stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 223 del 2018). 
    In conclusione, si deve ritenere che l'isolamento continuo per la
durata massima di giorni quindici e la sanzione penale (che non  puo'
scendere al di sotto di sei mesi  di  reclusione)  costituiscano  una
risposta sanzionatoria manifestamente eccessiva rispetto a  fatti  di
modesto   rilievo   offensivo,    trattandosi    frequentemente    di
danneggiamenti di oggetto di modico valore. Si deve peraltro rilevare
che ne' l'illecito disciplinare  ne'  il  delitto  di  danneggiamento
contemplano - al fine di selezionare i  fatti  che  potrebbero  darvi
luogo  -  soglie  quantitative  in  relazione  al  valore  dei   beni
danneggiati. 
    2.12. Pertanto, il doppio  procedimento  e  la  duplice  sanzione
punitiva sembrano violare il principio  del  ne  bis  in  idem:  pare
necessario pertanto l'intervento della Corte costituzionale, volto  a
consentire di applicare  la  disciplina  dettata  dall'art.  649  del
codice di procedura  penale  anche  all'ipotesi  in  cui  si  proceda
penalmente  per  un  fatto  che  e'  gia'  stato  punito  in   ambito
penitenziario mediante la sanzione disciplinare dell'isolamento. 
    2.13. Nell'ipotesi in cui la Corte non dovesse  ritenere  fondata
la prospettata questione di legittimita' dell'art. 649 del codice  di
procedura penale, in via subordinata si  deve  sollevare  l'ulteriore
questione   concernente   la   proporzionalita'    del    trattamento
sanzionatorio complessivamente irrogabile (e dunque il rispetto degli
articoli 3, 13 e 27, comma 1 e comma 3, Cost., da cui  e'  ricavabile
di  principio  di  proporzionalita'  della  pena)  all'autore  di  un
danneggiamento  - anche  di  modesta  rilevanza   -   derivante   dal
combinarsi  della  piu'  grave  sanzione  disciplinare  e  della  non
minimale sanzione penale prevista dall'art. 635 del codice penale. 
    2.13.1.  L'illecito  disciplinare  e'  punito  con  la   sanzione
(dotata -   come   gia'   detto -   di   particolare   afflittivita')
dell'isolamento per la durata massima di giorni quindici. Il reato di
danneggiamento di cui al  secondo  comma  dell'art.  635  del  codice
penale e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. 
    Al fine di comparare le  due  sanzioni  di  specie  diversa  puo'
essere utile fare riferimento a quanto prevede l'art. 72  del  codice
penale,  senza  elevarlo  a  stretto  parametro  di  ragguaglio,   ma
impiegabile  come  parametro   orientativo   di   riferimento.   Tale
disposizione, infatti, prevede l'isolamento diurno per la  durata  da
mesi sei ad anni tre in caso di concorso con un  delitto  punito  con
l'ergastolo di altro delitto punito con  la  pena  perpetua,  nonche'
l'isolamento per la durata da mesi due a mesi  diciotto  in  caso  di
concorso con un delitto punito con la pena  dell'ergastolo  di  altri
delitti puniti con pene temporanee complessivamente superiori ad anni
cinque. 
    In  tale  sede,  dunque,  l'ordinamento  mostra  di   considerare
l'isolamento diurno per la durata di mesi due  quale  pena  aggravata
idonea a punire il condannato che si sia reso responsabile  di  altri
delitti in concreto puniti con  pena  detentiva  superiore  a  cinque
anni. Sebbene, pertanto, tali parametri non  costituiscano  autentici
criteri di ragguaglio, gli stessi consentono di dare la misura  della
gravita' della sanzione dell'isolamento. 
    2.13.2. Alla luce di cio', l'isolamento continuo  per  la  durata
massima di giorni quindici sembra gia'  remunerare  adeguatamente  il
disvalore del fatto di danneggiamento. E tuttavia, allorche'  non  si
ritenga  integralmente   illegittima   l'irrogazione   dell'ulteriore
sanzione penale  (per  violazione  dei  requisiti  anche  sostanziali
sottesi al citato principio del ne  bis  in  idem),  dovrebbe  essere
consentito al giudice - cui e' affidato il compito di commisurare  in
concreto la sanzione al fatto - di applicare una  pena  inferiore  al
minimo edittale previsto dall'art. 635 del codice  penale  quando  il
medesimo  fatto  risulti  essere  gia'   stato   punito   sul   piano
disciplinare. 
