Reg. ord. n. 180 del 2025 pubbl. su G.U. del 01/10/2025 n. 40

Ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna  del 15/07/2025

Tra: S.B.

Oggetto:

Ordinamento penitenziario - Misure alternative alla detenzione - Revoca di una misura alternativa alla detenzione - Divieto di concessione di benefici – Previsione che il divieto di concessione dei benefici opera “per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2” dell’art. 58-quater della legge n. 354 del 1975 anziché “per un periodo pari alla metà della pena residua e, comunque, non oltre tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell’esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2.” – Violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza in relazione ai principi della funzione rieducativa della pena e della inviolabilità della libertà personale.

Norme impugnate:

legge  del 26/07/1975  Num. 354  Art. 58  Co. 3



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art.  Co.

Costituzione  Art. 13   Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.




Testo dell'ordinanza

                        N. 180 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2025

Ordinanza del 15 luglio 2025 del Tribunale di sorveglianza di Bologna
nel procedimento di sorveglianza nei confronti di S. B.. 
 
Ordinamento penitenziario -  Misure  alternative  alla  detenzione  -
  Divieto di concessione di benefici - Previsione che il  divieto  di
  concessione dei benefici opera "per un  periodo  di  tre  anni  dal
  momento in cui e' ripresa l'esecuzione della custodia o della  pena
  o e' stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma  2"
  dell'art. 58-quater della legge n. 354 del 1975, anziche'  "per  un
  periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque,  non  oltre
  tre anni, e decorre dal momento della ripresa dell'esecuzione della
  custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di  revoca
  di cui al comma 2." 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 58-quater, comma 3. 


(GU n. 40 del 01-10-2025)

 
                 UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA 
                    il magistrato di sorveglianza 
 
    Visti gli atti relativi all'istanza  di  ammissione  alla  misura
dell'esecuzione della pena presso il domicilio presentata da  B.  S.,
nato in ... (...) il ..., detenuto presso la  Casa  Circondariale  di
Ferrara in relazione alla pena  di  cui  alla  sentenza  n.  679/2020
emessa dal  G.I.P.  di  Padova,  pari  ad  anni  uno  di  reclusione;
decorrenza pena 20 dicembre 2024; fine pena 19 dicembre 2025. 
 
