Reg. ord. n. 181 del 2025 pubbl. su G.U. del 01/10/2025 n. 40
Ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna del 15/07/2025
Tra: S.B.
Oggetto:
Ordinamento penitenziario - Misure alternative alla detenzione - Revoca di una misura alternativa alla detenzione - Divieto di concessione di benefici – Previsione che il divieto di concessione dei benefici opera “per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2” dell’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975 anziché “per un periodo pari alla metà della pena residua e, comunque, non oltre tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2.” – Violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza in relazione ai principi della funzione rieducativa della pena e della inviolabilità della libertà personale.
Norme impugnate:
legge
del 26/07/1975
Num. 354
Art. 58
Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co. 1
Costituzione
Art. 3
Co. 2
Costituzione
Art. 13
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2025
Ordinanza del 15 luglio 2025 del Tribunale di sorveglianza di Bologna
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di S. B..
Ordinamento penitenziario - Misure alternative alla detenzione -
Divieto di concessione di benefici - Previsione che il divieto di
concessione dei benefici opera "per un periodo di tre anni dal
momento in cui e' ripresa l'esecuzione della custodia o della pena
o e' stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2"
dell'art. 58-quater della legge n. 354 del 1975, anziche' "per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre
tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca
di cui al comma 2."
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario
e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della
liberta'), art. 58-quater, comma 3.
(GU n. 40 del 01-10-2025)
UFFICIO DI SORVEGLIANZA
Il Magistrato di sorveglianza
Visti gli atti relativi ali 'istanza di ammissione alla misura
della detenzione domiciliare in via provvisoria ed urgente ex art.
47-ter, comma 1-quater, legge n. 354/1975 presentata da B. S., nato
... (...) il ..., detenuto presso la Casa circondariale di Ferrara in
relazione alla pena di cui alla sentenza n. 679/2020 emessa dal
G.I.P. di Padova, pari ad anni 1 di reclusione; decorrenza pena 20
dicembre 2024; fine pena 19 dicembre 2025.
Osserva
Con istanza del 2 luglio 2025 il difensore di B. S., ha avanzato
presso l'Ufficio di sorveglianza di Bologna distinte domande di
detenzione domiciliare in via provvisoria e di esecuzione della pena
presso il domicilio in relazione al titolo in epigrafe, da fruirsi
presso il domicilio del sig. ..., sito in (...), via ... n. ... .
Il presente procedimento attiene alla domanda di detenzione
domiciliare in via provvisoria ed urgente ex art. 47-ter, comma
1-quater, legge n. 354/1975, mentre la domanda esecuzione pena presso
il domicilio e' stata iscritta al n. SIUS UDS 2025/9022.
L'istanza difensiva fa seguito a precedenti determinazioni di
questa autorita' giudiziaria e del Tribunale di sorveglianza di
Bologna che hanno evidenziato l'inammissibilita' delle domande
proposte da B. S. in forza del divieto triennale di accesso ai
benefici penitenziari di cui all'art. 58-quater, comma 2, legge n.
354/1975.
L'attuale esecuzione penale, infatti, origina da provvedimento
del Tribunale di sorveglianza di Venezia (SIUS TDS Venezia 2024/4628
del 18 novembre 2024) che ha dichiarato, in applicazione dell'art.
58-quater O.P., l'inammissibilita' delle domande di misure
alternative proposte da B. ai sensi dell'art. 656, comma 5 c.p.p.
sulla condanna in espiazione, per essere il detenuto incorso nella
revoca di misura alternativa alla detenzione in data 13 febbraio 2024
giusta ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Brescia, che ha
revocato l'esecuzione pena presso il domicilio concessa all'istante
dal Magistrato di sorveglianza di Milano per condotte incongrue
avvenute nel corso della misura.
Analogamente, l'Ufficio di sorveglianza di Bologna ha rilevato
l'inammissibilita' delle istanze di detenzione domiciliare in via
provvisoria e di esecuzione della pena presso il domicilio proposte
in precedenza dal condannato. Quanto alla domanda di detenzione
domiciliare trasmessa al Tribunale di sorveglianza di Bologna, il
relativo procedimento (SIUS TDS 2025/2632) si e' concluso con decreto
del 23 aprile 2025 emesso de plano ai sensi dell'art. 666, comma 2
c.p.p. per l'evidente inammissibilita' della domanda.
Il decreto di inammissibilita' e' stato comunicato alla difesa
dopo che questa aveva inteso depositare memoria nel procedimento
iscritto presso il Collegio felsineo - ormai conclusosi - in cui
sollecitava il Tribunale di sorveglianza di Bologna a valutare la
compatibilita' costituzionale dell'art. 58-quater O.P., proponendo
questione che non e' stata, dunque, esaminata.
Onde non incorrere in questa sede in ulteriore declaratoria di
inammissibilita', il difensore reitera la preliminare eccezione di
incostituzionalita' dell'art. 58-quater O.P. nella misura in cui la
norma prevede una preclusione triennale per l'accesso ai benefici
penitenziari nei casi in cui il condannato incorra nella revoca di
una misura alternativa alla detenzione, per contrarieta' della stessa
rispetto agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione.
La norma, infatti, prevedrebbe un rigido automatismo che ancora
alla pronuncia di revoca degli effetti altamente pregiudizievoli, che
frustrano la funzione rieducativa della pena nella misura in cui non
consentono alla magistratura di sorveglianza di compiere delle
valutazioni sui progressi trattamentali del detenuto successivi alla
revoca stessa. E cio' sarebbe ancor piu' irragionevole laddove, come
nel caso di specie, la revoca sarebbe stata susseguente non gia' a
condotte di reato o idonee ad indicare un rischio di recidiva del B.,
quanto piuttosto a condotte considerate dal difensore incolpevoli.
Il difensore avvia il proprio iter argomentativo segnalando che
questione analoga e' stata gia' affrontata dalla Consulta nella
sentenza 173/2021.
In quella sede, ricorda il difensore, la Corte ha dichiarato
manifestamente infondate le questioni sollevate dal giudice a quo,
evidenziando che la revoca e' provvedimento adottato dal Tribunale di
sorveglianza non gia' quale conseguenza automatica delle violazioni
delle prescrizioni o della commissione di un reato, ma a seguito di
un giudizio reso nell'ambito di procedimento che consente, accanto
alla revoca, di adottare soluzioni alternative quali la prosecuzione
della misura o la sostituzione della misura con altra piu' idonea.
L'operativita' dell'art. 58-quater, dunque, si correla ad una
specifica valutazione della magistratura di sorveglianza che consente
all'autorita' giudiziaria di soppesare gli elementi negativi e
positivi, e gli esiti della propria decisione anche sul prosieguo
dell'esecuzione penale.
La stessa Corte costituzionale, dunque, pur valutando l'art.
58-quater O.P. quale norma «indubbiamente severa e opinabile da un
punto di vista di politica penitenziario» ha giudicato l'opzione
normativa espressiva di un esercizio di discrezionalita' legislativa
non contrastante coi canoni costituzionali.
La difesa, in premessa, tiene a precisare che i fatti che hanno
condotto alla revoca sono ascrivibili ad alcune leggerezze del B.
nella gestione delle autorizzazioni, nonche' nell'insorgere di
dissidi con la persona che aveva all'epoca offerto il proprio
domicilio al condannato, per cui era stato lo stesso B. a richiedere
di rientrare in carcere per terminare l'espiazione di quel titolo non
essendo possibile che la convivenza tra i due proseguisse. Inoltre,
continua la difesa, procedimenti instaurati nei suoi confronti per
evasione e relativi alle violazioni delle prescrizioni orarie sono
stati poi definiti con archiviazione e le segnalazioni da parte della
Questura di Mantova per i dissidi con la padrona di casa non hanno
poi avuto seguito, non avendo questa mai formalmente revocato
disponibilita' all'accoglienza o denunciato B.
A fronte di questi elementi l'operare dell'art. 58-quater O.P.
nel caso in esame preclude in toto alla persona l'accesso ai benefici
sulla base della sola pronuncia di revoca della misura
precedentemente fruita, senza consentire di gradarne gli effetti e le
conseguenze, nonostante la revoca sia stata necessitata della
sopravvenuta assenza di domicilio e non motivata dalla necessita' di
sanzionare la condotta del B.
In questo caso, cosi' come nei casi analoghi, l'art. 58-quater
O.P. produrrebbe effetti non compatibili con la costituzione. La
questione posta sarebbe, dunque, rilevante.
Quanto alla non manifesta infondatezza, la difesa cita una serie
di pronunce della Corte di cassazione successive alla sentenza
173/2021, che hanno circoscritto gli effetti dell'operativita'
dell'art. 58-quater O.P. escludendo che questa possa valere laddove
la revoca riguardi una misura concessa in via provvisoria (Cass. Sez.
I, sent. 17072/2023) e della misura di cui all'art. 94, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 (Cass. Sez. I., sent.
24425/2023), ispirate, nella logica difensiva, alla tutela della
funzione rieducativa.
Ancora, la difesa sottolinea la presenza di un rilevante novum
normativo, rappresentato dal decreto legislativo n. 150/2022
(cosiddetta riforma Cartabia), che ha introdotto nella legge n.
689/1981 le nuove pene sostitutive. Nell'articolato normativo de quo,
infatti, evidenzia l'avvocato, si rinvengono diverse opzioni rispetto
al rilievo attribuito alla revoca delle pene sostitutive, piu'
malleabili e meno rigide di quanto stabilito dall'ordinamento
penitenziario.
La difesa cita, anzitutto, l'art. 59, legge n. 689/1981 nel
disciplinare le condizioni soggettive per l'accesso alle pene
sostitutive, stabilisce che la pena detentiva non possa essere
sostituita «nei confronti di chi ha commesso il reato per cui si
procede entro tre anni dalla revoca della semiliberta', della
detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilita' ai sensi
dell'art. 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto non
colposo durante l'esecuzione delle medesime pene sostitutive; e'
fatta comunque salva la possibilita' di applicare una pena
sostitutiva di specie piu' grave di quella revocata».
Argomenta la difesa che il meccanismo di preclusione nella
conversione della pena detentiva in pena sostitutiva e' ancorato dal
testo non tanto alla revoca, quanto piuttosto alla commissione del
reato per cui si procede nel triennio successivo alla revoca o
durante l'esecuzione di altra pena sostitutiva.
Ancora, l'art. 59, lettera b, legge n. 689/1981, in materia di
pene pecuniarie, esclude la ricorrenza dei meccanismi preclusivi ivi
previsti per i casi di insolvibilita' o incapacita' del condannato,
cosi' valorizzando le ragioni del mancato pagamento quali casi di
forza maggiore o comunque evitando che valgano ad escludere l'accesso
alla pena pecuniaria sostitutiva le omissioni incolpevoli.
Da ultimo, il difensore richiama l'art. 67, comma 2, legge n.
689/1981 a mente del quale il condannato in espiazione di pena
detentiva risultante dalla revoca di una pena sostitutiva ai sensi
dell'art. 66 o dell'art. 71, legge n. 689/1981, non puo' avere
accesso alle misure alternative alla detenzione prima dell'espiazione
di meta' della pena residua.
Tale norma, dunque, circoscrive l'inapplicabilita' delle misure
alternative non gia' per un periodo di tempo fisso, ma piuttosto alla
sola pena residua, consentendo dunque che altro titolo detentivo
possa essere eseguito in consonanza con la funzione rieducativa della
pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione.
Ci conclude la difesa, a differenza della disposizione di cui
all'art. 58-quater O.P. che fissa un indistinto termine triennale
fisso, derivante dalla mera pronuncia di revoca e che non distingue
tra revoca colpevole ed incolpevole, peraltro con preclusione di
accesso a tutti i benefici penitenziari ad eccezione del solo
affidamento terapeutico e della liberazione anticipata.
La difesa, posta la questione, insiste per l'accoglimento delle
istanze, senza formulare specifiche indicazioni sui possibili rimedi
alla eccepita frizione della norma con i principi costituzionali.
Il caso in esame impone di esaminare diversi profili, sicche', al
fine di meglio esporre i vari temi rilevanti, appare opportuno
suddividere la trattazione in paragrafi, onde affrontare
separatamente i diversi aspetti della questione.
Appare necessario, in prima battuta, ricostruire la normativa in
esame, al fine di vagliare la fondatezza delle doglianze difensive ed
escludere alcuni profili che risultano irrilevanti nel caso di
specie.
l. L'art. 58-quater, legge n. 354/1975.
L'art. 58-quater, comma 1, legge n. 354/1975 prevede un generale
divieto di concessione di benefici penitenziari al soggetto che si
sia reso responsabile di condotte di evasione.
L'art. 58-quater comma secondo, legge n. 354/1975 estende il
divieto di concessione dei benefici penitenziari previsto al comma
primo nei confronti del condannato che sia incorso nella revoca di
una misura alternativa ai sensi degli articoli 47, comma 11, 47-ter,
comma 6 e 51, comma 1 O.P. Le fattispecie richiamate hanno tutte ad
oggetto ipotesi in cui la revoca discende dall'aver l'affidato, il
detenuto domiciliare o il semilibero tenuto una condotta
incompatibile con la prosecuzione della misura.
Il comma terzo della norma in esame stabilisce che tale divieto
abbia una durata fissa pari ad anni tre, con decorrenza, nel caso del
comma primo dal ripristino dell'esecuzione, mentre, nel caso di cui
al comma secondo dalla data di adozione del provvedimento di revoca.
Poiche' l'art. 58-quater, comma 2 O.P. trova applicazione in caso
di revoca di una misura alternativa, l'analisi normativa non puo'
prescindere da un richiamo anche al procedimento di revoca,
disciplinato all'art. 51-ter, legge n. 354/1975, ove si stabilisce:
«Se la persona sottoposta a misura alternativa pone in essere
comportamenti suscettibili di determinarne la revoca, il magistrato
di sorveglianza, nella cui giurisdizione la misura e' in esecuzione,
ne da' immediata comunicazione al tribunale di sorveglianza affinche'
decida in ordine alla prosecuzione, sostituzione o revoca della
misura».
La lettura congiunta delle norme citate, dunque, consente di
cesellare in che termini l'ordinamento penitenziario abbia inteso
disciplinare la fattispecie della revoca delle misure alternative,
dettandone presupposti, canoni di giudizio e relativi effetti.
Gli articoli 47, comma 11, 47-ter, comma 6 e 51, comma 2, legge
n. 354/1975, anzitutto, disciplinano i presupposti di fatto della
revoca delle misure alternative, prevedendo che questa possa essere
disposta a seguito di comportamenti del condannato contrari alla
legge o alle prescrizioni commessi in corso di esecuzione del
beneficio, tali da non consentire la prosecuzione della misura.
Nell'ambito del procedimento di revoca, l'art. 51-ter O.P.
attribuisce al Tribunale di sorveglianza un giudizio sulle condotte
illecite e le violazioni dell'affidato, consentendo al Collegio di
stabilire se i fatti commessi siano tali da richiedere la revoca,
ovvero non incidano sulla possibilita' di prosecuzione del beneficio.
Quale opzione intermedia, il Tribunale di sorveglianza puo'
sostituire la misura in esecuzione con altra piu' aderente alle
necessita' esecutive.
Nello schema normativo, dunque, la revoca e' da intendersi quale
sanzione massima per quelle condotte colpevoli della persona che
abbiano evidenziato il condannato come soggetto non piu' meritevole
di fruire della misura alternativa.
Cio' puo' cogliersi dall'utilizzo da parte del legislatore del
concetto di prosecuzione in una duplice veste all'interno della
fattispecie della revoca di una misura alternativa: sia quale oggetto
del giudizio inferenziale tra la condotta illecita-violativa e la
revoca, dovendo esso concentrarsi sul significato delle violazioni in
chiave prognostica rispetto all'eventuale prosieguo del beneficio;
sia quale esito alternativo ed opposto alla revoca stessa nel
giudizio innanzi al Collegio.
In questo senso, la revoca e' assunta sulla base di un giudizio
negativo sul trattamento che guarda ai fatti ed alle violazioni non
tanto (o meglio non soltanto) nella loro staticita', ma quali
elementi da cui trarre indici prognostici negativi sulla personalita'
del condannato.
A questo giudizio negativo e colpevole, si correla l'ulteriore
sanzione della preclusione triennale di accesso ai benefici, prevista
dall'art. 58-quater O.P., che decorre dal provvedimento di revoca e
della cui compatibilita' a costituzione si dubita.
1.1. La lettura costituzionalmente orientata della norma nella
giurisprudenza costituzionale e nel diritto vivente.
Come evidenziato, la norma e' stata giudicata dalla Corte
costituzionale particolarmente severa, ma, quantomeno sinora, non
assolutamente incompatibile con i principi costituzionali.
Gia' con ordinanza n. 87 del 2004, la Consulta aveva rilevato che
la preclusione triennale che consegue ad una revoca delle misure
alternative che non e' «automatica», bensi' trova la propria
giustificazione in forza di una valutazione in concreto e caso per
caso delle situazioni in cui il comportamento del condannato,
contrario alla legge o alle prescrizioni, sia risultato incompatibile
con la prosecuzione della misura alternativa originariamente
concessa. La questione ivi in decisione, sollevata rispetto agli
articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione e' stata dunque respinta
con ordinanza per manifesta infondatezza.
La Corte e' poi tornata sul tema con la sentenza n. 173/2021.
In quella sede la Consulta ha rigettato la questione riproposta
dal giudice rimettente in relazione agli articoli 3 e 27, comma 3
della Costituzione, tesa ad una caducazione della norma in quanto
giudicata troppo severa nel non consentire al Magistrato di
sorveglianza di gradare gli effetti della revoca, ribadendo l'assenza
di un automatismo applicativo alla base dell'art. 58-quater O.P.
Anzi, la Corte ha sottolineato come il combinato disposto delle norme
esaminate supra si connoti per la presenza di un vaglio di merito
della magistratura di sorveglianza nella scelta di determinare con la
revoca una regressione del trattamento secondo un giudizio
individualizzato e casistica che contempla anche altre opzioni (1) .
Cionondimeno, gia' nella sentenza n. 173/2021, la Corte aveva
invitato il legislatore a ripensare la disciplina non tanto quanto
alla previsione di un meccanismo preclusivo susseguente alla revoca,
quanto, piuttosto sotto il profilo della durata della preclusione
stessa, indicando che «la preclusione triennale successiva alla
revoca, pur potenzialmente temperata dagli effetti della liberazione
anticipata, finisce per coprire, in un elevato numero di casi, la
totalita' o quasi della pena residua».
La posizione ermeneutica che non rinviene nell'art. 58-quater
O.P. un automatismo applicativo, ma un esito processuale i cui
effetti sono vagliati dalla magistratura di sorveglianza e' approdo
che il giudice delle leggi ha recentemente ribadito.
Nella sentenza n. 24/2025, infatti, volendo marcare la differenza
tra l'art. 30-ter, comma 5, legge n. 354/1975, oggetto di scrutinio
in quella sede e giudicato incostituzionale, e l'art. 58-quater O.P.
nella sua attuale formulazione, la Corte costituzionale ha ben
spiegato il diverso meccanismo di operativita' della preclusione di
accesso ai benefici stabilita dalle due norme in comparazione e le
ragioni sottese alle differenti valutazioni da essa stessa rese sulle
due discipline.
Nel caso disciplinato dall'art. 30-ter, comma 5 O.P., la
preclusione biennale di accesso ai permessi premio discendeva in via
automatica dalla imputazione/condanna per un fatto di un reato
commesso nel corso dell'esecuzione, senza alcuna valutazione in
ordine alla necessita' di una regressione del trattamento da parte
della magistratura di sorveglianza.
Viceversa, l'art. 58-quater O.P. trova applicazione solo a
seguito della revoca di misura alternativa ai sensi dell'art. 51-ter
O.P. e, dunque, ad esito di un giudizio di merito del giudice
specializzato, espressivo di una valutazione discrezionale,
individualizzata e tarata sul caso concreto. In questo senso, la
Corte ha esplicitato che l'art. 58-quater O.P. permane
costituzionalmente legittimo «sulla base della considerazione che il
Tribunale di sorveglianza dispone normalmente la revoca nei soli casi
piu' gravi di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura, e
in particolare quando sia dimostrata "la necessita' di una
regressione del percorso rieducativo e di un almeno temporaneo
ripristino del regime di detenzione, in particolare in funzione di
contenimento di un concreto rischio di recidiva evidenziatosi in capo
al condannato" (sentenza n. 173 del 2021, punto 3.3.3. del
Considerato in diritto)».
Da una lettura delle sentenze citate emerge un chiaro indirizzo
della Consulta circa la necessita' che il Tribunale di sorveglianza
individualizzi e soppesi gli esiti della pronuncia di revoca tenendo
conto anche del meccanismo preclusivo di cui all'art. 58-quater O.P.,
riservando la revoca solo a quei casi in cui sia emersa la necessita'
di una regressione del percorso rieducativo al fine di contenere un
concreto rischio di recidiva del condannato.
