Reg. ord. n. 178 del 2025 pubbl. su G.U. del 01/10/2025 n. 40

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  del 11/08/2025

Tra: Elements Green Atena srl e altri  C/ Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri



Oggetto:

Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al d.lgs. n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 – Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del d.lgs. n. 199 del 2021 – Denunciata disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea e con la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici nonché con l’obiettivo complessivo dell’Unione europea al 2030 – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Divieto di valenza assoluta non avendo il legislatore istituito alcun possibile bilanciamento tra i contrastanti interessi in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, sganciata da una valutazione concreta dell’effettiva utilizzabilità di tali aree a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Norme impugnate:

decreto legislativo  del 08/11/2021  Num. 199  Art. 20  Co. 1

decreto-legge  del 15/05/2024  Num. 63  Art. 5  Co. 1

legge  del 12/07/2024  Num. 101

decreto legislativo  del 25/11/2024  Num. 190  Art. 2  Co. 2



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 11   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

regolamento UE  Art.    Co.  

regolamento UE  Art.    Co.  

direttiva UE  Art.    Co.  

direttiva UE  Art.    Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 178 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 agosto 2025

Ordinanza dell'11 agosto 2025 del Tribunale amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Elements Green  Atena  S.r.l.  e
altri contro Ministero dell'ambiente e della sicurezza  energetica  e
altri. 
 
Energia - Impianti alimentati da fonti  rinnovabili  -  Modifiche  al
  d.lgs. n. 199 del 2021 - Disposizioni finalizzate a limitare  l'uso
  del suolo agricolo - Previsione che l'installazione degli  impianti
  fotovoltaici con moduli collocati a  terra,  in  zone  classificate
  agricole   dai   piani   urbanistici   vigenti,    e'    consentita
  esclusivamente nelle aree di cui  alle  lettere  a),  limitatamente
  agli  interventi  per  modifica,   rifacimento,   potenziamento   o
  integrale  ricostruzione  degli   impianti   gia'   installati,   a
  condizione che non comportino incremento  dell'area  occupata,  c),
  incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e quelle  con
  piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonche' le
  discariche o i  lotti  di  discarica  chiusi  ovvero  ripristinati,
  c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma  8  dell'art.
  20 del d.lgs. n. 199 del 2021 - Previsione che il primo periodo del
  comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto legislativo non si applica
  nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
  collocati a terra finalizzati alla costituzione  di  una  comunita'
  energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del  predetto  decreto
  nonche' in  caso  di  progetti  attuativi  delle  altre  misure  di
  investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza  (PNRR)  e
  del Piano nazionale per  gli  investimenti  complementari  al  PNRR
  (PNC) ovvero di  progetti  necessari  per  il  conseguimento  degli
  obiettivi del PNRR - Disciplina dei regimi  amministrativi  per  la
  produzione di energia da fonti rinnovabili  -  Previsione  che  gli
  interventi di cui all'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 190  del  2024
  sono considerati di pubblica utilita', indifferibili  e  urgenti  e
  possono essere ubicati anche  in  zone  classificate  agricole  dai
  vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art.
  20, comma 1-bis, del d.lgs. n. 199 del 2021. 
- Decreto legislativo 8  novembre  2021,  n.  199  (Attuazione  della
  direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo  e  del  Consiglio,
  dell'11 dicembre 2018 , sulla promozione dell'uso  dell'energia  da
  fonti rinnovabili), art. 20, comma 1-bis, come introdotto dall'art.
  5, comma 1, del decreto-legge 15 maggio 2024, n.  63  (Disposizioni
  urgenti per le imprese agricole, della pesca  e  dell'acquacoltura,
  nonche'  per  le  imprese  di  interesse   strategico   nazionale),
  convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n.  101;
  decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei regimi
  amministrativi per la produzione di energia da  fonti  rinnovabili,
  in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettere b) e d), della
  legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo periodo. 


(GU n. 40 del 01-10-2025)

 
          IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                            Sezione Terza 
 
    ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 10460 del 2024, proposto da  Elements  Green  Atena
S.r.l., Elements Green Ermes S.r.l., Elements Green  Demetra  S.r.l.,
Elements Green Nettuno S.r.l., Elements Green Ares  S.r.l.,  Elements
Green   Artemide   S.r.l.,   in   persona   dei   rispettivi   legali
rappresentanti pro tempore, rappresentate  e  difese  dagli  avvocati
Germana Cassar e Michele Rondoni, con domicilio digitale come da  PEC
da Registri di giustizia; 
    contro 
        Ministero  dell'ambiente  e   della   sicurezza   energetica,
Ministero  della  cultura   e   Ministero   dell'agricoltura,   della
sovranita' alimentare e delle  foreste,  in  persona  dei  rispettivi
legali   rappresentanti   pro   tempore,   rappresentati   e   difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma,
via dei Portoghesi, 12; 
    nei confronti 
        Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del  legale
rappresentante pro tempore, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello  Stato,  domiciliataria  ex  lege  in  Roma,  via  dei
Portoghesi, 12; 
        Regione Sardegna, in persona del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, nonche' dagli
avvocati Mattia Pani e Giovanni Parisi, con domicilio  digitale  come
da  PEC  da  Registri  di  giustizia  e   domicilio   eletto   presso
l'Avvocatura regionale in Cagliari, via Trento, 69; 
        Ministero  per  gli  affari  regionali  e  le   autonomie   e
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, non costituiti in giudizio; 
    per l'annullamento 
        del decreto del Ministero  dell'ambiente  e  della  sicurezza
energetica, di concerto con il  Ministero  della  cultura  e  con  il
Ministero  dell'agricoltura,  della  sovranita'  alimentare  e  delle
foreste del 21 giugno 2024, pubblicato nella  Gazzetta  Ufficiale  n.
153 del 2 luglio 2024, recante «Disciplina  per  l'individuazione  di
superfici e aree idonee  per  l'installazione  di  impianti  a  fonti
rinnovabili» e di ogni  altro  presupposto  preordinato  o  connesso,
inclusa  l'intesa  raggiunta  in  sede  di  in  sede  di   Conferenza
unificata, resa nella seduta del 7 giugno 2024; 
        eventualmente previa rimessione  alla  Corte  costituzionale,
della questione di legittimita' dell'art. 20, comma 1-bis del decreto
legislativo  n.  199/2021,  introdotto  dall'art.  5,  comma  1,  del
decreto-legge n. 63/2024,  convertito  con  modifiche  con  legge  n.
101/2024, nei termini sopra indicati - con riferimento agli  articoli
77, 117  commi  1  e  3,  9  e  41  della  Costituzione  nonche'  con
riferimento ai principi comunitari di massima diffusione delle  fonti
rinnovabili; 
        oppure, previa disapplicazione dell'art. 5 del  decreto-legge
15 maggio 2024, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge  12
luglio  2024,  n.  101,  per  violazione  del  diritto   comunitario,
segnatamente del Protocollo n. 1  alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(Protezione della  proprieta'),  del  Trattato  sulla  Carta  europea
dell'energia, stipulato a Lisbona il 17 dicembre 1994,  e  ratificato
in Italia con  legge  10  novembre  1997,  n.  415,  della  direttiva
2009/28/CE e dei principi generali del diritto comunitario di  tutela
dell'affidamento,  della  certezza  del  diritto,  della  parita'  di
trattamento; 
        ovvero previa rimessione alla Corte di giustizia  dell'Unione
europea  della  questione  pregiudiziale  relativa  alla  conformita'
dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n.  63/2024,  convertito  con
modifiche con legge n. 101/2024, ai principi  di  massima  diffusione
delle fonti rinnovabili sanciti (i) dalla direttiva 2018/2001/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018 (modificata
dalla successiva direttiva 2023/2413  del  18  ottobre  2023),  sulla
promozione dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili;  (ii)  dal
regolamento (UE) 2022/2577 del Consiglio del 22 dicembre  2022,  come
modificato  dal  regolamento  (UE)  2024/223  del  Consiglio  del  22
dicembre 2023, che ha introdotto un  quadro  di  norme  di  carattere
emergenziale  tese  ad  accelerare  la  procedura  autorizzativa   di
rinnovabili; (iii)  regolamento  (UE)  n.  2021/1119  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 30 giugno 2021, che istituisce il  quadro
per il conseguimento della neutralita' climatica e  che  modifica  il
regolamento (CE) n. 401/2009  e  il  regolamento  (UE)  n.  2018/1999
(«Normativa europea sul clima»). 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'ambiente e  della  sicurezza  energetica,  del  Ministero  della
cultura, del Ministero dell'agricoltura, della sovranita'  alimentare
e delle foreste, della Presidenza del Consiglio dei ministri e  della
Regione Sardegna; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2025 il  dott.
Luca Biffaro e uditi per le parti i difensori  come  specificato  nel
verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    1.) Le societa' ricorrenti, tutte appartenenti al medesimo gruppo
societario, nella loro qualita' di operatori attivi nel settore della
produzione  di  energia  elettrica  da   fonti   rinnovabili,   hanno
rappresentato di avere avviato gli itinera amministrativi di sviluppo
di impianti di produzione di energia elettrica da fonti  rinnovabili,
in larga parte agrivoltaici e  da  realizzare  nel  territorio  della
Regione Sardegna. 
    1.1.) In particolare: i) Elements Green Atena S.r.l. ha in  corso
un procedimento per la realizzazione di un impianto  agrivoltaico  di
potenza pari a 37,80 MW, da  installare  nel  Comune  di  Sassari,  e
rispetto al quale e'  stata  presentata  istanza  di  Valutazione  di
impatto ambientale («VIA»); ii) Elements Green Demetra S.r.l.  ha  in
corso  un  procedimento  per  la   realizzazione   di   un   impianto
agrivoltaico di potenza pari a 41,552 MWp, da installare  nel  Comune
di Sassari, e rispetto al quale l'istanza di VIA e' stata  dichiarata
procedibile in data 4 dicembre 2023; iii) Ermes Green Nettuno  S.r.l.
ha in corso un procedimento  per  la  realizzazione  di  un  impianto
agrivoltaico di potenza pari a 40.194 kWp, da installare  nel  Comune
di Sassari, e rispetto al quale e' stata presentata  istanza  di  VIA
(cfr.  docc.  4.1,  4.3  e  4.4  della  produzione   delle   societa'
ricorrenti). 
    1.2.)  Le  ricorrenti,  dopo  aver   richiamato   la   disciplina
introdotta dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n.  199,  recante
«Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento  europeo  e
del Consiglio,  dell'11  dicembre  2018,  sulla  promozione  dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili» - anche alla luce delle  modifiche
apportate dall'art. 5  del  decreto-legge  15  maggio  2024,  n.  63,
recante «Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca  e
dell'acquacoltura, nonche' per le  imprese  di  interesse  strategico
nazionale», convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio  2024,
n. 101, con la quale e' stato introdotto il divieto di  utilizzo  dei
terreni agricoli per la realizzazione di  impianti  fotovoltaici  con
moduli collocati a terra (articolo,  20,  comma  1-bis,  del  decreto
legislativo n.  199/2021)  -  nonche'  quella  prevista  dal  decreto
ministeriale  del   21   giugno   2024,   recante   «Disciplina   per
l'individuazione di superfici e aree idonee  per  l'installazione  di
impianti a fonti rinnovabili», hanno prospettato  che  le  previsioni
del decreto ministeriale del 21 giugno  2024  siano  suscettibili  di
incidere  negativamente  nella  loro  sfera  giuridica,  andando   ad
impattare  sulla  generale  attivita'  di  sviluppo  degli   impianti
fotovoltaici («Impianti FTV»)  e  degli  impianti  di  produzione  di
energia da fonti rinnovabili («Impianti FER»). 
    2.) Le societa' ricorrenti,  con  la  proposizione  del  presente
ricorso affidato a sei differenti motivi, hanno impugnato il  decreto
ministeriale del 21 giugno 2024,  lamentandone  l'illegittimita'  per
violazione di legge ed eccesso di potere sotto distinti profili, e ne
hanno chiesto l'annullamento, eventualmente  previa  rimessione  alla
Corte costituzionale della questione di  legittimita'  dell'art.  20,
comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 per violazione degli
articoli 3, 41, 97, e  117  della  Costituzione  con  riferimento  ai
principi unionali sulla massima diffusione  delle  fonti  di  energia
rinnovabile,  ovvero   previa   disapplicazione   dell'art.   5   del
decreto-legge n. 63/2024, per violazione  del  diritto  eurounitario,
ovvero ancora previa rimessione alla Corte di  giustizia  dell'Unione
europea  della  questione  pregiudiziale  relativa  alla  conformita'
dell'art. 5 del decreto-legge n.  63/2024  ai  principi  unionali  di
massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile. 
    2.1.) Le ricorrenti,  con  il  primo  motivo  di  ricorso,  hanno
contestato la  legittimita'  del  gravato  decreto  ministeriale  per
«Violazione dell'art. 12 del decreto legislativo n.  387/2003,  delle
linee guida nazionali approvate con decreto ministeriale 10 settembre
2010 e dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 -  Violazione
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed integrazioni -
Violazione  degli  articoli  3,  41  e  97   della   Costituzione   -
Irragionevolezza e ingiustizia manifesta». 
    2.1.1.) In particolare,  con  tale  mezzo  di  gravame  e'  stata
lamentata  l'illegittimita'  dell'art.  1,  comma  2,   del   decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 nella parte in cui  viene  attribuito
alle Regioni il compito di individuare con  propria  legge  anche  le
aree non idonee all'installazione degli impianti FER. 
    Secondo  la  prospettazione  delle  ricorrenti,  l'individuazione
delle aree non idonee sarebbe  soggetta  a  riserva  di  procedimento
autorizzativo e, dunque, le regioni potrebbero  provvedervi  solo  in
seguito all'aggiornamento delle linee  guida  ministeriali  approvate
con il decreto ministeriale del 10 settembre  2010  («Linee  guida»).
Cio', in quanto il decreto legislativo n. 199/2021  avrebbe  distinto
la fase di individuazione delle aree  idonee  (che  assume  carattere
prioritario), da quella delle aree non idonee, che dovrebbe  avvenire
solo successivamente  e  a  seguito  dell'aggiornamento  delle  Linee
guida. A  conferma  della  impostazione  esegetica  delle  ricorrenti
militerebbero tanto il disposto dell'art. 20, comma  1,  del  decreto
legislativo   n.   199/2021,   quanto   le   pronunce   della   Corte
costituzionale inerenti al divieto di moratorie  ai  procedimenti  di
autorizzazione degli impianti FER prima  della  individuazione  delle
aree idonee (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023). 
    Le Regioni, nell'individuare con propria legge le aree non idonee
alla installazione  degli  impianti  FER,  finirebbero  per  incidere
negativamente sui meccanismi di accelerazione procedimentale previsti
per l'autorizzazione degli impianti FER, in quanto la  individuazione
di tali aree non  sarebbe  piu'  il  frutto  di  una  valutazione  in
concreto della compatibilita' del progetto, risolvendosi in una sorta
di  incompatibilita'  automatica,  in  violazione  dell'art.  12  del
decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, delle Linee  guida  del
2010 e degli articoli 18 e 20 del decreto legislativo n. 199/2021. 
    2.2.) Le ricorrenti, con il  secondo  motivo  di  ricorso,  hanno
contestato la  legittimita'  del  gravato  decreto  ministeriale  per
«Violazione dell'art. 12 del decreto legislativo n.  387/2003,  delle
linee guida nazionali approvate con decreto ministeriale 10 settembre
2010 e dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 -  Violazione
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed integrazioni -
Violazione degli articoli 3, 41, 97 della Costituzione -  Eccesso  di
potere per sviamento - Difetto di  istruttoria  e  di  motivazione  -
Irragionevolezza e ingiustizia manifesta». 
    2.2.1.)  Con  tale  mezzo   di   gravame   e'   stata   lamentata
l'illegittimita' delle previsioni del  decreto  ministeriale  del  21
giugno 2024 con le quali le aree  non  idonee  sarebbero  state  rese
barriere alla realizzazione degli impianti FER. 
    Cio', in particolare, emergerebbe dalle seguenti disposizioni del
gravato decreto ministeriale: 
        l'art. 1, nella parte in cui definisce  le  aree  non  idonee
come incompatibili con l'installazione  di  specifiche  tipologie  di
impianti FER; 
        l'art. 7, comma 3, laddove considera non idonee le  superfici
ricomprese nel perimetro  dei  beni  sottoposti  a  tutela  ai  sensi
dell'art. 10 e dell'art. 36, comma 1, lettere a) e  b),  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; 
        l'art. 7, comma 3, nella parte in cui viene  attribuita  alle
regioni la facolta' di individuare come non idonee le superfici e  le
aree ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai
sensi del decreto legislativo n.  42/2004,  nonche'  la  facolta'  di
stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti  a
tutela fino a un massimo di 7 chilometri. 
    Secondo la prospettazione delle ricorrenti, dette  previsioni  si
porrebbero in contrasto con la natura e la funzione  delle  aree  non
idonee, come delineata dal paragrafo 17 e dall'Allegato 3 delle Linee
guida del 2010, in quanto dette aree non possono  costituire  divieti
generalizzati alla installazione degli impianti  FER,  devono  essere
individuate all'esito di  una  apposita  istruttoria  e  non  possono
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela  dell'ambiente,  del  paesaggio  e  del  patrimonio
storico-artistico. 
    Sarebbero, altresi',  violati  i  principi  eurounionali  sanciti
dalle direttive 2018/2001/UE (c.d. RED II) e 2023/2413/UE  (c.d.  RED
III). 
    2.3.) Le ricorrenti,  con  il  terzo  motivo  di  ricorso,  hanno
contestato la  legittimita'  del  gravato  decreto  ministeriale  per
«Violazione dell'art. 12 del decreto legislativo n.  387/2003,  delle
linee guida nazionali approvate con decreto ministeriale 10 settembre
2010 e dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 -  Violazione
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed integrazioni -
Violazione degli articoli 3, 41, 97 della Costituzione -  Eccesso  di
potere per sviamento - Difetto di  istruttoria  e  di  motivazione  -
Irragionevolezza e ingiustizia manifesta». 
    2.3.1.)  Con  tale  mezzo  di  gravame  e'  stata  contestata  la
legittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 nella  parte
in  cui  non  avrebbe  fornito  alcun  criterio  oggettivo   per   la
individuazione delle aree idonee. 
    Secondo la prospettazione delle ricorrenti, infatti, l'art. 7 del
gravato decreto ministeriale avrebbe conferito una delega  in  bianco
alle regioni, prevedendo  solamente  tre  criteri  omogenei  che,  in
sostanza, consisterebbero in mere clausole di stile, risolvendosi  in
una  pedissequa   riproposizione   degli   interessi   incisi   dalla
realizzazione degli impianti FER, quali la tutela del paesaggio,  gli
impatti  ambientali,  il  consumo  del  suolo  e  la  massimizzazione
dell'energia elettrica da fonti rinnovabili. 
    Le previsioni  del  decreto  ministeriale  del  21  giugno  2024,
quindi,  non  consentirebbero  il  mantenimento  di  una   disciplina
uniforme  delle  aree  idonee   sull'intero   territorio   nazionale,
conferendo alle regioni una delega in bianco e generando in tal  modo
incertezza negli operatori del settore,  e  contrasterebbero  con  il
regime transitorio introdotto con l'art. 20,  comma  8,  del  decreto
legislativo  n.  199/2021,  stante  l'assenza  di  una  clausola   di
salvaguardia dei procedimenti in corso. 
    2.4.) Le ricorrenti, con  il  quarto  motivo  di  ricorso,  hanno
contestato la legittimita' derivata del gravato decreto  ministeriale
per «Incostituzionalita' dell'art.  5  del  decreto-legge  15  maggio
2024, n. 63, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  12  luglio
2024, n. 101 - Violazione dell'art. 117 della  Costituzione  rispetto
alla direttiva n. 2001/77/CE, alla direttiva n.  2009/28/CE  ed  alla
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed  integrazioni,
al regolamento (UE) 2022/2577 del Consiglio  del  22  dicembre  2022,
nonche' in relazione all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003,
alle linee guida nazionali  approvate  con  decreto  ministeriale  10
settembre 2010, all'art. 20 del decreto  legislativo  n.  199/2021  -
Violazione degli articoli 3, 41, 97 della Costituzione». 
    2.4.1.)  Con  tale  mezzo   di   gravame   e'   stata   lamentata
l'illegittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024  in  via
derivata  rispetto  alla  prospettata  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024. 
    In particolare, l'art. 1, comma  2,  lettera  d),  dell'impugnato
decreto ministeriale risulterebbe illegittimo in via  derivata  nella
misura in cui ha reso vincolante e inderogabile per tutte le  regioni
il divieto preventivo e assoluto di installazione in area agricola di
impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra previsto dall'art.
5 del decreto-legge n. 63/2024 e trasfuso nell'art. 20, comma  1-bis,
del decreto legislativo n. 199/2021. 
    Tale divieto, secondo  la  prospettazione  delle  ricorrenti,  si
porrebbe in contrasto con i  principi  di  massima  diffusione  delle
fonti rinnovabili e con la riserva  di  procedimento  amministrativo,
entrambi  di  matrice  eurounitaria,   con   conseguente   violazione
dell'art. 117 della Costituzione. 
    Peraltro,  la  scelta  di  attribuire   esclusivo   valore   alla
destinazione urbanistica dell'area, senza  alcun  approfondimento  in
merito alla effettiva coltivazione dei terreni, al tipo di colture  e
alla esistenza di vincoli, violerebbe i principi di ragionevolezza  e
proporzionalita'  discendenti   dagli   articoli   3   e   97   della
Costituzione. 
    Oltretutto,   l'art.   5   del    decreto-legge    n.    63/2024,
nell'attribuire  aprioristica  prevalenza  alla  tutela   del   suolo
agricolo, si porrebbe anche in contrasto con l'art. 16-septies  della
direttiva RED II e con il regolamento eurounitario 2022/2577. 