                               Osserva 
 
    Con istanza del 2 luglio 2025 il difensore di B. S.  ha  avanzato
presso l'Ufficio di  sorveglianza  di  Bologna  distinte  domande  di
detenzione domiciliare in via provvisoria e di esecuzione della  pena
presso il domicilio in relazione al titolo in  epigrafe,  da  fruirsi
presso il domicilio del sig. ..., sito in ... (...), via ... 
    Il presente procedimento attiene alla domanda di esecuzione della
pena presso il domicilio ex art. 1,  legge  n.  199/2010,  mentre  la
domanda di detenzione domiciliare e' stata iscritta al  n.  SIUS  UDS
2025/9026. 
    L'istanza difensiva fa seguito  a  precedenti  determinazioni  di
questa autorita' giudiziaria  e  del  Tribunale  di  sorveglianza  di
Bologna  che  hanno  evidenziato  l'inammissibilita'  delle   domande
proposte da B. S. in  forza  del  divieto  triennale  di  accesso  ai
benefici penitenziari di cui all'art. 58-quater, comma  2,  legge  n.
354/1975. 
    L'attuale esecuzione penale, infatti,  origina  da  provvedimento
del Tribunale di sorveglianza di Venezia (SIUS TDS Venezia  2024/4628
del 18 novembre 2024) che ha dichiarato,  in  applicazione  dell'art.
58-quater  O.P.,   l'inammissibilita'   delle   domande   di   misure
alternative proposte da B. ai sensi dell'art. 656, comma 5 del codice
di procedura penale sulla  condanna  in  espiazione,  per  essere  il
detenuto incorso nella revoca di misura alternativa  alla  detenzione
in  data  13  febbraio  2024  giusta  ordinanza  del   Tribunale   di
sorveglianza di Brescia, che ha revocato l'esecuzione pena presso  il
domicilio concessa all'istante  dal  Magistrato  di  sorveglianza  di
Milano per condotte incongrue avvenute nel corso della misura. 
    Analogamente, l'Ufficio di sorveglianza di  Bologna  ha  rilevato
l'inammissibilita' delle istanze di  detenzione  domiciliare  in  via
provvisoria e di esecuzione della pena presso il  domicilio  proposte
in precedenza dal  condannato.  Quanto  alla  domanda  di  detenzione
domiciliare trasmessa al Tribunale di  sorveglianza  di  Bologna,  il
relativo procedimento (SIUS TDS 2025/2632) si e' concluso con decreto
del 23 aprile 2025 emesso de plano ai sensi dell'art.  666,  comma  2
del codice di procedura penale per l'evidente inammissibilita'  della
domanda. 
    Il decreto di inammissibilita' e' stato  comunicato  alla  difesa
dopo che questa aveva  inteso  depositare  memoria  nel  procedimento
iscritto presso il Collegio felsineo -  ormai  conclusosi  -  in  cui
sollecitava il Tribunale di sorveglianza di  Bologna  a  valutare  la
compatibilita' costituzionale dell'art.  58-quater  O.P.,  proponendo
questione che non e' stata, dunque, esaminata. 
    Onde non incorrere in questa sede in  ulteriore  declaratoria  di
inammissibilita', il difensore reitera la  preliminare  eccezione  di
incostituzionalita' dell'art. 58-quater O.P. nella misura in  cui  la
norma prevede una preclusione triennale  per  l'accesso  ai  benefici
penitenziari nei casi in cui il condannato incorra  nella  revoca  di
una misura alternativa alla detenzione, per contrarieta' della stessa
rispetto agli articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione. 
    La norma, infatti, prevedrebbe un rigido automatismo  che  ancora
alla pronuncia di revoca degli effetti altamente pregiudizievoli, che
frustrano la funzione rieducativa della pena nella misura in cui  non
consentono  alla  magistratura  di  sorveglianza  di  compiere  delle
valutazioni sui progressi trattamentali del detenuto successivi  alla
revoca stessa. E cio' sarebbe ancor piu' irragionevole laddove,  come
nel caso di specie, la revoca sarebbe stata susseguente  non  gia'  a
condotte di reato o idonee ad indicare un rischio di recidiva del B.,
quanto piuttosto a condotte considerate dal difensore incolpevoli. 
    Il difensore avvia il proprio iter argomentativo  segnalando  che
questione analoga e'  stata  gia'  affrontata  dalla  Consulta  nella
sentenza n. 173/2021. 
    In quella sede, ricorda il  difensore,  la  Corte  ha  dichiarato
manifestamente infondate le questioni sollevate dal  giudice  a  quo,
evidenziando che la revoca e' provvedimento adottato dal Tribunale di
sorveglianza non gia' quale conseguenza automatica  delle  violazioni
delle prescrizioni o della commissione di un reato, ma a  seguito  di
un giudizio reso nell'ambito di procedimento  che  consente,  accanto
alla revoca, di adottare soluzioni alternative quali la  prosecuzione
della misura o la sostituzione della misura con altra piu' idonea. 
    L'operativita' dell'art. 58-quater, dunque,  si  correla  ad  una
specifica valutazione della magistratura di sorveglianza che consente
all'autorita'  giudiziaria  di  soppesare  gli  elementi  negativi  e
positivi, e gli esiti della propria  decisione  anche  sul  prosieguo
dell'esecuzione penale. 
    La stessa Corte  costituzionale,  dunque,  pur  valutando  l'art.
58-quater O.P. quale norma «indubbiamente severa e  opinabile  da  un
punto di vista di  politica  penitenziaria»  ha  giudicato  l'opzione
normativa espressiva di un esercizio di discrezionalita'  legislativa
non contrastante coi canoni costituzionali. 
    La difesa, in premessa, tiene a precisare che i fatti  che  hanno
condotto alla revoca sono ascrivibili ad  alcune  leggerezze  del  B.
nella  gestione  delle  autorizzazioni,  nonche'  nell'insorgere   di
dissidi con  la  persona  che  aveva  all'epoca  offerto  il  proprio
domicilio al condannato, per cui era stato lo stesso B. a  richiedere
di rientrare in carcere per terminare l'espiazione di quel titolo non
essendo possibile che la convivenza tra i due  proseguisse.  Inoltre,
continua la difesa, procedimenti instaurati nei  suoi  confronti  per
evasione e relativi alle violazioni delle  prescrizioni  orarie  sono
stati poi definiti con archiviazione e le segnalazioni da parte della
Questura di Mantova per i dissidi con la padrona di  casa  non  hanno
poi  avuto  seguito,  non  avendo  questa  mai  formalmente  revocato
disponibilita' all'accoglienza o denunciato B. 
    A fronte di questi elementi l'operare  dell'art.  58-quater  O.P.
nel caso in esame preclude in toto alla persona l'accesso ai benefici
sulla  base   della   sola   pronuncia   di   revoca   della   misura
precedentemente fruita, senza consentire di gradarne gli effetti e le
conseguenze,  nonostante  la  revoca  sia  stata  necessitata   della
sopravvenuta assenza di domicilio e non motivata dalla necessita'  di
sanzionare la condotta del B. 
    In questo caso, cosi' come nei casi  analoghi,  l'art.  58-quater
O.P. produrrebbe effetti non  compatibili  con  la  costituzione.  La
questione posta sarebbe, dunque, rilevante. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, la difesa cita una  serie
di pronunce della Corte di cassazione  successive  alla  sentenza  n.
173/2021,  che  hanno  circoscritto  gli  effetti   dell'operativita'
dell'art. 58-quater O.P. escludendo che questa possa  valere  laddove
la revoca riguardi una misura concessa in via provvisoria (Cassazione
Sez. I, sentenza n. 17072/2023) e della misura di  cui  all'art.  94,
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (Cassazione  Sez.
I., sentenza n. 24425/2023), ispirate, nella logica  difensiva,  alla
tutela della funzione rieducativa. 
    Ancora, la difesa sottolinea la presenza di  un  rilevante  novum
normativo,  rappresentato  dal  decreto   legislativo   n.   150/2022
(cosiddetta riforma Cartabia),  che  ha  introdotto  nella  legge  n.
689/1981 le nuove pene sostitutive. 
    Nell'articolato normativo de quo, infatti, evidenzia  l'avvocato,
si rinvengono diverse opzioni rispetto  al  rilievo  attribuito  alla
revoca delle pene sostitutive,  piu'  malleabili  e  meno  rigide  di
quanto stabilito dall'ordinamento penitenziario. 
    La difesa cita, anzitutto,  l'art.  59,  legge  n.  689/1981  nel
disciplinare  le  condizioni  soggettive  per  l'accesso  alle   pene
sostitutive, stabilisce  che  la  pena  detentiva  non  possa  essere
sostituita «nei confronti di chi ha commesso  il  reato  per  cui  si
procede  entro  tre  anni  dalla  revoca  della  semiliberta',  della
detenzione domiciliare o del lavoro di  pubblica  utilita'  ai  sensi
dell'art. 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto  non
colposo durante l'esecuzione  delle  medesime  pene  sostitutive;  e'
fatta  comunque  salva  la  possibilita'  di   applicare   una   pena
sostitutiva di specie piu' grave di quella revocata». 
    Argomenta la  difesa  che  il  meccanismo  di  preclusione  nella
conversione della pena detentiva in pena sostitutiva e' ancorato  dal
testo non tanto alla revoca, quanto piuttosto  alla  commissione  del
reato per cui si  procede  nel  triennio  successivo  alla  revoca  o
durante l'esecuzione di altra pena sostitutiva. 
    Ancora, l'art. 59, lettera b, legge n. 689/1981,  in  materia  di
pene pecuniarie, esclude la ricorrenza dei meccanismi preclusivi  ivi
previsti per i casi di insolvibilita' o incapacita'  del  condannato,
cosi' valorizzando le ragioni del mancato  pagamento  quali  casi  di
forza maggiore o comunque evitando che valgano ad escludere l'accesso
alla pena pecuniaria sostitutiva le omissioni incolpevoli. 
    Da ultimo, il difensore richiama l'art. 67,  comma  2,  legge  n.
689/1981 a mente del  quale  il  condannato  in  espiazione  di  pena
detentiva risultante dalla revoca di una pena  sostitutiva  ai  sensi
dell'art. 66 o dell'art.  71,  legge  n.  689/1981,  non  puo'  avere
accesso alle misure alternative alla detenzione prima dell'espiazione
di meta' della pena residua. 
    Tale norma, dunque, circoscrive l'inapplicabilita'  delle  misure
alternative non gia' per un periodo di tempo fisso, ma piuttosto alla
sola pena residua, consentendo  dunque  che  altro  titolo  detentivo
possa essere eseguito in consonanza con la funzione rieducativa della
pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione. 
    Cio', conclude la difesa, a differenza della disposizione di  cui
all'art. 58-quater O.P. che fissa  un  indistinto  termine  triennale
fisso, derivante dalla mera pronuncia di revoca e che  non  distingue
tra revoca colpevole ed  incolpevole,  peraltro  con  preclusione  di
accesso a  tutti  i  benefici  penitenziari  ad  eccezione  del  solo
affidamento terapeutico e della liberazione anticipata. 
    La difesa, posta la questione, insiste per  l'accoglimento  delle
istanze, senza formulare specifiche indicazioni sui possibili  rimedi
alla eccepita frizione della norma con i principi costituzionali. 
    Il caso in esame impone di esaminare diversi profili, sicche', al
fine di meglio  esporre  i  vari  temi  rilevanti,  appare  opportuno
suddividere   la   trattazione   in   paragrafi,   onde    affrontare
separatamente i diversi aspetti della questione. 
    Appare necessario, in prima battuta, ricostruire la normativa  in
esame, al fine di vagliare la fondatezza delle doglianze difensive ed
escludere alcuni  profili  che  risultano  irrilevanti  nel  caso  di
specie. 
1. L'art. 58-quater, legge n. 354/1975 in generale  e  rispetto  alla
legge n. 199/2010. 
    L'art. 58-quater, comma 1, legge n. 354/1975 prevede un  generale
divieto di concessione di benefici penitenziari al  soggetto  che  si
sia reso responsabile di condotte di evasione. 
    L'art. 58-quater, comma secondo, legge  n.  354/1975  estende  il
divieto di concessione dei benefici penitenziari  previsto  al  comma
primo nei confronti del condannato che sia incorso  nella  revoca  di
una misura alternativa ai sensi degli articoli 47, comma 11,  47-ter,
comma 6 o 51, comma 1 O.P. Le fattispecie richiamate hanno  tutte  ad
oggetto ipotesi in cui la revoca discende  dall'aver  l'affidato,  il
detenuto  domiciliare   o   il   semilibero   tenuto   una   condotta
incompatibile con la prosecuzione della misura. 
    Il comma terzo della norma in esame stabilisce che  tale  divieto
abbia una durata fissa pari ad anni tre, con decorrenza, nel caso del
comma primo dal ripristino dell'esecuzione, mentre, nel caso  di  cui
al comma secondo dalla data di adozione del provvedimento di revoca. 
    L'art. 58-quater O.P. e', poi, norma chiaramente applicabile alla
misura dell'esecuzione pena presso il domicilio per espresso richiamo
normativo. 
    L'art.  1,  comma  8,  legge  n.   199/2010,   infatti,   estende
all'esecuzione pena presso il  domicilio,  ove  compatibili,  diversi
articoli della legge sull'ordinamento penitenziario, tra  cui  l'art.
58-quater O.P. (divieto di concessione dei benefici) e l'art. 47-ter,
comma  6  O.P.  (revoca   per   condotte   colpevoli   del   detenuto
domiciliare). Dunque, poiche' la revoca dell'esecuzione  pena  presso
il domicilio per condotte incongrue del detenuto e' un  provvedimento
emesso  ai  sensi  dell'art.  47-ter,  comma  6  O.P.,  a  sua  volta
richiamato dall'art. 58-quater O.P., il rimando normativo  e'  chiaro
nell'indicare che anche la misura dell'art. 1, legge n. 199/2010,  in
caso di revoca, importa l'applicabilita'  dell'art.  58-quater  O.P.;
cosi' come, a contrario, l'esecuzione della pena presso il  domicilio
non puo' essere concessa a chi sia incorso colpevolmente in revoca di
una misura alternativa alla  detenzione,  operando  l'art.  58-quater
O.P. espressamente richiamato. 
    E, del resto, che la revoca della misura di cui all'art. 1, legge
n. 199/2010 determini  l'applicazione  dell'art.  58-quater  O.P.  e'
evidentemente opzione ermeneutica condivisa nel diritto vivente, come
emerge nel caso  di  specie  in  cui  diverse  autorita'  giudiziarie
(Tribunale di sorveglianza di Venezia, Tribunale di  sorveglianza  di
Bologna, Ufficio di sorveglianza  di  Bologna)  hanno  sino  ad  oggi
rilevato l'inammissibilita' delle varie domande di benefici  proposte
dal B. 
    Poiche' l'art. 58-quater, comma 2 O.P. trova applicazione in caso
di revoca di una misura alternativa,  l'analisi  normativa  non  puo'
prescindere  da  un  richiamo  anche  al  procedimento   di   revoca,
disciplinato all'art. 51-ter, legge n. 354/1975, ove  si  stabilisce:
«Se la  persona  sottoposta  a  misura  alternativa  pone  in  essere
comportamenti suscettibili di determinarne la revoca,  il  magistrato
di sorveglianza, nella cui giurisdizione la misura e' in  esecuzione,
ne da' immediata comunicazione al Tribunale di sorveglianza affinche'
decida in ordine  alla  prosecuzione,  sostituzione  o  revoca  della
misura». 
    La lettura congiunta delle  norme  citate,  dunque,  consente  di
cesellare in che termini  l'ordinamento  penitenziario  abbia  inteso
disciplinare la fattispecie della revoca  delle  misure  alternative,
dettandone presupposti, canoni di giudizio e relativi effetti. 
    Gli articoli 47, comma 11, 47-ter, comma 6 e 51, comma  2,  legge
n. 354/1975, anzitutto, disciplinano i  presupposti  di  fatto  della
revoca delle misure alternative, prevedendo che questa  possa  essere
disposta a seguito di  comportamenti  del  condannato  contrari  alla
legge o  alle  prescrizioni  commessi  in  corso  di  esecuzione  del
beneficio, tali da non consentire la prosecuzione della misura. 
    Nell'ambito  del  procedimento  di  revoca,  l'art.  51-ter  O.P.
attribuisce al Tribunale di sorveglianza un giudizio  sulle  condotte
illecite e le violazioni dell'affidato, consentendo  al  Collegio  di
stabilire se i fatti commessi siano tali  da  richiedere  la  revoca,
ovvero non incidano sulla possibilita' di prosecuzione del beneficio.
Quale  opzione  intermedia,  il  Tribunale   di   sorveglianza   puo'
sostituire la misura in  esecuzione  con  altra  piu'  aderente  alle
necessita' esecutive. 
    Nello schema normativo, dunque, la revoca e' da intendersi  quale
sanzione massima per quelle  condotte  colpevoli  della  persona  che
abbiano evidenziato il condannato come soggetto non  piu'  meritevole
di fruire della misura alternativa. 
    Cio' puo' cogliersi dall'utilizzo da parte  del  legislatore  del
concetto di prosecuzione  in  una  duplice  veste  all'interno  della
fattispecie della revoca di una misura alternativa: sia quale oggetto
del giudizio inferenziale tra la  condotta  illecita-violativa  e  la
revoca, dovendo esso concentrarsi sul significato delle violazioni in
chiave prognostica rispetto all'eventuale  prosieguo  del  beneficio;
sia quale  esito  alternativo  ed  opposto  alla  revoca  stessa  nel
giudizio innanzi al Collegio. 
    In questo senso, la revoca e' assunta sulla base di  un  giudizio
negativo sul trattamento che guarda ai fatti ed alle  violazioni  non
tanto (o  meglio  non  soltanto)  nella  loro  staticita',  ma  quali
elementi da cui trarre indici prognostici negativi sulla personalita'
del condannato. 
    A questo giudizio negativo e colpevole,  si  correla  l'ulteriore
sanzione della preclusione triennale di accesso ai benefici, prevista
dall'art. 58-quater O.P., che decorre dal provvedimento di  revoca  e
della cui compatibilita' a costituzione si dubita. 
    1.1. La lettura costituzionalmente orientata  della  norma  nella
giurisprudenza costituzionale e nel diritto vivente. 
    Come  evidenziato,  la  norma  e'  stata  giudicata  dalla  Corte
costituzionale particolarmente severa,  ma,  quantomeno  sinora,  non
assolutamente incompatibile con i principi costituzionali. 
    Gia' con ordinanza n. 87 del 2004, la Consulta aveva rilevato che
la preclusione triennale che consegue  ad  una  revoca  delle  misure
alternative  che  non  e'  «automatica»,  bensi'  trova  la   propria
giustificazione in forza di una valutazione in concreto  e  caso  per
caso  delle  situazioni  in  cui  il  comportamento  del  condannato,
contrario alla legge o alle prescrizioni, sia risultato incompatibile
con  la  prosecuzione  della   misura   alternativa   originariamente
concessa. La questione ivi  in  decisione,  sollevata  rispetto  agli
articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione e' stata dunque  respinta
con ordinanza per manifesta infondatezza. 
    La Corte e' poi tornata sul tema con la sentenza n. 173/2021. 
    In quella sede la Consulta ha rigettato la  questione  riproposta
dal giudice rimettente in relazione agli articoli 3  e  27,  comma  3
della Costituzione, tesa ad una caducazione  della  norma  in  quanto
giudicata  troppo  severa  nel  non  consentire  al   magistrato   di
sorveglianza di gradare gli effetti della revoca, ribadendo l'assenza
di un automatismo applicativo  alla  base  dell'art.  58-quater  O.P.
Anzi, la Corte ha sottolineato come il combinato disposto delle norme
esaminate supra si connoti per la presenza di  un  vaglio  di  merito
della magistratura di sorveglianza nella scelta di determinare con la
revoca  una  regressione  del   trattamento   secondo   un   giudizio
individualizzato e casistico che contempla anche altre opzioni. (1) 
    Cionondimeno, gia' nella sentenza n.  173/2021,  la  Corte  aveva
invitato il legislatore a ripensare la disciplina  non  tanto  quanto
alla previsione di un meccanismo preclusivo susseguente alla  revoca,
quanto piuttosto sotto il  profilo  della  durata  della  preclusione
stessa, indicando  che  «la  preclusione  triennale  successiva  alla
revoca, pur potenzialmente temperata dagli effetti della  liberazione
anticipata, finisce per coprire, in un elevato  numero  di  casi,  la
totalita' o quasi della pena residua». 
    La posizione ermeneutica che  non  rinviene  nell'art.  58-quater
O.P. un automatismo  applicativo,  ma  un  esito  processuale  i  cui
effetti sono vagliati dalla magistratura di sorveglianza  e'  approdo
che il giudice delle leggi ha recentemente ribadito. 
    Nella sentenza n. 24/2025, infatti, volendo marcare la differenza
tra l'art. 30-ter, comma 5, legge n. 354/1975, oggetto  di  scrutinio
in quella sede e giudicato incostituzionale, e l'art. 58-quater  O.P.
nella sua  attuale  formulazione,  la  Corte  costituzionale  ha  ben
spiegato il diverso meccanismo di operativita' della  preclusione  di
accesso ai benefici stabilita dalle due norme in  comparazione  e  le
ragioni sottese alle differenti valutazioni da essa stessa rese sulle
due discipline. 
    Nel  caso  disciplinato  dall'art.  30-ter,  comma  5  O.P.,   la
preclusione biennale di accesso ai permessi premio discendeva in  via
automatica dalla  imputazione/condanna  per  un  fatto  di  un  reato
commesso nel  corso  dell'esecuzione,  senza  alcuna  valutazione  in
ordine alla necessita' di una regressione del  trattamento  da  parte
della magistratura di sorveglianza. 
    Viceversa,  l'art.  58-quater  O.P.  trova  applicazione  solo  a
seguito della revoca di misura alternativa ai sensi dell'art.  51-ter