Coerente con gli approdi cui e' pervenuta la giurisprudenza
costituzionale e con l'articolato normativa risulta essere, peraltro,
il diritto vivente, tutt'altro che insensibile alla valorizzazione
dei motivi della mancata prosecuzione di una misura alternativa.
In particolare, la magistratura di sorveglianza ha da tempo
elaborato delle soluzioni ermeneutiche che consentono di sottrarre
alla operativita' dell'art. 58-quater O.P. le ipotesi in cui si
realizzi una materiale interruzione del percorso di misura
alternativa per ragioni non imputabili al condannato.
Si pensi, ad esempio, al semilibero ammesso alla misura per
svolgere una determinata attivita' lavorativa che venga interrotta o
non prorogata nel corso della misura a causa di un calo di commesse o
di riduzione dell'attivita' del datore di lavoro, rimanendo cosi'
incolpevolmente sprovvisto dell'occupazione esterna che sorregge il
beneficio.
Ovvero, ancora, al detenuto domiciliare o all'affidato che si
ritrovi privo di un domicilio ove proseguire l'espiazione della pena
per cause a lui non imputabili, quali revoche di disponibilita'
all'accoglienza da parte dei soggetti ospitanti per ragioni diverse
da dissidi o malumori nella convivenza dovute a condotte incongrue
del condannato.
In tutti questi casi, non infrequenti nella prassi, una pronuncia
del Tribunale di sorveglianza nel senso della revoca non sarebbe
coerente con la funzione normativa assegnata all'istituto quale
sanzione per condotte colpevoli e gravi che impediscono la
prosecuzione della misura e, d'altro canto, comporterebbe
l'applicabilita' dell'art. 58-quater O.P. senza un reale vaglio di
inadeguatezza del condannato, con effetti costituzionalmente non
compatibili secondo quanto indicato dalle sentenze nn. 173/2021 e
24/2025.
A fronte di questo empasse in alcuni distretti (tra cui quello di
Bologna) si fa applicazione della categoria della cessazione della
misura alternativa per sopravvenuta carenza dei presupposti operativi
della stessa, applicando in via analogica l'art. 51-bis O.P.; in
altri si provvede a revoca dell'ordinanza di concessione, sulla base
del principio per cui le ordinanze emesse dalla magistratura di
sorveglianza sono sempre revocabili ove non piu' rispondenti alla
situazione di fatto sulla base della quale sono state emesse; in
altri ancora si dichiara la cessazione dei presupposti della misura.
Tutte le soluzioni indicate sono accomunate da una medesima ratio
di fondo: evitare gli esiti che la formalmente corretta dizione di
revoca avrebbe sul prosieguo della detenzione del condannato,
individuando nell'ordinamento strumenti per valorizzare la non
colpevolezza della mancata prosecuzione del beneficio ad esito di
giudizio ex art. 51-ter O.P.
E ci alla luce della disamina condotta sulle sentenze n. 173/2021
e 25/2025, risulta pacificamente coerente con le indicazioni fornite
dalla Consulta per cui in sede di statuizione sulla revoca il
Tribunale di sorveglianza deve riservare tale tipo di pronuncia alle
sole situazioni gravi e colpevoli che evidenzino la necessita' di una
regressione del trattamento.
2. In fatto: la vicenda esecutiva di B. S. e l'attuale operativita'
dell'art. 58-quater O.P. nel caso di specie.
Alla luce della disamina svolta, puo' esaminarsi la condizione
del condannato nel caso di specie.
B. S. e' soggetto che e' gia' stato sottoposto ad esecuzione
penale in relazione alla pena di anni 1, mesi 6 di reclusione e mesi
4 di arresto di cui al cumulo emesso dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Vicenza il 15 giugno 2020, comprendente
condanne per guida in stato di ebbrezza, guida senza patente e falsa
attestazione ad un pubblico ufficiale sulla propria identita'
commessi nel ... e nel ... (sentenze di cui ai numeri 7 e 9 del
Certificato del Casellario).
Il condannato ometteva di proporre istanze da libero sospeso
sicche' faceva ingresso in carcere il 25 luglio 2022.
Espiata la quota di pena detentiva eccedente i diciotto mesi, era
ammesso alla misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio ai
sensi dell'art. 1, legge n. 199/2010 con ordinanza del 9 gennaio 2023
dal Magistrato di sorveglianza di Milano di cui fruiva sino a quando
incorreva dapprima in sospensione cautelare della misura ex art.
51-ter, comma 2 O.P. da parte del Magistrato di sorveglianza di
Mantova e, poi, nella definitiva revoca della misura alternativa
giusta ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Brescia del 13
febbraio 2024. Il provvedimento di sospensione e di revoca si sono
fondati su una serie di condotte del B. nell'ambito dell'esecuzione
pena presso il domicilio, tra cui segnalazioni per evasione e
l'emersione di dissidi con la persona che aveva offerto ospitalita'
al condannato, esitati in segnalazioni della Questura di Mantova per
una lite domestica, complessivamente giudicate tali da non consentire
la prosecuzione del beneficio. Da quanto risulta, lo stesso detenuto
chiedeva di terminare l'espiazione della propria condanna in
istituto, avendo ormai pochi mesi di pena dinnanzi a se'.
B., effettivamente, era scarcerato il 9 aprile 2024.
Successivamente, la Procura di Padova poneva in esecuzione
l'attuale titolo, sospendendo ai sensi dell'art. 656, comma 5 c.p.p.
l'ordine di carcerazione e trasmettendo gli atti al Tribunale di
sorveglianza di Venezia.
Il Tribunale di sorveglianza di Venezia, preso atto della revoca
della precedente misura alternativa, ha dichiarato con decreto de
plano l'inammissibilita' delle domande di B. S. in applicazione
dell'art. 58-quater O.P., comportando l'avvio dell'esecuzione
inframuraria.
Analogo esito (inammissibilita') hanno avuto le domande sinora
proposte dal B. presso questo ufficio e presso il Tribunale di
sorveglianza di Bologna, sicche' la difesa chiede valutarsi, quale
profilo preliminare, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 58-quater O.P. in relazione agli articoli 3 e 27, comma 3
della Costituzione.
2.1. La questione di costituzionalita' ancipite della difesa tra
revoca incolpevole e durata della preclusione.
Il difensore censura l'art. 58-quater, legge n. 354/1975
argomentando in via unitaria le proprie doglianze, ma sotto due
profili che appaiono distinti: da un lato perche' questa non
distinguerebbe tra revoca colpevole e revoca incolpevole, ritenendo
che tale sia la posizione del B.; dall'altro, per la rigidita' del
meccanismo preclusivo che puo', in casi come quello in esame,
sacrificare del tutto il principio rieducativo della pena, ponendolo
a confronto con altre opzioni normativamente previste in casi
analoghi per altre forme di esecuzione penale esterna.
Le due questioni, come poste dalla difesa, appaiono a questo
magistrato invero tra di loro alternative e non del tutto
coincidenti, in quanto sorrette da situazioni di fatto ben distinte.
Sostenere che la normativa si applichi nel caso di revoca
incolpevole e che questa sia la condizione del B., invero, e'
questione in fatto preliminare ed escludente rispetto alla
successiva, relativa alla durata della preclusione. Infatti, ove, si
ritenesse fondata e si coltivasse la prima parte della questione,
giungendosi a superare la preclusione di cui all'art. 58-quater O.P.
nei casi di revoca incolpevole, il tema della durata della
preclusione perderebbe di rilevanza.
In altri termini, una volta ottenuto che l'art. 58-quater O.P.
non operi rispetto alle revoche incolpevoli, e provato che tale e' la
condizione del B., a nulla gioverebbe lamentarsi della durata di una
preclusione che, seppur severa, si applicherebbe solo alle revoche
colpevoli.
Di contro, solo ove accertato che la revoca non possa
considerarsi incolpevole, verrebbe in rilievo il tema della durata
della preclusione di cui all'art. 58-quater O.P. che dalla revoca
discende, in quanto e' tale durata ad impedire al condannato di
fruire di ulteriori benefici.
La prima parte della questione, in verita', risulta
manifestamente infondata e irrilevante nel caso in esame.
Da un lato, perche', come detto supra, la fattispecie della
revoca e' normativamente costruita per sanzionare le sole condotte
colpevoli del condannato o che evidenzino la necessita' di una
regressione del trattamento, e come tale viene letta dalla
giurisprudenza costituzionale e dal diritto vivente, si' da escludere
che possa aversi una revoca incolpevole di una misura alternativa.
Dall'altro, perche' non puo' ritenersi B. sia incorso in una
revoca incolpevole.
La pronuncia di revoca del Tribunale di sorveglianza di Brescia,
infatti, e' stata emessa alla luce di una valutazione personologica
negativa nei confronti del B., che ha giudicato le sue condotte nel
corso della misura incompatibili con la prosecuzione del beneficio.
Da una lettura dell'ordinanza, acquisita agli atti del fascicolo,
si puo' leggere che il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha
espressamente motivato nei seguenti termini: «[...] ritiene il
Tribunale che la misura domiciliare debba essere definitivamente
revocata. Invero il condannato nel corso della misura ha
reiteratamente disatteso le prescrizioni relative all'obbligo di
permanenza al domicilio e di non allontanarsi dal Comune di
abitazione mostrandosi anche indifferente ai richiami del magistrato
di sorveglianza. Il condannato pertanto ha dimostrato incapacita'
autocustodiale ed ha adottato nel corso delia misura una condotta non
conforme alle regole di civile convivenza che hanno indotto la
persona titolare del contratto di locazione ad abbandonare il proprio
legittimo domicilio».
In questo senso, non pare possibile procedere in questa sede ad
una rilettura del giudizio esauritosi innanzi al collegio bresciano
che ha disposto la revoca, neppure alla luce degli elementi
sopravvenuti indicati dal difensore, non rientrando nei poteri di
questa autorita' giudiziaria sovrapporre proprie valutazioni di
merito a quelle gia' compiute dall'organo competente sulla revoca e
non oggetto di impugnativa.
Chiarito questo profilo, le fondate ragioni di frizione con i
principi costituzionali nella disciplina di cui all'art. 58-quater
O.P. che la vicenda sollecita non sono tanto ascrivibili alla mancata
valorizzazione delle ragioni della revoca, quanto piuttosto alla
durata fissa della preclusione ed allo spettro amplissimo di benefici
che questa copre, si' da apparire capace di esaurire in via
definitiva le chances di reinserimento sociale del condannato, come
indicato dalla Consulta nell'ultimo paragrafo della sentenza n.
173/2021.
Tale meccanismo, dunque, pur se non sorretto da un automatismo
applicativo, in una gran parte di casi risulta irragionevole nella
misura in cui finisce per sacrificare del tutto il principio di
emenda (art. 27, comma 3 Cost.), come indicato dalla difesa; ma, a
giudizio di questo Magistrato, lo stesso appare non coerente anche
con il principio di minimo sacrificio necessario della liberta'
personale (art. 13 Cost.).
Rispetto al tema della irragionevole fissita' della preclusione,
inoltre, la difesa sollecita un raffronto tra la disciplina in esame
e quella prevista in materia di pene sostitutive, quale tertium
comparationis rispetto al quale valutare la congruita' dell'art.
58-quater O.P.
Appare, dunque, opportuno esaminare rapidamente la disciplina
delle pene sostitutive.
2.2. Le nuove pene sostitutive: le ipotesi di revoca ed i meccanismi
preclusivi susseguenti.
La semiliberta' sostitutiva, la detenzione domiciliare
sostitutiva, il lavoro di pubblica utilita' sostitutivo e la pena
pecuniaria sostitutiva sono state introdotte dal decreto legislativo
n. 150/2022 nel codice penale e disciplinate in apposito capo della
legge n. 689/1981 con l'obiettivo dichiarato di costituire delle
forme sanzionatorie ab origine alternative alla pena detentiva, piu'
orientate al favor libertatis ed al principio di emenda. In questo
senso, queste possono essere disposte dal giudice di merito sin dalla
sentenza e, solo per gli aspetti di materiale e diacronica
esecuzione, vedono il coinvolgimento della magistratura di
sorveglianza ovvero, per il lavoro di pubblica utilita' sostitutivo,
del giudice che le ha applicate.
Le pene sostitutive si caratterizzano per essere delle forme
esecutive idealmente non carcerarie e dalla spiccata vocazione
trattamentale quali pene-programma, la cui disciplina e' stata in
gran parte mutuata e ricalcata su delle misure alternative alla
detenzione previste dall'ordinamento penitenziario, con cui scontano
un'evidente comunanza assiologica, teleologica e funzionale.
Tale comunanza puo' cogliersi non soltanto rispetto alle due pene
sostitutive della semiliberta' e detenzione domiciliare, che
rievocano anche nominalmente le omologhe misure alternative, ma
permea l'intero sistema delle pene sostitutive.
L'art. 58, legge n. 689/1981, infatti, che disciplina
l'applicazione delle pene sostitutive stabilisce che queste possano
essere disposte dal giudice di merito solo ove le stesse, oltre ad
essere piu' idonee alla rieducazione del condannato, assicurino la
prevenzione del pericolo di commissione di altri reati; canone di
giudizio che, invero, accomuna tutte le misure alternative alla
detenzione carceraria, tese a ricercare, aggiornare e mantenere il
difficile e progressivo equilibrio tra congruita' delle limitazioni
della liberta' personale, reinserimento sociale e rischio di
recidiva.
Vi e' poi, l'art. 76, legge n. 689/1981, che estende al sistema
delle pene sostitutive diverse norme dell'ordinamento penitenziario,
a riprova della comune radice dei due sistemi normativi.
Tra le tante assonanze e disposizioni comuni, per proprio in
punto di revoca delle pene sostitutive e di meccanismi preclusivi ad
essa susseguenti, si puo' osservare una chiara deviazione del
legislatore delegato dal modello rappresentato dall'art. 58-quater
O.P.
Il nuovo sistema, infatti, consente di revocare la pena
sostitutiva in due ipotesi specifiche, disciplinate dagli articoli 66
e 71, legge n. 689/1981.
L'art. 66, legge n. 689/1981, rubricato «Revoca per inosservanza
delle prescrizioni», stabilisce che la revoca o la sostituzione della
misura possa far seguito a gravi o reiterate violazioni delle
prescrizioni. In questo caso il Magistrato di Sorveglianza o il
giudice che segue l'esecuzione del lavoro di pubblica utilita'
sostitutivo, laddove riceva informazioni di violazioni delle
prescrizioni acquisisce, ove occorra, sommari accertamenti, e nel
caso in cui ritenga sussistano le condizioni per l'aggravamento o la
revoca della misura procede ai sensi dell'art. 666 c.p.p.
L'art. 72, legge n. 689/1981, invece, intitolato «Ipotesi di
responsabilita' penale e revoca» disciplina una serie di ipotesi in
cui la revoca della misura consegue quale effetto previsto per legge
di determinati accadimenti e, segnatamente, dell'emissione di
sentenze di condanna per fatti commessi in costanza di misura.
Nello specifico, a mente del comma terzo, laddove la persona
venga condannata o per evasione ai sensi dell'art. 385 c.p. o ai
sensi dell'art. 56, decreto legislativo n. 274/2000, tale condanna
«importa la revoca della pena sostitutiva, salvo che il fatto sia di
lieve entita'».
Il comma quarto, invece, stabilisce che «la condanna per un
delitto non colposo commesso durante l'esecuzione di una pena
sostitutiva, diversa da quella pecuniaria, ne determina la revoca e
la conversione per la parte residua nella pena sostituita, quando la
condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione della pena
sostitutiva, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 58».
Dall'analisi condotta, risulta evidente la comunanza tra il
giudizio in sede di revoca di cui all'art. 51-ter O.P., descritto
supra, e le fattispecie di cui agli articoli 66 e 72, legge n.
689/1981.
Sebbene la normativa di nuovo conio sia piu' puntuale nel
disciplinare la casistica, distinguendo tra revoca per violazione
delle prescrizioni e revoca quale conseguenza di fatti di reato, in
concreto le norme sono tutte tese a sanzionare quelle condotte
violative delle prescrizioni o anche integranti ipotesi di reato tali
da non consentire ne' la prosecuzione della misura extramuraria in
origine concessa ne' la sostituzione con altra piu' stringente. Anzi,
nel sistema della legge n. 689/1981 la commissione di un fatto di
reato non e' di per se' sufficiente alla revoca di una pena
sostitutiva, dovendo comunque essere esperito un giudizio
discrezionale sul punto che guardi alla gravita' del fatto, laddove
la condanna sia relativa al delitto di evasione, e si estenda alla
permanenza delle condizioni per la prosecuzione della pena
sostitutiva in caso di commissione di altri reati.
E' chiaro che, in concreto, la commissione di reati sia un indice
altamente negativo; ma la normativa, nella scelta di non instaurare
un automatismo tra condanna e revoca, demandando ad un vaglio di
merito e discrezionale del giudice la scelta sul punto, secondo i
canoni di giudizio richiamati, sembra aver avuto in mente
l'insegnamento della Consulta espresso nella sentenza n. 172/2021.
Dunque, anche la revoca delle pene sostitutive pare postulare un
giudizio che valuti la necessita' di una regressione del trattamento
del condannato avendo egli evidenziato un concreto rischio di
recidiva non arginabile mediante la prosecuzione della stessa o la
sostituzione con altra piu' contenitiva, in termini non dissimili da
quanto avviene nel giudizio di cui all'art. 51-ter O.P.
La pronuncia di revoca cosi' emessa ai sensi dell'art. 66 ovvero
dell'art. 72, legge n. 689/1981 ha poi, degli effetti preclusivi per
l'accesso ad ulteriori benefici, che guardano tanto al sistema delle
pene sostitutive, quanto alle misure alternative alla detenzione.
Sul terreno del rapporto tra revoca di pene sostitutive e future
esecuzioni in forma di pena sostitutiva, viene in rilievo l'art. 59,
comma 1, lett. a) legge n. 689/1981.
La norma citata stabilisce che la pena detentiva non possa essere
sostituita «nei confronti di chi ha commesso il reato per cui si
procede entro tre anni dalla revoca della semiliberta', della
detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilita' ai sensi
dell'art. 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto non
colposo durante l'esecuzione delle medesime pene sostitutive; e'
fatta comunque salva la possibilita' di applicare una pena
sostitutiva di specie piu' grave di quella revocata».
Dalla relazione illustrativa del decreto legislativo n. 150/2022
emerge che tale preclusione e' stata in parte mutuata con riguardo
all'art. 58-quater O.P., in particolare sia per quel che riguarda
alla durata triennale della preclusione e dalla decorrenza della
stessa alla pronuncia di revoca, sia per l'assenza di un meccanismo
di tipo presuntivo, essendo ancorate al fallimento di una precedente
esecuzione in forma di pena sostitutiva (2) . Significativi,
tuttavia, sono gli elementi di novita' che la disposizione presenta
rispetto alla disciplina dell'ordinamento penitenziario.
Infatti, la norma: non opera in via generale, ma solo nei
confronti di chi ha commesso il reato per cui si procede nei tre anni
successivi alla revoca, cosi' evitando che fatti commessi prima della
stessa incorrano in meccanismi di tipo preclusivo; anche rispetto a
chi ha commesso un reato nel corso di una precedente pena sostitutiva
(e, ragionevolmente sia incorso in revoca ex art. 72, legge n.
689/1981) circoscrive la preclusione ai soli delitti non colposi; in
chiusura, fa comunque salva la possibilita' che la persona abbia
accesso ad altra pena sostitutiva piu' grave di quella revocata, non
esaurendo del tutto le chances di ottenere una diversa pena
sostitutiva.
Ma, ancor piu' rilevanti, per le considerazioni che si faranno,
appaiono le conseguenze sul terreno del rapporto tra revoca di una
pena sostitutiva e l'accesso a misure alternative alla detenzione,
disciplinate dall'art. 67, comma 2, legge n. 689/1981.
L'articolo citato, nello stabilire l'inapplicabilita' delle
misure alternative alla detenzione alle pene sostitutive, prevede che
«Salvo che si tratti di minori di eta' al momento della condanna, le
misure di cui al primo comma (vale a dire le misure alternative) non
si applicano altresi', prima dell'avvenuta espiazione di meta' della
pena residua, al condannato in espiazione di pena detentiva per
conversione effettuata ai sensi dell'articolo 66 o del quarto comma
dell'articolo 72».
In forza di tale previsione, dunque, il soggetto che sia incorso
in revoca di una pena sostitutiva, una volta avviata l'espiazione
della pena detentiva risultante puo' in astratto avere accesso ai
permessi premio di cui all'art. 30-ter O.P. e all'art. 21 O.P. senza
alcuna preclusione, nonche', dopo l'espiazione di meta' della pena
residua, alle ulteriori misure alternative alla detenzione.