    2.5.) Le ricorrenti, con  il  quinto  motivo  di  ricorso,  hanno
contestato la legittimita' derivata del gravato decreto  ministeriale
per «Incostituzionalita' dell'art.  5  del  decreto-legge  15  maggio
2024, n. 63, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  12  luglio
2024, n.  101  -  Violazione  dell'art.  117  della  Costituzione  in
relazione all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali
(Protezione della proprieta') - Violazione art. 41 Costituzione sulla
liberta'  di  iniziativa  economica  -   Violazione   del   legittimo
affidamento». 
    2.5.1.)  Con  tale  mezzo   di   gravame   e'   stata   lamentata
l'illegittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024  in  via
derivata  rispetto  alla  prospettata  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 sotto un ulteriore profilo. 
    In  particolare,  secondo  la  prospettazione  delle  ricorrenti,
l'art.  5  del  decreto-legge  n.  63/2024  cagionerebbe   un   danno
irreparabile del diritto  dominicale  degli  operatori  del  settore,
producendo effetti ablativi della proprieta' privata  e  una  lesione
del legittimo affidamento, con conseguente incisione  negativa  della
liberta' di iniziativa economica tutelata dalla Costituzione. 
    Infatti,  detta  disposizione  normativa   non   prenderebbe   in
considerazione le situazioni nelle quali i terreni agricoli sono gia'
stati contrattualizzati dagli operatori interessati allo sviluppo  di
un impianto FER in area agricola prima della sua entrata  in  vigore.
Da cio' discenderebbe, quindi, la portata ablativa  della  previsione
sospettata di incostituzionalita', stante la sua  portata  preclusiva
dei diritti dominicali degli operatori  attivi  nella  produzione  di
energia da fonti rinnovabili, vieppiu' aggravata dalla sua  efficacia
retroattiva. 
    Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge  n.  63/2024,
inoltre,  risulterebbe  sproporzionato  rispetto  alle  esigenze   di
salvaguardia della attivita' agricola e di riduzione del consumo  del
suolo, sfociando in un non corretto  bilanciamento  tra  esigenze  di
interesse pubblico e tutela dei diritti fondamentali degli  operatori
del settore. Cio', piu' in dettaglio, emergerebbe dal fatto  che  non
e' stata prevista  alcuna  distinzione  tra  aree  agricole  ad  alta
vocazione (ossia, quelle interessate da coltivazioni DOCG, DOP e IGP)
e aree fortemente antropizzate e del tutto prive di pregio. 
    In definitiva, l'art. 5 del decreto-legge n.  63/2024  violerebbe
il  diritto  di  proprieta'  tutelato  dall'art.  1  del   Protocollo
addizionale alla Convenzione EDU. 
    Oltretutto,    tale    disposizione    normativa     risulterebbe
incostituzionale per violazione dei principi unionali in  materia  di
promozione  e  sviluppo  della  produzione  di   energia   da   fonti
rinnovabili anche in  ragione  della  sua  incidenza  negativa  sugli
investimenti  del  settore,  il  che,  arrecando   pregiudizio   agli
operatori economici, contrasterebbe il raggiungimento degli obiettivi
assunti dall'Italia in sede europea. 
    2.6.) Le ricorrenti,  con  il  sesto  motivo  di  ricorso,  hanno
contestato la legittimita' derivata del gravato decreto  ministeriale
per «Incostituzionalita' dell'art.  5  del  decreto-legge  15  maggio
2024, n. 63, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  12  luglio
2024, n. 101  -  Violazione  dell'art.  117  della  Costituzione  con
riferimento agli obblighi di diritto comunitario -  Violazione  degli
articoli 3, 101 e 102 Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea
e al protocollo (n. 27) sul mercato interno e sulla concorrenza». 
    2.6.1.)  Con  tale  mezzo   di   gravame   e'   stata   lamentata
l'illegittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024  in  via
derivata  rispetto  alla  prospettata  illegittimita'  costituzionale
dell'art.  5  del  decreto-legge  n.  63/2024  per  violazione  degli
articoli 3, 101 e 102 TFUE, nonche' del protocollo n. 27 sul  mercato
interno e la concorrenza. 
    In particolare, secondo la tesi delle ricorrenti,  l'introduzione
del divieto di installare impianti FTV con moduli collocati  a  terra
sulle aree agricole falserebbe il gioco della concorrenza all'interno
del mercato unico, in quanto  impedirebbe  agli  operatori  economici
italiani di utilizzare  dette  aree,  discriminandoli  rispetto  agli
operatori «comunitari»  operanti  in  qualsiasi  altro  Stato  membro
dell'Unione europea. 
    L'introduzione del contestato divieto, quindi,  integrerebbe  gli
estremi di una violazione  degli  obblighi  discendenti  dal  diritto
eurounitario, stante la violazione delle norme poste a  tutela  della
concorrenza nel mercato, nonche' la lesione del legittimo affidamento
degli operatori del  settore  e  del  principio  della  certezza  del
diritto. 
    3.) Il  Ministero  dell'ambiente  e  della  sicurezza  energetica
(«Mase»),  il  Ministero  della   cultura   («Mic»),   il   Ministero
dell'agricoltura,  della  sovranita'  alimentare  e   delle   foreste
(«Masaf»), la Presidenza del Consiglio  dei  ministri  e  la  Regione
Sardegna si sono costituiti in giudizio per resistere al  ricorso  in
esame. 
    4.) La Regione Sardegna, con memoria depositata in data 4  aprile
2025, ha eccepito l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso  in
esame sull'assunto che i criteri delineati dall'art.  7  del  decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 non soltanto non siano  generici,  ma
siano  altresi'   funzionali   al   perseguimento   degli   obiettivi
individuati dalle direttive eurounitarie. 
    Una volta che detti obiettivi siano stati raggiunti  risulterebbe
legittimo che le  regioni  prevedano  in  autonomia  quali  aree  del
territorio qualificare come idonee e quali come non idonee, in  vista
della salvaguardia di ulteriori interessi, quali quelli della  tutela
dell'ambiente e  del  paesaggio,  rispetto  ai  quali  gli  interessi
economici privati risultano recessivi. 
    Cio', a maggior ragione, varrebbe per  la  Regione  Sardegna  che
gode di competenza legislativa esclusiva nella materia della tutela e
pianificazione paesaggistica, ai sensi  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 480/1975,  nella  interpretazione  fornita  dalla
Corte  costituzionale,  nonche'  nelle  materie  dell'urbanistica   e
dell'agricoltura e delle foreste, ai sensi dell'art. 3 dello  Statuto
speciale. 
    La Regione Sardegna, inoltre, ha  eccepito  anche  l'infondatezza
delle doglianze tese a contestare la  legittimita'  della  previsione
che attribuisce alle regioni il compito di individuare pure  le  aree
non idonee con propria legge, valorizzando la circostanza che  l'art.
20 del decreto legislativo n. 199/2021 disciplina sempre  in  maniera
congiunta tanto le aree idonee, quanto quelle non idonee. 
    Risulterebbe, altresi', infondato il profilo di  censura  con  il
quale e' stata lamentata la previsione dell'art. 7, comma 2,  lettera
c), del decreto ministeriale del 21 giugno 2024, in ragione del fatto
che l'individuazione ope legis delle aree  idonee  operata  dall'art.
20, comma 8, del decreto legislativo n. 199/2021 avrebbe un carattere
meramente transitorio, valendo solo nelle more  della  individuazione
delle aree idonee da parte delle regioni. 
    Del pari infondato risulterebbe essere il motivo di  ricorso  con
il quale si prospetta l'illegittimita' del decreto  ministeriale  del
21 giugno 2024 per violazione del  principio  di  massima  diffusione
delle fonti di energia rinnovabile, in considerazione del  fatto  che
lo stesso decreto  ministeriale  impugnato  definisce  uno  specifico
percorso da seguire per conseguire gli obiettivi assunti  dall'Italia
a livello europeo. 
    5.) Le societa' ricorrenti, con  memoria  depositata  in  data  5
aprile 2025, hanno specificato ulteriormente le proprie  doglianze  e
hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. 
    6.) Le societa' ricorrenti, con memoria di replica depositata  in
data 16 aprile 2025, controdedotto  alle  eccezioni  sollevate  dalla
Regione Sardegna e hanno instato per l'accoglimento del gravame. 
    6.1.) La Regione Sardegna, con memoria di replica  depositata  in
data 16 aprile  2025,  ha  spiegato  le  proprie  difese  avverso  le
controdeduzioni svolte dalle ricorrenti e ha instato per  il  rigetto
del ricorso. 
    7.) All'udienza pubblica del 7 maggio  2025  la  causa  e'  stata
discussa. 
    Nel corso della discussione il Collegio ha rilevato d'ufficio, ai
sensi dell'art. 73, comma  3,  c.p.a.  la  sussistenza  di  possibili
profili di inammissibilita' dei  primi  tre  motivi  di  ricorso  per
difetto di interesse. 
    All'esito della discussione  la  causa  e'  stata  trattenuta  in
decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Il Collegio, in via  preliminare,  ritiene  che  i  primi  tre
motivi  di  ricorso,   inerenti   alla   legittimita'   del   decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ad eccezione della previsione con  la
quale e'  stato  introdotto  il  divieto  di  installazione  in  aree
agricole di  impianti  fotovoltaici  con  moduli  collocati  a  terra
(oggetto delle censure articolate  con  il  quarto,  quinto  e  sesto
motivo di ricorso), siano  inammissibili  per  carenza  di  interesse
cosi' come rilevato d'ufficio dal Collegio  ai  sensi  dell'art.  73,
comma 3, c.p.a. nel corso dell'udienza pubblica del 7 maggio  2025  e
fatto constare nel relativo verbale d'udienza. 
    Le  seguenti  considerazioni  valgono  ad   assorbire   anche   i
concorrenti profili di inammissibilita' oggetto di eccezione da parte
della Regione Sardegna. 
    1.1. La delibazione del profilo processuale inerente alla carenza
di interesse a ricorrere degli operatori economici del settore, quali
le societa' ricorrenti, richiede che vengano preliminarmente chiariti
i termini nei quali va declinato  il  concetto  di  area  non  idonea
all'installazione di impianti FER nel regime introdotto dall'art. 20,
comma 1, del decreto legislativo n. 199/2021. 
    Tale esigenza, invero, risulta intrinsecamente correlata  con  il
tenore delle censure ricorsuali, che ruotano sostanzialmente  intorno
all'assunto secondo il quale le aree non idonee siano superfici sulle
quali e' totalmente preclusa l'installazione di impianti FER, il  che
avrebbe comportato un totale e indebito stravolgimento  dell'impianto
ordinamentale  delineato   con   il   precedente   regime   giuridico
applicabile in subiecta materia. 
    1.2. Il Collegio ritiene che la  tesi  sostenuta  dalle  societa'
ricorrenti non possa essere condivisa per le ragioni  di  diritto  di
seguito esposte. 
    1.3. Come noto, l'art. 12 del  decreto  legislativo  29  dicembre
2003, n. 387, ha introdotto disposizioni per la  razionalizzazione  e
la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. 
    A tal fine, l'art. 12,  comma  10,  del  decreto  legislativo  n.
387/2003 ha inter alia previsto  che  «In  Conferenza  unificata,  su
proposta del Ministro delle attivita' produttive, di concerto con  il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e  del  Ministro
per i beni e le attivita' culturali, si approvano le linee guida  per
lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3 [la c.d.  procedura
di autorizzazione unica, n.d.r.]. Tali linee  guida  sono  volte,  in
particolare, ad assicurare un corretto  inserimento  degli  impianti,
con specifico  riguardo  agli  impianti  eolici,  nel  paesaggio.  In
attuazione di tali linee guida, le  regioni  possono  procedere  alla
indicazione  di  aree  e  siti  non  idonei  alla  installazione   di
specifiche tipologie di impianti». 
    1.4. Come gia' anticipato in precedenza, le Linee guida  indicate
dall'art. 12, comma 10, del  decreto  legislativo  n.  387/2003  sono
state adottate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del
10 settembre 2010, nel quale e' stato stabilito che: 
        paragrafo 17: «Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione
alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati  da  fonti
rinnovabili, in attuazione delle disposizioni  delle  presenti  linee
guida, le regioni e  le  province  autonome  possono  procedere  alla
indicazione  di  aree  e  siti  non  idonei  alla  installazione   di
specifiche tipologie di impianti  secondo  le  modalita'  di  cui  al
presente punto e sulla  base  dei  criteri  di  cui  all'Allegato  3.
L'individuazione della  non  idoneita'  dell'area  e'  operata  dalle
regioni attraverso  un'apposita  istruttoria  avente  ad  oggetto  la
ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente,  del
paesaggio, del  patrimonio  storico  e  artistico,  delle  tradizioni
agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che
identificano   obiettivi   di   protezione   non   compatibili    con
l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche  tipologie  e/o
dimensioni di  impianti,  i  quali  determinerebbero,  pertanto,  una
elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede  di
autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da  richiamare  nell'atto
di cui al punto 17.2, dovranno contenere,  in  relazione  a  ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche  tipologie
e/o dimensioni di impianti,  la  descrizione  delle  incompatibilita'
riscontrate  con  gli  obiettivi  di  protezione  individuati   nelle
disposizioni  esaminate  [...].  Le  aree  non  idonee   sono   [...]
individuate dalle regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con
cui  sono  definite  le  misure  e  gli   interventi   necessari   al
raggiungimento  degli  obiettivi  di  burden   sharing   fissati   in
attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione  individua
le aree  non  idonee  tenendo  conto  di  quanto  eventualmente  gia'
previsto dal piano paesaggistico e in  congruenza  con  lo  specifico
obiettivo assegnatole»; 
        allegato 3: «L'individuazione  delle  aree  e  dei  siti  non
idonei mira non gia' a rallentare la  realizzazione  degli  impianti,
bensi' ad  offrire  agli  operatori  un  quadro  certo  e  chiaro  di
riferimento  e  orientamento  per  la  localizzazione  dei  progetti.
L'individuazione delle aree non idonee dovra' essere effettuata dalle
regioni  con  propri  provvedimenti  tenendo  conto  dei   pertinenti
strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica,
secondo le modalita' indicate al paragrafo 17", nonche' sulla base di
principi e criteri, individuati dal medesimo allegato, in ragione dei
quali, tra l'altro: "a) l'individuazione delle aree non  idonee  deve
essere basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi  legati  ad
aspetti di tutela  dell'ambiente,  del  paesaggio  e  del  patrimonio
artistico-culturale, connessi alle  caratteristiche  intrinseche  del
territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti  non
idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle  diverse
fonti rinnovabili  e  alle  diverse  taglie  di  impianto;  [...]  d)
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a
tutela   dell'ambiente,    del    paesaggio    e    del    patrimonio
storico-artistico, ne'  tradursi  nell'identificazione  di  fasce  di
rispetto di dimensioni non  giustificate  da  specifiche  e  motivate
esigenze  di  tutela.  La  tutela  di  tali  interessi   e'   infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed  affidate,
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche,  alle
regioni, agli enti  locali  ed  alle  autonomie  funzionali  all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno  del  procedimento
unico e della procedura di Valutazione  dell'impatto  ambientale  nei
casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei  non
deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto  di
accelerazione e  semplificazione  dell'iter  di  autorizzazione  alla
costruzione  e  all'esercizio,  anche  in  termini  di   opportunita'
localizzative offerte dalle specifiche  caratteristiche  e  vocazioni
del territorio». 
    1.5. Nel contesto del sistema delineato dall'art. 12,  comma  10,
del decreto  legislativo  n.  387/2003,  come  risulta  dai  pacifici
orientamenti pretori formatisi  in  seno  alla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale, le Linee  guida  sono  «poste  a  completamento
della normativa primaria "in settori squisitamente tecnici" (sentenze
n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n.  286  e
n. 86 del 2019, nonche' n. 69 del 2018)  e  connotate  dal  carattere
della inderogabilita' a garanzia di una disciplina "uniforme in tutto
il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69  del
2018)" (sentenza n. 106 del 2020; nello  stesso  senso,  sentenze  n.
221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)»  (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023). 
    Va, poi, evidenziato che la Corte costituzionale ha chiarito  che
con le disposizioni normative introdotte dal decreto  legislativo  n.
199/2021 «il  legislatore  statale  ha  inteso  superare  il  sistema
dettato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo  29  dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e dal  conseguente
decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10  settembre  2010
(Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da  fonti
rinnovabili), contenenti i principi e  i  criteri  di  individuazione
delle aree non idonee. Le regioni,  pertanto,  sono  ora  chiamate  a
individuare le aree "idonee" all'installazione degli impianti,  sulla
scorta dei principi e dei  criteri  stabiliti  con  appositi  decreti
interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20 [...]. 
    Inoltre, l'individuazione delle aree idonee dovra'  avvenire  non
piu' in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina  precedente
in relazione a quelle  non  idonee,  bensi'  "con  legge"  regionale,
secondo quanto precisato dal comma 4  (primo  periodo)  dello  stesso
art. 20» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 103/2024). 
    1.6.  Sulla  scorta  di  quanto  chiarito  ed   affermato   negli
orientamenti giurisprudenziali teste' richiamati,  discende  che  nel
dare applicazione del rinnovato quadro normativo che  ha  interessato
la materia della realizzazione degli impianti FER, non possano sic et