O.P. e, dunque, ad  esito  di  un  giudizio  di  merito  del  giudice
specializzato,   espressivo   di   una   valutazione   discrezionale,
individualizzata e tarata sul caso  concreto.  In  questo  senso,  la
Corte   ha   esplicitato   che   l'art.   58-quater   O.P.    permane
costituzionalmente legittimo «sulla base della considerazione che  il
Tribunale di sorveglianza dispone normalmente la revoca nei soli casi
piu' gravi di violazione delle prescrizioni inerenti alla  misura,  e
in  particolare  quando  sia  dimostrata  "la   necessita'   di   una
regressione del  percorso  rieducativo  e  di  un  almeno  temporaneo
ripristino del regime di detenzione, in particolare  in  funzione  di
contenimento di un concreto rischio di recidiva evidenziatosi in capo
al  condannato"  (sentenza  n.  173  del  2021,  punto   3.3.3.   del
Considerato in diritto)». 
    Da una lettura delle sentenze citate emerge un  chiaro  indirizzo
della Consulta circa la necessita' che il Tribunale  di  sorveglianza
individualizzi e soppesi gli esiti della pronuncia di revoca  tenendo
conto anche del meccanismo preclusivo di cui all'art. 58-quater O.P.,
riservando la revoca solo a quei casi in cui sia emersa la necessita'
di una regressione del percorso rieducativo al fine di  contenere  un
concreto rischio di recidiva del condannato. 
    Coerente con gli  approdi  cui  e'  pervenuta  la  giurisprudenza
costituzionale e con l'articolato normativo risulta essere, peraltro,
il diritto vivente, tutt'altro che  insensibile  alla  valorizzazione
dei motivi della mancata prosecuzione di una misura alternativa. 
    In particolare, la  magistratura  di  sorveglianza  ha  da  tempo
elaborato delle soluzioni ermeneutiche che  consentono  di  sottrarre
alla operativita' dell'art. 58-quater  O.P.  le  ipotesi  in  cui  si
realizzi  una  materiale  interruzione   del   percorso   di   misura
alternativa per ragioni non imputabili al condannato. 
    Si pensi, ad esempio,  al  semilibero  ammesso  alla  misura  per
svolgere una determinata attivita' lavorativa che venga interrotta  o
non prorogata nel corso della misura a causa di un calo di commesse o
di riduzione dell'attivita' del datore  di  lavoro,  rimanendo  cosi'
incolpevolmente sprovvisto dell'occupazione esterna che  sorregge  il
beneficio. 
    Ovvero, ancora, al detenuto domiciliare  o  all'affidato  che  si
ritrovi privo di un domicilio ove proseguire l'espiazione della  pena
per cause a lui  non  imputabili,  quali  revoche  di  disponibilita'
all'accoglienza da parte dei soggetti ospitanti per  ragioni  diverse
da dissidi o malumori nella convivenza dovute  a  condotte  incongrue
del condannato. 
    In tutti questi casi, non infrequenti nella prassi, una pronuncia
del Tribunale di sorveglianza nel  senso  della  revoca  non  sarebbe
coerente con  la  funzione  normativa  assegnata  all'istituto  quale
sanzione  per  condotte  colpevoli  e  gravi   che   impediscono   la
prosecuzione   della   misura   e,   d'altro   canto,   comporterebbe
l'applicabilita' dell'art. 58-quater O.P. senza un  reale  vaglio  di
inadeguatezza del  condannato,  con  effetti  costituzionalmente  non
compatibili secondo quanto indicato dalle sentenze n. 173/2021  e  n.
24/2025. 
    A fronte di questo empasse in alcuni distretti (tra cui quello di
Bologna) si fa applicazione della categoria  della  cessazione  della
misura alternativa per sopravvenuta carenza dei presupposti operativi
della stessa, applicando in via analogica l'art. 51-bis O.P. in altri
si provvede a revoca dell'ordinanza di concessione,  sulla  base  del
principio  per  cui  le  ordinanze  emesse  dalla   magistratura   di
sorveglianza sono sempre revocabili ove  non  piu'  rispondenti  alla
situazione di fatto sulla base della  quale  sono  state  emesse;  in
altri ancora si dichiara la cessazione dei presupposti della misura. 
    Tutte le soluzioni indicate sono accomunate da una medesima ratio
di fondo: evitare gli esiti che la formalmente  corretta  dizione  di
revoca  avrebbe  sul  prosieguo  della  detenzione  del   condannato,
individuando  nell'ordinamento  strumenti  per  valorizzare  la   non
colpevolezza della mancata prosecuzione del  beneficio  ad  esito  di
giudizio ex art. 51-ter O.P. 
    E cio', alla luce  della  disamina  condotta  sulle  sentenze  n.
173/2021  e  n.  25/2025,  risulta  pacificamente  coerente  con   le
indicazioni fornite dalla Consulta per cui  in  sede  di  statuizione
sulla revoca il Tribunale di sorveglianza deve riservare tale tipo di
pronuncia alle sole situazioni gravi e colpevoli  che  evidenzino  la
necessita' di una regressione del trattamento. 
2. In fatto: la vicenda esecutiva di B. S. e  l'attuale  operativita'
dell'art. 58-quater O.P. nel caso di specie. 
    Alla luce della disamina svolta, puo'  esaminarsi  la  condizione
del condannato nel caso di specie. 
    B. S. e' soggetto che e'  gia'  stato  sottoposto  ad  esecuzione
penale in relazione alla pena di anni uno, mesi sei di  reclusione  e
mesi quattro di arresto di cui al cumulo emesso dalla  Procura  della
Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Vicenza  il  15  giugno  2020,
comprendente condanne per guida in stato  di  ebbrezza,  guida  senza
patente e falsa attestazione ad un pubblico ufficiale  sulla  propria
identita' commessi nel ... e nel ..., (sentenze di cui ai numeri 7  e
9 del Certificato del casellario). 
    Il condannato ometteva di  proporre  istanze  da  libero  sospeso
sicche' faceva ingresso in carcere il 25 luglio 2022. 
    Espiata la quota di pena detentiva eccedente i diciotto mesi, era
ammesso alla misura dell'esecuzione della pena presso il domicilio ai
sensi dell'art. 1, legge n. 199/2010 con ordinanza del 9 gennaio 2023
dal magistrato di sorveglianza di Milano di cui fruiva sino a  quando
incorreva dapprima in sospensione  cautelare  della  misura  ex  art.
51-ter, comma 2 O.P. da  parte  del  Magistrato  di  sorveglianza  di
Mantova e, poi, nella  definitiva  revoca  della  misura  alternativa
giusta ordinanza del Tribunale di  sorveglianza  di  Brescia  del  13
febbraio 2024. 
    Il provvedimento di sospensione e di revoca si  sono  fondati  su
una serie di condotte del B. nell'ambito dell'esecuzione pena  presso
il domicilio, tra cui segnalazioni  per  evasione  e  l'emersione  di
dissidi con la persona che aveva offerto ospitalita'  al  condannato,
esitati in segnalazioni  della  Questura  di  Mantova  per  una  lite
domestica, complessivamente  giudicate  tali  da  non  consentire  la
prosecuzione del beneficio. Da quanto  risulta,  lo  stesso  detenuto
chiedeva  di  terminare  l'espiazione  della  propria   condanna   in
istituto, avendo ormai pochi mesi di pena dinnanzi a se'. 
    B., effettivamente, era scarcerato il 9 aprile 2024. 
    Successivamente,  la  Procura  di  Padova  poneva  in  esecuzione
l'attuale titolo, sospendendo ai sensi dell'art.  656,  comma  5  del
codice di procedura penale l'ordine di  carcerazione  e  trasmettendo
gli atti al Tribunale di sorveglianza di Venezia. 
    Il Tribunale di sorveglianza di Venezia, preso atto della  revoca
della precedente misura alternativa, ha  dichiarato  con  decreto  de
plano l'inammissibilita' delle  domande  di  B.  S.  in  applicazione
dell'art.  58-quater  O.P.,   comportando   l'avvio   dell'esecuzione
inframuraria. 
    Analogo esito (inammissibilita') hanno avuto  le  domande  sinora
proposte dal B. presso  questo  Ufficio  e  presso  il  Tribunale  di
sorveglianza di Bologna, sicche' la difesa  chiede  valutarsi,  quale
profilo  preliminare,  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 58-quater O.P. in relazione agli articoli 3 e 27,  comma  3
della Costituzione. 
    2.1. La questione di costituzionalita' ancipite della difesa  tra
revoca incolpevole e durata della preclusione. 
    Il  difensore  censura  l'art.  58-quater,  legge   n.   354/1975
argomentando in via unitaria  le  proprie  doglianze,  ma  sotto  due
profili  che  appaiono  distinti:  da  un  lato  perche'  questa  non
distinguerebbe tra revoca colpevole e revoca  incolpevole,  ritenendo
che tale sia la posizione del B.; dall'altro, per  la  rigidita'  del
meccanismo preclusivo  che  puo',  in  casi  come  quello  in  esame,
sacrificare del tutto il principio rieducativo della pena,  ponendolo
a  confronto  con  altre  opzioni  normativamente  previste  in  casi
analoghi per altre forme di esecuzione penale esterna. 
    Le due questioni, come poste  dalla  difesa,  appaiono  a  questo
magistrato  invero  tra  di  loro  alternative  e   non   del   tutto
coincidenti, in quanto sorrette da situazioni di fatto ben distinte. 
    Sostenere che  la  normativa  si  applichi  nel  caso  di  revoca
incolpevole e che  questa  sia  la  condizione  del  B.,  invero,  e'
questione  in  fatto  preliminare   ed   escludente   rispetto   alla
successiva, relativa alla durata della preclusione. Infatti, ove,  si
ritenesse fondata e si coltivasse la  prima  parte  della  questione,
giungendosi a superare la preclusione di cui all'art. 58-quater  O.P.
nei  casi  di  revoca  incolpevole,  il  tema  della   durata   della
preclusione perderebbe di rilevanza. 
    In altri termini, una volta ottenuto che  l'art.  58-quater  O.P.
non operi rispetto alle revoche incolpevoli, e provato che tale e' la
condizione del B., a nulla gioverebbe lamentarsi della durata di  una
preclusione che, seppur severa, si applicherebbe  solo  alle  revoche
colpevoli. 
    Di  contro,  solo  ove  accertato  che  la   revoca   non   possa
considerarsi incolpevole, verrebbe in rilievo il  tema  della  durata
della preclusione di cui all'art. 58-quater  O.P.  che  dalla  revoca
discende, in quanto e' tale  durata  ad  impedire  al  condannato  di
fruire di ulteriori benefici. 
    La   prima   parte   della   questione,   in   verita',   risulta
manifestamente infondata e irrilevante nel caso in esame. 
    Da un lato, perche',  come  detto  supra,  la  fattispecie  della
revoca e' normativamente costruita per sanzionare  le  sole  condotte
colpevoli del condannato  o  che  evidenzino  la  necessita'  di  una
regressione  del  trattamento,  e  come  tale   viene   letta   dalla
giurisprudenza costituzionale e dal diritto vivente, si' da escludere
che possa aversi una revoca incolpevole di una misura alternativa. 
    Dall'altro, perche' non puo' ritenersi  B.  sia  incorso  in  una
revoca incolpevole. 
    La pronuncia di revoca del Tribunale di sorveglianza di  Brescia,
infatti, e' stata emessa alla luce di una  valutazione  personologica
negativa nei confronti del B., che ha giudicato le sue  condotte  nel
corso della misura incompatibili con la prosecuzione del beneficio. 
    Da una lettura dell'ordinanza, acquisita agli atti del fascicolo,
si puo' leggere che  il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Brescia  ha
espressamente  motivato  nei  seguenti  termini:  «[...]  ritiene  il
Tribunale che la  misura  domiciliare  debba  essere  definitivamente
revocata.  Invero  il  condannato   nel   corso   della   misura   ha
reiteratamente disatteso  le  prescrizioni  relative  all'obbligo  di
permanenza  al  domicilio  e  di  non  allontanarsi  dal  comune   di
abitazione mostrandosi anche indifferente ai richiami del  magistrato
di sorveglianza. Il condannato  pertanto  ha  dimostrato  incapacita'
autocustodiale ed ha adottato nel corso della misura una condotta non
conforme alle regole  di  civile  convivenza  che  hanno  indotto  la
persona titolare del contratto di locazione ad abbandonare il proprio
legittimo domicilio». 
    In questo senso, non pare possibile procedere in questa  sede  ad
una rilettura del giudizio esauritosi innanzi al  collegio  bresciano
che  ha  disposto  la  revoca,  neppure  alla  luce  degli   elementi
sopravvenuti indicati dal difensore, non  rientrando  nei  poteri  di
questa  autorita'  giudiziaria  sovrapporre  proprie  valutazioni  di
merito a quelle gia' compiute dall'organo competente sulla  revoca  e
non oggetto di impugnativa. 
    Chiarito questo profilo, le fondate ragioni  di  frizione  con  i
principi costituzionali nella disciplina di  cui  all'art.  58-quater
O.P. che la vicenda sollecita non sono tanto ascrivibili alla mancata
valorizzazione delle ragioni  della  revoca,  quanto  piuttosto  alla
durata fissa della preclusione ed allo spettro amplissimo di benefici
che  questa  copre,  si'  da  apparire  capace  di  esaurire  in  via
definitiva le chances di reinserimento sociale del  condannato,  come
indicato dalla  Consulta  nell'ultimo  paragrafo  della  sentenza  n.
173/2021. 
    Tale meccanismo, dunque, pur se non sorretto  da  un  automatismo
applicativo, in una gran parte di casi  risulta  irragionevole  nella
misura in cui finisce per  sacrificare  del  tutto  il  principio  di
emenda (art. 27, comma 3 della  Costituzione),  come  indicato  dalla
difesa; ma, a giudizio di questo magistrato,  lo  stesso  appare  non
coerente anche con il principio di minimo sacrificio necessario della
liberta' personale (art. 13 della Costituzione). 
    Rispetto al tema della irragionevole fissita' della  preclusione,
inoltre, la difesa sollecita un raffronto tra la disciplina in  esame
e quella prevista in  materia  di  pene  sostitutive,  quale  tertium
comparationis rispetto al  quale  valutare  la  congruita'  dell'art.
58-quater O.P. 
    Appare, dunque, opportuno  esaminare  rapidamente  la  disciplina
delle pene sostitutive. 
    2.2. Le nuove  pene  sostitutive:  le  ipotesi  di  revoca  ed  i
meccanismi preclusivi susseguenti. 
    La   semiliberta'   sostitutiva,   la   detenzione    domiciliare
sostitutiva, il lavoro di pubblica utilita'  sostitutivo  e  la  pena
pecuniaria sostitutiva sono state introdotte dal decreto  legislativo
n. 150/2022 nel codice penale e disciplinate in apposito  capo  della
legge n. 689/1981 con  l'obiettivo  dichiarato  di  costituire  delle
forme sanzionatorie ab origine alternative alla pena detentiva,  piu'
orientate al favor libertatis ed al principio di  emenda.  In  questo
senso, queste possono essere disposte dal giudice di merito sin dalla
sentenza  e,  solo  per  gli  aspetti  di  materiale   e   diacronica
esecuzione,  vedono   il   coinvolgimento   della   magistratura   di
sorveglianza ovvero, per il lavoro di pubblica utilita'  sostitutivo,
del giudice che le ha applicate. 
    Le pene sostitutive si  caratterizzano  per  essere  delle  forme
esecutive  idealmente  non  carcerarie  e  dalla  spiccata  vocazione
trattamentale quali pene-programma, la cui  disciplina  e'  stata  in
gran parte mutuata e  ricalcata  su  delle  misure  alternative  alla
detenzione previste dall'ordinamento penitenziario, con cui  scontano
un'evidente comunanza assiologica, teleologica e funzionale. 
    Tale comunanza puo' cogliersi non soltanto rispetto alle due pene
sostitutive  della  semiliberta'  e   detenzione   domiciliare,   che
rievocano anche  nominalmente  le  omologhe  misure  alternative,  ma
permea l'intero sistema delle pene sostitutive. 
    L'art.  58,  legge   n.   689/1981,   infatti,   che   disciplina
l'applicazione delle pene sostitutive stabilisce che  queste  possano
essere disposte dal giudice di merito solo ove le  stesse,  oltre  ad
essere piu' idonee alla rieducazione del  condannato,  assicurino  la
prevenzione del pericolo di commissione di  altri  reati;  canone  di
giudizio che, invero,  accomuna  tutte  le  misure  alternative  alla
detenzione carceraria, tese a ricercare, aggiornare  e  mantenere  il
difficile e progressivo equilibrio tra congruita'  delle  limitazioni
della  liberta'  personale,  reinserimento  sociale  e   rischio   di
recidiva. 
    Vi e' poi, l'art. 76, legge n. 689/1981, che estende  al  sistema
delle pene sostitutive diverse norme dell'ordinamento  penitenziario,
a riprova della comune radice dei due sistemi normativi. 
    Tra le tante assonanze e disposizioni comuni,  pero'  proprio  in
punto di revoca delle pene sostitutive e di meccanismi preclusivi  ad
essa  susseguenti,  si  puo'  osservare  una  chiara  deviazione  del
legislatore delegato dal modello  rappresentato  dall'art.  58-quater
O.P. 
    Il  nuovo  sistema,  infatti,  consente  di  revocare   la   pena
sostitutiva in due ipotesi specifiche, disciplinate dagli articoli 66
e 71, legge n. 689/1981. 
    L'art. 66, legge n. 689/1981, rubricato «Revoca per  inosservanza
delle prescrizioni», stabilisce che la revoca o la sostituzione della
misura possa  far  seguito  a  gravi  o  reiterate  violazioni  delle
prescrizioni. In questo caso  il  magistrato  di  sorveglianza  o  il
giudice che  segue  l'esecuzione  del  lavoro  di  pubblica  utilita'
sostitutivo,  laddove  riceva  informazioni   di   violazioni   delle
prescrizioni acquisisce, ove occorra,  sommari  accertamenti,  e  nel
caso in cui ritenga sussistano le condizioni per l'aggravamento o  la
revoca della misura procede ai sensi  dell'art.  666  del  codice  di
procedura penale. 
    L'art. 72, legge n.  689/1981,  invece,  intitolato  «Ipotesi  di
responsabilita' penale e revoca» disciplina una serie di  ipotesi  in
cui la revoca della misura consegue quale effetto previsto per  legge
di  determinati  accadimenti  e,  segnatamente,   dell'emissione   di
sentenze di condanna per fatti commessi in costanza di misura. 
    Nello specifico, a mente del  comma  terzo,  laddove  la  persona
venga condannata o per evasione ai sensi  dell'art.  385  del  codice
penale o ai sensi dell'art. 56, decreto legislativo n. 274/2000, tale
condanna «importa la revoca della  pena  sostitutiva,  salvo  che  il
fatto sia di lieve entita'». 
    Il comma quarto, invece,  stabilisce  che  «la  condanna  per  un
delitto  non  colposo  commesso  durante  l'esecuzione  di  una  pena
sostitutiva, diversa da quella pecuniaria, ne determina la  revoca  e
la conversione per la parte residua nella pena sostituita, quando  la
condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione  della  pena
sostitutiva, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 58». 
    Dall'analisi condotta,  risulta  evidente  la  comunanza  tra  il
giudizio in sede di revoca di cui  all'art.  51-ter  O.P.,  descritto
supra, e le fattispecie di cui  agli  articoli  66  e  72,  legge  n.
689/1981. 
    Sebbene la  normativa  di  nuovo  conio  sia  piu'  puntuale  nel
disciplinare la casistica, distinguendo  tra  revoca  per  violazione
delle prescrizioni e revoca quale conseguenza di fatti di  reato,  in
concreto le norme  sono  tutte  tese  a  sanzionare  quelle  condotte
violative delle prescrizioni o anche integranti ipotesi di reato tali
da non consentire ne' la prosecuzione della  misura  extramuraria  in
origine concessa ne' la sostituzione con altra piu' stringente. Anzi,
nel sistema della legge n. 689/1981 la commissione  di  un  fatto  di
reato non  e'  di  per  se'  sufficiente  alla  revoca  di  una  pena
sostitutiva,   dovendo   comunque   essere   esperito   un   giudizio
discrezionale sul punto che guardi alla gravita' del  fatto,  laddove
la condanna sia relativa al delitto di evasione, e  si  estenda  alla
permanenza  delle  condizioni  per   la   prosecuzione   della   pena
sostitutiva in caso di commissione di altri reati. 
    E' chiaro che, in concreto, la commissione di reati sia un indice
altamente negativo; ma la normativa, nella scelta di  non  instaurare
un automatismo tra condanna e revoca,  demandando  ad  un  vaglio  di
merito e discrezionale del giudice la scelta  sul  punto,  secondo  i
canoni  di  giudizio  richiamati,  sembra   aver   avuto   in   mente
l'insegnamento della Consulta espresso nella sentenza n. 173/2021. 
    Dunque, anche la revoca delle pene sostitutive pare postulare  un
giudizio che valuti la necessita' di una regressione del  trattamento
del  condannato  avendo  egli  evidenziato  un  concreto  rischio  di
recidiva non arginabile mediante la prosecuzione della  stessa  o  la
sostituzione con altra piu' contenitiva, in termini non dissimili  da
quanto avviene nel giudizio di cui all'art. 51-ter O.P. 
    La pronuncia di revoca cosi' emessa ai sensi dell'art. 66  ovvero
dell'art. 72, legge n. 689/1981 ha poi, degli effetti preclusivi  per
l'accesso ad ulteriori benefici, che guardano tanto al sistema  delle
pene sostitutive, quanto alle misure alternative alla detenzione. 
    Sul terreno del rapporto tra revoca di pene sostitutive e  future
esecuzioni in forma di pena sostitutiva, viene in rilievo l'art.  59,
comma 1, lettera a), legge n. 689/1981. 
    La norma citata stabilisce che la pena detentiva non possa essere
sostituita «nei confronti di chi ha commesso  il  reato  per  cui  si