E cio' sia nel caso in cui la revoca abbia fatto seguito a gravi
violazioni delle prescrizioni, sia nel caso in cui questa sia stata
conseguenza della commissione di fatti di reato, ad esito di un
giudizio che abbia escluso la possibilita' di consentire la
prosecuzione della pena sostitutiva.
E' chiaro che, in concreto, l'elemento negativo rappresentato
dalla revoca della pena sostitutiva sara' difficilmente superabile in
un breve spazio di tempo; tuttavia, la possibilita' di valutare anche
solo ammissibile la domanda del condannato in espiazione di una pena
che residui a seguito del fallimento di una esecuzione penale esterna
(quale e' la pena sostitutiva), consente al Magistrato di
sorveglianza di vagliare nel merito la posizione del richiedente,
individualizzando il giudizio e dando rilievo alle vicende
successive, senza frustrare in via definitiva le chances di accesso a
nuove forme esecutive extramurarie meno incidenti sulla liberta'
personale e piu' orientate al reinserimento sociale.
3. La questione di legittimita' costituzionale rispetto agli artt. 3,
27 comma 3 e 13 Cost.: once more, with feeling.
Cosi' ricostruita la cornice normativa, il Magistrato di
Sorveglianza ritiene che sussistano fondate ragioni di dubitare
dell'attuale compatibilita' costituzionale dell'art. 58-quater, comma
3 O.P. rispetto ai canoni di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.) e
ragionevolezza rispetto ai principi di emenda e minimo sacrificio
necessario della liberta' personale (articoli 3, comma 2 della
Costituzione in relazione agli articoli 27, comma 3 Cost. e 13
Cost.).
Come anticipato, questione apparentemente analoga e' stata piu'
volte respinta dalla Corte, dapprima con declaratoria di
inammissibilita' piuttosto tranchant in ordinanza n. 87/2004.
Sebbene vi siano state poi alcune pronunce di accoglimento
rispetto all'art. 58-quater O.P., queste sono state cesellate dalla
Consulta con riferimento a questioni relative a benefici specifici
(si veda Corte costituzionale 187/2019 in relazione all'art.
47-quinquies O.P.) o a particolari categorie soggettive rispetto alle
quali era presente un automatismo applicativo (si vedano le sentenze
n. 149/2018 e n. 229/2019 rispetto ai condannati per il delitto di
cui all'art. 630 del codice penale).
Recentemente sollecitata ad un revirement rispetto alla propria
precedente giurisprudenza proprio alla luce di queste ulteriori
pronunce, la Corte costituzionale con sentenza n. 173/2021 ha
ribadito l'infondatezza della questione.
Da ultimo, nella sentenza n. 24/2025 la Consulta, seppur
incidentalmente ed in ottica comparativa, ha richiamato le ragioni
per cui l'art. 58-quater O.P. puo' ritenersi espressivo di un
ragionevole esercizio della discrezionalita' del legislatore nella
previsione del meccanismo preclusivo ivi disciplinato.
Tuttavia, la questione qui proposta pone un tema in parte diverso
da quello affrontato nelle pronunce citate e, in particolare,
rispetto a quanto giudicato nella sentenza n. 173/2021.
Anzitutto, non si censura in questa sede la presenza di un
automatismo applicativo tra revoca e preclusione di accesso ai
benefici, ne' l'irragionevolezza di tale previsione normativa in
punto di an, puntando ad ottenere una caducazione totale della
disposizione in esame.
Invero, la necessita' che sussistano dei meccanismi ulteriori
rispetto alla sola revoca della misura, tesi a sanzionare il
fallimento colpevole di un'esperienza extramuraria con un congruo
periodo di regressione del trattamento insuscettibile di deroghe,
seppur capace di comprimere l'aspettativa di rieducazione del
condannato e la sua liberta' personale, ha una propria ragionevolezza
nella misura in cui la prospettiva della preclusione di accesso ad
ulteriori benefici opera sia come elemento psicologico di rinforzo
all'aderenza del condannato alle prescrizioni ed alla misura
alternativa, sia come necessario momento di
riconsiderazione-ripensamento del percorso esterno e di nuova
osservazione inframuraria.
Tuttavia, la stessa risulta sproporzionata laddove tale momento
di regressione, previsto in misura fissa e generalizzata, elimini
qualsiasi spazio di valutazione per i mutamenti significativi che
potrebbero riguardare la personalita' del condannato, svuotando
totalmente di significato rieducativo il prosieguo dell'esecuzione
successivo alla revoca ove la pena residua sia inferiore ai tre anni
ovvero riguardi esecuzioni successive.
E' quel che si realizza nel caso di specie ed e' profilo che la
Consulta aveva gia' indicato al legislatore come un possibile terreno
di intervento normativo per mitigare gli effetti della revoca di una
misura alternativa. Un invito rimasto, sinora, del tutto inascoltato.
In secondo luogo, la questione che qui si intende coltivare
rileva l'irragionevolezza della disciplina di cui all'art. 58-quater
O.P. alla luce delle modifiche normative che hanno interessato il
settore dell'esecuzione penale in epoca successiva alla sentenza
richiamata.
Modifiche che consegnano all'interprete un quadro ordinamentale
in cui possono cogliersi norme, riferibili al nuovo sistema delle
pene sostitutive introdotto con decreto legislativo n. 150/2022, che
dinanzi al fenomeno della revoca di una forma di esecuzione penale
esterna per condotte colpevoli del condannato individuano scelte
valoriali e di bilanciamento degli interessi differenti rispetto a
quanto previsto dall'art. 58-quater O.P. piu' circoscritte sia quanto
all'oggetto che, soprattutto, alla dimensione temporale.
Tali norme, non vigenti allorquando la Consulta e' stata chiamata
a pronunciarsi sull'art. 58-quater, legge n. 354/1975, rappresentano
un elemento di novita' sotto un duplice profilo ai fini della
riproposizione di censure di legittimita' costituzionale dell'art.
58-quater O.P. rispetto ai parametri indicati.
Da un lato, le stesse possono essere assunte nell'ambito di un
giudizio sul rispetto del principio di uguaglianza di cui all'art. 3
Cost. quale tertium comparationis per valutare la ragionevolezza
della differenziazione di trattamento tra le fattispecie ivi
disciplinate e la revoca di una misura alternativa alla detenzione; e
cio', tanto in ottica comparativa nell'ambito di un classico giudizio
triadico, quanto per rimeditare la ragionevolezza intrinseca della
scelta operata dall'art. 58-quater O.P., vagliandone la perdurante
attualita' alla luce di nuove e diverse scelte legislative piu'
tutelanti degli articoli 13 e 27, comma 3 Cost.
Dall'altro, esse si offrono quali opzioni normative alternative
all'art. 58-quater O.P. e, in tesi, costituzionalmente piu'
rispondenti ad un ponderato bilanciamento degli interessi
costituzionali coinvolti, valevoli per individuare una soluzione
costituzionalmente adeguata a eliminare il vulnus creato dall'art.
58-quater O.P. nella sua attuale formulazione.
Poste queste premesse, si e' gia' evidenziato come sussista una
sostanziale omogeneita' tra il giudizio del magistrato di
sorveglianza (o del giudice rispetto ai L.P.U.) in sede di revoca di
una pena sostitutiva ai sensi degli articoli 66 e 72, legge n.
689/1981 e quello del Tribunale di sorveglianza in sede di revoca di
una misura alternativa ai sensi dell'art. 51-ter, legge n. 354/1975.
In entrambi i casi, invero, si tratta di prendere atto
dell'inidoneita' e del fallimento di un determinato percorso
esecutivo esterno per condotte violative o illecite del condannato,
cui si correla una decisione che poggia sulla ritenuta impossibilita'
che l'esecuzione prosegua nelle forme vigenti e sulla inidoneita' di
altre piu' stringenti a rappresentare valida alternativa rispetto al
rischio di recidiva che la persona esprime.
Se questo e' il canone di giudizio, dunque, il soggetto che sia
incorso in revoca di una pena sostitutiva e' da intendersi, quanto
alla sua posizione costituzionale all'interno delle polarita' che
governano l'esecuzione penale - finalita' rieducativa e minimo
sacrificio della liberta' personale da un lato, istanza di certezza
della pena e sicurezza sociale dall'altro; poli all'interno dei quali
si muove la magistratura di sorveglianza, come funambolo alla ricerca
dell'equilibrio che tuteli gli uni senza annichilire gli altri - alla
medesima stregua di chi sia incorso nella revoca di una misura
alternativa alla detenzione.
Entrambi, infatti, hanno dato prova di non adeguatezza nel corso
dell'esecuzione extramoenia e sono stati parimenti giudicati
meritevoli di regredire nel trattamento, incorrendo nel ripristino
della pena detentiva e nella carcerazione.
Eppure, mentre il primo puo' senza alcuna preclusione normativa
avere accesso ai permessi premio ed al lavoro all'esterno e, espiata
meta' della pena residua successiva alla revoca, puo' astrattamente
persino ottenere l'ammissione ad una misura alternativa, facendo
valere i progressi trattamentali successivi alla revoca, il secondo
vede il proprio orizzonte trattamentale schiacciato per un intero
triennio sia nel corso dell'esecuzione che in quelle eventualmente
successive.
E cio' anche laddove il primo sia incorso in revoca della pena
sostitutiva per la commissione di un fatto di reato non colposo nel
corso della stessa, mentre il secondo abbia subito la revoca per
gravi violazioni delle prescrizioni non integranti condotte
delittuose.
La differenza di trattamento tra le due fattispecie di revoca in
punto di accesso alle misure alternative non potrebbe essere piu'
evidente ed irrazionale, nella misura in cui assoggetta a discipline
sensibilmente disomogenee situazioni che non possono non valutarsi
come identiche rispetto ai canoni costituzionali di cui agli art. 13
e 27, comma 3 Cost.
Cio' appare non coerente, dunque, con il principio di uguaglianza
sostanziale, con lesione dell'art. 3 Cost., nella misura in cui la
legge oggi fa discendere da un medesimo fatto, la revoca colpevole di
una misura extramuraria, conseguenze estremamente divergenti rispetto
all'accesso alle misure alternative alla detenzione, sottoponendo un
idem factum a discipline del tutto eterogenee.
E cio' esclusivamente sulla base di un elemento formalistico, la
tipologia di pena su cui il giudizio di revoca si appunta; un
elemento che, in un'ottica di massimizzazione della tutela dei
principi costituzionali, si assume non dovrebbe essere rilevante
rispetto alle scelte valoriali e di bilanciamento degli interessi
costituzionali in gioco dinnanzi a situazioni sostanzialmente
omogenee.
La differenziazione di trattamento teste' evidenziata si palesa
poi, irragionevole rispetto al sacrificio che la norma di cui
all'art. 58-quater O.P. impone al principio di emenda di cui all'art.
27, comma 3 Cost. laddove la revoca riguardi una misura alternativa
alla detenzione, a differenza quanto avviene in sede di revoca di una
pena sostitutiva.
La normativa di nuovo conio, infatti, lascia diversi margini
residui al principio di rieducazione, non solo per la perdurante
possibilita' in capo al soggetto incorso in revoca di una pena
sostitutiva di accedere ad altre pene sostitutive piu' gravi, ma
soprattutto perche' limita alla meta' della pena residua risultante
dalla revoca il meccanismo di preclusione all'accesso alle misure
alternative alla detenzione previste dall'ordinamento penitenziario.
Con cio' operando un bilanciamento di valori che non esaurisce in via
definitiva in ragione della revoca la possibilita' che il residuo
pena da espiare dal condannato venga incanalato in un percorso di
reinserimento sociale nelle forme delle misure alternative alla
detenzione.
Si tratta, invero, di opzione normativa certamente piu' idonea di
quella contenuta nell'art. 58-quater O.P., nella misura in cui,
imponendo una regressione a tempo del trattamento che non esaurisce
la pena in espiazione, consente al condannato di avere innanzi a se'
un orizzonte possibile entro cui orientare i propri sforzi e le
proprie energie; laddove, a contrario, l'art. 58-quater O.P., nella
sua dimensione temporale assoluta, non fa seguire alla regressione
alcuno spiraglio di evoluzione in termini risocializzanti. Cio'
frustra irrimediabilmente la funzione rieducativa, disincentivando il
condannato a qualsiasi impegno nel trattamento, in quanto sforzo
irrilevante ed inutile, non spendibile ne' entro l'esecuzione
pregiudicata dalla revoca, ne' nel triennio successivo.
Sussisterebbe, in quest'ottica, una lesione dell'art. 3, comma 2
in relazione all'art. 27, comma 3 Cost. per violazione del canone di
proporzionalità -ragionevolezza.
Da ultimo, per le medesime ragioni, ad essere pregiudicato
risulta altresi' l'art. 13 Cost.
La preclusione triennale ed assoluta imposta dall'art. 58-quater,
legge n. 354/1975 come conseguenza della revoca di una misura
alternativa, infatti, non consente di mantenere una adeguata e
puntuale corrispondenza tra il sacrificio che essa impone alla
liberta' personale e la necessita' che tale sacrificio sia
effettivamente imposto.
Esemplificando: nel caso in cui dopo la revoca della misura la
persona abbia cessato di esprimere il rischio di recidiva valutato
dal Tribunale di sorveglianza all'atto della decisione ex art. 51-ter
O.P. tale da non consentire la prosecuzione del beneficio, questi
sarebbe parimenti sottoposto per tre anni o sino al termine della
pena, laddove questa sia inferiore ai tre anni, ad esecuzione
inderogabilmente inframuraria, massimamente restrittiva della sua
liberta' personale, senza che a cio' corrisponda, di rimando una
reale esigenza di difesa sociale.
La possibilita' che questo avvenga senza che la legge preveda
deroghe alla preclusione di cui all'art. 58-quater O.P., a giudizio
di questo magistrato, sarebbe gia' sufficiente a ritenere fondato il
vulnus costituzionale denunciato rispetto all'art. 13 Cost.
Ma, mantenendosi nell'ottica del raffronto col tertium
rappresentato dalla disciplina delle pene sostitutive, la frizione
costituzionale evidenziata assume i colori foschi della patente
irragionevolezza, laddove si consideri che, rispetto all'accesso alle
misure alternative alla detenzione, nel sistema della legge n.
689/1981 la restrizione forzata della liberta' personale di chi sia
incorso in revoca di una pena sostitutiva e' dall'art. 67
temporalmente circoscritto a meta' della pena residua ad esito della
revoca.
Il che consente di valorizzare le modificazioni soggettive che,
oltre ad essere frutto del percorso di rieducazione, facciano
ritenere non piu' attuale quel giudizio di concreto rischio di
recidiva reso in sede di revoca.
La situazione descritta, dunque, nella sua irragionevolezza,
appare lesiva dell'art. 3, comma 2 Cost. inrelazione all'art. 13
Cost.
3.1. La soluzione costituzionalmente adeguata.
Ad esito della disamina condotta, deve evidenziarsi che le scelte
operate dal legislatore delegato in materia di pene sostitutive di
cui agli articoli 59 e 67, legge n. 689/1981 appaiono frutto di un
diverso bilanciamento di valori costituzionali rispetto alla
fattispecie della revoca; bilanciamento maggiormente orientato alla
tutela della tensione rieducativa della pena di cui all'art. 27,
comma 3 Cost. e del favor verso opzioni esecutive complessivamente
piu' rispettose anche del principio di minimo sacrificio necessario
della liberta' personale di cui all'art. 13 Cost.
Rispetto a tali soluzioni normative di fonte legislativa, l'art.
58-quater O.P. risulta oggi frutto di un bilanciamento non piu'
attuale dei beni costituzionali rilevanti, che realizza un massimo e
totale sacrificio degli uni anche ove a tale sacrificio non
corrisponda un'espansione della tutela degli altri, come tale
costituzionalmente inadeguato e meritevole di essere riconsiderato in
punto di durata del meccanismo preclusivo, soprattutto ove
confrontato con le diverse opzioni operate in altro settore omologo.
La soluzione al vulnus costituzionale, tuttavia, non puessere
quella della caducazione sic et simpliciter della norma di cui
all'art. 58-quater, commi l, 2 e 3 O.P.
Tale esito, invero, se consentirebbe di espandere al massimo
grado la tutela degli articoli 13 e 27, comma 3 Cost., non sarebbe
coerente con la garanzia di altrettanti e parimenti rilevanti
principi costituzionali, oltre che apparire troppo favorevole in
eccesso rispetto alle preclusioni, piu' miti ma pur presenti, che si
rinvengono nella legge n. 689/1981.
Appare, dunque, preferibile individuare una diversa formulazione
normativa che nello spettro delle varie alternative possibili tra
l'attuale formulazione e l'assenza di preclusioni, possa essere
assunta quale soluzione costituzionalmente adeguata a contemperare
gli interessi in gioco.
Gia' in altre occasioni, infatti, la Corte costituzionale,
discostandosi dalla teoria delle cosiddette soluzioni a rime
obbligate, ha recentemente adottato pronunce in cui sono state
accolte soluzioni di tipo additivo-manipolativo che, pur se non
obbligate, apparivano adatte a offrire una cornice di tutela adeguata
rispetto ai vulnera costituzionali denunciati dai giudici rimettenti,
evitando al contempo che la declaratoria di incostituzionalita'
creasse vuoti di disciplina e precludesse, in astratto, un intervento
del legislatore che, nell'esercizio della sua discrezionalita' e
tenendo fermi i criteri costituzionali minimi offerti dalla Corte,
desse una diversa riorganizzazione alla materia.
Si tratta di un'ermeneutica costituzionale ormai consolidatasi ed
espressa in diverse pronunce della Consulta (si vedano la sentenza n.
40 del 2019, punto 4.2. del Considerato in diritto; sentenza n. 236
del 2016, punto 4.4. del Considerato in diritto; sentenza n. 222 del
2018, punto 8.1. del Considerato in diritto; recentemente sentenza n.
46 del 2024, punto 4 e seguenti del Considerato in diritto; ex
multis, nello stesso senso, sentenze n. 95 del 2022, punto 5 del
Considerato in diritto, e n. 252 del 2020, punto 4.6. del Considerato
in diritto). Sebbene i precedenti citati hanno in massima parte
riguardato norme relative a giudizi in cui era oggetto di censura
l'adeguatezza-ragionevolezza del trattamento sanzionatorio, non sono
mancate pronunce che hanno fatto applicazione della teoria delle
soluzioni costituzionalmente adeguate anche nell'ambito della materia
della sorveglianza: si pensi alle sentenze n. 253/2019 e n. 10/2024,
rispettivamente, in tema di accesso ai permessi premio per condannati
per delitti di cui all'art. 4-bis, comma 1 O.P. in assenza di
collaborazione con la giustizia ed in tema di a affettivita'
inframuraria e divieto di colloqui intimi, ove la Corte ha
sostanzialmente individuato il portato minimo di tutela
costituzionalmente necessitato per rispondere alle censure mosse dai
giudici a quo, lasciando comunque un margine di discrezionalita' al
potere legislativo.
Alla luce dell'ermeneutica costituzionale citata, si ritiene che
la soluzione costituzionalmente adeguata sarebbe quella di mutuare
quanto previsto dall'art. 67, comma 2, legge n. 689/1981 per
l'ipotesi di accesso alle misure alternative susseguente alla revoca
di una pena sostitutiva, modificando esclusivamente la durata della
preclusione ed ancorando la stessa ad una porzione della pena
residua, mantenendo, comunque, fermo il limite massimo di tre anni.
Tale ulteriore specificazione appare necessaria in quanto,
sebbene la maggior parte delle misure alternative alla detenzione
abbiano un limite di pena di accesso omologo a quanto previsto in
materia di pene sostitutive e contenuto entro gli anni quattro, vi
sono misure alternative alla detenzione quali la semiliberta' che
possono essere fruite anche ove la pena residua sia di molto
superiore.
In questi casi, l'operare della preclusione senza un limite
massimo di durata porterebbe ad inasprire la disciplina attuale,
realizzando un effetto in malam partem in una materia, l'accesso alle
misure alternative alla detenzione, ormai pacificamente rientrante
nel diritto penale sostanziale (Corte costituzionale 32/2020).
E, d'altronde, l'imposizione di un limite massimo che ricalchi
quello attuale risponde parimenti ad una necessita' di adeguata
tutela dei beni costituzionali in gioco, laddove si consideri che lo
stesso legislatore ha inteso il triennio quale orizzonte oltre il
quale il limite di accesso ai benefici risulta inadeguato.
L'art. 58-quater O.P., comma 3, dunque, risulterebbe
incostituzionale nella parte in cui prevede che «il divieto di
concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento
della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena o e' stato
emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2» invece di
stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre tre
anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2».
Si ritiene di poter individuare questa quale soluzione
costituzionalmente adeguata, mutuandola dall'art. 67, comma 2, legge
n. 689/1981 e non gia' altre piu' favorevoli opzioni pure previste
dalla legge n. 689/1981 nel rapporto tra revoca ed ammissione ad
altre pene sostitutive, sulla base della seguente considerazione.