    Il rispetto (di cui comunque si dubita) del principio del ne  bis
in idem, lascia infatti  impregiudicata  l'autonoma  valutazione  che
deve essere compiuta in ordine alla proporzionalita' della pena (cfr.
Corte costituzionale, sentenza  n.  149  del  2022,  par.  5.1.1  del
considerato in diritto). 
    2.13.3.  Deve   peraltro   rilevarsi   come   il   principio   di
proporzionalita' e' un requisito  fondamentale  di  legittimita'  che
riguarda non solo la pena, ma tutte le sanzioni punitive. Si pensi in
questa prospettiva a quanto ha riconosciuto la  Corte  costituzionale
in relazione alle sanzioni disciplinari punitive (sentenza n. 197 del
2018) e a quanto hanno osservato le Sezioni Unite con riferimento  ai
cc.dd, danni punitivi (Cass. Civ., Sez. Un. 5 luglio 2017, n. 16601). 
    2.13.4.  D'altro  canto,  la  stessa  Corte   costituzionale   ha
affermato che il principio di  proporzionalita'  e'  un  cardine  del
nostro ordinamento costituzionale in  relazione  a  qualunque  misura
quale  che  ne  sia  la  relativa  funzione  che  incida  su  diritti
fondamentali dell'individuo. 
    Cio' porta a concludere che - quand'anche  si  ritenesse  che  la
sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in  comune  non
sia di natura sostanzialmente penale - la stessa, in quanto  comunque
certamente  afflittiva,  dovrebbe  in  ogni  caso  essere  presa   in
considerazione  nel  valutare  la  proporzionalita'  della   risposta
sanzionatoria complessiva dell'ordinamento ad un fatto che integri al
tempo stesso un illecito disciplinare e  un  reato.  Nel  commisurare
concretamente la pena  nei  confronti  di  un  soggetto  che  per  il
medesimo fatto abbia gia'  patito  la  citata  sanzione  disciplinare
massima, il giudice - a prescindere  dalla  natura  punitiva  o  meno
della   sanzione   disciplinare   -   onde   evitare   una   risposta
dell'ordinamento   (complessivamente   considerata)    sproporzionata
dovrebbe poter applicare una pena inferiore al minimo edittale. 
    2.13.5 Al fine di adeguare  la  sanzione  al  fatto  non  risulta
coerentemente  utilizzabile  l'espediente  del  riconoscimento  delle
circostanze attenuanti generiche di cui all'art.  62-bis  del  codice
penale, sia perche' queste devono fondarsi su presupposti altri e non
rappresentano,  nella  loro  fisiologia,  uno  strumento   idoneo   a
correggere un trattamento edittale sproporzionato  (si  veda  tra  le
altre la sentenza della Corte costituzionale n.  46  del  2024),  sia
perche'  ove  l'imputato  fosse  meritevole  gia'  di  per  se'   del
riconoscimento delle attenuanti generiche, l'aver  utilizzato  l'art.
62-bis del codice penale per dare rilievo  alla  precedente  sanzione
disciplinare finirebbe per obliterare le  ulteriori  e  significative
ragioni di trattamento piu' clemente (le  sole  a  trovare  legittima
soddisfazione nell'applicazione del citato  art.  62-bis  del  codice
penale), applicando in concreto all'imputato una pena ingiusta. 
    2.13.5. L'intervento della Corte  costituzionale  si  renderebbe,
pertanto, necessario al fine di consentire al giudice di collocare la
misura della pena al di sotto del minimo edittale - fermo  il  minimo
strutturale della pena della reclusione, di quindici giorni  ex  art.
23 codice penale  -  in  ragione  dell'irrogazione  della  precedente
sanzione  disciplinare.  Nelle  ipotesi  di   c.d.   doppio   binario
sanzionatorio (non violativo del ne bis in idem, al  ricorrere  delle
condizioni gia' analizzate), la  giurisprudenza  di  legittimita'  e'
gia' ricorsa a questa soluzione al fine di preservare le  istanze  di
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio. Si fa  riferimento  a
quanto la Corte di cassazione ha affermato in caso  di  c.d.  insider
trading, disapplicando il limite tracciato dal  minimo  edittale  per
contrarieta' al  principio  eurounitario  di  proporzionalita'  delle
sanzioni, di diretta ed immediata applicazione (cfr. Cassazione Pen.,
Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 49869). 