procede  entro  tre  anni  dalla  revoca  della  semiliberta',  della
detenzione domiciliare o del lavoro di  pubblica  utilita'  ai  sensi
dell'art. 66, ovvero nei confronti di chi ha commesso un delitto  non
colposo durante l'esecuzione  delle  medesime  pene  sostitutive;  e'
fatta  comunque  salva  la  possibilita'  di   applicare   una   pena
sostitutiva di specie piu' grave di quella revocata». 
    Dalla relazione illustrativa del decreto legislativo n.  150/2022
emerge che tale preclusione e' stata in parte  mutuata  con  riguardo
all'art. 58-quater O.P., in particolare sia  per  quel  che  riguarda
alla durata triennale della  preclusione  e  dalla  decorrenza  della
stessa alla pronuncia di revoca, sia per l'assenza di  un  meccanismo
di tipo presuntivo, essendo ancorate al fallimento di una  precedente
esecuzione  in  forma  di  pena  sostitutiva  (2)  .   Significativi,
tuttavia, sono gli elementi di novita' che la  disposizione  presenta
rispetto alla disciplina dell'ordinamento penitenziario. 
    Infatti, la norma:  non  opera  in  via  generale,  ma  solo  nei
confronti di chi ha commesso il reato per cui si procede nei tre anni
successivi alla revoca, cosi' evitando che fatti commessi prima della
stessa incorrano in meccanismi di tipo preclusivo; anche  rispetto  a
chi ha commesso un reato nel corso di una precedente pena sostitutiva
(e, ragionevolmente sia incorso  in  revoca  ex  art.  72,  legge  n.
689/1981) circoscrive la preclusione ai soli delitti non colposi;  in
chiusura, fa comunque salva la  possibilita'  che  la  persona  abbia
accesso ad altra pena sostitutiva piu' grave di quella revocata,  non
esaurendo  del  tutto  le  chances  di  ottenere  una  diversa   pena
sostitutiva. 
    Ma, ancor piu' rilevanti, per le considerazioni che  si  faranno,
appaiono le conseguenze sul terreno del rapporto tra  revoca  di  una
pena sostitutiva e l'accesso a misure  alternative  alla  detenzione,
disciplinate dall'art. 67, comma 2, legge n. 689/1981. 
    L'articolo  citato,  nello  stabilire  l'inapplicabilita'   delle
misure alternative alla detenzione alle pene sostitutive, prevede che
«Salvo che si tratti di minori di eta' al momento della condanna,  le
misure di cui al primo comma (vale a dire le misure alternative)  non
si applicano altresi', prima dell'avvenuta espiazione di meta'  della
pena residua, al condannato  in  espiazione  di  pena  detentiva  per
conversione effettuata ai sensi  dell'art.  66  o  del  quarto  comma
dell'art. 72». 
    In forza di tale previsione, dunque, il soggetto che sia  incorso
in revoca di una pena sostitutiva,  una  volta  avviata  l'espiazione
della pena detentiva risultante puo' in  astratto  avere  accesso  ai
permessi premio di cui all'art. 30-ter O.P. e all'art. 21 O.P.  senza
alcuna preclusione, nonche', dopo l'espiazione di  meta'  della  pena
residua, alle ulteriori misure alternative alla detenzione. 
    E cio' sia nel caso in cui la revoca abbia fatto seguito a  gravi
violazioni delle prescrizioni, sia nel caso in cui questa  sia  stata
conseguenza della commissione di fatti  di  reato,  ad  esito  di  un
giudizio  che  abbia  escluso  la  possibilita'  di   consentire   la
prosecuzione della pena sostitutiva. 
    E' chiaro che, in  concreto,  l'elemento  negativo  rappresentato
dalla revoca della pena sostitutiva sara' difficilmente superabile in
un breve spazio di tempo; tuttavia, la possibilita' di valutare anche
solo ammissibile la domanda del condannato in espiazione di una  pena
che residui a seguito del fallimento di una esecuzione penale esterna
(quale  e'  la  pena  sostitutiva),   consente   al   magistrato   di
sorveglianza di vagliare nel merito  la  posizione  del  richiedente,
individualizzando  il  giudizio  e   dando   rilievo   alle   vicende
successive, senza frustrare in via definitiva le chances di accesso a
nuove forme esecutive  extramurarie  meno  incidenti  sulla  liberta'
personale e piu' orientate al reinserimento sociale. 
3. La questione di legittimita' costituzionale rispetto agli articoli
3, 27, comma 3 e 13 della Costituzione: once more, with feeling. 
    Cosi'  ricostruita  la  cornice  normativa,  il   magistrato   di
sorveglianza ritiene  che  sussistano  fondate  ragioni  di  dubitare
dell'attuale compatibilita' costituzionale dell'art. 58-quater, comma
3 O.P. rispetto ai canoni di uguaglianza sostanziale  (art.  3  della
Costituzione) e ragionevolezza  rispetto  ai  principi  di  emenda  e
minimo sacrificio necessario della liberta'  personale  (articoli  3,
comma 2 della Costituzione in relazione agli  articoli  27,  comma  3
della Costituzione e 13 della Costituzione). 
    Come anticipato, questione apparentemente analoga e'  stata  piu'
volte  respinta   dalla   Corte,   dapprima   con   declaratoria   di
inammissibilita' piuttosto tranchant in ordinanza n. 87/2004. 
    Sebbene vi  siano  state  poi  alcune  pronunce  di  accoglimento
rispetto all'art. 58-quater O.P., queste sono state  cesellate  dalla
Consulta con riferimento a questioni relative  a  benefici  specifici
(si veda Corte  costituzionale  n.  187/2019  in  relazione  all'art.
47-quinquies O.P.) o a particolari categorie soggettive rispetto alle
quali era presente un automatismo applicativo (si vedano le  sentenze
n. 149/2018 e n. 229/2019 rispetto ai condannati per  il  delitto  di
cui all'art. 630 del codice penale). 
    Recentemente sollecitata ad un revirement rispetto  alla  propria
precedente giurisprudenza  proprio  alla  luce  di  queste  ulteriori
pronunce,  la  Corte  costituzionale  con  sentenza  n.  173/2021  ha
ribadito l'infondatezza della questione. 
    Da  ultimo,  nella  sentenza  n.  24/2025  la  Consulta,   seppur
incidentalmente ed in ottica comparativa, ha  richiamato  le  ragioni
per cui  l'art.  58-quater  O.P.  puo'  ritenersi  espressivo  di  un
ragionevole esercizio della discrezionalita'  del  legislatore  nella
previsione del meccanismo preclusivo ivi disciplinato. 
    Tuttavia, la questione qui proposta pone un tema in parte diverso
da  quello  affrontato  nelle  pronunce  citate  e,  in  particolare,
rispetto a quanto giudicato nella sentenza n. 173/2021. 
    Anzitutto, non si censura  in  questa  sede  la  presenza  di  un
automatismo applicativo  tra  revoca  e  preclusione  di  accesso  ai
benefici, ne' l'irragionevolezza  di  tale  previsione  normativa  in
punto di an,  puntando  ad  ottenere  una  caducazione  totale  della
disposizione in esame. 
    Invero, la necessita' che  sussistano  dei  meccanismi  ulteriori
rispetto  alla  sola  revoca  della  misura,  tesi  a  sanzionare  il
fallimento colpevole di un'esperienza  extramuraria  con  un  congruo
periodo di regressione del  trattamento  insuscettibile  di  deroghe,
seppur  capace  di  comprimere  l'aspettativa  di  rieducazione   del
condannato e la sua liberta' personale, ha una propria ragionevolezza
nella misura in cui la prospettiva della preclusione  di  accesso  ad
ulteriori benefici opera sia come elemento  psicologico  di  rinforzo
all'aderenza  del  condannato  alle  prescrizioni  ed   alla   misura
alternativa,      sia      come      necessario      momento       di
riconsiderazione-ripensamento  del  percorso  esterno  e   di   nuova
osservazione inframuraria. 
    Ma la stessa  risulta  sproporzionata  laddove  tale  momento  di
regressione,  previsto  in  misura  fissa  e  generalizzata,  elimini
qualsiasi spazio di valutazione per  i  mutamenti  significativi  che
potrebbero  riguardare  la  personalita'  del  condannato,  svuotando
totalmente di significato rieducativo  il  prosieguo  dell'esecuzione
successivo alla revoca ove la pena residua sia inferiore ai tre  anni
ovvero riguardi esecuzioni successive. 
    E' quel che si realizza nel caso di specie ed e' profilo  che  la
Consulta aveva gia' indicato al legislatore come un possibile terreno
di intervento normativo per mitigare gli effetti della revoca di  una
misura alternativa. 
    Un invito rimasto, sinora, del tutto inascoltato. 
    In secondo luogo, la  questione  che  qui  si  intende  coltivare
rileva l'irragionevolezza della disciplina di cui all'art.  58-quater
O.P. alla luce delle modifiche normative  che  hanno  interessato  il
settore dell'esecuzione penale  in  epoca  successiva  alla  sentenza
richiamata. 
    Modifiche che consegnano all'interprete un  quadro  ordinamentale
in cui possono cogliersi norme, riferibili  al  nuovo  sistema  delle
pene sostitutive introdotto con decreto legislativo n. 150/2022,  che
dinanzi al fenomeno della revoca di una forma  di  esecuzione  penale
esterna per condotte  colpevoli  del  condannato  individuano  scelte
valoriali e di bilanciamento degli interessi  differenti  rispetto  a
quanto previsto dall'art. 58-quater O.P. piu' circoscritte sia quanto
all'oggetto che, soprattutto, alla dimensione temporale. 
    Tali norme, non vigenti allorquando la Consulta e' stata chiamata
a pronunciarsi sull'art. 58-quater, legge n. 354/1975,  rappresentano
un elemento di  novita'  sotto  un  duplice  profilo  ai  fini  della
riproposizione di censure di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
58-quater O.P. rispetto ai parametri indicati. 
    Da un lato, le stesse possono essere assunte  nell'ambito  di  un
giudizio sul rispetto del principio di uguaglianza di cui all'art.  3
della  Costituzione  quale  tertium  comparationis  per  valutare  la
ragionevolezza  della  differenziazione   di   trattamento   tra   le
fattispecie ivi disciplinate e la revoca di  una  misura  alternativa
alla detenzione; e cio', tanto in ottica comparativa  nell'ambito  di
un   classico   giudizio   triadico,   quanto   per   rimeditare   la
ragionevolezza intrinseca della scelta  operata  dall'art.  58-quater
O.P., vagliandone la perdurante  attualita'  alla  luce  di  nuove  e
diverse scelte legislative piu' tutelanti degli  articoli  13  e  27,
comma 3 della Costituzione. 
    Dall'altro, esse si offrono quali opzioni  normative  alternative
all'art.  58-quater  O.P.  e,  in   tesi,   costituzionalmente   piu'
rispondenti   ad   un   ponderato   bilanciamento   degli   interessi
costituzionali coinvolti,  valevoli  per  individuare  una  soluzione
costituzionalmente adeguata a eliminare il  vulnus  creato  dall'art.
58-quater O.P. nella sua attuale formulazione. 
    Poste queste premesse, si e' gia' evidenziato come  sussista  una
sostanziale  omogeneita'  tra   il   giudizio   del   magistrato   di
sorveglianza (o del giudice rispetto ai L.P.U.) in sede di revoca  di
una pena sostitutiva ai sensi  degli  articoli  66  e  72,  legge  n.
689/1981 e quello del Tribunale di sorveglianza in sede di revoca  di
una misura alternativa ai sensi dell'art. 51-ter, legge n. 354/1975. 
    In  entrambi  i  casi,  invero,  si  tratta  di   prendere   atto
dell'inidoneita'  e  del  fallimento  di  un   determinato   percorso
esecutivo esterno per condotte violative o illecite  del  condannato,
cui si correla una decisione che poggia sulla ritenuta impossibilita'
che l'esecuzione prosegua nelle forme vigenti e sulla inidoneita'  di
altre piu' stringenti a rappresentare valida alternativa rispetto  al
rischio di recidiva che la persona esprime. 
    Se questo e' il canone di giudizio, dunque, il soggetto  che  sia
incorso in revoca di una pena sostitutiva e'  da  intendersi,  quanto
alla sua posizione costituzionale  all'interno  delle  polarita'  che
governano  l'esecuzione  penale -  finalita'  rieducativa  e   minimo
sacrificio della liberta' personale da un lato, istanza  di  certezza
della pena e sicurezza sociale dall'altro; poli all'interno dei quali
si muove la magistratura di sorveglianza, come funambolo alla ricerca
dell'equilibrio che tuteli gli uni senza annichilire gli altri - alla
medesima stregua di chi  sia  incorso  nella  revoca  di  una  misura
alternativa alla detenzione. 
    Entrambi, infatti, hanno dato prova di non adeguatezza nel  corso
dell'esecuzione  extramoenia  e  sono   stati   parimenti   giudicati
meritevoli di regredire nel trattamento,  incorrendo  nel  ripristino
della pena detentiva e nella carcerazione. 
    Eppure, mentre il primo puo' senza alcuna  preclusione  normativa
avere accesso ai permessi premio ed al lavoro all'esterno e,  espiata
meta' della pena residua successiva alla revoca,  puo'  astrattamente
persino ottenere l'ammissione  ad  una  misura  alternativa,  facendo
valere i progressi trattamentali successivi alla revoca,  il  secondo
vede il proprio orizzonte trattamentale  schiacciato  per  un  intero
triennio sia nel corso dell'esecuzione che  in  quelle  eventualmente
successive. 
    E cio' anche laddove il primo sia incorso in  revoca  della  pena
sostitutiva per la commissione di un fatto di reato non  colposo  nel
corso della stessa, mentre il secondo  abbia  subito  la  revoca  per
gravi  violazioni  delle   prescrizioni   non   integranti   condotte
delittuose. 
    La differenza di trattamento tra le due fattispecie di revoca  in
punto di accesso alle misure alternative  non  potrebbe  essere  piu'
evidente ed irrazionale, nella misura in cui assoggetta a  discipline
sensibilmente disomogenee situazioni che non  possono  non  valutarsi
come identiche rispetto ai canoni costituzionali di cui agli articoli
13 e 27, comma 3 della Costituzione. 
    Cio' appare non coerente, dunque, con il principio di uguaglianza
sostanziale, con lesione dell'art. 3 della Costituzione, nella misura
in cui la legge oggi fa discendere da un medesimo  fatto,  la  revoca
colpevole  di  una  misura  extramuraria,  conseguenze   estremamente
divergenti  rispetto  all'accesso  alle   misure   alternative   alla
detenzione, sottoponendo  un  idem  factum  a  discipline  del  tutto
eterogenee. 
    E cio' esclusivamente sulla base di un elemento formalistico,  la
tipologia di pena su  cui  il  giudizio  di  revoca  si  appunta;  un
elemento che,  in  un'ottica  di  massimizzazione  della  tutela  dei
principi costituzionali, si  assume  non  dovrebbe  essere  rilevante
rispetto alle scelte valoriali e  di  bilanciamento  degli  interessi
costituzionali  in  gioco  dinnanzi  a   situazioni   sostanzialmente
omogenee. 
    La differenziazione di trattamento teste' evidenziata  si  palesa
poi, irragionevole  rispetto  al  sacrificio  che  la  norma  di  cui
all'art. 58-quater O.P. impone al principio di emenda di cui all'art.
27, comma 3 della Costituzione laddove la revoca riguardi una  misura
alternativa alla detenzione, a differenza quanto avviene in  sede  di
revoca di una pena sostitutiva. 
    La normativa di nuovo  conio,  infatti,  lascia  diversi  margini
residui al principio di rieducazione,  non  solo  per  la  perdurante
possibilita' in capo al  soggetto  incorso  in  revoca  di  una  pena
sostitutiva di accedere ad altre  pene  sostitutive  piu'  gravi,  ma
soprattutto perche' limita alla meta' della pena  residua  risultante
dalla revoca il meccanismo di  preclusione  all'accesso  alle  misure
alternative alla detenzione previste dall'ordinamento  penitenziario.
Con cio', operando un bilanciamento di valori che  non  esaurisce  in
via definitiva in ragione della revoca la possibilita' che il residuo
pena da espiare dal condannato venga incanalato  in  un  percorso  di
reinserimento sociale  nelle  forme  delle  misure  alternative  alla
detenzione. Si tratta, invero, di opzione normativa  certamente  piu'
idonea di quella contenuta nell'art. 58-quater O.P., nella misura  in
cui, imponendo una  regressione  a  tempo  del  trattamento  che  non
esaurisce la pena in espiazione,  consente  al  condannato  di  avere
innanzi a se' un orizzonte possibile entro  cui  orientare  i  propri
sforzi e le proprie energie; laddove, a contrario,  l'art.  58-quater
O.P., nella sua dimensione temporale assoluta, non  fa  seguire  alla
regressione   alcuno   spiraglio    di    evoluzione    in    termini
risocializzanti.   Cio'   frustra   irrimediabilmente   la   funzione
rieducativa, disincentivando il condannato a  qualsiasi  impegno  nel
trattamento, in quanto sforzo irrilevante ed inutile, non  spendibile
ne' entro l'esecuzione pregiudicata dalla revoca,  ne'  nel  triennio
successivo. 
    Sussisterebbe, in quest'ottica, una lesione dell'art. 3, comma  2
in relazione all'art. 27, comma 3 della Costituzione  per  violazione
del canone di proporzionalità-ragionevolezza. 
    Da ultimo,  per  le  medesime  ragioni,  ad  essere  pregiudicato
risulta altresi' l'art. 13 della Costituzione. 
    La preclusione triennale ed assoluta imposta dall'art. 58-quater,
legge n.  354/1975  come  conseguenza  della  revoca  di  una  misura
alternativa, infatti,  non  consente  di  mantenere  una  adeguata  e
puntuale corrispondenza  tra  il  sacrificio  che  essa  impone  alla
liberta'  personale  e  la  necessita'  che   tale   sacrificio   sia
effettivamente imposto. 
    Esemplificando: nel caso in cui dopo la revoca  della  misura  la
persona abbia cessato di esprimere il rischio  di  recidiva  valutato
dal Tribunale di sorveglianza all'atto della decisione ex art. 51-ter
O.P. tale da non consentire la  prosecuzione  del  beneficio,  questi
sarebbe parimenti sottoposto per tre anni o  sino  al  termine  della
pena, laddove  questa  sia  inferiore  ai  tre  anni,  ad  esecuzione
inderogabilmente inframuraria,  massimamente  restrittiva  della  sua
liberta' personale, senza che a  cio'  corrisponda,  di  rimando  una
reale esigenza di difesa sociale. 
    La possibilita' che questo avvenga senza  che  la  legge  preveda
deroghe alla preclusione di cui all'art. 58-quater O.P.,  a  giudizio
di questo magistrato, sarebbe gia' sufficiente a ritenere fondato  il
vulnus  costituzionale  denunciato   rispetto   all'art.   13   della
Costituzione. 
    Ma,  mantenendosi   nell'ottica   del   raffronto   col   tertium
rappresentato dalla disciplina delle pene  sostitutive,  la  frizione
costituzionale evidenziata  assume  i  colori  foschi  della  patente
irragionevolezza, laddove si consideri che, rispetto all'accesso alle
misure alternative  alla  detenzione,  nel  sistema  della  legge  n.
689/1981 la restrizione forzata della liberta' personale di  chi  sia
incorso  in  revoca  di  una  pena  sostitutiva   e'   dall'art.   67
temporalmente circoscritto a meta' della pena residua ad esito  della
revoca. 
    Il che consente di valorizzare le modificazioni  soggettive  che,
oltre  ad  essere  frutto  del  percorso  di  rieducazione,  facciano
ritenere non piu'  attuale  quel  giudizio  di  concreto  rischio  di
recidiva reso in sede di revoca. 
    La situazione  descritta,  dunque,  nella  sua  irragionevolezza,
appare lesiva dell'art. 3, comma 2 della  Costituzione  in  relazione
all'art. 13 della Costituzione. 
    3.1. La soluzione costituzionalmente adeguata. 
    Ad esito della disamina condotta, deve evidenziarsi che le scelte
operate dal legislatore delegato in materia di  pene  sostitutive  di
cui agli articoli 59 e 67, legge n. 689/1981 appaiono  frutto  di  un
diverso  bilanciamento  di  valori   costituzionali   rispetto   alla
fattispecie della revoca; bilanciamento maggiormente  orientato  alla
tutela della tensione rieducativa della  pena  di  cui  all'art.  27,
comma 3 della  Costituzione  e  del  favor  verso  opzioni  esecutive
complessivamente  piu'  rispettose  anche  del  principio  di  minimo
sacrificio necessario della liberta' personale  di  cui  all'art.  13
della Costituzione. 
    Rispetto a tali soluzioni normative di fonte legislativa,  l'art.
58-quater O.P. risulta oggi  frutto  di  un  bilanciamento  non  piu'
attuale dei beni costituzionali rilevanti, che realizza un massimo  e
totale  sacrificio  degli  uni  anche  ove  a  tale  sacrificio   non
corrisponda  un'espansione  della  tutela  degli  altri,  come   tale
costituzionalmente inadeguato e meritevole di essere riconsiderato in
punto  di  durata  del   meccanismo   preclusivo,   soprattutto   ove
confrontato con le diverse opzioni operate in altro settore omologo. 
    La soluzione al vulnus costituzionale, tuttavia, non puo'  essere
quella della caducazione  sic  et  simpliciter  della  norma  di  cui
all'art. 58-quater, comma 1, 2 e 3 O.P. 
    Tale esito, invero, se  consentirebbe  di  espandere  al  massimo
grado la tutela degli articoli 13 e 27, comma 3  della  Costituzione,
non sarebbe coerente con  la  garanzia  di  altrettanti  e  parimenti
rilevanti  principi  costituzionali,  oltre   che   apparire   troppo
favorevole in eccesso rispetto alle preclusioni,  piu'  miti  ma  pur
presenti, che si rinvengono nella legge n. 689/1981. 
    Appare, dunque, preferibile individuare una diversa  formulazione