Se e' vero che sussiste una chiara omogeneita' sostanziale tra
pene sostitutive e pene detentive espiate in forma di misura
alternativa, alcuni profili di differenziazione suggeriscono di non
omologare le discipline quanto alla modalita' di operazione della
preclusione prevista dall'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981. Da
un lato perche' questa norma e' orientata ad una valutazione sulla
possibilita' di sostituire la pena detentiva con la pena sostitutiva,
partendo dal presupposto che queste riguardino solo pene detentive
brevi e fatti di minore rilievo, mentre la pena detentiva puo'
riguardare anche delitti e condanne di maggiore gravita'. Dall'altro,
perche' il meccanismo preclusivo in questione opera solo all'interno
del sistema chiuso delle pene sostitutive e non spiega alcun effetto
rispetto alla possibilita' di accesso alle misure alternative alla
detenzione. Invero, anche se in applicazione della preclusione
soggettiva di cui all'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981 la pena
detentiva non potra' essere sostituita, trattandosi di condanna
comunque inferiore ai quattro anni, la persona potra' avanzare
domande di misure alternative ai sensi dell'art. 656, comma 5 del
codice di procedura penale. Dunque, pur individuando una possibile
opzione di risposta normativa rispetto alla revoca di una pena lato
sensu extramuraria, l'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981 non
incide in termini assoluti sul principio di rieducazione e sulla
liberta' personale, mantenendo i propri effetti circoscritti
all'esclusione di una possibilita' di accesso ad espiazione non
carceraria, vale a dire quella offerta dalla sostituzione della pena
detentiva in pena sostitutiva, senza pregiudicare in alcun modo le
altre previste dall'ordinamento nel suo complesso.
Viceversa, l'art. 67, comma 2, legge n. 689/1981 e' norma che
attribuisce alla revoca di una pena sostitutiva un rilievo esterno al
sistema delle pene sostitutive, precludendo in assoluto l'accesso
alle altre forme di espiazione extramuraria previste dall'ordinamento
penitenziario e, come tale, realizza effetti omologhi a quanto
previsto dall'art. 58-quater O.P.; con l'unica e rilevante differenza
di circoscrivere l'oggetto ed il tempo della preclusione si' da non
frustrare in via definitiva la successiva espiazione della pena
rispetto ai principi di emenda e di sacrificio minimo della liberta'
personale.
E' questa, dunque, a parere di questo magistrato, la soluzione
coerente e costituzionalmente adeguata a rimuovere illc et immediate
il vulnus costituzionale che l'attuale formulazione dell'art.
58-quater O.P. realizza per la fissita' dei suoi effetti.
Tale opzione, infatti, come si e' detto, individua un punto di
equilibrio tra le istanze de libertate e di rieducazione del
condannato e quelle di sicurezza sociale cristallizzate nella
pronuncia di revoca, che sacrifica le prime per un tempo di congruo a
consentire che la persona, proprio mediante il ripristino
dell'osservazione e del trattamento intramurario, dimostri una
evoluzione che consenta di ritenere non piu' attuale il giudizio di
concreto rischio di recidiva reso in sede di revoca.
Esito che appare, invero, estremamente coerente con la
giurisprudenza costituzionale espressa dalle sentenze n. 173/2021 e
n. 24/2025.
Invero, se il combinato disposto degli articoli 51-ter e
58-quater, legge n. 354/1975 ha, nella lettura costituzionale
espressa dalla Consulta, la funzione di imporre una regressione del
trattamento in virtu' di un giudizio di inadeguatezza della misura,
il ripristino della carcerazione deve razionalmente avere come
obiettivo non soltanto la neutralizzazione del rischio di recidiva
che la persona esprime, ma anche la possibile costruzione di una
nuova prospettiva trattamentale e rieducativa.
Obiettivo che la normativa attuale sacrifica in toto, ove la pena
si esaurisca entro il triennio, senza consentire al Tribunale di
sorveglianza di graduare gli effetti della propria pronuncia.
Merita, poi, di evidenziarsi che, se la soluzione proposta
certamente depotenzia in qualche misura l'effetto di deterrenza della
preclusione di cui all'art. 58-quater O.P. rispetto alla fase
terminale dell'espiazione della pena in misura alternativa, posto che
l'ancoraggio alla meta' della pena residua risultante dalla revoca
riduce in via direttamente proporzionale all'avvicinarsi del fine
pena il metus rappresentato dalla minaccia della preclusione stessa,
la ragionevolezza di tale opzione puo' cogliersi sia dal raffronto
con l'art. 67, legge n. 689/1981 sia andando a vagliare in che
termini questa opzione bilancia i beni costituzionali in gioco in
termini piu' equilibrati di quanto non faccia l'art. 58-quater O.P.
Infatti, il vantaggio concreto che questa soluzione realizza in
punto di tutela dei beni costituzionali assunti quale parametro di
riferimento (27, comma 3 e 13 Cost.) non si traduce in un
annientamento delle esigenze di sicurezza sociale connesse al
prosieguo dell'esecuzione residuante da revoca e delle eventuali
esecuzioni successive, potendo queste ben essere adeguatamente
tutelate nel giudizio di merito innanzi alla magistratura di
sorveglianza.
E cio' evidenzia come la soluzione che si ritiene adeguata, gia'
a monte esprime una ponderazione piu' oculata dei beni costituzionali
coinvolti nell'esecuzione pena di quanto non faccia l'art. 58-quater
O.P., che sacrifica irrimediabilmente gli uni (principio di emenda,
liberta' personale) in favore degli altri (sicurezza sociale).
Vi e' poi da considerare come la soluzione prospettata
consentirebbe, rispetto alla misura dell'affidamento in prova al
servizio sociale, di graduare effettivamente il tempo della
preclusione.
Il Tribunale di sorveglianza, in sede di revoca dell'affidamento
in prova, e' titolare di un potere di rideterminare la pena residua,
previsto dall'art. 98, comma 7, decreto del Presidente della
Repubblica n. 230/2000, con facolta' di indicare quale porzione della
pena eseguita in affidamento in prova possa ritenersi non validamente
espiata in ragione dei fatti che hanno condotto alla revoca.
Si tratta di un obbligo/potere che, come indicato dalla lettura
del giudizio di revoca offerta dalle sentenze n. 173/2021 e n.
24/2025 su citate, rappresenta uno degli ulteriori fattori che il
Tribunale di sorveglianza deve soppesare e che, spesso, nel diritto
vivente e' recessivo dinnanzi all'attuale meccanismo preclusivo fisso
stabilito dall'art. 58-quater O.P. Dinnanzi alla prospettiva di una
preclusione triennale che esaurisce la pena residua, infatti,
l'ulteriore aggravio dato dal considerare una quota di pena non
validamente espiata, porta a limitare gli effetti di cui all'art. 98,
comma 7, decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000.
Ove si accogliesse la questione qui prospettata, invece, il
Tribunale di sorveglianza potrebbe effettuare davvero ed in modo
compiuto quella «ponderazione degli effetti della revoca» cui fa
riferimento la Corte costituzionale, incidendo sulla pena residua e,
indirettamente, sulla durata della preclusione di accesso ai
benefici, si' da gradare in concreto, con una valutazione casistica
ed individualizzata (dunque fondata sull'art. 27, comma 3 Cost.), gli
effetti della propria pronuncia alla gravita' dei fatti che impongono
la regressione del trattamento.
Ma, anche rispetto alle altre misure alternative, la
rimodulazione della durata del meccanismo preclusivo nei termini
indicati non esporrebbe a incalcolabili rischi di ammissione ad
esecuzione penale esterna soggetti gia' giudicati come pericolosi.
La circoscrizione della durata dello stop ai benefici, infatti,
inciderebbe solo sulla possibilita' di accedere ad una valutazione di
merito e non gia' sull'accesso al beneficio tout court, rimanendo
questa valutazione ancorata al puntuale apprezzamento della
magistratura di sorveglianza.
Nel giudizio successivo alla revoca di precedente beneficio,
dunque, la revoca svolgera' ragionevolmente un ruolo principe nelle
valutazioni del giudice, ponendosi quale elemento di fatto altamente
negativo in chiave prognostica, per vincere il quale il condannato
dovra' fornire adeguati indici di sviluppo del trattamento
successivo, che consentano di superare la necessita' di regressione e
l'elevato rischio di recidiva che la revoca ha riconosciuto.
Un giudizio, dunque, difficilmente superabile senza un concreto
impegno nel trattamento da parte del condannato, ma che allo stato e'
assolutamente precluso e che, ove accolta la questione, sarebbe
quanto meno in astratto possibile.
Tutte le ragioni esposte militano nel senso di ritenere l'art.
58-quater O.P., comma 3 incostituzionale per violazione degli
articoli 3, comma l Cost. e 3, comma 2 in relazione agli articoli 13
e 27, comma 3 Cost., nella parte in cui prevede che «il divieto di
concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento
della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena o e' stato
emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2» invece di
stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre tre
anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2».
Prima di procedere verso le conclusioni, e' opportuno evidenziare
che, laddove la Consulta, pur accogliendo la questione non ritenesse
di condividere la soluzione prospettata, nulla impedirebbe al giudice
delle leggi di individuare altra formulazione costituzionalmente
adeguata dell'art. 58-quater O.P. capace di ricondurre a legittimita'
costituzionale la norma.
Come ribadito nella sentenza n. 46/2024 della Corte
costituzionale, infatti, «"il petitum dell'ordinanza di rimessione ha
la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse
dal giudice rimettente", ma non vincola questa Corte, che, "ove
ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la
pronuncia piu' idonea alla reductio ad legitimitatem della
disposizione censurala" (sentenza n. 221 del 2023, punto 4 del
Considerato in diritto; in senso conforme, piu' di recente, sentenza
n. 12 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto)».
3.2. Rilevanza, non manifesta infondatezza ed impossibilita' di
superare la norma con interpretazione costituzionalmente orientata.
Cosi' posta, la questione risulta certamente rilevante nel caso
di specie e, per le ragioni su esposte, non manifestamente infondata.
In punto di rilevanza, infatti, a normativa vigente, questo
magistrato di sorveglianza dovrebbe definire il procedimento con
declaratoria di inammissibilita' ex art. 58-quater, commi l, 2 e 3,
legge n. 354/1975.
Laddove, accolta la soluzione caldeggiata da questo magistrato di
sorveglianza, invece, gli effetti della revoca in cui e' incorso B.
S. sarebbero ad oggi esauriti e, dunque, questo magistrato potrebbe
valutare nel merito, secondo i canoni su espressi, la domanda di B.
E cio' si ritiene sufficiente, a prescindere da un vaglio circa
l'eventuale accoglimento nel merito dell'istanza di B., a ritenere
integrato il primo requisito di ammissibilita'.
E' noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ormai affermato
una nozione di rilevanza della questione che prescinde dall'eventuale
diretta incidenza sull'esito del giudizio a quo, descritta come
rilevanza giuridica (3) .Secondo tale orientamento, ormai
maggioritario e condiviso, il requisito di rilevanza sussiste anche
qualora la decisione della Corte sia idonea ad incidere nel giudizio
a quo anche solo nel senso di imporre al giudice un diverso percorso
logico-giuridico-argomentativo, pur rimanendo in ipotesi identico
l'esito del giudizio.
Merita, poi, di evidenziarsi, sempre in punto di rilevanza che,
sebbene potrebbe in astratto dubitarsi della rilevanza di una
questione di costituzionalita' nell'ambito di un procedimento
cautelare qual e' quello oggi in decisione, dovendo questo essere
tendenzialmente decidibile allo stato degli atti, si tratta di
profilo piu' pratico operativo che non giuridico e, come tale,
irrilevante.
Invero, anche in un procedimento cautelare, l'ammissibilita'
della domanda proposta e' questione preliminare alla valutazione
della decidibilita' nel merito che, invero, preclude tale ulteriore
vaglio.
In questo senso, la pregiudizialita' della questione di
costituzionalita' sussiste anche in un procedimento monitorio e non
puo' essere elusa dal giudice semplicemente rilevando che l'incidente
di costituzionalita' mal funzionerebbe nel tipo di strumento
azionato.
Peraltro, la Consulta, nel ribadire la nozione di rilevanza
giuridica, nella sentenza n. 30/2022 ha altresi' sottolineato come
anche eventuali evenienze successive, che evidenzino l'infondatezza
dell'istanza in relazione alla quale e' sorto il dubbio di
costituzionalita' o la non piu' attuale utilita' della stessa nel
giudizio a quo non esplicano effetti sul giudizio incardinato innanzi
alla Corte, essendo l'incidente di costituzionalita' caratterizzato
da autonomia rispetto alle vicende sostanziali del caso da cui esso
origina (4) . Il caso era quello di una domanda inammissibile in sede
cautelare rispetto alla quale il giudice a quo aveva sollevato
questione di costituzionalita' dell'art. 47-quinquies O.P.,
evidenziando di non poter valutare il merito della domanda. Il
procedimento cautelare era, dunque, sospeso, mentre il procedimento
dinnanzi al Tribunale di sorveglianza esitava in un rigetto.
A fronte dell'eccezione di sopravvenuta irrilevanza della
questione per esser stata definita la domanda principale, la Corte ha
espresso i principi sopra richiamati, che si ritiene siano valevoli
anche nel caso di cui ci si occupa.
In questo senso, la questione e' certamente rilevante ai fini
della decisione della domanda cautelare, impedendo l'art. 58-quater
O.P. a questo giudice di esaminare il merito della richiesta e lo e'
oggi, rendendo irrilevante l'eventuale prosieguo della vicenda
esecutiva di B. dinnanzi al Collegio o la scarcerazione del
condannato prima che si concluda il giudizio innanzi alla Corte
(esito purtroppo in concreto non irrealistico, a fronte di un fine
pena che potrebbe essere anticipato a inizio novembre 2025).
Deve, tuttavia, precisarsi che la sospensione del giudizio in
sede cautelare con l'inoltro alla Corte costituzionale determinera'
una stasi dell'attuale procedura, senza trasmissione degli atti al
Tribunale di sorveglianza di Bologna.
Ove questa A.G., pur eccependo la costituzionalita' della norma,
trasmettesse gli atti al Tribunale di sorveglianza per il prosieguo,
infatti, si spoglierebbe della domanda con un esaurimento della
potesta' di decisione del giudice a quo, tale da caducare la
rilevanza della questione.
L'esito dinnanzi alla Corte, dunque, sarebbe nel senso della
manifesta inammissibilita' della questione, per esser venuta meno
l'incidentalita' della stessa nel giudizio, come affermato da
costante giurisprudenza della Consulta (si veda, recentemente
l'ordinanza n. 41/2025 del 10 marzo 2025, ove si ribadisce che «per
effetto della consumazione della potestas iudicandi in capo al
rimettente, viene meno l'indefettibile presupposto della
incidentalita' delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate, con conseguente manifesta inammissibilita' delle stesse
(ex multis, sentenza n. 212 del 2023)»).
In questo senso, sara' onere della difesa, al fine di coltivare
innanzi al Tribunale di sorveglianza la propria domanda, formulare
autonoma richiesta all'organo collegiale nelle more dell'incidente di
costituzionalita'.
Quanto alla non manifesta infondatezza, ci si richiama alle
considerazioni svolte supra al § 3 ne seguenti circa il perimetro
della questione qui proposta, le differenze di fatto e di diritto che
richiedono, a parere di questa autorita', di riconsiderare
parzialmente la decisione assunta dalla Consulta con sentenza n.
173/2021, ribadendosi come la questione qui posta poggi su una
diversa causa petendi e proponga un diverso petitum al giudice delle
leggi rispetto alle questioni gia' esaminate.
In merito, da ultimo, alla possibilita' di esperire una
interpretazione costituzionalmente orientata del tessuto normativo, a
fronte della chiarezza letterale del testo di legge, non appare
possibile interpretare l'art. 58-quater O.P. se non nel senso che la
norma precluda per tre anni l'accesso ai benefici penitenziari.
Eventuali interpretazioni tese a temperare la rigidita' di tale
meccanismo risulterebbero all'evidenza contra legem.
4. Conclusioni.
Alla luce della disamina sin qui condotta, il magistrato di
sorveglianza giudica fondati i dubbi di costituzionalita' sollevati
dalla difesa avverso l'art. 58-quater, comma 3, legge n. 354/1975 in
relazione agli articoli 3 Cost., 3, comma 2 in relazione agli art. 13
e 27, comma 3 Cost. nella parte in cui prevede che «il divieto di
concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento
della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena o e' stato
emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2» invece di
stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre tre
anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2».
(1) Cfr. C. costituzionale n. 173/2021 § 3.3.3, ove la Corte Cosi
motiva: «il tribunale di sorveglianza ha oggi la possibilita' di
reagire alla commissione di comportamenti suscettibili di
determinare la revoca della misura alternativa attraverso una
pluralita' di risposte: la prosecuzione della misura nonostante
la condotta inosservante da parte del condannato; la sua
sostituzione con altra misura; e infine la sua revoca, riservata
evidentemente ai casi piu' gravi, che dimostrino la necessita' di
una regressione del percorso rieducativo e di un almeno
temporaneo ripristino del regime di detenzione, in particolare in
funzione di contenimento di un concreto rischio di recidiva
evidenziatosi in capo al condannato. Nell'esercitare tale
discrezionalita', il tribunale non potra' non tenere conto anche
delle conseguenze particolarmente gravose associate alla revoca,
e in particolare della preclusione - nell'arco di un intero
triennio -relativa alla concessione di ogni altra misura
alternativa o beneficio penitenziario, diversi dalla liberazione
anticipata. La preclusione qui all'esame discende dunque da una
valutazione caso per caso da parte del giudice di sorveglianza,
effettuata sulla base non gia' di presunzioni legate al titolo di
reato o allo status di recidivo del condannato, ma del percorso
da lui concretamente compiuto durante l'esecuzione della pena, e
in particolare di specifiche condotte in violazione delle
prescrizioni inerenti alla misura alternativa, che ne hanno
determinato un giudizio di non meritevolezza rispetto alla
possibilita', gia' concessagli una prima volta, di eseguire la
propria pena in regime extramurario.»
(2) Cfr. Relazione Cartabia pag. 214 «Questa preclusione soggettiva
non e' legata a logiche presuntive ma rappresenta una sanzione
per l'inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni delle tre
pene sostitutive: nei tre anni successivi alla revoca ex art. 66,
infatti, la pena sostitutiva non puo' essere applicata per un
nuovo reato. Con cio' intende rafforzare, sul piano preventivo,
l'osservanza degli obblighi e delle prescrizioni, secondo un
modello di disciplina previsto, per le misure alternative alla
detenzione, dall'art. 58-quater, comma 2-3. Ad analoga finalita'
e' ispirata la preclusione che riguarda chi ha commesso proprio
il reato per cui si procede mentre si trovava in esecuzione di
una pena sostitutiva, revocata ai sensi dell'art. 72. Tale
preclusione viene limitata all'ipotesi in cui il reato commesso
sia di particolare gravita' (un delitto non colposo).»
(3) Con le parole della Consulta, «anche nella prospettiva di un piu'
diffuso accesso al sindacato di costituzionalita' (messa in
risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n. 77 del
2018) e di una piu' efficace garanzia della conformita' a
Costituzione della legislazione (profilo valorizzato, da ultimo,
nella sentenza n. 174 del 2019), il presupposto della rilevanza
non si identifica con l'utilita' concreta di cui le parti in
causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione (sentenza
n. 20 del 2018)»; cosi Corte costituzionale 254/2020.
(4) Si veda, in particolare Corte costituzionale n. 30/2022 laddove
e' affermato che «Per costante giurisprudenza di questa Corte, la
rilevanza della questione incidentale si configura come
necessita' di applicare la disposizione censurata, senza
identificarsi nell'utilita' concreta per la parte del giudizio
principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n. 172 e n. 59 del
2021, n. 254 del 2020 e n. 174 del 2019). [...] Per l'autonomia
che lo caratterizza, il giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale non risente delle vicende di fatto successive
all'ordinanza di rimessione, sicche' la rilevanza delle questioni
deve essere vagliata ex ante, con riferimento al tempo della
prospettazione (da ultimo, sentenze n. 22 e n. 7 del 2022, n. l
27 del 2021, n. 270, n. 244 e n. 85 del 2020).».
P. Q. M.
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei termini indicati, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 58-quater, comma 3 O.P. per contrarieta' agli articoli 3
Costituzione, 3, comma 2 Costituzione in relazione agli articoli 13 e
27, comma 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che «il
divieto di concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni
dal momento della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena
o e' stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2»
invece di stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera
per un periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non
oltre tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione
della custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di
revoca di cui al comma 2».
Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale;
Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Cosi' deciso in Bologna, il 15 luglio 2025
Il magistrato di sorveglianza: Romano
Oggetto:
Ordinamento penitenziario - Misure alternative alla detenzione - Revoca di una misura alternativa alla detenzione - Divieto di concessione di benefici – Previsione che il divieto di concessione dei benefici opera “per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2” dell’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975 anziché “per un periodo pari alla metà della pena residua e, comunque, non oltre tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2.” – Violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza in relazione ai principi della funzione rieducativa della pena e della inviolabilità della libertà personale.
Norme impugnate:
legge del 26/07/1975 Num. 354 Art. 58 Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co. 1
Costituzione Art. 3 Co. 2
Costituzione Art. 13 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2025
Ordinanza del 15 luglio 2025 del Tribunale di sorveglianza di Bologna
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di S. B..
Ordinamento penitenziario - Misure alternative alla detenzione -
Divieto di concessione di benefici - Previsione che il divieto di
concessione dei benefici opera "per un periodo di tre anni dal
momento in cui e' ripresa l'esecuzione della custodia o della pena
o e' stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2"
dell'art. 58-quater della legge n. 354 del 1975, anziche' "per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre
tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca
di cui al comma 2."
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario
e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della
liberta'), art. 58-quater, comma 3.
(GU n. 40 del 01-10-2025)
UFFICIO DI SORVEGLIANZA
Il Magistrato di sorveglianza
Visti gli atti relativi ali 'istanza di ammissione alla misura
della detenzione domiciliare in via provvisoria ed urgente ex art.
47-ter, comma 1-quater, legge n. 354/1975 presentata da B. S., nato
... (...) il ..., detenuto presso la Casa circondariale di Ferrara in
relazione alla pena di cui alla sentenza n. 679/2020 emessa dal
G.I.P. di Padova, pari ad anni 1 di reclusione; decorrenza pena 20
dicembre 2024; fine pena 19 dicembre 2025.
Osserva
Con istanza del 2 luglio 2025 il difensore di B. S., ha avanzato
presso l'Ufficio di sorveglianza di Bologna distinte domande di
detenzione domiciliare in via provvisoria e di esecuzione della pena
presso il domicilio in relazione al titolo in epigrafe, da fruirsi
presso il domicilio del sig. ..., sito in (...), via ... n. ... .
Il presente procedimento attiene alla domanda di detenzione
domiciliare in via provvisoria ed urgente ex art. 47-ter, comma
1-quater, legge n. 354/1975, mentre la domanda esecuzione pena presso
il domicilio e' stata iscritta al n. SIUS UDS 2025/9022.
L'istanza difensiva fa seguito a precedenti determinazioni di
questa autorita' giudiziaria e del Tribunale di sorveglianza di
Bologna che hanno evidenziato l'inammissibilita' delle domande
proposte da B. S. in forza del divieto triennale di accesso ai
benefici penitenziari di cui all'art. 58-quater, comma 2, legge n.
354/1975.
L'attuale esecuzione penale, infatti, origina da provvedimento
del Tribunale di sorveglianza di Venezia (SIUS TDS Venezia 2024/4628
del 18 novembre 2024) che ha dichiarato, in applicazione dell'art.
58-quater O.P., l'inammissibilita' delle domande di misure
alternative proposte da B. ai sensi dell'art. 656, comma 5 c.p.p.
sulla condanna in espiazione, per essere il detenuto incorso nella
revoca di misura alternativa alla detenzione in data 13 febbraio 2024
giusta ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Brescia, che ha
revocato l'esecuzione pena presso il domicilio concessa all'istante
dal Magistrato di sorveglianza di Milano per condotte incongrue
avvenute nel corso della misura.
Analogamente, l'Ufficio di sorveglianza di Bologna ha rilevato
l'inammissibilita' delle istanze di detenzione domiciliare in via
provvisoria e di esecuzione della pena presso il domicilio proposte
in precedenza dal condannato. Quanto alla domanda di detenzione
domiciliare trasmessa al Tribunale di sorveglianza di Bologna, il
relativo procedimento (SIUS TDS 2025/2632) si e' concluso con decreto
del 23 aprile 2025 emesso de plano ai sensi dell'art. 666, comma 2
c.p.p. per l'evidente inammissibilita' della domanda.
Il decreto di inammissibilita' e' stato comunicato alla difesa
dopo che questa aveva inteso depositare memoria nel procedimento
iscritto presso il Collegio felsineo - ormai conclusosi - in cui
sollecitava il Tribunale di sorveglianza di Bologna a valutare la
compatibilita' costituzionale dell'art. 58-quater O.P., proponendo
questione che non e' stata, dunque, esaminata.
Onde non incorrere in questa sede in ulteriore declaratoria di
inammissibilita', il difensore reitera la preliminare eccezione di
incostituzionalita' dell'art. 58-quater O.P. nella misura in cui la
norma prevede una preclusione triennale per l'accesso ai benefici
penitenziari nei casi in cui il condannato incorra nella revoca di
una misura alternativa alla detenzione, per contrarieta' della stessa
rispetto agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione.
La norma, infatti, prevedrebbe un rigido automatismo che ancora
alla pronuncia di revoca degli effetti altamente pregiudizievoli, che
frustrano la funzione rieducativa della pena nella misura in cui non
consentono alla magistratura di sorveglianza di compiere delle
valutazioni sui progressi trattamentali del detenuto successivi alla
revoca stessa. E cio' sarebbe ancor piu' irragionevole laddove, come
nel caso di specie, la revoca sarebbe stata susseguente non gia' a
condotte di reato o idonee ad indicare un rischio di recidiva del B.,
quanto piuttosto a condotte considerate dal difensore incolpevoli.
Il difensore avvia il proprio iter argomentativo segnalando che
questione analoga e' stata gia' affrontata dalla Consulta nella
sentenza 173/2021.
In quella sede, ricorda il difensore, la Corte ha dichiarato
manifestamente infondate le questioni sollevate dal giudice a quo,
evidenziando che la revoca e' provvedimento adottato dal Tribunale di
sorveglianza non gia' quale conseguenza automatica delle violazioni
delle prescrizioni o della commissione di un reato, ma a seguito di
un giudizio reso nell'ambito di procedimento che consente, accanto
alla revoca, di adottare soluzioni alternative quali la prosecuzione
della misura o la sostituzione della misura con altra piu' idonea.
L'operativita' dell'art. 58-quater, dunque, si correla ad una
specifica valutazione della magistratura di sorveglianza che consente
all'autorita' giudiziaria di soppesare gli elementi negativi e
positivi, e gli esiti della propria decisione anche sul prosieguo
dell'esecuzione penale.
La stessa Corte costituzionale, dunque, pur valutando l'art.
58-quater O.P. quale norma «indubbiamente severa e opinabile da un
punto di vista di politica penitenziario» ha giudicato l'opzione
normativa espressiva di un esercizio di discrezionalita' legislativa
non contrastante coi canoni costituzionali.
La difesa, in premessa, tiene a precisare che i fatti che hanno
condotto alla revoca sono ascrivibili ad alcune leggerezze del B.
nella gestione delle autorizzazioni, nonche' nell'insorgere di
dissidi con la persona che aveva all'epoca offerto il proprio
domicilio al condannato, per cui era stato lo stesso B. a richiedere
di rientrare in carcere per terminare l'espiazione di quel titolo non
essendo possibile che la convivenza tra i due proseguisse. Inoltre,
continua la difesa, procedimenti instaurati nei suoi confronti per
evasione e relativi alle violazioni delle prescrizioni orarie sono
stati poi definiti con archiviazione e le segnalazioni da parte della
Questura di Mantova per i dissidi con la padrona di casa non hanno
poi avuto seguito, non avendo questa mai formalmente revocato
disponibilita' all'accoglienza o denunciato B.
A fronte di questi elementi l'operare dell'art. 58-quater O.P.
nel caso in esame preclude in toto alla persona l'accesso ai benefici
sulla base della sola pronuncia di revoca della misura
precedentemente fruita, senza consentire di gradarne gli effetti e le
conseguenze, nonostante la revoca sia stata necessitata della
sopravvenuta assenza di domicilio e non motivata dalla necessita' di
sanzionare la condotta del B.
In questo caso, cosi' come nei casi analoghi, l'art. 58-quater
O.P. produrrebbe effetti non compatibili con la costituzione. La
questione posta sarebbe, dunque, rilevante.
Quanto alla non manifesta infondatezza, la difesa cita una serie
di pronunce della Corte di cassazione successive alla sentenza
173/2021, che hanno circoscritto gli effetti dell'operativita'
dell'art. 58-quater O.P. escludendo che questa possa valere laddove
la revoca riguardi una misura concessa in via provvisoria (Cass. Sez.
I, sent. 17072/2023) e della misura di cui all'art. 94, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 (Cass. Sez. I., sent.
24425/2023), ispirate, nella logica difensiva, alla tutela della
funzione rieducativa.
Ancora, la difesa sottolinea la presenza di un rilevante novum
normativo, rappresentato dal decreto legislativo n. 150/2022
(cosiddetta riforma Cartabia), che ha introdotto nella legge n.
689/1981 le nuove pene sostitutive. Nell'articolato normativo de quo,
infatti, evidenzia l'avvocato, si rinvengono diverse opzioni rispetto
al rilievo attribuito alla revoca delle pene sostitutive, piu'
malleabili e meno rigide di quanto stabilito dall'ordinamento
penitenziario.
La difesa cita, anzitutto, l'art. 59, legge n. 689/1981 nel
disciplinare le condizioni soggettive per l'accesso alle pene
sostitutive, stabilisce che la pena detentiva non possa essere
sostituita «nei confronti di chi ha commesso il reato per cui si
procede entro tre anni dalla revoca della semiliberta', della
detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilita' ai sensi
dell'art. 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto non
colposo durante l'esecuzione delle medesime pene sostitutive; e'
fatta comunque salva la possibilita' di applicare una pena
sostitutiva di specie piu' grave di quella revocata».
Argomenta la difesa che il meccanismo di preclusione nella
conversione della pena detentiva in pena sostitutiva e' ancorato dal
testo non tanto alla revoca, quanto piuttosto alla commissione del
reato per cui si procede nel triennio successivo alla revoca o
durante l'esecuzione di altra pena sostitutiva.
Ancora, l'art. 59, lettera b, legge n. 689/1981, in materia di
pene pecuniarie, esclude la ricorrenza dei meccanismi preclusivi ivi
previsti per i casi di insolvibilita' o incapacita' del condannato,
cosi' valorizzando le ragioni del mancato pagamento quali casi di
forza maggiore o comunque evitando che valgano ad escludere l'accesso
alla pena pecuniaria sostitutiva le omissioni incolpevoli.
Da ultimo, il difensore richiama l'art. 67, comma 2, legge n.
689/1981 a mente del quale il condannato in espiazione di pena
detentiva risultante dalla revoca di una pena sostitutiva ai sensi
dell'art. 66 o dell'art. 71, legge n. 689/1981, non puo' avere
accesso alle misure alternative alla detenzione prima dell'espiazione
di meta' della pena residua.
Tale norma, dunque, circoscrive l'inapplicabilita' delle misure
alternative non gia' per un periodo di tempo fisso, ma piuttosto alla
sola pena residua, consentendo dunque che altro titolo detentivo
possa essere eseguito in consonanza con la funzione rieducativa della
pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione.
Ci conclude la difesa, a differenza della disposizione di cui
all'art. 58-quater O.P. che fissa un indistinto termine triennale
fisso, derivante dalla mera pronuncia di revoca e che non distingue
tra revoca colpevole ed incolpevole, peraltro con preclusione di
accesso a tutti i benefici penitenziari ad eccezione del solo
affidamento terapeutico e della liberazione anticipata.
La difesa, posta la questione, insiste per l'accoglimento delle
istanze, senza formulare specifiche indicazioni sui possibili rimedi
alla eccepita frizione della norma con i principi costituzionali.
Il caso in esame impone di esaminare diversi profili, sicche', al
fine di meglio esporre i vari temi rilevanti, appare opportuno
suddividere la trattazione in paragrafi, onde affrontare
separatamente i diversi aspetti della questione.
Appare necessario, in prima battuta, ricostruire la normativa in
esame, al fine di vagliare la fondatezza delle doglianze difensive ed
escludere alcuni profili che risultano irrilevanti nel caso di
specie.
l. L'art. 58-quater, legge n. 354/1975.
L'art. 58-quater, comma 1, legge n. 354/1975 prevede un generale
divieto di concessione di benefici penitenziari al soggetto che si
sia reso responsabile di condotte di evasione.
L'art. 58-quater comma secondo, legge n. 354/1975 estende il
divieto di concessione dei benefici penitenziari previsto al comma
primo nei confronti del condannato che sia incorso nella revoca di
una misura alternativa ai sensi degli articoli 47, comma 11, 47-ter,
comma 6 e 51, comma 1 O.P. Le fattispecie richiamate hanno tutte ad
oggetto ipotesi in cui la revoca discende dall'aver l'affidato, il
detenuto domiciliare o il semilibero tenuto una condotta
incompatibile con la prosecuzione della misura.
Il comma terzo della norma in esame stabilisce che tale divieto
abbia una durata fissa pari ad anni tre, con decorrenza, nel caso del
comma primo dal ripristino dell'esecuzione, mentre, nel caso di cui
al comma secondo dalla data di adozione del provvedimento di revoca.
Poiche' l'art. 58-quater, comma 2 O.P. trova applicazione in caso
di revoca di una misura alternativa, l'analisi normativa non puo'
prescindere da un richiamo anche al procedimento di revoca,
disciplinato all'art. 51-ter, legge n. 354/1975, ove si stabilisce:
«Se la persona sottoposta a misura alternativa pone in essere
comportamenti suscettibili di determinarne la revoca, il magistrato
di sorveglianza, nella cui giurisdizione la misura e' in esecuzione,
ne da' immediata comunicazione al tribunale di sorveglianza affinche'
decida in ordine alla prosecuzione, sostituzione o revoca della
misura».
La lettura congiunta delle norme citate, dunque, consente di
cesellare in che termini l'ordinamento penitenziario abbia inteso
disciplinare la fattispecie della revoca delle misure alternative,
dettandone presupposti, canoni di giudizio e relativi effetti.
Gli articoli 47, comma 11, 47-ter, comma 6 e 51, comma 2, legge
n. 354/1975, anzitutto, disciplinano i presupposti di fatto della
revoca delle misure alternative, prevedendo che questa possa essere
disposta a seguito di comportamenti del condannato contrari alla
legge o alle prescrizioni commessi in corso di esecuzione del
beneficio, tali da non consentire la prosecuzione della misura.
Nell'ambito del procedimento di revoca, l'art. 51-ter O.P.
attribuisce al Tribunale di sorveglianza un giudizio sulle condotte
illecite e le violazioni dell'affidato, consentendo al Collegio di
stabilire se i fatti commessi siano tali da richiedere la revoca,
ovvero non incidano sulla possibilita' di prosecuzione del beneficio.
Quale opzione intermedia, il Tribunale di sorveglianza puo'
sostituire la misura in esecuzione con altra piu' aderente alle
necessita' esecutive.
Nello schema normativo, dunque, la revoca e' da intendersi quale
sanzione massima per quelle condotte colpevoli della persona che
abbiano evidenziato il condannato come soggetto non piu' meritevole
di fruire della misura alternativa.
Cio' puo' cogliersi dall'utilizzo da parte del legislatore del
concetto di prosecuzione in una duplice veste all'interno della
fattispecie della revoca di una misura alternativa: sia quale oggetto
del giudizio inferenziale tra la condotta illecita-violativa e la
revoca, dovendo esso concentrarsi sul significato delle violazioni in
chiave prognostica rispetto all'eventuale prosieguo del beneficio;
sia quale esito alternativo ed opposto alla revoca stessa nel
giudizio innanzi al Collegio.
In questo senso, la revoca e' assunta sulla base di un giudizio
negativo sul trattamento che guarda ai fatti ed alle violazioni non
tanto (o meglio non soltanto) nella loro staticita', ma quali
elementi da cui trarre indici prognostici negativi sulla personalita'
del condannato.
A questo giudizio negativo e colpevole, si correla l'ulteriore
sanzione della preclusione triennale di accesso ai benefici, prevista
dall'art. 58-quater O.P., che decorre dal provvedimento di revoca e
della cui compatibilita' a costituzione si dubita.
1.1. La lettura costituzionalmente orientata della norma nella
giurisprudenza costituzionale e nel diritto vivente.
Come evidenziato, la norma e' stata giudicata dalla Corte
costituzionale particolarmente severa, ma, quantomeno sinora, non
assolutamente incompatibile con i principi costituzionali.
Gia' con ordinanza n. 87 del 2004, la Consulta aveva rilevato che
la preclusione triennale che consegue ad una revoca delle misure
alternative che non e' «automatica», bensi' trova la propria
giustificazione in forza di una valutazione in concreto e caso per
caso delle situazioni in cui il comportamento del condannato,
contrario alla legge o alle prescrizioni, sia risultato incompatibile
con la prosecuzione della misura alternativa originariamente
concessa. La questione ivi in decisione, sollevata rispetto agli
articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione e' stata dunque respinta
con ordinanza per manifesta infondatezza.
La Corte e' poi tornata sul tema con la sentenza n. 173/2021.
In quella sede la Consulta ha rigettato la questione riproposta
dal giudice rimettente in relazione agli articoli 3 e 27, comma 3
della Costituzione, tesa ad una caducazione della norma in quanto
giudicata troppo severa nel non consentire al Magistrato di
sorveglianza di gradare gli effetti della revoca, ribadendo l'assenza
di un automatismo applicativo alla base dell'art. 58-quater O.P.
Anzi, la Corte ha sottolineato come il combinato disposto delle norme
esaminate supra si connoti per la presenza di un vaglio di merito
della magistratura di sorveglianza nella scelta di determinare con la
revoca una regressione del trattamento secondo un giudizio
individualizzato e casistica che contempla anche altre opzioni (1) .
Cionondimeno, gia' nella sentenza n. 173/2021, la Corte aveva
invitato il legislatore a ripensare la disciplina non tanto quanto
alla previsione di un meccanismo preclusivo susseguente alla revoca,
quanto, piuttosto sotto il profilo della durata della preclusione
stessa, indicando che «la preclusione triennale successiva alla
revoca, pur potenzialmente temperata dagli effetti della liberazione
anticipata, finisce per coprire, in un elevato numero di casi, la
totalita' o quasi della pena residua».
La posizione ermeneutica che non rinviene nell'art. 58-quater
O.P. un automatismo applicativo, ma un esito processuale i cui
effetti sono vagliati dalla magistratura di sorveglianza e' approdo
che il giudice delle leggi ha recentemente ribadito.
Nella sentenza n. 24/2025, infatti, volendo marcare la differenza
tra l'art. 30-ter, comma 5, legge n. 354/1975, oggetto di scrutinio
in quella sede e giudicato incostituzionale, e l'art. 58-quater O.P.
nella sua attuale formulazione, la Corte costituzionale ha ben
spiegato il diverso meccanismo di operativita' della preclusione di
accesso ai benefici stabilita dalle due norme in comparazione e le
ragioni sottese alle differenti valutazioni da essa stessa rese sulle
due discipline.
Nel caso disciplinato dall'art. 30-ter, comma 5 O.P., la
preclusione biennale di accesso ai permessi premio discendeva in via
automatica dalla imputazione/condanna per un fatto di un reato
commesso nel corso dell'esecuzione, senza alcuna valutazione in
ordine alla necessita' di una regressione del trattamento da parte
della magistratura di sorveglianza.
Viceversa, l'art. 58-quater O.P. trova applicazione solo a
seguito della revoca di misura alternativa ai sensi dell'art. 51-ter
O.P. e, dunque, ad esito di un giudizio di merito del giudice
specializzato, espressivo di una valutazione discrezionale,
individualizzata e tarata sul caso concreto. In questo senso, la
Corte ha esplicitato che l'art. 58-quater O.P. permane
costituzionalmente legittimo «sulla base della considerazione che il
Tribunale di sorveglianza dispone normalmente la revoca nei soli casi
piu' gravi di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura, e
in particolare quando sia dimostrata "la necessita' di una
regressione del percorso rieducativo e di un almeno temporaneo
ripristino del regime di detenzione, in particolare in funzione di
contenimento di un concreto rischio di recidiva evidenziatosi in capo
al condannato" (sentenza n. 173 del 2021, punto 3.3.3. del
Considerato in diritto)».
Da una lettura delle sentenze citate emerge un chiaro indirizzo
della Consulta circa la necessita' che il Tribunale di sorveglianza
individualizzi e soppesi gli esiti della pronuncia di revoca tenendo
conto anche del meccanismo preclusivo di cui all'art. 58-quater O.P.,
riservando la revoca solo a quei casi in cui sia emersa la necessita'
di una regressione del percorso rieducativo al fine di contenere un
concreto rischio di recidiva del condannato.