    Non vertendo invece, nel caso di specie, in  materia  oggetto  di
attribuzioni dell'Unione europea, il dettato dell'art. 49  CDFUE  non
puo'  condurre  alla  disapplicazione  del  minimo  edittale  di  cui
all'art. 635 del codice penale ed e', quindi, necessario l'intervento
erga omnes della Corte costituzionale. 
3. Tentativo di interpretazione conforme. 
    Alla luce del chiaro dato testuale dell'art. 649  del  codice  di
procedura penale e del principio di legalita' delle pene con riguardo
all'art.  635  del  codice  penale,  non   e'   percorribile   alcuna
interpretazione  adeguatrice  che  consenta  di  rendere  il  sistema
normativo coerente con i  parametri  di  legittimita'  costituzionale
invocati. D'altro canto, la giurisprudenza della Corte di  cassazione
e' costante (sia pur motivando in modo diverso nelle varie  sentenze)
nel negare la possibilita' di  applicare  le  garanzie  qui  invocate
all'imputato gia' sanzionato in via  disciplinare  con  la  (massima)
sanzione dell'esclusione dalle attivita' in comune. 

(1) Piu' in particolare, le citate Raccomandazioni, sanciscono  nella
    versione in lingua ufficiale che  «60.6.a  Solitary  confinement,
    that is the confinement of a prisoner for more than  22  hours  a
    day without meaningful human contact, shall never be  imposed  on
    children, pregnant women, breastfeeding mothers or  parents  with
    infants in prison. 60.6.b The  decision on  solitary  confinement
    shall take into account  the  current  state  of  health  of  the
    prisoner concerned. Solitary confinement shall not be imposed  on
    prisoners  with  mental  or  phisical  disabilities  when   their
    condition would be exacerbated by it. Where solitary  confinement
    has been imposed, its execution shall be terminated or  suspended
    if the prisoner's mental or physical condition has  deteriorated.
    60.6.c Solitay confinement shall not be imposed as a disciplinary
    punishment, other than  in  exceptional  cases  and  then  for  a
    specified period, which shall be as short as possible  and  shall
    never amount to torture or  inhuman  or  degrading  treatment  or
    punishment.  60.6.d  The  maximum  period  for   which   solitary
    confinement may be imposed shall be set in national  law.  60.6.e
    Where a punishment of solitary confinement is imposed for  a  new
    disciplinary offence on a prisoner  who  has  alreadv  spent  the
    maximum period in solitary confinement, such a  punishment  shall
    not be implemented without first allowing the prisoner to recover
    from the adverse effects  of  the  previous  period  of  solitary
    confinement. 60.6.f Prisoners who  are  in  solitary  confinement
    shall be visited daily, including by the director of  the  prison
    or by a member of staff acting on behalf of the director  of  the
    prison». 

(2) «Non integra una violazione del principio del "ne  bis  in  idem"
    l'irrogazione, per un fatto corrispondente a  quello  oggetto  di
    sanzione  penale,  di  una   sanzione   disciplinare   che,   per
    qualificazione giuridica, natura e grado di  severita'  non  puo'
    essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data
    dalla sentenza emessa dalla Corte europea dei  diritti  dell'uomo
    nella causa "Grande Stevens contro  Italia"  del  4  marzo  2014.
    (Fattispecie in cui la Corte ha  annullato  la  sentenza  di  non
    luogo a procedere avente ad oggetto il reato  previsto  dall'art.
    341-bis del codice penale, commesso da un  detenuto,  emessa  sul
    presupposto che per lo  stesso  fatto  fosse  stata  inflitta  la
    sanzione disciplinare della esclusione dall'attivita' in  comune;
    in motivazione la Corte ha ritenuto che ln sanzione  disciplinare
    indicata  non  potesse  essere  equiparata  alle   corrispondenti
    sanzioni penali previste per il  delitto  di  oltraggio)»  (Cass.