simpliciter essere trasposti, in  maniera  acritica  e  meccanica,  i
principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale  in  relazione
al pregresso assetto normativo e regolatorio. 
    Laddove, infatti, si aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica
- che e', poi,  quella  sostanzialmente  prospettata  dalle  societa'
ricorrenti - si finirebbe per  obliterare  indebitamente  il  vigente
contesto normativo, avuto specifico  riguardo  alla  circostanza  per
cui, de iure condito, l'art. 20, comma 1, del decreto legislativo  n.
199/2021 espressamente dispone che sia il Mase, di  concerto  con  il
Mic e il  Masaf,  previo  raggiungimento  dell'intesa  in  Conferenza
unificata, a stabilire con decreto i principi e  i  criteri  omogenei
strumentali all'individuazione delle aree idonee e non idonee. 
    1.7. Invero, proprio sulla scorta  delle  scelte  compiute  dalle
amministrazioni  resistenti  con  l'adozione  del   gravato   decreto
ministeriale - e condivise  con  gli  enti  territoriali  tramite  lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge  come,
contrariamente a quanto  sostenuto  dalle  societa'  ricorrenti,  nel
complessivo   nuovo   impianto   normativo   e   regolamentare    sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e  finalita',  la
portata precettiva del concetto di «area non idonea». 
    Infatti, l'art. 1, comma 2, lettera b), del decreto  ministeriale
del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree non idonee»  come
«aree  e  siti  le  cui  caratteristiche   sono   incompatibili   con
l'installazione  di  specifiche  tipologie  di  impianti  secondo  le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato  3  delle  linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo  economico  10
settembre 2010, pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  18  settembre
2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni». 
    A dispetto di quanto asserito dalle societa' ricorrenti - secondo
le quali la definizione di area non idonea  come  area  incompatibile
equivarrebbe  alla  introduzione  di   un   divieto   assoluto   alla
installazione di impianti FER - occorre ricordare che il paragrafo 17
delle Linee guida gia' per il passato specificava che il processo  di
ricognizione delle aree non  idonee  dovesse  avvenire  prendendo  in
considerazione gli  «obiettivi  di  protezione  non  compatibili  con
l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche  tipologie  e/o
dimensioni di impianti». 
    Emerge, quindi, come gia' nel  contesto  previgente  all'adozione
del  gravato   decreto   ministeriale   le   aree   non   idonee   si
caratterizzassero   per   essere   aree    incompatibili    con    il
soddisfacimento  degli  obiettivi  di  protezione  che  l'ordinamento
intende perseguire. Tale  forma  di  incompatibilita',  quale  tratto
caratterizzante delle aree  non  idonee,  non  si  traduceva  in  una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di  «una  elevata  probabilita'  di  esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione». 
    L'analisi diacronica sinteticamente svolta consente di  affermare
che,  sotto  l'esaminato   profilo   della   «incompatibilita'»,   la
definizione di «aree non idonee»  contenuta  nell'art.  1,  comma  2,
lettera  b),  del  gravato  decreto  ministeriale  non  possiede   un
carattere innovativo,  risultando  sostanzialmente  invariata,  quoad
effectum, la portata del concetto  di  «area  non  idonea»  per  come
declinato dal decreto ministeriale del  21  giugno  2024  rispetto  a
quella scaturente dalle Linee guida. 
    1.8. Ad avviso del Collegio il richiamo alle modalita'  stabilite
dalle Linee guida operato dall'art.  1,  comma  2,  lettera  b),  del
decreto  ministeriale  del  21  giugno  2024,  deve   essere   inteso
unicamente  nel  senso  che,  in  sede  di  attuazione  della  delega
legislativa di cui alla legge  n.  53/2021,  si  sia  optato  per  il
consolidamento, anche rispetto al nuovo regime,  delle  acquisizioni,
in termini di significato e declinazione delle aree non idonee,  gia'
raggiunte nel previgente  assetto  normativo  in  applicazione  delle
previsioni dettate dalle Linee guida. 
    Tale opzione esegetica puo'  essere  legittimamente  percorsa  in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione  conservativa  di
cui all'art. 1367 cod civ. -  pacificamente  applicabile  anche  agli
atti   amministrativi,    come    chiarito    dalla    giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n.  5358  del  4
settembre  2020  e  riferimenti  ivi  citati)  -.  Infatti,  mediante
l'impiego di tale, legittimo,  criterio  interpretativo,  nel  nostro
ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori giuridici
non affetti da  vizi  di  legittimita'  (ut  res  magis  valeat  quam
pereat),  risultando  cio'  confacente,  peraltro,  ai  principi   di
economicita'  ed  efficacia  dell'attivita'  amministrativa   sanciti
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241  (cfr.  Cons.
Stato, sez. III, sentenza n. 3488 del 10 luglio 2015)  e  di  cui  il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione. 
    Peraltro, come sara' meglio approfondito nel prosieguo, anche nel
nuovo assetto normativo e' stato assegnato un ruolo alle linee  guida
ministeriali, ancorche' subordinato ad un aggiornamento delle  stesse
teso a renderle compatibili  con  il  nuovo  impianto  ordinamentale,
giusto quanto previsto dall'art. 18, comma 3, del decreto legislativo
n. 199/2021. 
    1.9. Se e' vero che non  puo'  essere  sottaciuto  il  fatto  che
l'art. 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga  che  le
regioni provvedono con legge alla individuazione (anche)  delle  aree
non idonee - e non  piu'  nell'ambito  di  un  apposito  procedimento
amministrativo, come previsto dalle Linee guida - e'  del  pari  vero
che non v'e' alcun indice normativo che faccia ritenere  che  a  tale
cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata  dalle  societa'
ricorrenti. 
    Infatti, il mutamento normativo che  ha  interessato  il  veicolo
giuridico  di   approvazione   della   classificazione   delle   aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non  risulta  accompagnato  da
una cosi' radicale trasfigurazione del significato  che  il  concetto
giuridico di «aree non idonee» esprime  ai  fini  del  raggiungimento
degli obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili. 
    L'interpretazione dell'art. 1, comma 2, lettera b),  del  gravato
decreto ministeriale del 21 giugno 2024, al quale il Collegio intende
aderire - partendo dall'assunto che il carattere di non idoneita'  di
un'area non precluda in radice la realizzazione di impianti FER -  e'
atta a porre in rilievo come  l'individuazione  con  legge  regionale
delle aree non idonee non esclude che  le  amministrazioni  coinvolte
negli specifici  procedimenti  amministrativi  di  valutazione  delle
istanze di autorizzazione alla realizzazione di impianti FER  debbano
necessariamente  apprezzare  in  concreto  l'impatto   dei   progetti
proposti     sulle      esigenze      di      tutela      ambientale,
paesaggistico-territoriale e dei beni culturali, anche laddove l'area
interessata rientri tra quelle classificate come non idonee. 
    1.10. Il Collegio, chiariti i  termini  nei  quali  debba  essere
inteso il concetto giuridico di «aree non idonee» alla  realizzazione
degli  impianti  FER,  ritiene  di  poter  esaustivamente   procedere
all'esame dei profili di attualita' e  concretezza  dell'interesse  a
ricorrere delle societa' ricorrenti. 
    A  tale  riguardo,  sulla  scorta  delle  considerazioni  innanzi
svolte, e' d'uopo evidenziare che non si ritiene sussistente in  capo
a queste ultime tale condizione dell'azione richiesta dalla legge per
conseguire l'annullamento giudiziale del gravato decreto ministeriale
del 21 giugno 2024. 
    1.11.  In  proposito,  giova  preliminarmente   evidenziare   che
l'interesse a ricorrere, quale condizione dell'azione concettualmente
autonoma dalla legittimazione  ad  agire,  trova  il  suo  fondamento
nell'art. 100 del codice di procedura civile, rubricato «Interesse ad
agire» e applicabile al processo amministrativo in virtu' del  rinvio
esterno sancito dall'art. 39 c.p.a. 
    In particolare, atteso che l'art. 100 codice di procedura  civile
stabilisce che «Per proporre  una  domanda  o  per  contraddire  alla
stessa essa e' necessario avervi interesse», l'interesse a  ricorrere
si caratterizza per la «prospettazione di  una  lesione  concreta  ed
attuale  della  sfera  giuridica  del  ricorrente  e   dall'effettiva
utilita'  che  potrebbe  derivare   a   quest'ultimo   dall'eventuale
annullamento dell'atto impugnato» (cfr. Cons. Stato, Ad. plen.  ,  26
aprile 2018, n. 4). 
    Cio', invero, risulta  coerente  con  la  funzione  svolta  dalle
condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati dal principio
della domanda e dal  principio  dispositivo  (cfr.  Cassazione  civ.,
SS.UU., 22 aprile 2013 n. 9685; Cassazione civ., sez.  III,  3  marzo
2015, n. 4228; Cassazione civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542). 
    L'interesse a ricorrere, inoltre, e' espressione della concezione
soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche  del  processo
amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen.,  sentenza  n.  4  del  7
aprile  2011)  e  ad  esso  e'  attribuita  una  funzione  di  filtro
processuale, fino a divenire strumento di selezione  degli  interessi
meritevoli di tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. ,  sentenza  n.  22
del 9 dicembre 2021). 
    L'Adunanza  plenaria  del  Consiglio  di   Stato,   proprio   con
riferimento a tale condizione dell'azione, ha ulteriormente  chiarito
che «Il codice del processo amministrativo fa piu' volte riferimento,
direttamente o indirettamente, all'interesse  a  ricorrere:  all'art.
35, primo comma, lettere b) e c), all'art. 34, comma 3, all'art.  13,
comma 4-bis e, in  modo  piu'  sfumato,  all'art.  31,  primo  comma,
sembrando   confermare,   con   l'accentuazione   della    dimensione
sostanziale dell'interesse legittimo e l'arricchimento delle tecniche
di tutela, la necessita' di una verifica delle condizioni dell'azione
(piu') rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla  base
degli elementi desumibili dal ricorso,  e  al  lume  delle  eventuali
eccezioni di controparte  o  dei  rilievi  ex  officio,  prescindendo
dall'accertamento  effettivo  della  (sussistenza  della   situazione
giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver  subito.
Nel senso che,  come  e'  stato  osservato,  va  verificato  che  "la
situazione giuridica  soggettiva  affermata  possa  aver  subito  una
lesione" ma non anche che "abbia subito" una lesione, poiche'  questo
secondo accertamento attiene al merito della lite» (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen., sentenza n. 22/2021, cit.). 
    1.12.  Ordunque,  nel  caso  in  esame  viene  in   rilievo   una
fattispecie controversa  rispetto  alla  quale  l'interesse  al  bene
(i.e., l'utilita' finale o petitum mediato) correlato alla situazione
giuridica soggettiva dedotta in giudizio  dalle  societa'  ricorrenti
rimonta alle previsioni ministeriali  che,  con  carattere  generale,
sono destinate a incidere sui procedimenti di autorizzazione, con  la
conseguenza che e' rispetto alle stesse che deve essere apprezzata in
via prognostica la possibilita' che la situazione dedotta in giudizio
dalla societa' ricorrente abbia subito la prospettata lesione. 
    Un siffatto apprezzamento, per una pluralita' di ragioni (tra  le
quali la piu' evidente e' quella che risiede nel fatto  che  opinando
diversamente si finirebbe per violare il  divieto  sancito  dall'art.
34,  comma  2,  c.p.a.),  non   puo'   che   prescindere   dall'esito
procedimentale dell'iter di  autorizzazione  e  deve  necessariamente
essere incentrato  sulla  eventuale  diretta,  immediata  e  concreta
valenza  pregiudizievole  delle  contestate  previsioni  del  decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 per le societa' ricorrenti. 
    1.13. Il Collegio non reputa che  gli  articoli  1,  3  e  7  del
gravato decreto ministeriale siano immediatamente lesivi della  sfera
giuridica della societa' ricorrente, donde  l'inammissibilita'  delle
relative censure. 
    1.14. Invero, siccome il  fulcro  delle  censure  proposte  ruota
intorno alla prospettata lesivita' del  nuovo  assetto  regolamentare
per effetto della rivisitazione del previgente sistema  e  del  ruolo
che l'istituto delle «aree non idonee» e' destinato a giocare,  anche
per cio' che concerne gli aspetti inerenti alle modalita' della  loro
determinazione, dall'analisi svolta  in  precedenza  emerge  come  la
qualificazione di determinate porzioni di territorio  in  termini  di
«aree non  idonee»  non  costituisce  un  impedimento  assoluto  alla
realizzazione di progetti tesi alla costruzione  e  all'esercizio  di
impianti  FER,  donde  la  radicale  insussistenza,  anche   in   una
prospettiva prognostica di  valutazione,  della  lesione  prospettata
dalle societa' ricorrenti. 
    1.15. A tale riguardo, giova evidenziare che la localizzazione di
un impianto FER in un'area non idonea non osta a  che  gli  operatori
economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell'ambito dei
singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia
compatibile  con  il  complessivo  assetto  dei  valori   in   gioco,
ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela  ai
sensi del decreto  legislativo  n.  42/2004  e,  dall'altro,  con  il
raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da  traguardare
al 2030 in base a quanto previsto dalla Tabella  A  dell'art.  2  del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024. 
    Tali considerazioni trovano espresso  conforto  nelle  previsioni
del gravato decreto ministeriale, laddove, all'art. 7,  comma  3,  in
fine, si dispone  che  «Nell'applicazione  del  presente  comma  deve
essere contemperata la necessita' di tutela dei beni con la  garanzia
di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A  dell'art.  2
del presente decreto». 
    1.16.  In  base  al  nuovo  assetto  normativo  e   regolamentare
culminato con l'adozione  del  gravato  decreto  ministeriale,  anche
l'individuazione delle «aree non  idonee»  debba  essere  determinata
mediante  legge  regionale  e  non  invece,  come  avveniva  con   il
previgente regime, con atti di  programmazione  e  all'esito  di  una
precipua istruttoria procedimentale (cfr. paragrafo  17  delle  Linee
guida). 
    A tal proposito, infatti, vale considerare che anche  ipotizzando
che l'individuazione delle aree non idonee  possa,  in  alcuni  casi,
scontare   in   sede   di   legislazione   regionale   una    carente
caratterizzazione in  ragione  del  diverso  atteggiarsi  dei  lavori
preparatori  di  un  provvedimento  legislativo  rispetto  alla  fase
istruttoria di un procedimento amministrativo, cio' non  risulterebbe
di per se' suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale
agli interessi degli operatori  economici  che  intendono  realizzare
impianti FER in siti classificati come «aree non idonee». 
    Infatti, la conseguenza giuridica che puo' farsi discendere dalla
concretizzazione dell'ipotesi innanzi  prospettata,  consiste  in  un
mero    aggravamento    dell'onere     motivazionale     a     carico
dell'amministrazione  competente  a  pronunciarsi  sulle  istanze  di
autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER. 
    In particolare, l'amministrazione procedente, all'esito dell'iter
di  autorizzazione,  non  potra'  giustificare  l'eventuale  ritenuta
incompatibilita'  del  progetto  solo  in  ragione  del   fatto   che
l'impianto sia localizzato in un'area classificata come non idonea  -
motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel  caso
in  cui  la  caratterizzazione  delle  aree  non  idonee  sia   stata
puntualmente  svolta  dal  legislatore  regionale,   in   quanto   la
qualificazione di non idoneita' non si traduce in un divieto assoluto
di installazione di impianti FER, come esposto  in  precedenza  -  ma
dovra' necessariamente fondare il  proprio  diniego  dando  conto  in
maniera adeguata, ancorche' in ipotesi sintetica,  delle  intrinseche
caratteristiche del progetto e delle  aree  interessate,  traguardate
alla luce della comparazione dei contrapposti  interessi  in  giuoco,
fermo restando quanto previsto dall'art. 16-septies  della  direttiva
2018/2001/UE, in seguito alle  modifiche  operate  con  la  direttiva
2023/2413/UE, nonche' dalle previsioni di cui all'art. 3 del  decreto
legislativo n. 190/2024. 
    Pertanto,  contrariamente  a  quanto  sostenuto  dalle   societa'
ricorrenti,  nessun  pregiudizio  attuale  e  concreto   puo'   farsi
discendere dal fatto che  sia  stato  previsto  che  l'individuazione
delle «aree non idonee» debba avvenire con legge regionale. 
    Per converso, un siffatto pregiudizio e' suscettibile  di  venire
ad esistenza solo in caso  di  esito  negativo  del  procedimento  di
autorizzazione   e   solo   nella   misura   in   cui   risulti   che
l'amministrazione procedente non abbia  esercitato  correttamente  il
potere amministrativo  di  carattere  tecnico-discrezionale  ad  essa
attribuito dalla legge. 
    1.17. Ad avviso del Collegio, sempre sulla scorta della  chiarita
portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di  «aree  non
idonee» nell'ambito dell'attuale contesto normativo e  regolamentare,
il gravato decreto ministeriale si  appalesa  privo  di  immediata  e
concreta lesivita' anche relativamente alle prescrizioni con le quali
detto decreto classifica determinate aree come non idonee  ovvero  fa
salva la possibilita', in favore delle regioni, di  considerare  come
aree idonee quelle gia' individuate come tali dall'art. 20, comma  8,
ritenute  illegittime  in  quanto  suscettibili  di   condurre   alla
introduzione di una disciplina  frammentata  e,  dunque,  foriera  di
totale indeterminatezza. 
    1.17.1. La circostanza per cui il  gravato  decreto  ministeriale
qualifichi come non idonee le aree ricomprese nel perimetro dei  beni