Coerente con gli approdi cui e' pervenuta la giurisprudenza
costituzionale e con l'articolato normativa risulta essere, peraltro,
il diritto vivente, tutt'altro che insensibile alla valorizzazione
dei motivi della mancata prosecuzione di una misura alternativa.
In particolare, la magistratura di sorveglianza ha da tempo
elaborato delle soluzioni ermeneutiche che consentono di sottrarre
alla operativita' dell'art. 58-quater O.P. le ipotesi in cui si
realizzi una materiale interruzione del percorso di misura
alternativa per ragioni non imputabili al condannato.
Si pensi, ad esempio, al semilibero ammesso alla misura per
svolgere una determinata attivita' lavorativa che venga interrotta o
non prorogata nel corso della misura a causa di un calo di commesse o
di riduzione dell'attivita' del datore di lavoro, rimanendo cosi'
incolpevolmente sprovvisto dell'occupazione esterna che sorregge il
beneficio.
Ovvero, ancora, al detenuto domiciliare o all'affidato che si
ritrovi privo di un domicilio ove proseguire l'espiazione della pena
per cause a lui non imputabili, quali revoche di disponibilita'
all'accoglienza da parte dei soggetti ospitanti per ragioni diverse
da dissidi o malumori nella convivenza dovute a condotte incongrue
del condannato.
In tutti questi casi, non infrequenti nella prassi, una pronuncia
del Tribunale di sorveglianza nel senso della revoca non sarebbe
coerente con la funzione normativa assegnata all'istituto quale
sanzione per condotte colpevoli e gravi che impediscono la
prosecuzione della misura e, d'altro canto, comporterebbe
l'applicabilita' dell'art. 58-quater O.P. senza un reale vaglio di
inadeguatezza del condannato, con effetti costituzionalmente non
compatibili secondo quanto indicato dalle sentenze nn. 173/2021 e
24/2025.
A fronte di questo empasse in alcuni distretti (tra cui quello di
Bologna) si fa applicazione della categoria della cessazione della
misura alternativa per sopravvenuta carenza dei presupposti operativi
della stessa, applicando in via analogica l'art. 51-bis O.P.; in
altri si provvede a revoca dell'ordinanza di concessione, sulla base
del principio per cui le ordinanze emesse dalla magistratura di
sorveglianza sono sempre revocabili ove non piu' rispondenti alla
situazione di fatto sulla base della quale sono state emesse; in
altri ancora si dichiara la cessazione dei presupposti della misura.
Tutte le soluzioni indicate sono accomunate da una medesima ratio
di fondo: evitare gli esiti che la formalmente corretta dizione di
revoca avrebbe sul prosieguo della detenzione del condannato,
individuando nell'ordinamento strumenti per valorizzare la non
colpevolezza della mancata prosecuzione del beneficio ad esito di
giudizio ex art. 51-ter O.P.
E ci alla luce della disamina condotta sulle sentenze n. 173/2021
e 25/2025, risulta pacificamente coerente con le indicazioni fornite
dalla Consulta per cui in sede di statuizione sulla revoca il
Tribunale di sorveglianza deve riservare tale tipo di pronuncia alle
sole situazioni gravi e colpevoli che evidenzino la necessita' di una
regressione del trattamento.
2. In fatto: la vicenda esecutiva di B. S. e l'attuale operativita'
dell'art. 58-quater O.P. nel caso di specie.
Alla luce della disamina svolta, puo' esaminarsi la condizione
del condannato nel caso di specie.
B. S. e' soggetto che e' gia' stato sottoposto ad esecuzione
penale in relazione alla pena di anni 1, mesi 6 di reclusione e mesi
4 di arresto di cui al cumulo emesso dalla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Vicenza il 15 giugno 2020, comprendente
condanne per guida in stato di ebbrezza, guida senza patente e falsa
attestazione ad un pubblico ufficiale sulla propria identita'
commessi nel ... e nel ... (sentenze di cui ai numeri 7 e 9 del
Certificato del Casellario).
Il condannato ometteva di proporre istanze da libero sospeso
sicche' faceva ingresso in carcere il 25 luglio 2022.
Espiata la quota di pena detentiva eccedente i diciotto mesi, era
ammesso alla misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio ai
sensi dell'art. 1, legge n. 199/2010 con ordinanza del 9 gennaio 2023
dal Magistrato di sorveglianza di Milano di cui fruiva sino a quando
incorreva dapprima in sospensione cautelare della misura ex art.
51-ter, comma 2 O.P. da parte del Magistrato di sorveglianza di
Mantova e, poi, nella definitiva revoca della misura alternativa
giusta ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Brescia del 13
febbraio 2024. Il provvedimento di sospensione e di revoca si sono
fondati su una serie di condotte del B. nell'ambito dell'esecuzione
pena presso il domicilio, tra cui segnalazioni per evasione e
l'emersione di dissidi con la persona che aveva offerto ospitalita'
al condannato, esitati in segnalazioni della Questura di Mantova per
una lite domestica, complessivamente giudicate tali da non consentire
la prosecuzione del beneficio. Da quanto risulta, lo stesso detenuto
chiedeva di terminare l'espiazione della propria condanna in
istituto, avendo ormai pochi mesi di pena dinnanzi a se'.
B., effettivamente, era scarcerato il 9 aprile 2024.
Successivamente, la Procura di Padova poneva in esecuzione
l'attuale titolo, sospendendo ai sensi dell'art. 656, comma 5 c.p.p.
l'ordine di carcerazione e trasmettendo gli atti al Tribunale di
sorveglianza di Venezia.
Il Tribunale di sorveglianza di Venezia, preso atto della revoca
della precedente misura alternativa, ha dichiarato con decreto de
plano l'inammissibilita' delle domande di B. S. in applicazione
dell'art. 58-quater O.P., comportando l'avvio dell'esecuzione
inframuraria.
Analogo esito (inammissibilita') hanno avuto le domande sinora
proposte dal B. presso questo ufficio e presso il Tribunale di
sorveglianza di Bologna, sicche' la difesa chiede valutarsi, quale
profilo preliminare, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 58-quater O.P. in relazione agli articoli 3 e 27, comma 3
della Costituzione.
2.1. La questione di costituzionalita' ancipite della difesa tra
revoca incolpevole e durata della preclusione.
Il difensore censura l'art. 58-quater, legge n. 354/1975
argomentando in via unitaria le proprie doglianze, ma sotto due
profili che appaiono distinti: da un lato perche' questa non
distinguerebbe tra revoca colpevole e revoca incolpevole, ritenendo
che tale sia la posizione del B.; dall'altro, per la rigidita' del
meccanismo preclusivo che puo', in casi come quello in esame,
sacrificare del tutto il principio rieducativo della pena, ponendolo
a confronto con altre opzioni normativamente previste in casi
analoghi per altre forme di esecuzione penale esterna.
Le due questioni, come poste dalla difesa, appaiono a questo
magistrato invero tra di loro alternative e non del tutto
coincidenti, in quanto sorrette da situazioni di fatto ben distinte.
Sostenere che la normativa si applichi nel caso di revoca
incolpevole e che questa sia la condizione del B., invero, e'
questione in fatto preliminare ed escludente rispetto alla
successiva, relativa alla durata della preclusione. Infatti, ove, si
ritenesse fondata e si coltivasse la prima parte della questione,
giungendosi a superare la preclusione di cui all'art. 58-quater O.P.
nei casi di revoca incolpevole, il tema della durata della
preclusione perderebbe di rilevanza.
In altri termini, una volta ottenuto che l'art. 58-quater O.P.
non operi rispetto alle revoche incolpevoli, e provato che tale e' la
condizione del B., a nulla gioverebbe lamentarsi della durata di una
preclusione che, seppur severa, si applicherebbe solo alle revoche
colpevoli.
Di contro, solo ove accertato che la revoca non possa
considerarsi incolpevole, verrebbe in rilievo il tema della durata
della preclusione di cui all'art. 58-quater O.P. che dalla revoca
discende, in quanto e' tale durata ad impedire al condannato di
fruire di ulteriori benefici.
La prima parte della questione, in verita', risulta
manifestamente infondata e irrilevante nel caso in esame.
Da un lato, perche', come detto supra, la fattispecie della
revoca e' normativamente costruita per sanzionare le sole condotte
colpevoli del condannato o che evidenzino la necessita' di una
regressione del trattamento, e come tale viene letta dalla
giurisprudenza costituzionale e dal diritto vivente, si' da escludere
che possa aversi una revoca incolpevole di una misura alternativa.
Dall'altro, perche' non puo' ritenersi B. sia incorso in una
revoca incolpevole.
La pronuncia di revoca del Tribunale di sorveglianza di Brescia,
infatti, e' stata emessa alla luce di una valutazione personologica
negativa nei confronti del B., che ha giudicato le sue condotte nel
corso della misura incompatibili con la prosecuzione del beneficio.
Da una lettura dell'ordinanza, acquisita agli atti del fascicolo,
si puo' leggere che il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha
espressamente motivato nei seguenti termini: «[...] ritiene il
Tribunale che la misura domiciliare debba essere definitivamente
revocata. Invero il condannato nel corso della misura ha
reiteratamente disatteso le prescrizioni relative all'obbligo di
permanenza al domicilio e di non allontanarsi dal Comune di
abitazione mostrandosi anche indifferente ai richiami del magistrato
di sorveglianza. Il condannato pertanto ha dimostrato incapacita'
autocustodiale ed ha adottato nel corso delia misura una condotta non
conforme alle regole di civile convivenza che hanno indotto la
persona titolare del contratto di locazione ad abbandonare il proprio
legittimo domicilio».
In questo senso, non pare possibile procedere in questa sede ad
una rilettura del giudizio esauritosi innanzi al collegio bresciano
che ha disposto la revoca, neppure alla luce degli elementi
sopravvenuti indicati dal difensore, non rientrando nei poteri di
questa autorita' giudiziaria sovrapporre proprie valutazioni di
merito a quelle gia' compiute dall'organo competente sulla revoca e
non oggetto di impugnativa.
Chiarito questo profilo, le fondate ragioni di frizione con i
principi costituzionali nella disciplina di cui all'art. 58-quater
O.P. che la vicenda sollecita non sono tanto ascrivibili alla mancata
valorizzazione delle ragioni della revoca, quanto piuttosto alla
durata fissa della preclusione ed allo spettro amplissimo di benefici
che questa copre, si' da apparire capace di esaurire in via
definitiva le chances di reinserimento sociale del condannato, come
indicato dalla Consulta nell'ultimo paragrafo della sentenza n.
173/2021.
Tale meccanismo, dunque, pur se non sorretto da un automatismo
applicativo, in una gran parte di casi risulta irragionevole nella
misura in cui finisce per sacrificare del tutto il principio di
emenda (art. 27, comma 3 Cost.), come indicato dalla difesa; ma, a
giudizio di questo Magistrato, lo stesso appare non coerente anche
con il principio di minimo sacrificio necessario della liberta'
personale (art. 13 Cost.).
Rispetto al tema della irragionevole fissita' della preclusione,
inoltre, la difesa sollecita un raffronto tra la disciplina in esame
e quella prevista in materia di pene sostitutive, quale tertium
comparationis rispetto al quale valutare la congruita' dell'art.
58-quater O.P.
Appare, dunque, opportuno esaminare rapidamente la disciplina
delle pene sostitutive.
2.2. Le nuove pene sostitutive: le ipotesi di revoca ed i meccanismi
preclusivi susseguenti.
La semiliberta' sostitutiva, la detenzione domiciliare
sostitutiva, il lavoro di pubblica utilita' sostitutivo e la pena
pecuniaria sostitutiva sono state introdotte dal decreto legislativo
n. 150/2022 nel codice penale e disciplinate in apposito capo della
legge n. 689/1981 con l'obiettivo dichiarato di costituire delle
forme sanzionatorie ab origine alternative alla pena detentiva, piu'
orientate al favor libertatis ed al principio di emenda. In questo
senso, queste possono essere disposte dal giudice di merito sin dalla
sentenza e, solo per gli aspetti di materiale e diacronica
esecuzione, vedono il coinvolgimento della magistratura di
sorveglianza ovvero, per il lavoro di pubblica utilita' sostitutivo,
del giudice che le ha applicate.
Le pene sostitutive si caratterizzano per essere delle forme
esecutive idealmente non carcerarie e dalla spiccata vocazione
trattamentale quali pene-programma, la cui disciplina e' stata in
gran parte mutuata e ricalcata su delle misure alternative alla
detenzione previste dall'ordinamento penitenziario, con cui scontano
un'evidente comunanza assiologica, teleologica e funzionale.
Tale comunanza puo' cogliersi non soltanto rispetto alle due pene
sostitutive della semiliberta' e detenzione domiciliare, che
rievocano anche nominalmente le omologhe misure alternative, ma
permea l'intero sistema delle pene sostitutive.
L'art. 58, legge n. 689/1981, infatti, che disciplina
l'applicazione delle pene sostitutive stabilisce che queste possano
essere disposte dal giudice di merito solo ove le stesse, oltre ad
essere piu' idonee alla rieducazione del condannato, assicurino la
prevenzione del pericolo di commissione di altri reati; canone di
giudizio che, invero, accomuna tutte le misure alternative alla
detenzione carceraria, tese a ricercare, aggiornare e mantenere il
difficile e progressivo equilibrio tra congruita' delle limitazioni
della liberta' personale, reinserimento sociale e rischio di
recidiva.
Vi e' poi, l'art. 76, legge n. 689/1981, che estende al sistema
delle pene sostitutive diverse norme dell'ordinamento penitenziario,
a riprova della comune radice dei due sistemi normativi.
Tra le tante assonanze e disposizioni comuni, per proprio in
punto di revoca delle pene sostitutive e di meccanismi preclusivi ad
essa susseguenti, si puo' osservare una chiara deviazione del
legislatore delegato dal modello rappresentato dall'art. 58-quater
O.P.
Il nuovo sistema, infatti, consente di revocare la pena
sostitutiva in due ipotesi specifiche, disciplinate dagli articoli 66
e 71, legge n. 689/1981.
L'art. 66, legge n. 689/1981, rubricato «Revoca per inosservanza
delle prescrizioni», stabilisce che la revoca o la sostituzione della
misura possa far seguito a gravi o reiterate violazioni delle
prescrizioni. In questo caso il Magistrato di Sorveglianza o il
giudice che segue l'esecuzione del lavoro di pubblica utilita'
sostitutivo, laddove riceva informazioni di violazioni delle
prescrizioni acquisisce, ove occorra, sommari accertamenti, e nel
caso in cui ritenga sussistano le condizioni per l'aggravamento o la
revoca della misura procede ai sensi dell'art. 666 c.p.p.
L'art. 72, legge n. 689/1981, invece, intitolato «Ipotesi di
responsabilita' penale e revoca» disciplina una serie di ipotesi in
cui la revoca della misura consegue quale effetto previsto per legge
di determinati accadimenti e, segnatamente, dell'emissione di
sentenze di condanna per fatti commessi in costanza di misura.
Nello specifico, a mente del comma terzo, laddove la persona
venga condannata o per evasione ai sensi dell'art. 385 c.p. o ai
sensi dell'art. 56, decreto legislativo n. 274/2000, tale condanna
«importa la revoca della pena sostitutiva, salvo che il fatto sia di
lieve entita'».
Il comma quarto, invece, stabilisce che «la condanna per un
delitto non colposo commesso durante l'esecuzione di una pena
sostitutiva, diversa da quella pecuniaria, ne determina la revoca e
la conversione per la parte residua nella pena sostituita, quando la
condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione della pena
sostitutiva, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 58».
Dall'analisi condotta, risulta evidente la comunanza tra il
giudizio in sede di revoca di cui all'art. 51-ter O.P., descritto
supra, e le fattispecie di cui agli articoli 66 e 72, legge n.
689/1981.
Sebbene la normativa di nuovo conio sia piu' puntuale nel
disciplinare la casistica, distinguendo tra revoca per violazione
delle prescrizioni e revoca quale conseguenza di fatti di reato, in
concreto le norme sono tutte tese a sanzionare quelle condotte
violative delle prescrizioni o anche integranti ipotesi di reato tali
da non consentire ne' la prosecuzione della misura extramuraria in
origine concessa ne' la sostituzione con altra piu' stringente. Anzi,
nel sistema della legge n. 689/1981 la commissione di un fatto di
reato non e' di per se' sufficiente alla revoca di una pena
sostitutiva, dovendo comunque essere esperito un giudizio
discrezionale sul punto che guardi alla gravita' del fatto, laddove
la condanna sia relativa al delitto di evasione, e si estenda alla
permanenza delle condizioni per la prosecuzione della pena
sostitutiva in caso di commissione di altri reati.
E' chiaro che, in concreto, la commissione di reati sia un indice
altamente negativo; ma la normativa, nella scelta di non instaurare
un automatismo tra condanna e revoca, demandando ad un vaglio di
merito e discrezionale del giudice la scelta sul punto, secondo i
canoni di giudizio richiamati, sembra aver avuto in mente
l'insegnamento della Consulta espresso nella sentenza n. 172/2021.
Dunque, anche la revoca delle pene sostitutive pare postulare un
giudizio che valuti la necessita' di una regressione del trattamento
del condannato avendo egli evidenziato un concreto rischio di
recidiva non arginabile mediante la prosecuzione della stessa o la
sostituzione con altra piu' contenitiva, in termini non dissimili da
quanto avviene nel giudizio di cui all'art. 51-ter O.P.
La pronuncia di revoca cosi' emessa ai sensi dell'art. 66 ovvero
dell'art. 72, legge n. 689/1981 ha poi, degli effetti preclusivi per
l'accesso ad ulteriori benefici, che guardano tanto al sistema delle
pene sostitutive, quanto alle misure alternative alla detenzione.
Sul terreno del rapporto tra revoca di pene sostitutive e future
esecuzioni in forma di pena sostitutiva, viene in rilievo l'art. 59,
comma 1, lett. a) legge n. 689/1981.
La norma citata stabilisce che la pena detentiva non possa essere
sostituita «nei confronti di chi ha commesso il reato per cui si
procede entro tre anni dalla revoca della semiliberta', della
detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilita' ai sensi
dell'art. 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto non
colposo durante l'esecuzione delle medesime pene sostitutive; e'
fatta comunque salva la possibilita' di applicare una pena
sostitutiva di specie piu' grave di quella revocata».
Dalla relazione illustrativa del decreto legislativo n. 150/2022
emerge che tale preclusione e' stata in parte mutuata con riguardo
all'art. 58-quater O.P., in particolare sia per quel che riguarda
alla durata triennale della preclusione e dalla decorrenza della
stessa alla pronuncia di revoca, sia per l'assenza di un meccanismo
di tipo presuntivo, essendo ancorate al fallimento di una precedente
esecuzione in forma di pena sostitutiva (2) . Significativi,
tuttavia, sono gli elementi di novita' che la disposizione presenta
rispetto alla disciplina dell'ordinamento penitenziario.
Infatti, la norma: non opera in via generale, ma solo nei
confronti di chi ha commesso il reato per cui si procede nei tre anni
successivi alla revoca, cosi' evitando che fatti commessi prima della
stessa incorrano in meccanismi di tipo preclusivo; anche rispetto a
chi ha commesso un reato nel corso di una precedente pena sostitutiva
(e, ragionevolmente sia incorso in revoca ex art. 72, legge n.
689/1981) circoscrive la preclusione ai soli delitti non colposi; in
chiusura, fa comunque salva la possibilita' che la persona abbia
accesso ad altra pena sostitutiva piu' grave di quella revocata, non
esaurendo del tutto le chances di ottenere una diversa pena
sostitutiva.
Ma, ancor piu' rilevanti, per le considerazioni che si faranno,
appaiono le conseguenze sul terreno del rapporto tra revoca di una
pena sostitutiva e l'accesso a misure alternative alla detenzione,
disciplinate dall'art. 67, comma 2, legge n. 689/1981.
L'articolo citato, nello stabilire l'inapplicabilita' delle
misure alternative alla detenzione alle pene sostitutive, prevede che
«Salvo che si tratti di minori di eta' al momento della condanna, le
misure di cui al primo comma (vale a dire le misure alternative) non
si applicano altresi', prima dell'avvenuta espiazione di meta' della
pena residua, al condannato in espiazione di pena detentiva per
conversione effettuata ai sensi dell'articolo 66 o del quarto comma
dell'articolo 72».
In forza di tale previsione, dunque, il soggetto che sia incorso
in revoca di una pena sostitutiva, una volta avviata l'espiazione
della pena detentiva risultante puo' in astratto avere accesso ai
permessi premio di cui all'art. 30-ter O.P. e all'art. 21 O.P. senza
alcuna preclusione, nonche', dopo l'espiazione di meta' della pena
residua, alle ulteriori misure alternative alla detenzione.