    Pen. Sez. 6, n. 31873 del 9 maggio 2017, P.g. in proc.  ...,  Rv.
    270852 - 01): «Non integra una violazione del principio  del  "ne
    bis in idem" l'irrogazione, per  il  medesimo  fatto  oggetto  di
    sanzione  penale,  di  una   sanzione   disciplinare   che,   per
    qualificazione giuridica, natura e grado di  severita'  non  puo'
    essere equiparata a quella penale, secondo l'interpretazione data
    dalla sentenza emessa dalla Corte europea dei  diritti  dell'uomo
    nella causa "Grande Stevens contro  Italia"  del  4  marzo  2014.
    (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la  sentenza
    di assoluzione dal delitto di cui all'art. 337 del codice penale,
    emessa, nei confronti di un detenuto, sul presupposto che per  il
    medesimo fatto gli fosse stata inflitta la sanzione  disciplinare
    prevista dall'art. 391, 26 luglio 1975,  n.  354)»  (Cass,  Pen.,
    Sez. 6. n. 1645 del 12 novembre 2019, dep. 2020, Pg, Rv. 278099 -
    01). 

(3) «In  tema  di  procedimenti   disciplinari   dell'amministrazione
    penitenziaria, opera il principio del divieto di  "bis  in  idem"
    per cui, una volta  concluso  il  procedimento  a  carico  di  un
    detenuto, e' preclusa la possibilita' di una sua  riapertura  per
    l'applicazione di sanzioni per lo stesso fatto in  ragione  della
    natura sanzionatoria del procedimento e  della  mancanza  di  una
    esplicita previsione normativa che la consenta» (Cass. Pen., Sez.
    1, n. 15865 del 3 marzo 2021. E., Rv. 281190 - 01); «In  tema  di
    sanzioni disciplinari ai detenuti, e' manifestamente infondata la
    questione  di  legittimita'  costituzionale   -   sollevata   per
    contrasto con gli arti, 3, 113 e 117 Cost. in relazione  all'art.
    6 CEDU - degli articoli 35-bis e 69, comma 6, lettera  a),  della
    legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte  in  cui  riservano  al
    magistrato di sorveglianza, investilo di un  reclamo  contro  una
    sanzione disciplinare diversa dall'isolamento  e  dall'esclusione
    dalle attivita' in comune, un sindacato limitato  ai  profili  di
    legittimita' della sanzione stessa e del relativo procedimento  e
    gli inibiscono ogni valutazione di merito, non  costituendo  tale
    scelta  legislativa  per  gli  illeciti  meno  gravi   fonte   di
    irrazionale disparita' di trattamento,  concernendo  la  garanzia
    costituzionale di cui  all'art.  113,  comma  2,  Cost.  il  solo
    controllo  giurisdizionale  di  legittimita'  degli  atti,  anche
    sanzionatori, adottati dalle pubbliche  amministrazioni,  che  le
    citate disposizioni dell'ordinamento penitenziario non rinnegano,
    e potendosi considerare penali sotto il  profilo  contenutistico,
    ai fini dell'applicazione delle garanzie di cui all'art. 6  CEDU,
    le   sole   sanzioni   disciplinari   carcerarie   piu'   severe,
    interferenti con beni personali primari del detenuto, tra i quali
    non  rientra  la  mera  esclusione  temporanea  dalle   attivita'
    ricreative e sportive» (Cass. Pen., Sez. 1, n. 21348 del 31 marzo
    2021, Rv. 281227 - 01). 

(4) «103. Dans la presente affarre, la Cour releve  en  premier  lieu
    que les infractions en question concernaient un groupe  ayant  un
    statut specifique, a' savoir les detenus, et non  l'ensemble  des
    citovens. Toutefois, la Cour ne souscrit  pas  a'  l'argument  du
    Gonvernement selon  lequel  ce  fait  donne  aux  infractions  un
    caractere  de  prime  abord  disciplinaire.   Ce   n'est   qu'une
    "indication"  parmi  d'autres  pour  apprecier   la   nature   de
    l'infraction (arret Campbell et Fell precite', p. 36, §71). [...]