sottoposti  a  tutela  ai  sensi  di  quanto  previsto  dal   decreto
legislativo n. 42/2004 (art. 7,  comma  3),  non  vale  a  mutare  la
portata generale del concetto di «aree non idonee», convertendolo  in
un istituto a geometrie variabili  che,  ove  direttamente  applicato
dall'amministrazione  ministeriale,  sia  tale  da  determinare   una
aprioristica e radicale sottrazione, ex  voluntate  administrationis,
dell'area non idonea alla realizzazione degli impianti FER. 
    Invero,  sia  in  tal  caso,  sia   nell'altro   (cioe',   quando
l'individuazione  delle  «aree  non   idonee»   avviene   con   legge
regionale), la localizzazione dell'impianto all'interno  di  un  sito
ritenuto  non  idoneo  non  costituisce  mai  ragione  di   per   se'
sufficiente a precludere in  radice  la  realizzazione  del  progetto
proposto dall'operatore economico istante, potendosi giungere a  tale
esito procedimentale solo nel  caso  in  cui  il  progetto  venga  in
concreto reputato incompatibile, dall'amministrazione procedente, con
gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie. 
    Le societa' ricorrenti, viceversa, con l'impostazione impressa al
ricorso in esame hanno tentato di far retrocedere una  siffatta  -  e
meramente eventuale - lesione ad una fase  prodromica  rispetto  alla
valutazione in concreto  dei  progetti  tesi  alla  realizzazione  di
impianti FER, in  quanto  unicamente  riservata  alla  individuazione
delle «aree non idonee» 
    Tuttavia, sulla scorta delle regole  che  governano  il  processo
amministrativo e in considerazione del  fatto  che  la  giurisdizione
amministrativa   di   legittimita'   costituisce   pur   sempre   una
giurisdizione di diritto soggettivo, non e' possibile accordare  alle
societa'  ricorrenti,  che  risultano  essere  operatori  attivi  nel
settore interessato dalle  contestate  modifiche  ordinamentali,  una
tutela anticipata di merito, ossia una tutela  giudiziale  del  tutto
sganciata dalla sussistenza di una possibile incisione negativa della
loro sfera giuridica  che,  per  le  ragioni  innanzi  esposte,  puo'
predicarsi solo  rispetto  ad  un  esito  negativo  dei  procedimenti
autorizzativi e solo laddove cio' consegua al cattivo  esercizio  del
potere da parte dell'amministrazione procedente. 
    1.18. Ad avviso  del  Collegio,  inoltre,  l'eventuale  mutamento
della classificazione di un'area, in precedenza non qualificata  come
non  idonea,  non  e'  ex  se  atto  a   condizionare,   in   maniera
indefettibile e in senso sicuramente negativo, l'iter  procedimentale
di autorizzazione all'installazione e all'esercizio di impianti FER. 
    Pertanto, neppure la mancata previsione di un regime  transitorio
di salvaguardia delle iniziative in corso vale a  dimostrare  che  le
previsioni del gravato decreto  ministeriale  possano  arrecare  alle
societa' ricorrenti il pregiudizio dalle stesse paventato. 
    1.19. Il Collegio ritiene che  l'iniziativa  giudiziale  promossa
dalle societa' ricorrenti sia sguarnita del  necessario  interesse  a
ricorrere anche in  relazione  alle  censure  tese  a  contestare  le
previsioni del decreto mnisteriale del 21 giugno 2024  con  le  quali
sono stati fissati i criteri per la individuazione delle aree  idonee
ed e' stata concessa alle regioni la mera facolta' di  far  salve  le
aree considerate idonee ope legis ai sensi dell'art. 20, comma 8, del
decreto legislativo n. 199/2021. 
    In proposito, e' sufficiente rinviare  alle  considerazioni  gia'
espresse in precedenza in quanto, anche in relazione a tali  censure,
l'interesse a ricorrere potrebbe dirsi sussistente solo nel  caso  in
cui le gravate prescrizioni  sulle  «aree  idonee»  fossero  tali  da
arrecare, ex  se  e  immediatamente,  un  pregiudizio  alla  societa'
ricorrente. 
    La possibilita' di lesione prospettata dalle societa' ricorrenti,
infatti, non e' riscontrabile ex ante in  un'ottica  prognostica,  in
quanto l'effetto giuridico discendente dalla  qualificazione  di  una
superficie come «area idonea» alla realizzazione ed esercizio  di  un
impianto FER e' essenzialmente limitato al solo riconoscimento di  un
vantaggio procedimentale. 
    Pertanto, le societa' ricorrenti  non  possiedono  il  necessario
interesse  ad  azionare   in   giudizio   una   posizione   giuridica
sostanzialmente consistente nell'interesse a  non  vedersi  aggravato
l'iter procedimentale  di  autorizzazione  (laddove,  in  futuro,  si
determinino a presentare la dovuta  istanza  all'amministrazione),  a
che venga mantenuto il precedente impianto normativo e a che  vengano
considerate come «aree idonee» ex lege, superfici che tali sono state
considerate dal  legislatore,  expressis  verbis,  solo  «nelle  more
dell'individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e  delle
modalita' stabiliti dai decreti di cui al comma 1 [dell'art.  20  del
decreto legislativo n. 199/2021, n.d.r.]». 
    1.19.1. Al pari di quanto  rilevato  in  relazione  alle  gravate
previsioni sulle «aree non idonee», anche con  riferimento  a  questo
ulteriore gruppo di censure proposte dalle societa'  ricorrenti,  non
risulta   che   le   amministrazioni   resistenti   abbiano   dettato
prescrizioni cogenti e introdotto divieti  assoluti  e  aprioristici,
dalla cui applicazione discenda con  assoluta  certezza  la  radicale
preclusione alla realizzazione, miglioria ed  esercizio  di  impianti
FER. 
    In definitiva, non venendo in rilievo  prescrizioni  suscettibili
di impedire alle societa' ricorrenti, in via immediata e diretta,  lo
svolgimento della propria attivita' di produzione di energia da fonti
rinnovabili, deve  ritenersi  insussistente  l'interesse  processuale
richiesto dalla legge per conseguire  l'annullamento  giudiziale  del
gravato decreto ministeriale. 
    1.19.2. A ben vedere, e fermo restando  il  carattere  assorbente
delle anzidette  considerazioni,  la  decidibilita'  nel  merito  del
presente gravame  risulterebbe  preclusa  anche  dalla  natura  della
posizione dedotta in giudizio dalle societa' ricorrenti. 
    Infatti,  ad  essere  stata  azionata  risulta  essere  una  mera
aspettativa  di  fatto  al  corretto  esercizio  sia  della  funzione
amministrativa, sia della funzione legislativa delle  regioni,  ossia
una situazione del tutto priva della specifica connessione a un  bene
della vita che costituisce il proprium  delle  situazioni  giuridiche
soggettive che l'ordinamento reputa meritevoli di tutela. 
    1.20. La disamina dei  profili  sin  qui  esaminati  risulta,  ad
avviso del Collegio, sufficiente a dimostrare l'insussistenza  di  un
interesse diretto,  concreto  e  attuale  delle  societa'  ricorrenti
rispetto all'annullamento del  decreto  ministeriale  del  21  giugno
2024, donde l'inammissibilita' dei  primi  tre  motivi  del  presente
gravame. 
    1.20.1. Ad abundantiam, vale anche osservare che, alla luce della
natura della posizione azionata, la circostanza per cui  le  societa'
ricorrenti siano operatori attivi nel  settore  della  produzione  di
energia da fonti rinnovabili non costituisce elemento  sufficiente  a
rendere differenziate e normativamente qualificate le loro posizioni,
le quali, pertanto, non risultano distinguibili da quella del quisque
de populo. 
    D'altronde, anche  volendo  attribuire  alle  posizioni  azionate
dalle societa' ricorrenti  la  consistenza  di  interessi  diffusi  e
metaindividuali, il ricorso in esame non risulterebbe decidibile  nel
merito per carenza di legittimazione attiva, atteso che una  siffatta
situazione giuridica soggettiva puo' essere fatta valere in  giudizio
esclusivamente   dai    soggetti    giuridici    statutariamente    o
istituzionalmente preposti  a  rappresentare  interessi  omogenei  di
specifiche categorie, attribuzione, questa,  che  esula  dalla  sfera
giuridica del singolo individuo o, come nel caso di specie, da quella
dei singoli operatori economici attivi nel mercato. 
    1.20.2.  Ne  consegue  che  «in  se'  considerata,  la   semplice
possibilita' di ricavare dall'invocata decisione di accoglimento  una
qualche utilita' pratica, indiretta ed  eventuale,  ricollegabile  in
via meramente contingente ed occasionale al corretto esercizio  della
funzione  pubblica  censurata,  non  dimostra  la  sussistenza  della
posizione legittimante, nel senso che  siffatto  possibile  vantaggio
ottenibile dalla pronuncia  di  annullamento  non  risulta  idoneo  a
determinare,  da  solo,   il   riconoscimento   di   una   situazione
differenziata,  fondante  la  legittimazione  al  ricorso;   occorre,
invece, una ulteriore condizione-elemento che valga  a  differenziare
il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che
avrebbero  un   generico   interesse   alla   legalita'   dell'azione
amministrativa, essendo quest'ultimo interesse  riconosciuto  non  al
quisque de populo,  ma  solamente  a  quel  soggetto  che  si  trovi,
rispetto   alla   generalita',   in   una   posizione    legittimante
differenziata» (cfr. Cons. Stato, sez. V,  sentenza  n.  265  del  27
gennaio 2016). 
    1.20.3. Tale condizione-elemento  non  puo'  essere  rintracciata
nell'aspirazione a una determinata  configurazione  del  procedimento
amministrativo per effetto della qualificazione  attribuita  all'area
di  localizzazione  degli  impianti   FER,   il   che   implica   una
inammissibile conformazione dei poteri pubblici per mano dei soggetti
privati, strumentale ad asservire le scelte dell'amministrazione  (e,
nel caso di specie, anche del legislatore regionale) ad interessi  di
natura egoistica, slegati dalle esigenze di carattere  pubblicistico,
e ai desiderata, modali e metodologici, degli operatori del settore. 
    2. Il Collegio, per converso, ritiene che  sia  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
prospettata con il quarto motivo di ricorso  avverso  il  divieto  di
installazione in zone classificate agricole di impianti  fotovoltaici
(FTV) con moduli collocati a  terra,  introdotto  con  l'art.  5  del
decreto-legge n. 63/2024. 
    Come  esposto  in  narrativa,  le   societa'   ricorrenti   hanno
prospettato che siffatto divieto violi l'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione, ponendosi in contrasto  con  il  principio  di  matrice
eurounitaria  della  massima  diffusione  delle  fonti   di   energia
rinnovabile, recepito dal legislatore nazionale gia'  con  l'art.  12
del decreto legislativo n. 387/2003 e con le linee guida ministeriali
del 2010. 
    2.1. A riguardo, vale  in  via  preliminare  evidenziare  che  il
legislatore  nazionale  ha  inteso  superare  la  previsione   recata
dall'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, in quanto
tale disposizione normativa e' stata abrogata per effetto del decreto
legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei  regimi
amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili,  in
attuazione dell'art. 26, commi 4 e 5, lettere b) e d), della legge  5
agosto 2022, n. 118». 
    In particolare, l'art. 14 del decreto  legislativo  n.  190/2024,
rubricato «Disposizioni di coordinamento», al comma 8 stabilisce  che
«L'installazione di impianti  fotovoltaici  con  moduli  collocati  a
terra in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti  e'
consentita nei limiti di cui all'art. 20, comma  1-bis,  del  decreto
legislativo 8 novembre 2021, n. 199». 
    Emerge, pertanto, in maniera netta come il legislatore, per  cio'
che concerne la realizzazione di impianti FTV con moduli collocati  a
terra in area agricola,  abbia  inteso  superare  il  regime  dettato
dall'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003,  sancendo
l'esclusiva applicazione del regime introdotto con l'art.  20,  comma
1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 e di cui le previsioni del
decreto  ministeriale  del  21  giugno  2024  costituiscono   diretta
attuazione. 
I.   Sulla   impossibilita'   di    operare    una    interpretazione
costituzionalmente conforme dell'art. 5 del decreto-legge n.  63/2024
e dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021. 
    3.  Il  Collegio  non   ritiene   che   sia   possibile   operare
un'interpretazione conforme alla Costituzione del divieto  introdotto
dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 mediante  l'inserimento  del
comma 1-bis all'art. 20, del decreto legislativo n. 199/2021 -  e  al
quale  nel  prosieguo  della  trattazione  si  fara'  riferimento   -
tentativo  questo  che  ai   fini   della   rimessione   alla   Corte
costituzionale di una questione di legittimita'  costituzionale  deve
essere  ragionevolmente  e  consapevolmente   escluso   (cfr.   Corte
costituzionale, sentenza n. 262/2015; in senso conforme sentenze  nn.
202/2023, 139/2022, 11/2020, 189, 133 e 78/2019, 42/2017). 
    Infatti,  se  e'  vero  che   «le   leggi   non   si   dichiarano
costituzionalmente   illegittime   perche'   e'    possibile    darne
interpretazioni incostituzionali [...],  ma  perche'  e'  impossibile
darne interpretazioni  costituzionali»  (cfr.  Corte  costituzionale,
sentenza n. 356/1996),  nel  caso  di  specie,  la  sola,  possibile,
interpretazione   costituzionalmente   orientata   della   contestata
previsione normativa  risulterebbe  quella  che  considera  privo  di
effettualita' il divieto previsto dalle suddette disposizioni. 
    3.1.    In    particolare,    l'impossibilita'     di     operare
un'interpretazione   conforme   a   Costituzione   della    anzidetta
disposizione normativa discende dal suo  chiaro  tenore  letterale  e
dalla  portata  del  divieto  con  essa  introdotto  nell'ordinamento
giuridico. 
    Infatti, l'art. 20,  comma  1-bis,  del  decreto  legislativo  n.
199/2021, nel consentire l'installazione di impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra in  zone  classificate  agricole  dai  piani
urbanistici vigenti, circoscrive tale possibilita' ai  soli  casi  in
cui, da un lato, l'area agricola coincida con alcune specifiche  aree
ritenute  idonee  ai  sensi  dell'art.  20,  comma  8,  del   decreto
legislativo n. 199/2021 - che, peraltro, ricomprendono anche le  aree
nelle quali sono gia' installati detti impianti (comma 8, lettera a),
le quali possono essere interessate solo da interventi  di  modifica,
rifacimento, potenziamento o  ricostruzione,  a  condizione  che  non
comportino  incremento  dell'area  gia'  occupata  -  o,  dall'altro,
l'intervento  sia  finalizzato  alla  creazione  di   una   comunita'
energetica rinnovabile o sia correlato a progetti attuativi del  PNRR
o funzionali al perseguimento degli obiettivi di tale piano. 
    Dal tenore letterale  dell'art.  20,  comma  1-bis,  del  decreto
legislativo n. 199/2021  risulta,  quindi,  che  il  legislatore  nel
«consentire esclusivamente» l'installazione degli  impianti  FTV  con
moduli collocati a terra nelle aree agricole coincidenti  con  quelle
innanti  menzionate,  ha  sostanzialmente   introdotto   un   divieto
generalizzato di realizzare detti impianti su tutta la restante parte
del suolo agricolo nazionale. 
    3.2.  L'introduzione  di  una  preclusione   di   tale   ampiezza
all'installazione di impianti FTV con moduli  collocati  a  terra  in
area   agricola   non   risulta    costituzionalmente    compatibile,
innanzitutto perche' si pone in insanabile contrasto con l'art.  117,
comma 1, della Costituzione, atteso  che  il  contestato  divieto  e'
suscettibile di  integrare  una  violazione  dei  «vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario». 
    In particolare, con il divieto generalizzato  previsto  dall'art.
20, comma  1-bis,  del  decreto  legislativo  n.  199/2021  e'  stato
completamente ribaltato il sistema previgente, plasmato dal principio
di matrice eurounitaria  della  massima  diffusione  delle  fonti  di
energia  rinnovabili  (direttiva  2001/77/CE  e   2009/28/CE).   Tale
principio, in particolare, dovrebbe trovare attuazione nella generale
utilizzabilita' di tutti i terreni per l'inserimento  degli  impianti
FER, con le sole eccezioni ispirate alla tutela  di  altri  interessi
costituzionalmente protetti (cosi', ad esempio,  si  e'  espressa  la
Corte costituzionale relativamente agli  impianti  di  produzione  di
energia eolica, Corte costituzionale, sentenza n. 224/2012). 
    Con  il  contestato  divieto,  viceversa,   il   legislatore   ha
specificamente individuato le aree agricole nelle quali e' consentita
l'installazione di impianti FTV con moduli collocati  a  terra  e  ha
inibito, per la restante  parte  del  suolo  agricolo  nazionale,  la
realizzazione di detti impianti: risulta, quindi, di  piana  evidenza
che una siffatta preclusione violi il principio di massima diffusione
di matrice eurounitaria, sottraendo  in  maniera  ingiustificata  una
considerevole parte del territorio nazionale al  perseguimento  delle
finalita' sottese allo sviluppo energetico da fonti  rinnovabili,  in
assenza di valide ragioni di tutela di specifici interessi pubblici -
non potendo considerarsi tale l'invocato consumo  indiscriminato  del
suolo - e senza che possa essere  operata  in  concreto,  nell'ambito
dell'iter  procedimentale   di   autorizzazione   dell'impianto,   la
ponderazione con gli altri interessi confliggenti,  anche  di  natura
pubblicistica e, in parte, legati al  perseguimento  degli  obiettivi
unionali di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili al
2030, sanciti dalla direttiva 2018/2001/UE. 
    3.3. Tali considerazioni pongono in evidenza anche  il  carattere
non  proporzionato  della  scelta  legislativa,  tenuto  conto  della
ampiezza ed incisivita' del divieto rispetto al fine  perseguito,  il
che corrobora l'impossibilita' di addivenire ad  una  interpretazione
costituzionalmente conforme dell'art. 20, comma  1-bis,  del  decreto
legislativo n. 199/2021. 
II. Sulla rilevanza delle questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 e dell'art. 20, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 199/2021. 
    4.   Dall'acclarata   impercorribilita'   di   un'interpretazione
dell'enunciato normativo integralmente satisfattivo per  le  societa'
ricorrenti  deriva  la  rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale prospettate con il terzo motivo di ricorso. 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  che  il  Collegio