E cio' sia nel caso in cui la revoca abbia fatto seguito a gravi
violazioni delle prescrizioni, sia nel caso in cui questa sia stata
conseguenza della commissione di fatti di reato, ad esito di un
giudizio che abbia escluso la possibilita' di consentire la
prosecuzione della pena sostitutiva.
E' chiaro che, in concreto, l'elemento negativo rappresentato
dalla revoca della pena sostitutiva sara' difficilmente superabile in
un breve spazio di tempo; tuttavia, la possibilita' di valutare anche
solo ammissibile la domanda del condannato in espiazione di una pena
che residui a seguito del fallimento di una esecuzione penale esterna
(quale e' la pena sostitutiva), consente al Magistrato di
sorveglianza di vagliare nel merito la posizione del richiedente,
individualizzando il giudizio e dando rilievo alle vicende
successive, senza frustrare in via definitiva le chances di accesso a
nuove forme esecutive extramurarie meno incidenti sulla liberta'
personale e piu' orientate al reinserimento sociale.
3. La questione di legittimita' costituzionale rispetto agli artt. 3,
27 comma 3 e 13 Cost.: once more, with feeling.
Cosi' ricostruita la cornice normativa, il Magistrato di
Sorveglianza ritiene che sussistano fondate ragioni di dubitare
dell'attuale compatibilita' costituzionale dell'art. 58-quater, comma
3 O.P. rispetto ai canoni di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.) e
ragionevolezza rispetto ai principi di emenda e minimo sacrificio
necessario della liberta' personale (articoli 3, comma 2 della
Costituzione in relazione agli articoli 27, comma 3 Cost. e 13
Cost.).
Come anticipato, questione apparentemente analoga e' stata piu'
volte respinta dalla Corte, dapprima con declaratoria di
inammissibilita' piuttosto tranchant in ordinanza n. 87/2004.
Sebbene vi siano state poi alcune pronunce di accoglimento
rispetto all'art. 58-quater O.P., queste sono state cesellate dalla
Consulta con riferimento a questioni relative a benefici specifici
(si veda Corte costituzionale 187/2019 in relazione all'art.
47-quinquies O.P.) o a particolari categorie soggettive rispetto alle
quali era presente un automatismo applicativo (si vedano le sentenze
n. 149/2018 e n. 229/2019 rispetto ai condannati per il delitto di
cui all'art. 630 del codice penale).
Recentemente sollecitata ad un revirement rispetto alla propria
precedente giurisprudenza proprio alla luce di queste ulteriori
pronunce, la Corte costituzionale con sentenza n. 173/2021 ha
ribadito l'infondatezza della questione.
Da ultimo, nella sentenza n. 24/2025 la Consulta, seppur
incidentalmente ed in ottica comparativa, ha richiamato le ragioni
per cui l'art. 58-quater O.P. puo' ritenersi espressivo di un
ragionevole esercizio della discrezionalita' del legislatore nella
previsione del meccanismo preclusivo ivi disciplinato.
Tuttavia, la questione qui proposta pone un tema in parte diverso
da quello affrontato nelle pronunce citate e, in particolare,
rispetto a quanto giudicato nella sentenza n. 173/2021.
Anzitutto, non si censura in questa sede la presenza di un
automatismo applicativo tra revoca e preclusione di accesso ai
benefici, ne' l'irragionevolezza di tale previsione normativa in
punto di an, puntando ad ottenere una caducazione totale della
disposizione in esame.
Invero, la necessita' che sussistano dei meccanismi ulteriori
rispetto alla sola revoca della misura, tesi a sanzionare il
fallimento colpevole di un'esperienza extramuraria con un congruo
periodo di regressione del trattamento insuscettibile di deroghe,
seppur capace di comprimere l'aspettativa di rieducazione del
condannato e la sua liberta' personale, ha una propria ragionevolezza
nella misura in cui la prospettiva della preclusione di accesso ad
ulteriori benefici opera sia come elemento psicologico di rinforzo
all'aderenza del condannato alle prescrizioni ed alla misura
alternativa, sia come necessario momento di
riconsiderazione-ripensamento del percorso esterno e di nuova
osservazione inframuraria.
Tuttavia, la stessa risulta sproporzionata laddove tale momento
di regressione, previsto in misura fissa e generalizzata, elimini
qualsiasi spazio di valutazione per i mutamenti significativi che
potrebbero riguardare la personalita' del condannato, svuotando
totalmente di significato rieducativo il prosieguo dell'esecuzione
successivo alla revoca ove la pena residua sia inferiore ai tre anni
ovvero riguardi esecuzioni successive.
E' quel che si realizza nel caso di specie ed e' profilo che la
Consulta aveva gia' indicato al legislatore come un possibile terreno
di intervento normativo per mitigare gli effetti della revoca di una
misura alternativa. Un invito rimasto, sinora, del tutto inascoltato.
In secondo luogo, la questione che qui si intende coltivare
rileva l'irragionevolezza della disciplina di cui all'art. 58-quater
O.P. alla luce delle modifiche normative che hanno interessato il
settore dell'esecuzione penale in epoca successiva alla sentenza
richiamata.
Modifiche che consegnano all'interprete un quadro ordinamentale
in cui possono cogliersi norme, riferibili al nuovo sistema delle
pene sostitutive introdotto con decreto legislativo n. 150/2022, che
dinanzi al fenomeno della revoca di una forma di esecuzione penale
esterna per condotte colpevoli del condannato individuano scelte
valoriali e di bilanciamento degli interessi differenti rispetto a
quanto previsto dall'art. 58-quater O.P. piu' circoscritte sia quanto
all'oggetto che, soprattutto, alla dimensione temporale.
Tali norme, non vigenti allorquando la Consulta e' stata chiamata
a pronunciarsi sull'art. 58-quater, legge n. 354/1975, rappresentano
un elemento di novita' sotto un duplice profilo ai fini della
riproposizione di censure di legittimita' costituzionale dell'art.
58-quater O.P. rispetto ai parametri indicati.
Da un lato, le stesse possono essere assunte nell'ambito di un
giudizio sul rispetto del principio di uguaglianza di cui all'art. 3
Cost. quale tertium comparationis per valutare la ragionevolezza
della differenziazione di trattamento tra le fattispecie ivi
disciplinate e la revoca di una misura alternativa alla detenzione; e
cio', tanto in ottica comparativa nell'ambito di un classico giudizio
triadico, quanto per rimeditare la ragionevolezza intrinseca della
scelta operata dall'art. 58-quater O.P., vagliandone la perdurante
attualita' alla luce di nuove e diverse scelte legislative piu'
tutelanti degli articoli 13 e 27, comma 3 Cost.
Dall'altro, esse si offrono quali opzioni normative alternative
all'art. 58-quater O.P. e, in tesi, costituzionalmente piu'
rispondenti ad un ponderato bilanciamento degli interessi
costituzionali coinvolti, valevoli per individuare una soluzione
costituzionalmente adeguata a eliminare il vulnus creato dall'art.
58-quater O.P. nella sua attuale formulazione.
Poste queste premesse, si e' gia' evidenziato come sussista una
sostanziale omogeneita' tra il giudizio del magistrato di
sorveglianza (o del giudice rispetto ai L.P.U.) in sede di revoca di
una pena sostitutiva ai sensi degli articoli 66 e 72, legge n.
689/1981 e quello del Tribunale di sorveglianza in sede di revoca di
una misura alternativa ai sensi dell'art. 51-ter, legge n. 354/1975.
In entrambi i casi, invero, si tratta di prendere atto
dell'inidoneita' e del fallimento di un determinato percorso
esecutivo esterno per condotte violative o illecite del condannato,
cui si correla una decisione che poggia sulla ritenuta impossibilita'
che l'esecuzione prosegua nelle forme vigenti e sulla inidoneita' di
altre piu' stringenti a rappresentare valida alternativa rispetto al
rischio di recidiva che la persona esprime.
Se questo e' il canone di giudizio, dunque, il soggetto che sia
incorso in revoca di una pena sostitutiva e' da intendersi, quanto
alla sua posizione costituzionale all'interno delle polarita' che
governano l'esecuzione penale - finalita' rieducativa e minimo
sacrificio della liberta' personale da un lato, istanza di certezza
della pena e sicurezza sociale dall'altro; poli all'interno dei quali
si muove la magistratura di sorveglianza, come funambolo alla ricerca
dell'equilibrio che tuteli gli uni senza annichilire gli altri - alla
medesima stregua di chi sia incorso nella revoca di una misura
alternativa alla detenzione.
Entrambi, infatti, hanno dato prova di non adeguatezza nel corso
dell'esecuzione extramoenia e sono stati parimenti giudicati
meritevoli di regredire nel trattamento, incorrendo nel ripristino
della pena detentiva e nella carcerazione.
Eppure, mentre il primo puo' senza alcuna preclusione normativa
avere accesso ai permessi premio ed al lavoro all'esterno e, espiata
meta' della pena residua successiva alla revoca, puo' astrattamente
persino ottenere l'ammissione ad una misura alternativa, facendo
valere i progressi trattamentali successivi alla revoca, il secondo
vede il proprio orizzonte trattamentale schiacciato per un intero
triennio sia nel corso dell'esecuzione che in quelle eventualmente
successive.
E cio' anche laddove il primo sia incorso in revoca della pena
sostitutiva per la commissione di un fatto di reato non colposo nel
corso della stessa, mentre il secondo abbia subito la revoca per
gravi violazioni delle prescrizioni non integranti condotte
delittuose.
La differenza di trattamento tra le due fattispecie di revoca in
punto di accesso alle misure alternative non potrebbe essere piu'
evidente ed irrazionale, nella misura in cui assoggetta a discipline
sensibilmente disomogenee situazioni che non possono non valutarsi
come identiche rispetto ai canoni costituzionali di cui agli art. 13
e 27, comma 3 Cost.
Cio' appare non coerente, dunque, con il principio di uguaglianza
sostanziale, con lesione dell'art. 3 Cost., nella misura in cui la
legge oggi fa discendere da un medesimo fatto, la revoca colpevole di
una misura extramuraria, conseguenze estremamente divergenti rispetto
all'accesso alle misure alternative alla detenzione, sottoponendo un
idem factum a discipline del tutto eterogenee.
E cio' esclusivamente sulla base di un elemento formalistico, la
tipologia di pena su cui il giudizio di revoca si appunta; un
elemento che, in un'ottica di massimizzazione della tutela dei
principi costituzionali, si assume non dovrebbe essere rilevante
rispetto alle scelte valoriali e di bilanciamento degli interessi
costituzionali in gioco dinnanzi a situazioni sostanzialmente
omogenee.
La differenziazione di trattamento teste' evidenziata si palesa
poi, irragionevole rispetto al sacrificio che la norma di cui
all'art. 58-quater O.P. impone al principio di emenda di cui all'art.
27, comma 3 Cost. laddove la revoca riguardi una misura alternativa
alla detenzione, a differenza quanto avviene in sede di revoca di una
pena sostitutiva.
La normativa di nuovo conio, infatti, lascia diversi margini
residui al principio di rieducazione, non solo per la perdurante
possibilita' in capo al soggetto incorso in revoca di una pena
sostitutiva di accedere ad altre pene sostitutive piu' gravi, ma
soprattutto perche' limita alla meta' della pena residua risultante
dalla revoca il meccanismo di preclusione all'accesso alle misure
alternative alla detenzione previste dall'ordinamento penitenziario.
Con cio' operando un bilanciamento di valori che non esaurisce in via
definitiva in ragione della revoca la possibilita' che il residuo
pena da espiare dal condannato venga incanalato in un percorso di
reinserimento sociale nelle forme delle misure alternative alla
detenzione.
Si tratta, invero, di opzione normativa certamente piu' idonea di
quella contenuta nell'art. 58-quater O.P., nella misura in cui,
imponendo una regressione a tempo del trattamento che non esaurisce
la pena in espiazione, consente al condannato di avere innanzi a se'
un orizzonte possibile entro cui orientare i propri sforzi e le
proprie energie; laddove, a contrario, l'art. 58-quater O.P., nella
sua dimensione temporale assoluta, non fa seguire alla regressione
alcuno spiraglio di evoluzione in termini risocializzanti. Cio'
frustra irrimediabilmente la funzione rieducativa, disincentivando il
condannato a qualsiasi impegno nel trattamento, in quanto sforzo
irrilevante ed inutile, non spendibile ne' entro l'esecuzione
pregiudicata dalla revoca, ne' nel triennio successivo.
Sussisterebbe, in quest'ottica, una lesione dell'art. 3, comma 2
in relazione all'art. 27, comma 3 Cost. per violazione del canone di
proporzionalità -ragionevolezza.
Da ultimo, per le medesime ragioni, ad essere pregiudicato
risulta altresi' l'art. 13 Cost.
La preclusione triennale ed assoluta imposta dall'art. 58-quater,
legge n. 354/1975 come conseguenza della revoca di una misura
alternativa, infatti, non consente di mantenere una adeguata e
puntuale corrispondenza tra il sacrificio che essa impone alla
liberta' personale e la necessita' che tale sacrificio sia
effettivamente imposto.
Esemplificando: nel caso in cui dopo la revoca della misura la
persona abbia cessato di esprimere il rischio di recidiva valutato
dal Tribunale di sorveglianza all'atto della decisione ex art. 51-ter
O.P. tale da non consentire la prosecuzione del beneficio, questi
sarebbe parimenti sottoposto per tre anni o sino al termine della
pena, laddove questa sia inferiore ai tre anni, ad esecuzione
inderogabilmente inframuraria, massimamente restrittiva della sua
liberta' personale, senza che a cio' corrisponda, di rimando una
reale esigenza di difesa sociale.
La possibilita' che questo avvenga senza che la legge preveda
deroghe alla preclusione di cui all'art. 58-quater O.P., a giudizio
di questo magistrato, sarebbe gia' sufficiente a ritenere fondato il
vulnus costituzionale denunciato rispetto all'art. 13 Cost.
Ma, mantenendosi nell'ottica del raffronto col tertium
rappresentato dalla disciplina delle pene sostitutive, la frizione
costituzionale evidenziata assume i colori foschi della patente
irragionevolezza, laddove si consideri che, rispetto all'accesso alle
misure alternative alla detenzione, nel sistema della legge n.
689/1981 la restrizione forzata della liberta' personale di chi sia
incorso in revoca di una pena sostitutiva e' dall'art. 67
temporalmente circoscritto a meta' della pena residua ad esito della
revoca.
Il che consente di valorizzare le modificazioni soggettive che,
oltre ad essere frutto del percorso di rieducazione, facciano
ritenere non piu' attuale quel giudizio di concreto rischio di
recidiva reso in sede di revoca.
La situazione descritta, dunque, nella sua irragionevolezza,
appare lesiva dell'art. 3, comma 2 Cost. inrelazione all'art. 13
Cost.
3.1. La soluzione costituzionalmente adeguata.
Ad esito della disamina condotta, deve evidenziarsi che le scelte
operate dal legislatore delegato in materia di pene sostitutive di
cui agli articoli 59 e 67, legge n. 689/1981 appaiono frutto di un
diverso bilanciamento di valori costituzionali rispetto alla
fattispecie della revoca; bilanciamento maggiormente orientato alla
tutela della tensione rieducativa della pena di cui all'art. 27,
comma 3 Cost. e del favor verso opzioni esecutive complessivamente
piu' rispettose anche del principio di minimo sacrificio necessario
della liberta' personale di cui all'art. 13 Cost.
Rispetto a tali soluzioni normative di fonte legislativa, l'art.
58-quater O.P. risulta oggi frutto di un bilanciamento non piu'
attuale dei beni costituzionali rilevanti, che realizza un massimo e
totale sacrificio degli uni anche ove a tale sacrificio non
corrisponda un'espansione della tutela degli altri, come tale
costituzionalmente inadeguato e meritevole di essere riconsiderato in
punto di durata del meccanismo preclusivo, soprattutto ove
confrontato con le diverse opzioni operate in altro settore omologo.
La soluzione al vulnus costituzionale, tuttavia, non puessere
quella della caducazione sic et simpliciter della norma di cui
all'art. 58-quater, commi l, 2 e 3 O.P.
Tale esito, invero, se consentirebbe di espandere al massimo
grado la tutela degli articoli 13 e 27, comma 3 Cost., non sarebbe
coerente con la garanzia di altrettanti e parimenti rilevanti
principi costituzionali, oltre che apparire troppo favorevole in
eccesso rispetto alle preclusioni, piu' miti ma pur presenti, che si
rinvengono nella legge n. 689/1981.
Appare, dunque, preferibile individuare una diversa formulazione
normativa che nello spettro delle varie alternative possibili tra
l'attuale formulazione e l'assenza di preclusioni, possa essere
assunta quale soluzione costituzionalmente adeguata a contemperare
gli interessi in gioco.
Gia' in altre occasioni, infatti, la Corte costituzionale,
discostandosi dalla teoria delle cosiddette soluzioni a rime
obbligate, ha recentemente adottato pronunce in cui sono state
accolte soluzioni di tipo additivo-manipolativo che, pur se non
obbligate, apparivano adatte a offrire una cornice di tutela adeguata
rispetto ai vulnera costituzionali denunciati dai giudici rimettenti,
evitando al contempo che la declaratoria di incostituzionalita'
creasse vuoti di disciplina e precludesse, in astratto, un intervento
del legislatore che, nell'esercizio della sua discrezionalita' e
tenendo fermi i criteri costituzionali minimi offerti dalla Corte,
desse una diversa riorganizzazione alla materia.
Si tratta di un'ermeneutica costituzionale ormai consolidatasi ed
espressa in diverse pronunce della Consulta (si vedano la sentenza n.
40 del 2019, punto 4.2. del Considerato in diritto; sentenza n. 236
del 2016, punto 4.4. del Considerato in diritto; sentenza n. 222 del
2018, punto 8.1. del Considerato in diritto; recentemente sentenza n.
46 del 2024, punto 4 e seguenti del Considerato in diritto; ex
multis, nello stesso senso, sentenze n. 95 del 2022, punto 5 del
Considerato in diritto, e n. 252 del 2020, punto 4.6. del Considerato
in diritto). Sebbene i precedenti citati hanno in massima parte
riguardato norme relative a giudizi in cui era oggetto di censura
l'adeguatezza-ragionevolezza del trattamento sanzionatorio, non sono
mancate pronunce che hanno fatto applicazione della teoria delle
soluzioni costituzionalmente adeguate anche nell'ambito della materia
della sorveglianza: si pensi alle sentenze n. 253/2019 e n. 10/2024,
rispettivamente, in tema di accesso ai permessi premio per condannati
per delitti di cui all'art. 4-bis, comma 1 O.P. in assenza di
collaborazione con la giustizia ed in tema di a affettivita'
inframuraria e divieto di colloqui intimi, ove la Corte ha
sostanzialmente individuato il portato minimo di tutela
costituzionalmente necessitato per rispondere alle censure mosse dai
giudici a quo, lasciando comunque un margine di discrezionalita' al
potere legislativo.
Alla luce dell'ermeneutica costituzionale citata, si ritiene che
la soluzione costituzionalmente adeguata sarebbe quella di mutuare
quanto previsto dall'art. 67, comma 2, legge n. 689/1981 per
l'ipotesi di accesso alle misure alternative susseguente alla revoca
di una pena sostitutiva, modificando esclusivamente la durata della
preclusione ed ancorando la stessa ad una porzione della pena
residua, mantenendo, comunque, fermo il limite massimo di tre anni.
Tale ulteriore specificazione appare necessaria in quanto,
sebbene la maggior parte delle misure alternative alla detenzione
abbiano un limite di pena di accesso omologo a quanto previsto in
materia di pene sostitutive e contenuto entro gli anni quattro, vi
sono misure alternative alla detenzione quali la semiliberta' che
possono essere fruite anche ove la pena residua sia di molto
superiore.
In questi casi, l'operare della preclusione senza un limite
massimo di durata porterebbe ad inasprire la disciplina attuale,
realizzando un effetto in malam partem in una materia, l'accesso alle
misure alternative alla detenzione, ormai pacificamente rientrante
nel diritto penale sostanziale (Corte costituzionale 32/2020).
E, d'altronde, l'imposizione di un limite massimo che ricalchi
quello attuale risponde parimenti ad una necessita' di adeguata
tutela dei beni costituzionali in gioco, laddove si consideri che lo
stesso legislatore ha inteso il triennio quale orizzonte oltre il
quale il limite di accesso ai benefici risulta inadeguato.
L'art. 58-quater O.P., comma 3, dunque, risulterebbe
incostituzionale nella parte in cui prevede che «il divieto di
concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento
della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena o e' stato
emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2» invece di
stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre tre
anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2».
Si ritiene di poter individuare questa quale soluzione
costituzionalmente adeguata, mutuandola dall'art. 67, comma 2, legge
n. 689/1981 e non gia' altre piu' favorevoli opzioni pure previste
dalla legge n. 689/1981 nel rapporto tra revoca ed ammissione ad
altre pene sostitutive, sulla base della seguente considerazione.