    105. Troisiemement, le Gouvernement fait valoir que les regles et
    sanctions disciplinaires en prison sont  conçues  essentiellement
    pour assurer le bon fonctionnement  d'un  systeme  de  liberation
    anticipee, de sorte que l'element "repressif" de l'infraction est
    secondaire  par  rapport  au  but  premier  de  "prevention"  des
    troubles. La Cour estime que les condamnations a'  des  jours  de
    detention supplementaires out ete' en toute hypothese  prononcees
    a' la suite d'un verdict de culpabilite' (arret Benham  precite',
    p. 756, § 56) afin de punir les requerants pour  les  infractions
    qu'ils avaient commises et pour les empecher, eux et  les  autres
    detenus, d'eu commettre d'autres. La Cour  n'est  pas  convaincue
    par l'argument du Gouvernement consistant a' distinguer eutre les
    objectifs de repression  et  de  dissuasion  des  infractions  en
    question, ces objectifs ne  s'excluant  pas  mutuellement  (arret
    Öztürk  precite',  pp.  20-21,  §  53)  et   etant   tenus   pour
    caracteristiques   des   sanctions   penales   (paragraphe    102
    ci-dessus). 106.  En  consequence,  la  Cour  considere  que  ces
    elements, même s'ils ne suffisent pas en  soi  pour  l'amener  a'
    conclure que les infractions reprochees  aut  requerants  doivent
    être tenues pour  "penales"  aux  fins  de  la  Convention,  leur
    impriment manifestement un aspect qui ne coincide pas  exactement
    avec celui d'un probleme de pure discipline. 107. La Cour  esimie
    donc, comme la chambre, qu'il s'impose  de  passer  au  troisieme
    critere: la nature et le degre' de severite'  des  sanctions  que
    risquaient de subir les requerants (arrets Engel et  autres,  pp.
    34-35, § 82, et Campbell et Fell, pp. 37-38, § 72, precites.» 

 
                                P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 23 ss., legge n. 87/1953; 
    ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata: 
        solleva d'ufficio questione  di  legittimita'  costituzionale
della norma di cui all'art. 649 del codice di procedura penale, nella
parte in  cui  non  prevede  che  il  giudice  pronunci  sentenza  di
proscioglimento o di non  luogo  a  procedere  nei  confronti  di  un
imputato per il delitto previsto dall'art. 635, comma  2,  n.  1  del
codice penale, che, in relazione al medesimo fatto,  sia  gia'  stato
sottoposto a procedimento disciplinare,  definitivamente  conclusosi,
per l'illecito disciplinare di cui  all'art.  77,  comma  1,  n.  13,
decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale  gli
sia stata applicata la sanzione  disciplinare  dell'esclusione  dalle
attivita' in comune di cui all'art. 39,  comma  1,  n.  5,  legge  n.
354/1975, per violazione dell'art. 117, comma 1  della  Costituzione,
in relazione all'art. 4 del  Protocollo  n.  7  CEDU,  nonche'  degli
articoli 24 e 111 della Costituzione; 
    e in subordine: 
        solleva d'ufficio questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 635, comma 2, numero 1), del codice penale nella  parte  in
cui non consente al giudice, in sede di  dosimetria  della  pena,  di
applicare una pena inferiore al  minimo  edittale  nel  caso  in  cui
l'imputato sia gia' stato sanzionato,  per  il  medesimo  fatto,  per
l'illecito disciplinare di cui all'art. 77, comma  1,  n.  13 decreto
del Pesidente della Repubblica n. 230/2000 per il quale gli sia stata
applicata la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attivita' in
comune di cui all'art. 39, comma 1, n.  5,  legge  n.  354/1975,  per
violazione  degli  articoli  3,  13  e  27,  comma  1  e   3,   della
Costituzione; 
        sospende il giudizio in  corso,  ed  i  relativi  termini  di
prescrizione, fino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale; 
        dispone l'immediata trasmissione  alla  Corte  costituzionale
della presente ordinanza e degli atti del  procedimento,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso; 
        manda alla Cancelleria per la  notificazione  della  presente
ordinanza all'imputato,  al  difensore,  al  pubblico  ministero,  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per  la  comunicazione
ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte
costituzionale. 
        Firenze, 23 luglio 2025 
 
                         Il Giudice: Attina'