intende rimettere alla Corte costituzionale con la presente ordinanza
risulta, dunque, fornita di rilevanza nel presente  giudizio,  atteso
che  l'art.  1,  comma  2,   lettera   d),   dell'impugnato   decreto
ministeriale  del  21  giugno  2024  costituisce   attuazione   della
disposizione normativa qui sospettata di incostituzionalita', vale  a
dire l'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, per
le ragioni gia' esposte in precedenza e alle quali  integralmente  si
rinvia. 
    Pertanto, dall'esito del giudizio di costituzionalita'  dell'art.
20, comma 1-bis, del  decreto  legislativo  n.  199/2021  dipende  la
legittimita' del contestato divieto  di  cui  all'art.  1,  comma  2,
lettera d), del decreto ministeriale del 21 giugno 2024, nella misura
solo  nel  caso  di   declaratoria   di   incostituzionalita'   della
disposizione  normativa  primaria  la  previsione   impugnata   dalle
societa' ricorrenti potrebbe essere annullata, con conseguente  venir
meno della preclusione assoluta, ad oggi vigente, alla  realizzazione
dei propri progetti sul suolo agricolo. 
III. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale posta con il IV motivo di ricorso. 
    5. Le societa' ricorrenti, come gia' esposto in  precedenza,  con
il  quarto  motivo  di  ricorso  hanno  prospettato  l'illegittimita'
costituzionale del divieto introdotto dall'art. 5  del  decreto-legge
n. 63/2024 per contrasto con  i  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
europeo e, in particolare, con il principio della massima  diffusione
degli impianti  FER,  affermato  dalla  direttiva  2001/77/CE,  dalla
direttiva  2009/28/CE,  nonche'  dalla  direttiva  2018/2001/UE,   in
attuazione della quale e' stato emanato  il  decreto  legislativo  n.
199/2021. Sotto altro profilo, l'art. 20,  comma  1-bis  del  decreto
legislativo n. 199/2021 si  porrebbe  in  contrasto  con  i  principi
generali dettati in materia  dallo  stesso  legislatore  statale,  in
attuazione delle direttive europee, e in particolare con  l'art.  12,
comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli
impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma
1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate
agricole dai vigenti piani urbanistici», e con  le  Linee  guida  del
2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo  le  quali
le zone classificate  agricole  dai  vigenti  piani  urbanistici  non
possono essere genericamente considerate aree e  siti  non  idonei  e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio. 
    Le  societa'  ricorrenti,   inoltre,   hanno   anche   sospettato
d'incostituzionalita'  il  divieto   introdotto   dall'art.   5   del
decreto-legge   n.   63/2024   per   violazione   dei   principi   di
ragionevolezza e proporzionalita' discendenti dagli articoli 3  e  97
della  Costituzione  in  combinato  disposto  con   quanto   previsto
dall'art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001, nonche'  per  violazione
di  quanto  previsto  dall'art.  16-septies  della   direttiva   (UE)
2018/2001 e dal regolamento (UE) 2022/2577. 
    5.1. In primo  luogo,  il  Collegio  ritiene  che  la  disciplina
censurata presenti profili di contrasto  con  l'art.  117,  comma  1,
della Costituzione,  sotto  il  profilo  del  mancato  rispetto  «dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario»  e,  in  particolare,
del  principio  di  massima  diffusione  delle   fonti   di   energia
rinnovabili di matrice eurounitaria. 
    5.2.  In  proposito,  risulta  necessario  richiamare  tutte   le
previsioni normative vigenti nell'ordinamento giuridico  eurounitario
e suscettibili  di  assumere  rilievo  nella  materia  oggetto  della
presente controversia, da intendersi  anche  quale  integrazione  del
quadro normativo di riferimento, in uno con le  previsioni  nazionali
gia' richiamate in precedenza ed analizzate dal  Collegio  sin  dalla
esposizione dei motivi di ricorso, quale condizione di ammissibilita'
della  rimessione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, cosi'
come introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024. 
    In particolare, devono essere presi in considerazione: 
        l'art. 3, par. 5, del TUE, a mente del quale «Nelle relazioni
con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i  suoi  valori  e
interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini»,  di  tal
forma che, per questa via, l'Unione europea «Contribuisce [...]  allo
sviluppo sostenibile della Terra»; 
        l'art.  6,  par.  1,  del  TUE,  che  precisa  che  «L'Unione
riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei
diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  del  7  dicembre   2000,
adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha  lo  stesso  valore
giuridico dei trattati». Ai  sensi  dell'art.  37  della  Carta,  «Un
livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della  sua
qualita'  devono  essere  integrati  nelle  politiche  dell'Unione  e
garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile»; 
        l'art. 11 del Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea
che,  muovendosi  nella  medesima  direzione   gia'   tracciata   dal
richiamato art. 6,  par.  1,  del  TUE,  sancisce  che  «Le  esigenze
connesse con la tutela dell'ambiente devono  essere  integrate  nella
definizione e nell'attuazione delle politiche e  azioni  dell'Unione,
in  particolare  nella  prospettiva   di   promuovere   lo   sviluppo
sostenibile» (c.d. principio di integrazione); 
        l'art.  191  del  TFUE,  secondo  il   quale   «La   politica
dell'Unione  in  materia  ambientale  contribuisce  a  perseguire   i
seguenti obiettivi: -  salvaguardia,  tutela  e  miglioramento  della
qualita'  dell'ambiente;  -  protezione   della   salute   umana;   -
utilizzazione  accorta  e  razionale  delle   risorse   naturali;   -
promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i
problemi  dell'ambiente  a  livello  regionale  o  mondiale   e,   in
particolare, a combattere i cambiamenti  climatici.  2.  La  politica
dell'Unione in materia  ambientale  mira  a  un  elevato  livello  di
tutela, tenendo conto della diversita' delle situazioni  nelle  varie
regioni dell'Unione. Essa e' fondata sui principi della precauzione e
dell'azione  preventiva,  sul  principio  della  correzione,  in  via
prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente,  nonche'  sul
principio "chi inquina paga"»; 
        l'art. 192,  par.  1,  del  TFUE,  ai  sensi  del  quale  «Il
Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo  la  procedura
legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e
sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle  azioni
che devono essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi
dell'art. 191»; 
        l'art.  194  del  TFUE,  in  forza  del  quale  «Nel   quadro
dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno e  tenendo
conto  dell'esigenza  di  preservare  e  migliorare  l'ambiente,   la
politica dell'Unione nel  settore  dell'energia  e'  intesa,  in  uno
spirito di solidarieta' tra  Stati  membri,  a  [...]  promuovere  il
risparmio  energetico,  l'efficienza  energetica  e  lo  sviluppo  di
energie nuove e rinnovabili». 
    5.2.1. Protezione dell'ambiente e promozione delle  c.d.  energie
rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti. 
    Come si ricava dalla  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea, l'uso di fonti di  energia  rinnovabili  per  la
produzione di elettricita' e'  utile  alla  tutela  dell'ambiente  in
quanto contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas  a  effetto
serra che compaiono tra le principali cause dei cambiamenti climatici
che l'Unione europea e i  suoi  Stati  membri  si  sono  impegnati  a
contrastare. 
    L'incremento  della  quota   di   rinnovabili   costituisce,   in
particolare, uno degli elementi  portanti  del  pacchetto  di  misure
richieste per ridurre tali emissioni e conformarsi al  protocollo  di
Kyoto, alla convenzione quadro delle Nazioni  Unite  sui  cambiamenti
climatici, nonche' agli altri impegni assunti a livello comunitario e
internazionale per la riduzione delle emissioni  dei  gas  a  effetto
serra. Cio', peraltro, e' funzionale anche alla tutela della salute e
della vita delle persone e degli animali, nonche' alla  preservazione
dei vegetali (cfr. CGUE, Grande Sezione, sentenza del 1° luglio 2014,
in causa C-573/12, Ã…lands vindkraft AB contro Energimyndigheten, par.
78 e ss.; CGUE, sentenza  del  13  marzo  2001,  in  causa  C-379/98,
PreussenElektra AG contro Schhleswag AG, par. 73 e ss.). 
    5.2.2. La Corte di giustizia dell'Unione  europea  ha,  peraltro,
precisato che l'art. 191 del Trattato sul  funzionamento  dell'Unione
europea si limita a definire gli obiettivi  generali  dell'Unione  in
materia ambientale, mentre l'art. 192 del Trattato sul  funzionamento
dell'Unione europea affida  al  Parlamento  europeo  e  al  Consiglio
dell'Unione europea il compito di decidere le azioni  da  avviare  al
fine del raggiungimento di detti obiettivi. 
    Di  conseguenza,  l'art.  191  del  Trattato  sul   funzionamento
dell'Unione europea non puo'  essere  invocato  in  quanto  tale  dai
privati  al  fine  di  escludere  l'applicazione  di  una   normativa
nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale
quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata  in
base all'art. 192 del TFUE; viceversa, l'art. 191  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea assume rilevanza  allorquando  esso
trovi attuazione nel diritto  derivato  (cfr.  CGUE,  Sezione  Terza,
sentenza  del  4  marzo  2015,  in   causa   C-   534/13,   Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare et al.  contro
Fipa Group srl et al., par. 39 e ss.). 
    5.3. Disposizioni  sulla  promozione  dell'energia  elettrica  da
fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175  del
TCE (ora art. 192 del  TFUE),  sono  state  introdotte  gia'  con  la
direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio  del  27
settembre 2001 e, successivamente, con la  direttiva  2009/28/CE  del
Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009. 
    In particolare, nel preambolo della direttiva 2018/2001/UE -  con
la quale il legislatore sovranazionale ha proceduto alla rifusione  e
alla modifica delle disposizioni contenute nella direttiva 2009/28/CE
- e' stato inter alia considerato che: 
        «[...] (2) Ai sensi dell'art. 194, paragrafo 1, del  trattato
sul funzionamento dell'Unione europea  (TFUE),  la  promozione  delle
forme di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi
della politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo  e'  perseguito
dalla presente direttiva. Il maggiore ricorso  all'energia  da  fonti
rinnovabili  o  all'energia   rinnovabile   costituisce   una   parte
importante  del  pacchetto  di  misure  necessarie  per  ridurre   le
emissioni di gas  a  effetto  serra  e  per  rispettare  gli  impegni
dell'Unione  nel  quadro  dell'accordo  di  Parigi   del   2015   sui
cambiamenti climatici, a seguito della  21a  Conferenza  delle  parti
della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni  Unite   sui   cambiamenti
climatici ("accordo  di  Parigi"),  e  il  quadro  per  le  politiche
dell'energia e del clima  all'orizzonte  2030,  compreso  l'obiettivo
vincolante dell'Unione di ridurre  le  emissioni  di  almeno  il  40%
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in
materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e  i
contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote  di
riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi  nazionali  generali
per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per
la politica energetica e ambientale dell'Unione [...]. 
        3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili  puo'
svolgere  una  funzione  indispensabile  anche  nel   promuovere   la
sicurezza  degli   approvvigionamenti   energetici,   nel   garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione,  oltre  alla  leadership  tecnologica  e
industriale, offrendo nel contempo  vantaggi  ambientali,  sociali  e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di  lavoro  e  sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita'  demografica  o  soggetti  a  parziale
deindustrializzazione. 
        (4) In particolare, la riduzione del  consumo  energetico,  i
maggiori  progressi  tecnologici,  gli  incentivi  all'uso   e   alla
diffusione  dei  trasporti  pubblici,   il   ricorso   a   tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo  di  energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del  riscaldamento  e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle  misure  di  efficienza  energetica  per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua  dipendenza
energetica. 
        (5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro  normativo
per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti  rinnovabili  che
fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota  di  energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel  settore  dei  trasporti  da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del  22
gennaio 2014, intitolata "Quadro per le politiche dell'energia e  del
clima per il periodo dal 2020 al 2030" ha definito un quadro  per  le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del  clima  e
ha promosso un'intesa comune sulle  modalita'  per  sviluppare  dette
politiche dopo il 2020. La Commissione  ha  proposto  come  obiettivo
dell'Unione una quota di energie  rinnovabili  consumate  nell'Unione
pari ad almeno il 27% entro il 2030. Tale proposta e' stata sostenuta
dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre 2014,  le
quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare i propri
obiettivi nazionali  piu'  ambiziosi,  per  realizzare  i  contributi
all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi  pianificati  e  andare
oltre. 
        (6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del  5  febbraio
2014,  "Un  quadro  per  le  politiche  dell'energia  e   del   clima
all'orizzonte 2030", e del 23  giugno  2016,  "I  progressi  compiuti
nell'ambito  delle  energie  rinnovabili",  si  e'  spinto  oltre  la
proposta  della  Commissione  o   le   conclusioni   del   Consiglio,
sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e  delle  recenti
riduzioni del costo delle  tecnologie  rinnovabili,  era  auspicabile
essere molto piu' ambiziosi. [...] 
        (8)  Appare  pertanto  opportuno   stabilire   un   obiettivo
vincolante dell'Unione in relazione alla quota di  energia  da  fonti
rinnovabili pari almeno al  32%.  Inoltre,  la  Commissione  dovrebbe
valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo  alla  luce
di sostanziali  riduzioni  del  costo  della  produzione  di  energia
rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore  della
decarbonizzazione o in caso di  un  significativo  calo  del  consumo
energetico nell'Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro
contributo  al  conseguimento  di  tale  obiettivo  nell'ambito   dei
rispettivi piani nazionali integrati per  l'energia  e  il  clima  in
applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE)
2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio. [...] 
        (10) Al fine di garantire  il  consolidamento  dei  risultati
conseguiti  ai  sensi  della  direttiva  2009/28/CE,  gli   obiettivi
nazionali  stabiliti  per  il  2020   dovrebbero   rappresentare   il
contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030.  In
nessun caso le quote nazionali delle energie  rinnovabili  dovrebbero
scendere al di sotto di tali contributi. [...]. 
        (11) Gli Stati membri dovrebbero  adottare  ulteriori  misure
qualora la quota di energie  rinnovabili  a  livello  di  Unione  non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di  almeno  il  32%  di  energie  rinnovabili.  Come  stabilito   nel
regolamento (UE)  2018/1999,  se,  nel  valutare  i  piani  nazionali
integrati in materia di energia e  clima,  ravvisa  un  insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure  a  livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo.  Se,  nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate  sull'energia  e
il clima, la Commissione ravvisa  progressi  insufficienti  verso  la
realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero  applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare  tale
lacuna». 
    5.4.  Quanto   affermato   nei   consideranda   della   direttiva
2018/2001/UE  ha  trovato  poi   concretizzazione   normativa   nelle
previsioni  dell'art.  3  di  tale  direttiva,  rubricato  «Obiettivo
vincolante complessivo dell'Unione per il 2030». 
    Il  legislatore  unionale,  infatti,  ha  previsto  un  obiettivo
vincolante complessivo dell'Unione europea per  il  2030,  stabilendo
che «Gli Stati membri provvedono collettivamente a  far  si'  che  la
quota di energia da fonti rinnovabili nel  consumo  finale  lordo  di
energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32%.  La  Commissione
valuta tale obiettivo al fine  di  presentare,  entro  il  2023,  una
proposta  legislativa  intesa  a  rialzarlo  nel  caso  di  ulteriori
sostanziali  riduzioni  dei  costi  della   produzione   di   energia
rinnovabile,  se  risulta  necessario  per  rispettare  gli   impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o  se  il
rialzo  e'  giustificato  da  un  significativo  calo   del   consumo
energetico nell'Unione», con la  precisazione  che  «Se,  sulla  base
della valutazione delle proposte dei piani  nazionali  integrati  per
l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'art. 9 del regolamento
(UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che  i  contributi  nazionali
degli Stati membri sono insufficienti per conseguire  collettivamente
l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la Commissione  segue
la procedura di cui agli articoli 9 e 31 di tale regolamento». 
    5.5. Il regolamento 2021/1119/UE del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 30 giugno 2021, adottato in  forza  dell'art.  192  del