normativa che nello spettro delle  varie  alternative  possibili  tra
l'attuale formulazione  e  l'assenza  di  preclusioni,  possa  essere
assunta quale soluzione costituzionalmente  adeguata  a  contemperare
gli interessi in gioco. 
    Gia'  in  altre  occasioni,  infatti,  la  Corte  costituzionale,
discostandosi  dalla  teoria  delle  cosiddette  soluzioni   a   rime
obbligate, ha  recentemente  adottato  pronunce  in  cui  sono  state
accolte soluzioni di  tipo  additivo-manipolativo  che,  pur  se  non
obbligate, apparivano adatte a offrire una cornice di tutela adeguata
rispetto ai vulnera costituzionali denunciati dai giudici rimettenti,
evitando al  contempo  che  la  declaratoria  di  incostituzionalita'
creasse vuoti di disciplina e precludesse, in astratto, un intervento
del legislatore che,  nell'esercizio  della  sua  discrezionalita'  e
tenendo fermi i criteri costituzionali minimi  offerti  dalla  Corte,
desse una diversa riorganizzazione alla materia. 
    Si tratta di un'ermeneutica costituzionale ormai consolidatasi ed
espressa in diverse pronunce della Consulta (si vedano la sentenza n.
40 del 2019, punto 4.2. del Considerato in diritto; sentenza  n.  236
del 2016, punto 4.4. del Considerato in diritto; Sentenza n. 222  del
2018, punto 8.1. del Considerato in diritto; recentemente sentenza n.
46 del 2024, punto 4  e  seguenti  del  Considerato  in  diritto;  ex
multis, nello stesso senso, sentenze n. 95  del  2022,  punto  5  del
Considerato in diritto, e n. 252 del 2020, punto 4.6. del Considerato
in diritto). Sebbene i  precedenti  citati  hanno  in  massima  parte
riguardato norme relative a giudizi in cui  era  oggetto  di  censura
l'adeguatezza-ragionevolezza del trattamento sanzionatorio, non  sono
mancate pronunce che hanno  fatto  applicazione  della  teoria  delle
soluzioni costituzionalmente adeguate anche nell'ambito della materia
della sorveglianza: si pensi alle sentenze n. 253/2019 e n.  10/2024,
rispettivamente, in tema di accesso ai permessi premio per condannati
per delitti di cui  all'art.  4-bis,  comma  1  O.P.  in  assenza  di
collaborazione  con  la  giustizia  ed  in  tema  di  a  affettivita'
inframuraria  e  divieto  di  colloqui  intimi,  ove  la   Corte   ha
sostanzialmente   individuato   il   portato   minimo    di    tutela
costituzionalmente necessitato per rispondere alle censure mosse  dai
giudici a quo, lasciando comunque un margine di  discrezionalita'  al
potere legislativo. 
    Alla luce dell'ermeneutica costituzionale citata, si ritiene  che
la soluzione costituzionalmente adeguata sarebbe  quella  di  mutuare
quanto  previsto  dall'art.  67,  comma  2,  legge  n.  689/1981  per
l'ipotesi di accesso alle misure alternative susseguente alla  revoca
di una pena sostitutiva, modificando esclusivamente la  durata  della
preclusione ed  ancorando  la  stessa  ad  una  porzione  della  pena
residua, mantenendo, comunque, fermo il limite massimo di tre anni. 
    Tale  ulteriore  specificazione  appare  necessaria  in   quanto,
sebbene la maggior parte delle  misure  alternative  alla  detenzione
abbiano un limite di pena di accesso omologo  a  quanto  previsto  in
materia di pene sostitutive e contenuto entro gli  anni  quattro,  vi
sono misure alternative alla detenzione  quali  la  semiliberta'  che
possono essere  fruite  anche  ove  la  pena  residua  sia  di  molto
superiore. 
    In questi casi,  l'operare  della  preclusione  senza  un  limite
massimo di durata porterebbe  ad  inasprire  la  disciplina  attuale,
realizzando un effetto in malam partem in una materia, l'accesso alle
misure alternative alla detenzione,  ormai  pacificamente  rientrante
nel diritto penale sostanziale (Corte costituzionale n. 32/2020). 
    E, d'altronde, l'imposizione di un limite  massimo  che  ricalchi
quello attuale risponde  parimenti  ad  una  necessita'  di  adeguata
tutela dei beni costituzionali in gioco, laddove si consideri che  lo
stesso legislatore ha inteso il triennio  quale  orizzonte  oltre  il
quale il limite di accesso ai benefici risulta inadeguato. 
    L'art.   58-quater   O.P.   comma   3,    dunque,    risulterebbe
incostituzionale nella parte  in  cui  prevede  che  «il  divieto  di
concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento
della ripresa dell'esecuzione della custodia o della pena o e'  stato
emesso il provvedimento di revoca  di  cui  al  comma  2»  invece  di
stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici  opera  per  un
periodo pari alla meta' della pena residua e, comunque, non oltre tre
anni, e decorre  dal  momento  della  ripresa  dell'esecuzione  della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2». 
    Si  ritiene  di  poter   individuare   questa   quale   soluzione
costituzionalmente adeguata, mutuandola dall'art. 67, comma 2,  legge
n. 689/1981 e non gia' altre piu' favorevoli  opzioni  pure  previste
dalla legge n. 689/1981 nel rapporto  tra  revoca  ed  ammissione  ad
altre pene sostitutive, sulla base della seguente considerazione. 
    Se e' vero che sussiste una chiara  omogeneita'  sostanziale  tra
pene  sostitutive  e  pene  detentive  espiate  in  forma  di  misura
alternativa, alcuni profili di differenziazione suggeriscono  di  non
omologare le discipline quanto alla  modalita'  di  operazione  della
preclusione prevista dall'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981.  Da
un lato perche' questa norma e' orientata ad  una  valutazione  sulla
possibilita' di sostituire la pena detentiva con la pena sostitutiva,
partendo dal presupposto che queste riguardino  solo  pene  detentive
brevi e fatti di  minore  rilievo,  mentre  la  pena  detentiva  puo'
riguardare anche delitti e condanne di maggiore gravita'. Dall'altro,
perche' il meccanismo preclusivo in questione opera solo  all'interno
del sistema chiuso delle pene sostitutive e non spiega alcun  effetto
rispetto alla possibilita' di accesso alle  misure  alternative  alla
detenzione.  Invero,  anche  se  in  applicazione  della  preclusione
soggettiva di cui all'art. 59, lettera a), legge n. 689/1981 la  pena
detentiva non  potra'  essere  sostituita,  trattandosi  di  condanna
comunque inferiore  ai  quattro  anni,  la  persona  potra'  avanzare
domande di misure alternative ai sensi dell'art.  656,  comma  5  del
codice di procedura penale. Dunque, pur  individuando  una  possibile
opzione di risposta normativa rispetto alla revoca di una  pena  lato
sensu extramuraria, l'art. 59, lettera  a),  legge  n.  689/1981  non
incide in termini assoluti sul  principio  di  rieducazione  e  sulla
liberta'  personale,  mantenendo  i   propri   effetti   circoscritti
all'esclusione di una  possibilita'  di  accesso  ad  espiazione  non
carceraria, vale a dire quella offerta dalla sostituzione della  pena
detentiva in pena sostitutiva, senza pregiudicare in  alcun  modo  le
altre previste dall'ordinamento nel suo complesso. 
    Viceversa, l'art. 67, comma 2, legge n.  689/1981  e'  norma  che
attribuisce alla revoca di una pena sostitutiva un rilievo esterno al
sistema delle pene sostitutive,  precludendo  in  assoluto  l'accesso
alle altre forme di espiazione extramuraria previste dall'ordinamento
penitenziario e,  come  tale,  realizza  effetti  omologhi  a  quanto
previsto dall'art. 58-quater O.P.; con l'unica e rilevante differenza
di circoscrivere l'oggetto ed il tempo della preclusione si'  da  non
frustrare in via  definitiva  la  successiva  espiazione  della  pena
rispetto ai principi di emenda e di sacrificio minimo della  liberta'
personale. 
    E' questa, dunque, a parere di questo  magistrato,  la  soluzione
coerente e costituzionalmente adeguata a rimuovere illc et  immediate
il  vulnus  costituzionale  che  l'attuale   formulazione   dell'art.
58-quater O.P. realizza per la fissita' dei suoi effetti. 
    Tale opzione, infatti, come si e' detto, individua  un  punto  di
equilibrio  tra  le  istanze  de  libertate  e  di  rieducazione  del
condannato  e  quelle  di  sicurezza  sociale  cristallizzate   nella
pronuncia di revoca, che sacrifica le prime per un tempo di congruo a
consentire  che  la   persona,   proprio   mediante   il   ripristino
dell'osservazione  e  del  trattamento  intramurario,  dimostri   una
evoluzione che consenta di ritenere non piu' attuale il  giudizio  di
concreto rischio di recidiva reso in sede di revoca. 
    Esito  che  appare,  invero,   estremamente   coerente   con   la
giurisprudenza costituzionale espressa dalle sentenze n.  173/2021  e
n. 24/2025. 
    Invero,  se  il  combinato  disposto  degli  articoli  51-ter   e
58-quater,  legge  n.  354/1975  ha,  nella  lettura   costituzionale
espressa dalla Consulta, la funzione di imporre una  regressione  del
trattamento in virtu' di un giudizio di inadeguatezza  della  misura,
il  ripristino  della  carcerazione  deve  razionalmente  avere  come
obiettivo non soltanto la neutralizzazione del  rischio  di  recidiva
che la persona esprime, ma anche  la  possibile  costruzione  di  una
nuova prospettiva trattamentale e rieducativa. 
    Obiettivo che la normativa attuale sacrifica in toto, ove la pena
si esaurisca entro il triennio,  senza  consentire  al  Tribunale  di
sorveglianza di graduare gli effetti della propria pronuncia. 
    Merita, poi,  di  evidenziarsi  che,  se  la  soluzione  proposta
certamente depotenzia in qualche misura l'effetto di deterrenza della
preclusione  di  cui  all'art.  58-quater  O.P.  rispetto  alla  fase
terminale dell'espiazione della pena in misura alternativa, posto che
l'ancoraggio alla meta' della pena residua  risultante  dalla  revoca
riduce in via direttamente  proporzionale  all'avvicinarsi  del  fine
pena il metus rappresentato dalla minaccia della preclusione  stessa,
la ragionevolezza di tale opzione puo' cogliersi  sia  dal  raffronto
con l'art. 67, legge n.  689/1981  sia  andando  a  vagliare  in  che
termini questa opzione bilancia i beni  costituzionali  in  gioco  in
termini piu' equilibrati di quanto non faccia l'art. 58-quater O.P.. 
    Infatti, il vantaggio concreto che questa soluzione  realizza  in
punto di tutela dei beni costituzionali assunti  quale  parametro  di
riferimento (27, comma 3 e 13 della Costituzione) non si  traduce  in
un annientamento delle esigenze  di  sicurezza  sociale  connesse  al
prosieguo dell'esecuzione residuante  da  revoca  e  delle  eventuali
esecuzioni  successive,  potendo  queste  ben  essere   adeguatamente
tutelate  nel  giudizio  di  merito  innanzi  alla  magistratura   di
sorveglianza. 
    E cio' evidenzia come la soluzione che si ritiene adeguata,  gia'
a monte esprime una ponderazione piu' oculata dei beni costituzionali
coinvolti nell'esecuzione pena di quanto non faccia l'art.  58-quater
O.P., che sacrifica irrimediabilmente gli uni (principio  di  emenda,
liberta' personale) in favore degli altri (sicurezza sociale). 
    Vi  e'  poi  da  considerare  come   la   soluzione   prospettata
consentirebbe, rispetto alla  misura  dell'affidamento  in  prova  al
servizio  sociale,  di  graduare  effettivamente   il   tempo   della
preclusione. 
    Il Tribunale di sorveglianza, in sede di revoca  dell'affidamento
in prova, e' titolare di un potere di rideterminare la pena  residua,
previsto  dall'art.  98,  comma  7,  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 230/2000, con facolta' di indicare quale porzione della
pena eseguita in affidamento in prova possa ritenersi non validamente
espiata in ragione dei fatti che hanno condotto alla revoca. 
    Si tratta di un obbligo/potere che, come indicato  dalla  lettura
del giudizio di revoca  offerta  dalle  sentenze  n.  173/2021  e  n.
24/2025 su citate, rappresenta uno degli  ulteriori  fattori  che  il
Tribunale di sorveglianza deve soppesare e che, spesso,  nel  diritto
vivente e' recessivo dinnanzi all'attuale meccanismo preclusivo fisso
stabilito dall'art. 58-quater O.P. Dinnanzi alla prospettiva  di  una
preclusione  triennale  che  esaurisce  la  pena  residua,   infatti,
l'ulteriore aggravio dato dal  considerare  una  quota  di  pena  non
validamente espiata, porta a limitare gli effetti di cui all'art. 98,
comma 7, decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000. 
    Ove si accogliesse  la  questione  qui  prospettata,  invece,  il
Tribunale di sorveglianza potrebbe  effettuare  davvero  ed  in  modo
compiuto quella «ponderazione degli  effetti  della  revoca»  cui  fa
riferimento la Corte costituzionale, incidendo sulla pena residua  e,
indirettamente,  sulla  durata  della  preclusione  di   accesso   ai
benefici, si' da gradare in concreto, con una  valutazione  casistica
ed individualizzata (dunque  fondata  sull'art.  27,  comma  3  della
Costituzione), gli effetti della propria pronuncia alla gravita'  dei
fatti che impongono la regressione del trattamento. 
    Ma,  anche   rispetto   alle   altre   misure   alternative,   la
rimodulazione della durata  del  meccanismo  preclusivo  nei  termini
indicati non esporrebbe  a  incalcolabili  rischi  di  ammissione  ad
esecuzione penale esterna soggetti gia' giudicati come pericolosi. 
    La circoscrizione della durata dello stop ai  benefici,  infatti,
inciderebbe solo sulla possibilita' di accedere ad una valutazione di
merito e non gia' sull'accesso al  beneficio  tout  court,  rimanendo
questa  valutazione  ancorata   al   puntuale   apprezzamento   della
magistratura di sorveglianza. 
    Nel giudizio successivo  alla  revoca  di  precedente  beneficio,
dunque, la revoca svolgera' ragionevolmente un ruolo  principe  nelle
valutazioni del giudice, ponendosi quale elemento di fatto  altamente
negativo in chiave prognostica, per vincere il  quale  il  condannato
dovra'  fornire  adeguati  indici   di   sviluppo   del   trattamento
successivo, che consentano di superare la necessita' di regressione e
l'elevato rischio di recidiva che la revoca ha riconosciuto. 
    Un giudizio, dunque, difficilmente superabile senza  un  concreto
impegno nel trattamento da parte del condannato, ma che allo stato e'
assolutamente precluso e  che,  ove  accolta  la  questione,  sarebbe
quanto meno in astratto possibile. 
    Tutte le ragioni esposte militano nel senso  di  ritenere  l'art.
58-quater O.P. comma 3 incostituzionale per violazione degli articoli
3, comma 1 della Costituzione e 3, comma 2 in relazione agli articoli
13 e 27, comma 3 della Costituzione, nella parte in cui  prevede  che
«il divieto di concessione dei benefici opera per un periodo  di  tre
anni dal momento della ripresa dell'esecuzione della custodia o della
pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma  2»
invece di stabilire che «Il divieto di concessione dei benefici opera
per un periodo pari alla meta' della pena residua  e,  comunque,  non
oltre tre anni, e decorre dal momento della  ripresa  dell'esecuzione
della custodia o della pena o e' stato  emesso  il  provvedimento  di
revoca di cui al comma 2». 
    Prima di procedere verso le conclusioni, e' opportuno evidenziare
che, laddove la Consulta, pur accogliendo la questione non  ritenesse
di condividere la soluzione prospettata, nulla impedirebbe al giudice
delle leggi  di  individuare  altra  formulazione  costituzionalmente
adeguata dell'art. 58-quater O.P. capace di ricondurre a legittimita'
costituzionale la norma. 
    Come   ribadito   nella   sentenza   n.   46/2024   della   Corte
costituzionale; infatti, «"il petitum dell'ordinanza di rimessione ha
la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle  censure  mosse
dal giudice rimettente", ma  non  vincola  questa  Corte,  che,  "ove
ritenga  fondate  le  questioni,  rimane  libera  di  individuare  la
pronuncia  piu'  idonea  alla   reductio   ad   legitimitatem   della
disposizione censurata" (sentenza  n.  221  del  2023,  punto  4  del
Considerato in diritto; in senso conforme, piu' di recente,  sentenza
n. 12 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto)». 
    3.2. Rilevanza, non manifesta infondatezza ed  impossibilita'  di
superare la norma con interpretazione costituzionalmente orientata. 
    Cosi' posta, la questione risulta certamente rilevante  nel  caso
di specie e, per le ragioni su esposte, non manifestamente infondata. 
    In punto di  rilevanza,  infatti,  a  normativa  vigente,  questo
magistrato di sorveglianza  dovrebbe  definire  il  procedimento  con
declaratoria di inammissibilita' ex art. 58-quater, comma 1, 2  e  3,
legge n. 354/1975. 
    Laddove, accolta la soluzione caldeggiata da questo magistrato di
sorveglianza, invece, gli effetti della revoca in cui e'  incorso  B.
S., sarebbero ad oggi esauriti e, dunque, questo magistrato  potrebbe
valutare nel merito, secondo i canoni su espressi, la domanda di B. 
    E cio' si ritiene sufficiente, a prescindere da un  vaglio  circa
l'eventuale accoglimento nel merito dell'istanza di  B.,  a  ritenere
integrato il primo requisito di ammissibilita'. 
    E' noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ormai  affermato
una nozione di rilevanza della questione che prescinde dall'eventuale
diretta incidenza sull'esito  del  giudizio  a  quo,  descritta  come
rilevanza  giuridica.  (3)     Secondo   tale   orientamento,   ormai
maggioritario e condiviso, il requisito di rilevanza  sussiste  anche
qualora la decisione della Corte sia idonea ad incidere nel  giudizio
a quo anche solo nel senso di imporre al giudice un diverso  percorso
logico-giuridico-argomentativo, pur  rimanendo  in  ipotesi  identico
l'esito del giudizio. 
    Peraltro, la Consulta, nel ribadire tale nozione di rilevanza, ha
altresi' sottolineato come anche eventuali evenienze successive,  che
evidenzino l'infondatezza dell'istanza in  relazione  alla  quale  e'
sorto il dubbio di costituzionalita' o la non piu'  attuale  utilita'
della stessa nel giudizio a quo non esplicano  effetti  sul  giudizio
incardinato   innanzi   alla   Corte,    essendo    l'incidente    di
costituzionalita' caratterizzato da autonomia rispetto  alle  vicende
sostanziali del caso da cui esso origina. (4) 
    In questo senso, la questione e'  certamente  rilevante  ai  fini
della decisione, impedendo l'art. 58-quater O.P. a questo giudice  di
esaminare la domanda nel merito e lo e'  oggi,  rendendo  irrilevante
l'eventuale scarcerazione del condannato prima  che  si  concluda  il
giudizio  innanzi  alla  Corte  (esito  purtroppo  in  concreto   non
irrealistico, a fronte di un fine pena che potrebbe essere anticipato
a inizio novembre  2025).  Per  mera  completezza,  tuttavia,  appare
opportuno segnalare che gli ulteriori  elementi  in  atti  potrebbero
gia' in questa sede adombrare l'effettiva ricorrenza delle condizioni
per la  concessione  del  beneficio  di  cui  all'art.  1,  legge  n.
199/2010, laddove venisse accolta la questione. 
    Quanto alla non  manifesta  infondatezza,  ci  si  richiama  alle
considerazioni svolte supra circa il perimetro  della  questione  qui
proposta, le differenze di fatto  e  di  diritto  che  richiedono,  a
parere  di  questa  autorita',  di  riconsiderare   parzialmente   la
decisione  assunta  dalla  Consulta   con   sentenza   n.   173/2021,
ribadendosi come la questione qui posta poggi su  una  diversa  causa
petendi e proponga un diverso petitum al giudice delle leggi. 
    In  merito,  da  ultimo,  alla  possibilita'  di   esperire   una
interpretazione costituzionalmente orientata del tessuto normativo, a
fronte della chiarezza letterale  del  testo  di  legge,  non  appare
possibile interpretare l'art. 58-quater O.P. se non nel senso che  la
norma precluda per tre anni l'accesso ai benefici penitenziari. 
    Eventuali interpretazioni tese a temperare la rigidita'  di  tale
meccanismo risulterebbero all'evidenza contra legem. 
4. Conclusioni. 
    Alla luce della disamina  sin  qui  condotta,  il  magistrato  di
sorveglianza giudica fondati i dubbi di  costituzionalita'  sollevati
dalla difesa avverso l'art. 58-quater, comma 3, legge n. 354/1975  in
relazione agli articoli 3 della Costituzione, 3 comma 2 in  relazione
agli articoli 13 e 27, comma 3 della Costituzione nella parte in  cui
prevede che «il divieto di concessione  dei  benefici  opera  per  un
periodo di tre anni dal momento della ripresa  dell'esecuzione  della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2» invece di stabilire che «Il  divieto  di  concessione
dei benefici opera per un periodo pari alla meta' della pena  residua
e, comunque, non oltre tre anni, e decorre dal momento della  ripresa
dell'esecuzione della custodia o della pena  o  e'  stato  emesso  il
provvedimento di revoca di cui al comma 2». 