Se e' vero che sussiste una chiara omogeneita' sostanziale tra
pene sostitutive e pene detentive espiate in forma di misura
alternativa, alcuni profili di differenziazione suggeriscono di non
omologare le discipline quanto alla modalita' di operazione della
preclusione prevista dall'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981. Da
un lato perche' questa norma e' orientata ad una valutazione sulla
possibilita' di sostituire la pena detentiva con la pena sostitutiva,
partendo dal presupposto che queste riguardino solo pene detentive
brevi e fatti di minore rilievo, mentre la pena detentiva puo'
riguardare anche delitti e condanne di maggiore gravita'. Dall'altro,
perche' il meccanismo preclusivo in questione opera solo all'interno
del sistema chiuso delle pene sostitutive e non spiega alcun effetto
rispetto alla possibilita' di accesso alle misure alternative alla
detenzione. Invero, anche se in applicazione della preclusione
soggettiva di cui all'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981 la pena
detentiva non potra' essere sostituita, trattandosi di condanna
comunque inferiore ai quattro anni, la persona potra' avanzare
domande di misure alternative ai sensi dell'art. 656, comma 5 del
codice di procedura penale. Dunque, pur individuando una possibile
opzione di risposta normativa rispetto alla revoca di una pena lato
sensu extramuraria, l'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981 non
incide in termini assoluti sul principio di rieducazione e sulla
liberta' personale, mantenendo i propri effetti circoscritti
all'esclusione di una possibilita' di accesso ad espiazione non
carceraria, vale a dire quella offerta dalla sostituzione della pena
detentiva in pena sostitutiva, senza pregiudicare in alcun modo le
altre previste dall'ordinamento nel suo complesso.
Viceversa, l'art. 67, comma 2, legge n. 689/1981 e' norma che
attribuisce alla revoca di una pena sostitutiva un rilievo esterno al
sistema delle pene sostitutive, precludendo in assoluto l'accesso
alle altre forme di espiazione extramuraria previste dall'ordinamento
penitenziario e, come tale, realizza effetti omologhi a quanto
previsto dall'art. 58-quater O.P.; con l'unica e rilevante differenza
di circoscrivere l'oggetto ed il tempo della preclusione si' da non
frustrare in via definitiva la successiva espiazione della pena
rispetto ai principi di emenda e di sacrificio minimo della liberta'
personale.
E' questa, dunque, a parere di questo magistrato, la soluzione
coerente e costituzionalmente adeguata a rimuovere illc et immediate
il vulnus costituzionale che l'attuale formulazione dell'art.
58-quater O.P. realizza per la fissita' dei suoi effetti.
Tale opzione, infatti, come si e' detto, individua un punto di
equilibrio tra le istanze de libertate e di rieducazione del
condannato e quelle di sicurezza sociale cristallizzate nella
pronuncia di revoca, che sacrifica le prime per un tempo di congruo a
consentire che la persona, proprio mediante il ripristino
dell'osservazione e del trattamento intramurario, dimostri una
evoluzione che consenta di ritenere non piu' attuale il giudizio di
concreto rischio di recidiva reso in sede di revoca.
Esito che appare, invero, estremamente coerente con la
giurisprudenza costituzionale espressa dalle sentenze n. 173/2021 e
n. 24/2025.
Invero, se il combinato disposto degli articoli 51-ter e
58-quater, legge n. 354/1975 ha, nella lettura costituzionale
espressa dalla Consulta, la funzione di imporre una regressione del
trattamento in virtu' di un giudizio di inadeguatezza della misura,
il ripristino della carcerazione deve razionalmente avere come
obiettivo non soltanto la neutralizzazione del rischio di recidiva
che la persona esprime, ma anche la possibile costruzione di una
nuova prospettiva trattamentale e rieducativa.
Obiettivo che la normativa attuale sacrifica in toto, ove la pena
si esaurisca entro il triennio, senza consentire al Tribunale di
sorveglianza di graduare gli effetti della propria pronuncia.
Merita, poi, di evidenziarsi che, se la soluzione proposta
certamente depotenzia in qualche misura l'effetto di deterrenza della
preclusione di cui all'art. 58-quater O.P. rispetto alla fase
terminale dell'espiazione della pena in misura alternativa, posto che
l'ancoraggio alla meta' della pena residua risultante dalla revoca
riduce in via direttamente proporzionale all'avvicinarsi del fine
pena il metus rappresentato dalla minaccia della preclusione stessa,
la ragionevolezza di tale opzione puo' cogliersi sia dal raffronto
con l'art. 67, legge n. 689/1981 sia andando a vagliare in che
termini questa opzione bilancia i beni costituzionali in gioco in
termini piu' equilibrati di quanto non faccia l'art. 58-quater O.P.
Infatti, il vantaggio concreto che questa soluzione realizza in
punto di tutela dei beni costituzionali assunti quale parametro di
riferimento (27, comma 3 e 13 Cost.) non si traduce in un
annientamento delle esigenze di sicurezza sociale connesse al
prosieguo dell'esecuzione residuante da revoca e delle eventuali
esecuzioni successive, potendo queste ben essere adeguatamente
tutelate nel giudizio di merito innanzi alla magistratura di
sorveglianza.
E cio' evidenzia come la soluzione che si ritiene adeguata, gia'
a monte esprime una ponderazione piu' oculata dei beni costituzionali
coinvolti nell'esecuzione pena di quanto non faccia l'art. 58-quater
O.P., che sacrifica irrimediabilmente gli uni (principio di emenda,
liberta' personale) in favore degli altri (sicurezza sociale).
Vi e' poi da considerare come la soluzione prospettata
consentirebbe, rispetto alla misura dell'affidamento in prova al
servizio sociale, di graduare effettivamente il tempo della
preclusione.
Il Tribunale di sorveglianza, in sede di revoca dell'affidamento
in prova, e' titolare di un potere di rideterminare la pena residua,
previsto dall'art. 98, comma 7, decreto del Presidente della
Repubblica n. 230/2000, con facolta' di indicare quale porzione della
pena eseguita in affidamento in prova possa ritenersi non validamente
espiata in ragione dei fatti che hanno condotto alla revoca.
Si tratta di un obbligo/potere che, come indicato dalla lettura
del giudizio di revoca offerta dalle sentenze n. 173/2021 e n.
24/2025 su citate, rappresenta uno degli ulteriori fattori che il
Tribunale di sorveglianza deve soppesare e che, spesso, nel diritto
vivente e' recessivo dinnanzi all'attuale meccanismo preclusivo fisso
stabilito dall'art. 58-quater O.P. Dinnanzi alla prospettiva di una
preclusione triennale che esaurisce la pena residua, infatti,
l'ulteriore aggravio dato dal considerare una quota di pena non
validamente espiata, porta a limitare gli effetti di cui all'art. 98,
comma 7, decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000.
Ove si accogliesse la questione qui prospettata, invece, il
Tribunale di sorveglianza potrebbe effettuare davvero ed in modo
compiuto quella «ponderazione degli effetti della revoca» cui fa
riferimento la Corte costituzionale, incidendo sulla pena residua e,
indirettamente, sulla durata della preclusione di accesso ai
benefici, si' da gradare in concreto, con una valutazione casistica
ed individualizzata (dunque fondata sull'art. 27, comma 3 Cost.), gli
effetti della propria pronuncia alla gravita' dei fatti che impongono
la regressione del trattamento.
Ma, anche rispetto alle altre misure alternative, la
rimodulazione della durata del meccanismo preclusivo nei termini
indicati non esporrebbe a incalcolabili rischi di ammissione ad
esecuzione penale esterna soggetti gia' giudicati come pericolosi.
La circoscrizione della durata dello stop ai benefici, infatti,
inciderebbe solo sulla possibilita' di accedere ad una valutazione di
merito e non gia' sull'accesso al beneficio tout court, rimanendo
questa valutazione ancorata al puntuale apprezzamento della
magistratura di sorveglianza.
Nel giudizio successivo alla revoca di precedente beneficio,
dunque, la revoca svolgera' ragionevolmente un ruolo principe nelle
valutazioni del giudice, ponendosi quale elemento di fatto altamente
negativo in chiave prognostica, per vincere il quale il condannato
dovra' fornire adeguati indici di sviluppo del trattamento
successivo, che consentano di superare la necessita' di regressione e
l'elevato rischio di recidiva che la revoca ha riconosciuto.
Un giudizio, dunque, difficilmente superabile senza un concreto
impegno nel trattamento da parte del condannato, ma che allo stato e'
assolutamente precluso e che, ove accolta la questione, sarebbe
quanto meno in astratto possibile.
Tutte le ragioni esposte militano nel senso di ritenere l'art.
58-quater O.P., comma 3 incostituzionale per violazione degli
articoli 3, comma l Cost. e 3, comma 2 in relazione agli articoli 13
e 27, comma 3 Cost., nella parte in cui prevede che «il divieto di
concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento
della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena o e' stato
emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2» invece di
stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre tre
anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2».
Prima di procedere verso le conclusioni, e' opportuno evidenziare
che, laddove la Consulta, pur accogliendo la questione non ritenesse
di condividere la soluzione prospettata, nulla impedirebbe al giudice
delle leggi di individuare altra formulazione costituzionalmente
adeguata dell'art. 58-quater O.P. capace di ricondurre a legittimita'
costituzionale la norma.
Come ribadito nella sentenza n. 46/2024 della Corte
costituzionale, infatti, «"il petitum dell'ordinanza di rimessione ha
la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse
dal giudice rimettente", ma non vincola questa Corte, che, "ove
ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la
pronuncia piu' idonea alla reductio ad legitimitatem della
disposizione censurala" (sentenza n. 221 del 2023, punto 4 del
Considerato in diritto; in senso conforme, piu' di recente, sentenza
n. 12 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto)».
3.2. Rilevanza, non manifesta infondatezza ed impossibilita' di
superare la norma con interpretazione costituzionalmente orientata.
Cosi' posta, la questione risulta certamente rilevante nel caso
di specie e, per le ragioni su esposte, non manifestamente infondata.
In punto di rilevanza, infatti, a normativa vigente, questo
magistrato di sorveglianza dovrebbe definire il procedimento con
declaratoria di inammissibilita' ex art. 58-quater, commi l, 2 e 3,
legge n. 354/1975.
Laddove, accolta la soluzione caldeggiata da questo magistrato di
sorveglianza, invece, gli effetti della revoca in cui e' incorso B.
S. sarebbero ad oggi esauriti e, dunque, questo magistrato potrebbe
valutare nel merito, secondo i canoni su espressi, la domanda di B.
E cio' si ritiene sufficiente, a prescindere da un vaglio circa
l'eventuale accoglimento nel merito dell'istanza di B., a ritenere
integrato il primo requisito di ammissibilita'.
E' noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ormai affermato
una nozione di rilevanza della questione che prescinde dall'eventuale
diretta incidenza sull'esito del giudizio a quo, descritta come
rilevanza giuridica (3) .Secondo tale orientamento, ormai
maggioritario e condiviso, il requisito di rilevanza sussiste anche
qualora la decisione della Corte sia idonea ad incidere nel giudizio
a quo anche solo nel senso di imporre al giudice un diverso percorso
logico-giuridico-argomentativo, pur rimanendo in ipotesi identico
l'esito del giudizio.
Merita, poi, di evidenziarsi, sempre in punto di rilevanza che,
sebbene potrebbe in astratto dubitarsi della rilevanza di una
questione di costituzionalita' nell'ambito di un procedimento
cautelare qual e' quello oggi in decisione, dovendo questo essere
tendenzialmente decidibile allo stato degli atti, si tratta di
profilo piu' pratico operativo che non giuridico e, come tale,
irrilevante.
Invero, anche in un procedimento cautelare, l'ammissibilita'
della domanda proposta e' questione preliminare alla valutazione
della decidibilita' nel merito che, invero, preclude tale ulteriore
vaglio.
In questo senso, la pregiudizialita' della questione di
costituzionalita' sussiste anche in un procedimento monitorio e non
puo' essere elusa dal giudice semplicemente rilevando che l'incidente
di costituzionalita' mal funzionerebbe nel tipo di strumento
azionato.
Peraltro, la Consulta, nel ribadire la nozione di rilevanza
giuridica, nella sentenza n. 30/2022 ha altresi' sottolineato come
anche eventuali evenienze successive, che evidenzino l'infondatezza
dell'istanza in relazione alla quale e' sorto il dubbio di
costituzionalita' o la non piu' attuale utilita' della stessa nel
giudizio a quo non esplicano effetti sul giudizio incardinato innanzi
alla Corte, essendo l'incidente di costituzionalita' caratterizzato
da autonomia rispetto alle vicende sostanziali del caso da cui esso
origina (4) . Il caso era quello di una domanda inammissibile in sede
cautelare rispetto alla quale il giudice a quo aveva sollevato
questione di costituzionalita' dell'art. 47-quinquies O.P.,
evidenziando di non poter valutare il merito della domanda. Il
procedimento cautelare era, dunque, sospeso, mentre il procedimento
dinnanzi al Tribunale di sorveglianza esitava in un rigetto.
A fronte dell'eccezione di sopravvenuta irrilevanza della
questione per esser stata definita la domanda principale, la Corte ha
espresso i principi sopra richiamati, che si ritiene siano valevoli
anche nel caso di cui ci si occupa.
In questo senso, la questione e' certamente rilevante ai fini
della decisione della domanda cautelare, impedendo l'art. 58-quater
O.P. a questo giudice di esaminare il merito della richiesta e lo e'
oggi, rendendo irrilevante l'eventuale prosieguo della vicenda
esecutiva di B. dinnanzi al Collegio o la scarcerazione del
condannato prima che si concluda il giudizio innanzi alla Corte
(esito purtroppo in concreto non irrealistico, a fronte di un fine
pena che potrebbe essere anticipato a inizio novembre 2025).
Deve, tuttavia, precisarsi che la sospensione del giudizio in
sede cautelare con l'inoltro alla Corte costituzionale determinera'
una stasi dell'attuale procedura, senza trasmissione degli atti al
Tribunale di sorveglianza di Bologna.
Ove questa A.G., pur eccependo la costituzionalita' della norma,
trasmettesse gli atti al Tribunale di sorveglianza per il prosieguo,
infatti, si spoglierebbe della domanda con un esaurimento della
potesta' di decisione del giudice a quo, tale da caducare la
rilevanza della questione.
L'esito dinnanzi alla Corte, dunque, sarebbe nel senso della
manifesta inammissibilita' della questione, per esser venuta meno
l'incidentalita' della stessa nel giudizio, come affermato da
costante giurisprudenza della Consulta (si veda, recentemente
l'ordinanza n. 41/2025 del 10 marzo 2025, ove si ribadisce che «per
effetto della consumazione della potestas iudicandi in capo al
rimettente, viene meno l'indefettibile presupposto della
incidentalita' delle questioni di legittimita' costituzionale
sollevate, con conseguente manifesta inammissibilita' delle stesse
(ex multis, sentenza n. 212 del 2023)»).
In questo senso, sara' onere della difesa, al fine di coltivare
innanzi al Tribunale di sorveglianza la propria domanda, formulare
autonoma richiesta all'organo collegiale nelle more dell'incidente di
costituzionalita'.
Quanto alla non manifesta infondatezza, ci si richiama alle
considerazioni svolte supra al § 3 ne seguenti circa il perimetro
della questione qui proposta, le differenze di fatto e di diritto che
richiedono, a parere di questa autorita', di riconsiderare
parzialmente la decisione assunta dalla Consulta con sentenza n.
173/2021, ribadendosi come la questione qui posta poggi su una
diversa causa petendi e proponga un diverso petitum al giudice delle
leggi rispetto alle questioni gia' esaminate.
In merito, da ultimo, alla possibilita' di esperire una
interpretazione costituzionalmente orientata del tessuto normativo, a
fronte della chiarezza letterale del testo di legge, non appare
possibile interpretare l'art. 58-quater O.P. se non nel senso che la
norma precluda per tre anni l'accesso ai benefici penitenziari.
Eventuali interpretazioni tese a temperare la rigidita' di tale
meccanismo risulterebbero all'evidenza contra legem.
4. Conclusioni.
Alla luce della disamina sin qui condotta, il magistrato di
sorveglianza giudica fondati i dubbi di costituzionalita' sollevati
dalla difesa avverso l'art. 58-quater, comma 3, legge n. 354/1975 in
relazione agli articoli 3 Cost., 3, comma 2 in relazione agli art. 13
e 27, comma 3 Cost. nella parte in cui prevede che «il divieto di
concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento
della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena o e' stato
emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2» invece di
stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera per un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre tre
anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2».
(1) Cfr. C. costituzionale n. 173/2021 § 3.3.3, ove la Corte Cosi
motiva: «il tribunale di sorveglianza ha oggi la possibilita' di
reagire alla commissione di comportamenti suscettibili di
determinare la revoca della misura alternativa attraverso una
pluralita' di risposte: la prosecuzione della misura nonostante
la condotta inosservante da parte del condannato; la sua
sostituzione con altra misura; e infine la sua revoca, riservata
evidentemente ai casi piu' gravi, che dimostrino la necessita' di
una regressione del percorso rieducativo e di un almeno
temporaneo ripristino del regime di detenzione, in particolare in
funzione di contenimento di un concreto rischio di recidiva
evidenziatosi in capo al condannato. Nell'esercitare tale
discrezionalita', il tribunale non potra' non tenere conto anche
delle conseguenze particolarmente gravose associate alla revoca,
e in particolare della preclusione - nell'arco di un intero
triennio -relativa alla concessione di ogni altra misura
alternativa o beneficio penitenziario, diversi dalla liberazione
anticipata. La preclusione qui all'esame discende dunque da una
valutazione caso per caso da parte del giudice di sorveglianza,
effettuata sulla base non gia' di presunzioni legate al titolo di
reato o allo status di recidivo del condannato, ma del percorso
da lui concretamente compiuto durante l'esecuzione della pena, e
in particolare di specifiche condotte in violazione delle
prescrizioni inerenti alla misura alternativa, che ne hanno
determinato un giudizio di non meritevolezza rispetto alla
possibilita', gia' concessagli una prima volta, di eseguire la
propria pena in regime extramurario.»
(2) Cfr. Relazione Cartabia pag. 214 «Questa preclusione soggettiva
non e' legata a logiche presuntive ma rappresenta una sanzione
per l'inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni delle tre
pene sostitutive: nei tre anni successivi alla revoca ex art. 66,
infatti, la pena sostitutiva non puo' essere applicata per un
nuovo reato. Con cio' intende rafforzare, sul piano preventivo,
l'osservanza degli obblighi e delle prescrizioni, secondo un
modello di disciplina previsto, per le misure alternative alla
detenzione, dall'art. 58-quater, comma 2-3. Ad analoga finalita'
e' ispirata la preclusione che riguarda chi ha commesso proprio
il reato per cui si procede mentre si trovava in esecuzione di
una pena sostitutiva, revocata ai sensi dell'art. 72. Tale
preclusione viene limitata all'ipotesi in cui il reato commesso
sia di particolare gravita' (un delitto non colposo).»
(3) Con le parole della Consulta, «anche nella prospettiva di un piu'
diffuso accesso al sindacato di costituzionalita' (messa in
risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n. 77 del
2018) e di una piu' efficace garanzia della conformita' a
Costituzione della legislazione (profilo valorizzato, da ultimo,
nella sentenza n. 174 del 2019), il presupposto della rilevanza
non si identifica con l'utilita' concreta di cui le parti in
causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione (sentenza
n. 20 del 2018)»; cosi Corte costituzionale 254/2020.
(4) Si veda, in particolare Corte costituzionale n. 30/2022 laddove
e' affermato che «Per costante giurisprudenza di questa Corte, la
rilevanza della questione incidentale si configura come
necessita' di applicare la disposizione censurata, senza
identificarsi nell'utilita' concreta per la parte del giudizio
principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n. 172 e n. 59 del
2021, n. 254 del 2020 e n. 174 del 2019). [...] Per l'autonomia
che lo caratterizza, il giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale non risente delle vicende di fatto successive
all'ordinanza di rimessione, sicche' la rilevanza delle questioni
deve essere vagliata ex ante, con riferimento al tempo della
prospettazione (da ultimo, sentenze n. 22 e n. 7 del 2022, n. l
27 del 2021, n. 270, n. 244 e n. 85 del 2020).».
P. Q. M.
Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei termini indicati, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 58-quater, comma 3 O.P. per contrarieta' agli articoli 3
Costituzione, 3, comma 2 Costituzione in relazione agli articoli 13 e
27, comma 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che «il
divieto di concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni
dal momento della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena
o e' stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2»
invece di stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera
per un periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non
oltre tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione
della custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di
revoca di cui al comma 2».
Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale;
Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Cosi' deciso in Bologna, il 15 luglio 2025
Il magistrato di sorveglianza: Romano