TFUE,  ha  poi  istituito  un  quadro  per  il  conseguimento   della
neutralita' climatica, sul presupposto che: 
        «(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici
richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per
il clima da parte dell'Unione e degli Stati membri.  L'Unione  si  e'
impegnata a potenziare gli  sforzi  per  far  fronte  ai  cambiamenti
climatici  e  a  dare  attuazione  all'accordo  di  Parigi   adottato
nell'ambito  della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni   Unite   sui
cambiamenti  climatici  («accordo  di  Parigi»),  guidata  dai   suoi
principi  e  sulla  base  delle  migliori   conoscenze   scientifiche
disponibili, nel contesto dell'obiettivo  a  lungo  termine  relativo
alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi. [...] 
        (4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale  per
contribuire alla trasformazione economica e sociale,  alla  creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile  e  al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile  delle  Nazioni
Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in  modo  efficiente  in  termini  di  costi
l'obiettivo  a  lungo  termine  relativo  alla  temperatura  di   cui
all'accordo di Parigi. [...] 
        (9) L'azione per il clima dell'Unione e  degli  Stati  membri
mira  a  tutelare  le  persone  e  il  pianeta,  il   benessere,   la
prosperita',   l'economia,   la   salute,   i   sistemi   alimentari,
l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro  la  minaccia
dei  cambiamenti  climatici,  nel  contesto  dell'agenda  2030  delle
Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e nel  perseguimento  degli
obiettivi dell'accordo di Parigi;  mira  inoltre  a  massimizzare  la
prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza  e
ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In
quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli Stati  membri  dovrebbero
essere guidate dal principio di  precauzione  e  dal  principio  "chi
inquina paga", istituiti dal trattato sul  funzionamento  dell'Unione
europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza
energetica al primo posto e del principio del "non nuocere" del Green
Deal europeo. [...] 
        (11) Vista l'importanza della produzione  e  del  consumo  di
energia per il livello di  emissioni  di  gas  a  effetto  serra,  e'
indispensabile realizzare la transizione verso un sistema  energetico
sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato  sulla  diffusione
delle energie rinnovabili, su un  mercato  interno  dell'energia  ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel  contempo  la  poverta'  energetica.  Anche   la   trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e  lo  sviluppo  sono
fattori  importanti  per  conseguire  l'obiettivo  della  neutralita'
climatica. [...] 
        (20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro  il  2050,
un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici  dai  pozzi  dei  gas  a
effetto  serra  di  tutti  i  settori  economici  e,  ove  opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito.  Tale  obiettivo  dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...] 
        (25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti  nell'intero  spettro  delle  politiche  e   uno   sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e  della  societa',  come
evidenziato nel Green  Deal  europeo.  Il  Consiglio  europeo,  nelle
conclusioni  del  12  dicembre  2019,  ha  dichiarato  che  tutte  le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono  essere  coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo  della  neutralita'  climatica  e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti. [...] 
        (36) Al fine di garantire che l'Unione  e  gli  Stati  membri
restino  sulla  buona  strada  per   conseguire   l'obiettivo   della
neutralita' climatica e  registrino  progressi  nell'adattamento,  e'
opportuno  che  la  Commissione  valuti  periodicamente  i  progressi
compiuti,  sulla  base  delle  informazioni  di   cui   al   presente
regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma
del regolamento (UE) 2018/1999. [...] Nel caso  in  cui  i  progressi
collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto  all'obiettivo  della
neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che  le
misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita'
climatica o inadeguate per migliorare la  capacita'  di  adattamento,
rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la  Commissione
dovrebbe adottare le  misure  necessarie  conformemente  ai  trattati
[...]». 
    5.5.1. Tale regolamento  ha,  quindi,  sancito  che  «l'obiettivo
vincolante della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050,  in
vista dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'art. 2, paragrafo 1, lettera a), dell'accordo  di  Parigi»  (art.
1),  precisando  altresi'  che  per  conseguire  tale  obiettivo  «il
traguardo vincolante dell'Unione in materia  di  clima  per  il  2030
consiste in una riduzione interna netta  delle  emissioni  di  gas  a
effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti)  di  almeno  il
55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030» (art. 4). 
    5.5.2. Ai sensi dell'art.  5  del  regolamento  2021/1119/UE  «Le
istituzioni competenti dell'Unione e gli Stati membri  assicurano  il
costante progresso nel miglioramento della capacita' di  adattamento,
nel  rafforzamento  della  resilienza   e   nella   riduzione   della
vulnerabilita' ai cambiamenti climatici in  conformita'  dell'art.  7
dell'accordo di Parigi», garantendo  inoltre  che  «le  politiche  in
materia  di  adattamento  nell'Unione  e  negli  Stati  membri  siano
coerenti,   si   sostengano   reciprocamente,   comportino   benefici
collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per  integrare
meglio l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i  settori  di
intervento, comprese le  pertinenti  politiche  e  azioni  in  ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione». 
    A tal fine, «Gli Stati membri  adottano  e  attuano  strategie  e
piani  nazionali  di  adattamento,  tenendo  conto  della   strategia
dell'Unione sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...] e fondati
su  analisi  rigorose  in  materia  di  cambiamenti  climatici  e  di
vulnerabilita', sulle valutazioni  dei  progressi  compiuti  e  sugli
indicatori, e  basandosi  sulle  migliori  e  piu'  recenti  evidenze
scientifiche  disponibili.  Nelle   loro   strategie   nazionali   di
adattamento,  gli  Stati  membri  tengono  conto  della   particolare
vulnerabilita' dei pertinenti settori, tra cui l'agricoltura,  e  dei
sistemi idrici e alimentari nonche'  della  sicurezza  alimentare,  e
promuovono soluzioni basate sulla natura e l'adattamento basato sugli
ecosistemi. Gli Stati membri aggiornano periodicamente le strategie e
includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono
tenuti  a  presentare  a  norma  dell'art.  19,  paragrafo   1,   del
regolamento (UE) 2018/1999». 
    5.6. La direttiva (UE) 2023/2413 del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio  del  18  ottobre  2023   ha   introdotto,   tra   l'altro,
disposizioni volte a  modificare  la  direttiva  (UE)  2018/2001,  il
regolamento (UE) 2018/1999 e la  direttiva  n.  98/70/CE  per  quanto
riguarda   la   promozione   dell'energia   da   fonti   rinnovabili,
evidenziando che: 
        «[...]  (2)  Le  energie  rinnovabili   svolgono   un   ruolo
fondamentale nel conseguimento di tali obiettivi, dato che il settore
energetico contribuisce attualmente per oltre il 75%  alle  emissioni
totali di gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo  tali  emissioni
di  gas  a  effetto  serra,  le  energie  rinnovabili  possono  anche
contribuire  ad  affrontare  sfide  ambientali  come  la  perdita  di
biodiversita', e a ridurre l'inquinamento in linea con gli  obiettivi
della comunicazione della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo
"Un percorso verso un pianeta piu' sano per tutti  -  Piano  d'azione
dell'UE: Verso l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e  il  suolo".
La transizione verde verso un'economia basata sulle energie da  fonti
rinnovabili contribuira' a conseguire gli obiettivi  della  decisione
(UE) 2022/591 del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  che  mira
altresi'  a  proteggere,   ripristinare   e   migliorare   lo   stato
dell'ambiente, mediante, tra l'altro, l'interruzione  e  l'inversione
del processo di perdita di biodiversita'. [...]. 
        (4)   Il   contesto   generale   determinato   dall'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia  di
COVID-19  ha   provocato   un'impennata   dei   prezzi   dell'energia
nell'intera  Unione,  evidenziando  in  tal  modo  la  necessita'  di
accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso  delle  energie
da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a
lungo termine di un sistema energetico indipendente dai paesi  terzi,
l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione  della  transizione
verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione  delle
emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili
fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i  cittadini  e
le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia. 
        (5) Il piano REPowerEU stabilito  nella  comunicazione  della
Commissione del 18 maggio 2022 ("piano  REPowerEU")  mira  a  rendere
l'Unione indipendente dai combustibili fossili russi  ben  prima  del
2030. Tale  comunicazione  prevede  l'anticipazione  delle  capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio  di  diffusione  di  tale
energia e capacita' supplementari di  energia  da  fonti  rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i  colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o  anticipare  gli  obiettivi
fissati per l'aumento della quota  di  energia  rinnovabile  nel  mix
energetico. [...] Al di la' di tale livello obbligatorio,  gli  Stati
membri   dovrebbero   adoperarsi   per   conseguire   collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione  del  45%  di  energia  da  fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU. 
        (6)  [...]  E'  auspicabile  che  gli  Stati  membri  possano
combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di  conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze  nazionali  e
della  struttura  delle  loro  forniture  energetiche.  Al  fine   di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato  obiettivo  generale  vincolante  dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari  di  decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili  che
gli Stati membri decidono di perseguire. [...] 
        (25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere  una  piu'  rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile  effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie  rinnovabili
e per le relative  infrastrutture,  in  coordinamento  con  gli  enti
locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare  le  zone
terrestri, le superfici, le zone  sotterranee,  le  acque  interne  e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per  le  relative  infrastrutture  al  fine  di
apportare almeno  i  rispettivi  contributi  nazionali  all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti  rinnovabili  per
il 2030  di  cui  all'art.  3,  paragrafo  1,  della  direttiva  (UE)
2018/2001  e  a  sostegno  del  conseguimento  dell'obiettivo   della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in  conformita'  del
regolamento  (UE)  2021/1119.  [...].  Gli  Stati  membri  dovrebbero
garantire  che  le  zone  in  questione  riflettano   le   rispettive
traiettorie stimate e la  potenza  totale  installata  pianificata  e
dovrebbero individuare le zone  specifiche  per  i  diversi  tipi  di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile  stabilite  nei  loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. [...]. 
        (26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme
di  tali  aree,  specifiche  zone  terrestri  (comprese  superfici  e
sottosuperfici)  e  marine  o  delle  acque  interne  come  zone   di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in  materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi  di  tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di  energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare  un  impatto  ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per  le
energie rinnovabili, gli Stati  membri  dovrebbero  evitare  le  zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero  poter  designare
zone di accelerazione specificamente per le energie  rinnovabili  per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di  energia  rinnovabile  e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti  rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli Stati  membri  dovrebbero  designare  tali  zone  di
accelerazione per le  energie  rinnovabili  per  almeno  un  tipo  di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei  requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono  zone  di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi'  facendo,  gli  Stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni  combinate
di tali zone siano  sostanziali  e  contribuiscano  al  conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001. 
        (27) L'uso polivalente dello  spazio  per  la  produzione  di
energia rinnovabile e per  altre  attivita'  terrestri,  delle  acque
interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del  suolo,  delle
acque  interne  e  del  mare.  In  tale  contesto  la  pianificazione
territoriale  rappresenta  uno  strumento  indispensabile   con   cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle  acque  interne  e  del  mare.  Gli  Stati  membri   dovrebbero
esplorare,  consentire  e  favorire  l'uso  polivalente  delle   zone
individuate a seguito delle  misure  di  pianificazione  territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri  agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare,  purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra  di  loro  e  possano
coesistere. [...] 
        (36) In considerazione  della  necessita'  di  accelerare  la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione  delle
zone  di  accelerazione  per  le  energie  rinnovabili  non  dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di  progetti  di  energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione.  Questi
progetti  dovrebbero   continuare   a   sottostare   all'obbligo   di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere  soggetti  alle  procedure  di  rilascio  delle
autorizzazioni  applicabili  ai  progetti  in  materia   di   energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le  energie
rinnovabili.  Per  accelerare  le   procedure   di   rilascio   delle
autorizzazioni nella misura necessaria a  conseguire  l'obiettivo  di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE)  2018/2001,  anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori  dalle  zone  di  accelerazione  per  le  energie   rinnovabili
dovrebbero   essere   semplificate   e   razionalizzate    attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per  tutte  le  fasi  della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese  le  valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto. 
    5.7. La direttiva (UE) 2023/2413,  per  tali  ragioni,  ha  anche
introdotto disposizioni in materia di mappatura delle zone necessarie
per assicurare che  i  contributi  nazionali  forniti  rispettino  il
perseguimento dell'obiettivo  complessivo  dell'Unione  in  relazione
alla produzione di energia  rinnovabile  per  il  2030.  Sono  state,
inoltre, previste zone di accelerazione per le  energie  rinnovabili,
nonche' specifiche procedure amministrative  per  il  rilascio  delle
relative autorizzazioni. 
    5.8. Il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo  e  del
Consiglio dell'11 dicembre 2018, adottato sulla base  degli  articoli
192 e 194 del TFUE, costituisce la necessaria  base  legislativa  per
una governance dell'Unione dell'energia e dell'azione  per  il  clima
affidabile,  inclusiva,  efficace  sotto  il   profilo   dei   costi,
trasparente e  prevedibile  che  garantisca  il  conseguimento  degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino al 2030, in linea  con
l'accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti  climatici  -  derivante
dalla 21ª  Conferenza  delle  parti  alla  Convenzione  quadro  delle
Nazioni  Unite  sui  cambiamenti  climatici   -   attraverso   sforzi
complementari, coerenti e ambiziosi  da  parte  dell'Unione  e  degli
Stati membri, limitando la complessita' amministrativa nella  materia
in questione. 
    5.8.1. In particolare, il legislatore unionale,  nel  configurare
un siffatto meccanismo, ha considerato che: 
        2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque  dimensioni:
la   sicurezza   energetica;   il   mercato   interno   dell'energia;
l'efficienza  energetica;  il  processo  di   decarbonizzazione;   la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'. 
        (3)  L'obiettivo  di  un'Unione  dell'energia  resiliente   e
articolata intorno a una  politica  ambiziosa  per  il  clima  e'  di
fornire ai consumatori  dell'UE  -  comprese  famiglie  e  imprese  -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e  di
promuovere la ricerca e l'innovazione  attraendo  investimenti;  cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico  europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, in particolare  promuovendo  l'efficienza  energetica  e  i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia  rinnovabile
[...] 
        (7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno  il
40% delle emissioni di gas a  effetto  serra  nel  sistema  economico
entro il 2030, rispetto ai livelli del  1990,  e'  stato  formalmente
approvato in occasione del Consiglio «Ambiente»  del  6  marzo  2015,