(1) Cfr. Corte costituzionale n. 173/2021 § 3.3.3, ove la Corte cosi'
    motiva: «il tribunale di sorveglianza ha oggi la possibilita'  di
    reagire  alla  commissione  di  comportamenti   suscettibili   di
    determinare la revoca della  misura  alternativa  attraverso  una
    pluralita' di risposte: la prosecuzione della  misura  nonostante
    la  condotta  inosservante  da  parte  del  condannato;  la   sua
    sostituzione con altra misura; e infine la sua revoca,  riservata
    evidentemente ai casi piu' gravi, che dimostrino la necessita' di
    una  regressione  del  percorso  rieducativo  e  di   un   almeno
    temporaneo ripristino del regime di detenzione, in particolare in
    funzione di contenimento  di  un  concreto  rischio  di  recidiva
    evidenziatosi  in  capo  al  condannato.   Nell'esercitare   tale
    discrezionalita', il tribunale non potra' non tenere conto  anche
    delle conseguenze particolarmente gravose associate alla  revoca,
    e in particolare della  preclusione  -  nell'arco  di  un  intero
    triennio  -  relativa  alla  concessione  di  ogni  altra  misura
    alternativa o beneficio penitenziario, diversi dalla  liberazione
    anticipata. La preclusione qui all'esame discende dunque  da  una
    valutazione caso per caso da parte del giudice  di  sorveglianza,
    effettuata sulla base non gia' di presunzioni legate al titolo di
    reato o allo status di recidivo del condannato, ma  del  percorso
    da lui concretamente compiuto durante l'esecuzione della pena,  e
    in  particolare  di  specifiche  condotte  in  violazione   delle
    prescrizioni inerenti  alla  misura  alternativa,  che  ne  hanno
    determinato  un  giudizio  di  non  meritevolezza  rispetto  alla
    possibilita', gia' concessagli una prima volta,  di  eseguire  la
    propria pena in regime extramurario.» 

(2) Cfr. Relazione Cartabia pag. 214 «Questa  preclusione  soggettiva
    non e' legata a logiche presuntive ma  rappresenta  una  sanzione
    per l'inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni delle  tre
    pene sostitutive: nei tre anni successivi alla revoca ex art. 66,
    infatti, la pena sostitutiva non puo'  essere  applicata  per  un
    nuovo  reato.  Con  cio'  si  intende   rafforzare,   sul   piano
    preventivo, l'osservanza degli  obblighi  e  delle  prescrizioni,
    secondo  un  modello  di  disciplina  previsto,  per  le   misure
    alternative alla detenzione, dall'art. 58-quater, comma  2-3.  Ad
    analoga finalita' e' ispirata la preclusione che riguarda chi  ha
    commesso proprio il reato per cui si procede mentre si trovava in
    esecuzione di una pena sostitutiva, revocata ai  sensi  dell'art.
    72. Tale preclusione viene limitata all'ipotesi in cui  il  reato
    commesso sia di particolare gravita' (un delitto non colposo).» 

(3) Con le parole della Consulta, «anche nella prospettiva di un piu'
    diffuso accesso  al  sindacato  di  costituzionalita'  (messa  in
    risalto, tra le pronunce piu' recenti, dalla sentenza n.  77  del
    2018) e  di  una  piu'  efficace  garanzia  della  conformita'  a
    Costituzione della legislazione (profilo valorizzato, da  ultimo,
    nella sentenza n. 174 del 2019), il presupposto  della  rilevanza
    non si identifica con l'utilita' concreta  di  cui  le  parti  in
    causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione  (sentenza
    n. 20 del 2018)»; cosi' C. Cost 254/2020. 

(4) Si veda, in particolare Corte costituzionale n.  30/2022  laddove
    e' affermato che «Per costante giurisprudenza di questa Corte, la
    rilevanza  della  questione   incidentale   si   configura   come
    necessita'  di  applicare  la   disposizione   censurata,   senza
    identificarsi nell'utilita' concreta per la  parte  del  giudizio
    principale (ex plurimis, sentenze n. 236, n.  172  e  n.  59  del
    2021, n. 254 del 2020 e n. 174 del 2019). [...]  Per  l'autonomia
    che lo caratterizza,  il  giudizio  incidentale  di  legittimita'
    costituzionale non risente  delle  vicende  di  fatto  successive
    all'ordinanza di rimessione, sicche' la rilevanza delle questioni
    deve essere vagliata ex ante,  con  riferimento  al  tempo  della
    prospettazione (da ultimo, sentenze n. 22 e n. 7 del 2022, n. 127
    del 2021, n. 270, n. 244 e n. 85 del 2020). ». 

 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,
nei  termini  indicati,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 58-quater, comma 3 O.P. per contrarieta'  agli  articoli  3
della Costituzione, 3 comma 2 della Costituzione  in  relazione  agli
articoli 13 e 27, comma 3 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
prevede che «il divieto di concessione  dei  benefici  opera  per  un
periodo di tre anni dal momento della ripresa  dell'esecuzione  della
custodia o della pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di
cui al comma 2» invece di stabilire che «Il  divieto  di  concessione
dei benefici opera per un periodo pari alla meta' della pena  residua
e, comunque, non oltre tre anni, e decorre dal momento della  ripresa
dell'esecuzione della custodia o della pena  o  e'  stato  emesso  il
provvedimento di revoca di cui al comma 2»; 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al   pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  che
sia anche comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deciso in Bologna, il 15 luglio 2025 
 
               Il Magistrato di sorveglianza: Romano