quale  contributo   previsto   determinato   a   livello   nazionale,
dell'Unione e dei suoi Stati membri all'accordo di Parigi.  L'accordo
di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5  ottobre  2016  ed  e'
entrato  in  vigore  il  4  novembre  2016;  sostituisce  l'approccio
adottato nell'ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che  e'  stato
approvato dall'Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio
e che non sara' prorogato dopo il 2020. E'  opportuno  aggiornare  di
conseguenza  il  sistema  dell'Unione  per  il  monitoraggio   e   la
comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas  a  effetto
serra. 
        (8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di  ambizione
globale  relativo  alla  mitigazione  dei  cambiamenti  climatici   e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con  l'obiettivo  di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di  sotto
di 2 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali  e  di  continuare  ad
adoperarsi per limitare tale  aumento  della  temperatura  a  1,5  °C
rispetto ai livelli preindustriali [...] 
        (12) Nelle conclusioni del 23  e  del  24  ottobre  2014,  il
Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare  un  sistema  di
governance affidabile, trasparente,  privo  di  oneri  amministrativi
superflui e con una sufficiente flessibilita' per  gli  Stati  membri
per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della  liberta'  degli  Stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...] 
        (18) Il principale obiettivo  del  meccanismo  di  governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento  degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi  del
quadro 2030 per il clima e l'energia,  nei  settori  della  riduzione
delle emissioni dei gas a  effetto  serra,  delle  fonti  di  energia
rinnovabili e dell'efficienza  energetica.  Tali  obiettivi  derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e  dalla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno  di  questi  obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere  considerato  secondario  rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di  energia
e  di  clima.  Gli  Stati  membri  devono  poter  scegliere  in  modo
flessibile le  politiche  che  meglio  si  adattano  alle  preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche'  tale  flessibilita'  sia
compatibile    con    l'ulteriore    integrazione    del     mercato,
l'intensificazione  della   concorrenza,   il   conseguimento   degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il  passaggio  graduale  a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio. [...] 
        (36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a  lungo
termine con una prospettiva di almeno trenta anni per contribuire  al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai  sensi  dell'UNFCCC  e
all'accordo di Parigi, nel contesto  dell'obiettivo  dell'accordo  di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine  delle  emissioni  di  gas  a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in  tutti  i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione [...]. 
        (56)  Se  l'ambizione  dei  piani  nazionali  integrati   per
l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti,  fosse  insufficiente
per  il  raggiungimento  collettivo   degli   obiettivi   dell'Unione
dell'energia  e,  nel  primo   periodo,   in   particolare   per   il
raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile
e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a
livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo  di
tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali  «divari  di
ambizione»). Qualora i progressi dell'Unione verso tali  obiettivi  e
traguardi fossero insufficienti a garantirne  il  raggiungimento,  la
Commissione dovrebbe, oltre  a  formulare  raccomandazioni,  proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per  garantire
il  raggiungimento  di  detti  obiettivi,  colmando  cosi'  eventuali
«divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero  altresi'  tenere
conto degli sforzi  pregressi  dagli  Stati  membri  per  raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una  quota  di  energia  da  fonti  rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante  oppure  realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per  il
2020 o nell'attuazione del loro contributo  all'obiettivo  vincolante
dell'Unione di almeno il 32% di  energia  rinnovabile  nel  2030.  In
materia di energia rinnovabile, le  misure  possono  includere  anche
contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati  a  un
meccanismo  di  finanziamento  dell'energia  rinnovabile  nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire  ai  progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione,  offrendo  cosi'  agli  Stati  membri  la  possibilita'  di
contribuire al  conseguimento  dell'obiettivo  dell'Unione  al  minor
costo possibile. Gli obiettivi  degli  Stati  membri  in  materia  di
rinnovabili per  il  2020  dovrebbero  servire  come  quota  base  di
riferimento di energia rinnovabile a partire dal  2021  e  dovrebbero
essere mantenuti per tutto  il  periodo.  In  materia  di  efficienza
energetica,  le  misure  aggiuntive  possono  mirare  soprattutto   a
migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti. 
        (57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di
energia  rinnovabile  per  il  2020,  di  cui  all'allegato  I  della
direttiva (UE) 2018/2001 del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza  per  la  loro  traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che  uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo,  una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente  parte  della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo,  la  quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo  di  energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento. 
        (58) Se uno Stato  membro  non  mantiene  la  quota  base  di
riferimento  misurata  in  un  periodo  di  un  anno,  esso  dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il  divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora  abbia  effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato  conforme  ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal  momento
in cui il divario in questione si e' verificato,  sia  ai  sensi  del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]». 
    5.8.2. Il  meccanismo  di  governance  previsto  dal  regolamento
2018/1999/UE, nella formulazione conseguente alle modifiche apportate
con l'art. 2 della direttiva 2023/2413/UE, prevede, tra l'altro, che: 
        «Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e
successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica  alla
Commissione un piano nazionale integrato per  l'energia  e  il  clima
[...]» (art. 3, paragrafo 1); 
        «Ciascuno Stato membro  definisce  nel  suo  piano  nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi,  traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato  I,
sezione A, punto 2: 
          a) dimensione «decarbonizzazione»: [...] 
          2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile: 
al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota
di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art.  3,  paragrafo  1,
della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo  in  termini  di  quota
dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo  lordo
di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo  segue
una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria  indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18%  dell'aumento
totale della quota di energia da fonti  rinnovabili  tra  l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e  il
suo contributo all'obiettivo 2030.  Entro  il  2025,  la  traiettoria
indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad  almeno  il  43%
dell'aumento totale della quota di energia da fonti  rinnovabili  tra
l'obiettivo nazionale vincolante  per  il  2020  dello  Stato  membro
interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la
traiettoria indicativa raggiunge un  punto  di  riferimento  pari  ad
almeno il 65% dell'aumento totale della quota  di  energia  da  fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per  il  2020  dello
Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. 
    Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve  raggiungere  almeno
il contributo previsto  dello  Stato  membro.  Se  uno  Stato  membro
prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per  il
2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello  che  si
aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri,
nel  loro  insieme,  concorrono  al  raggiungimento  dei   punti   di
riferimento  dell'Unione  nel  2022,  2025  e  2027  e  all'obiettivo
vincolante dell'Unione per la quota di  energia  rinnovabile  per  il
2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE)  2018/2001.
Indipendentemente dal  suo  contributo  all'obiettivo  dell'Unione  e
dalla sua traiettoria indicativa ai fini  del  presente  regolamento,
uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu' ambiziosi  per
finalita' di politica nazionale» (art. 4); 
    «Nel proprio contributo alla propria quota di  energia  da  fonti
rinnovabili  nel  consumo  finale  lordo  di  energia  del   2030   e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'art. 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro  tiene
conto degli elementi seguenti: 
        a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001; 
        b) misure adottate per conseguire il traguardo di  efficienza
energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE; 
        c)  altre  misure  esistenti  volte  a  promuovere  l'energia
rinnovabile nello Stato  membro  e,  ove  pertinente,  a  livello  di
Unione; 
        d) l'obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da  fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all'allegato I
della direttiva (EU) 2018/2001; 
        e) le circostanze pertinenti che  incidono  sulla  diffusione
dell'energia rinnovabile, quali: 
          i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione; 
          ii) le condizioni economiche e il potenziale,  compreso  il
PIL pro capite; 
          iii)  il  potenziale  per  una  diffusione  delle   energie
rinnovabili efficace sul piano dei costi; 
          iv) i vincoli geografici, ambientali e  naturali,  compresi
quelli delle zone e regioni non interconnesse; 
          v) il livello di interconnessione elettrica tra  gli  Stati
membri; 
          vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi
pregressi [...] 
    2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la  somma  dei
rispettivi  contributi  ammonti   almeno   all'obiettivo   vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il  2030
di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001» (art.
5); 
    «[...] 3. Se nel settore dell'energia rinnovabile, in  base  alla
valutazione di cui all'art. 29,  paragrafi  1  e  2,  la  Commissione
conclude che uno  o  piu'  punti  di  riferimento  della  traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027,  di  cui  all'art.  29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022,
2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei  rispettivi  punti  di
riferimento nazionali  di  cui  all'art.  4,  lettera  a),  punto  2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un  anno  dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a  colmare  il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali: 
        a)  misure  nazionali  volte  ad  aumentare   la   diffusione
dell'energia rinnovabile; 
        b) l'adeguamento della quota di energia da fonti  rinnovabili
nel settore del riscaldamento e raffreddamento di  cui  all'art.  23,
paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001; 
        c) l'adeguamento della quota di energia da fonti  rinnovabili
nel settore dei trasporti di cui  all'art.  25,  paragrafo  1,  della
direttiva (UE) 2018/2001; 
        d) un  pagamento  finanziario  volontario  al  meccanismo  di
finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile  istituito  a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia  da
fonti  rinnovabili  gestiti  direttamente  o   indirettamente   dalla
Commissione, come indicato all'art. 33; 
        e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione  previsti  dalla
direttiva (UE) 2018/2001 [...]» (art. 32). 
    5.9. Come gia' esposto in precedenza, il decreto  legislativo  n.
199/2021 costituisce «Attuazione della direttiva (UE)  2018/2001  del
Parlamento europeo e del  Consiglio,  dell'11  dicembre  2018,  sulla
promozione dell'uso dell'energia da  fonti  rinnovabili»  e  si  pone
«l'obiettivo di accelerare il percorso di  crescita  sostenibile  del
Paese,  recando  disposizioni  in  materia  di   energia   da   fonti
rinnovabili,   in   coerenza   con   gli   obiettivi    europei    di
decarbonizzazione del  sistema  energetico  al  2030  e  di  completa
decarbonizzazione al 2050», definendo «gli strumenti,  i  meccanismi,
gli incentivi e il quadro  istituzionale,  finanziario  e  giuridico,
necessari per il raggiungimento degli obiettivi di  incremento  della
quota di energia da fonti rinnovabili al 2030,  in  attuazione  della
direttiva (UE) 2018/2001 e nel rispetto  dei  criteri  fissati  dalla
legge 22 aprile 2021, n. 53» (art. 1, commi 1 e 2). 
    In  vista  del  perseguimento  di  tali  finalita',  il   decreto
legislativo n. 199/2021 reca «Disposizioni necessarie  all'attuazione
delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza (di  seguito
anche:  PNRR)  in  materia   di   energia   da   fonti   rinnovabili,
conformemente al Piano nazionale integrato per l'energia e  il  clima
(di seguito anche: PNIEC), con la finalita' di individuare un insieme
di misure e strumenti coordinati,  gia'  orientati  all'aggiornamento
degli obiettivi nazionali da stabilire ai sensi del regolamento  (UE)
n. 2021/1119, con il quale  si  prevede,  per  l'Unione  europea,  un
obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di  gas  a  effetto
serra di almeno il 55 percento rispetto ai livelli del 1990 entro  il
2030» (art. 1, comma 3). 
    5.10.   Come   ripetutamente   rilevato   dalla    giurisprudenza
costituzionale (cfr., ex multis, Corte  costituzionale  sentenze  nn.
121/2022, 77/2022, 106/2020, 286/2019, 69/2018, 13/2014  e  44/2011),
la normativa eurounitaria (nonche' quella nazionale) e' ispirata  nel
suo insieme al principio fondamentale  di  massima  diffusione  delle
fonti di energia rinnovabili, che tra l'altro «trova attuazione nella
generale utilizzabilita' di tutti i terreni per l'inserimento di tali
impianti, con le  eccezioni  [...]  ispirate  alla  tutela  di  altri
interessi costituzionalmente protetti» (cfr., in  particolare,  Corte
costituzionale, sentenza n. 13/2014). 
    5.11. La disciplina originariamente contenuta  nell'art.  20  del
decreto legislativo n. 199/2021,  relativa  all'individuazione  delle
aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti  alimentati
da fonti  rinnovabili,  non  prevedeva  alcun  divieto  generalizzato
rispetto alla realizzazione di impianti FER su  terreni  classificati
come agricoli dai vigenti piani urbanistici. 
    L'art. 20, comma 3, di tale decreto, in effetti,  stabilisce  che
«nella definizione  della  disciplina  inerente  le  aree  idonee,  i
decreti di cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del
patrimonio  culturale  e  del  paesaggio,  delle  aree   agricole   e
forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando
l'utilizzo di  superfici  di  strutture  edificate,  quali  capannoni
industriali e parcheggi, nonche' di aree a destinazione  industriale,
artigianale, per servizi e logistica, e  verificando  l'idoneita'  di
aree non utilizzabili per  altri  scopi,  ivi  incluse  le  superfici
agricole non utilizzabili». 
    Tale disposizione, pur prendendo espressamente in  considerazione
l'esigenza di approntare tutela alle aree agricole, da  un  lato  non
pone alcuna preclusione assoluta all'installazione di impianti FER su
tale tipologia di siti e, dall'altro, stabilisce chiaramente  che  le
superfici agricole non utilizzabili costituiscono, tra le altre, aree
privilegiate per l'installazione degli impianti FER. 
    L'art. 20, comma 7, del decreto legislativo n. 199/2021, inoltre,
prevede che «Le aree non incluse  tra  le  aree  idonee  non  possono
essere  dichiarate  non  idonee  all'installazione  di  impianti   di
produzione  di  energia  rinnovabile,  in  sede   di   pianificazione
territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti,  in  ragione
della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee». 
    Il successivo comma 8, poi, nell'individuare transitoriamente  le
aree ritenute idonee alla installazione di impianti  FER,  stabilisce
quanto segue «fatto salvo quanto previsto alle lettere  a),  b),  c),
c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese  nel  perimetro  dei
beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22  gennaio
2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici  di  cui  all'art.
142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto,  ne'  ricadono  nella
fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della  parte
seconda oppure dell'art. 136 del medesimo decreto legislativo». 
    5.12. L'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021
ha, di contro, determinato un radicale mutamento di  regime  rispetto
all'assetto  previgente,  prevedendo   che   «L'installazione   degli
impianti  fotovoltaici  con  moduli  collocati  a  terra,   in   zone
classificate agricole dai piani urbanistici  vigenti,  e'  consentita
esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente  agli
interventi  per  modifica,  rifacimento,  potenziamento  o  integrale
ricostruzione degli impianti gia' installati, a  condizione  che  non
comportino incremento dell'area occupata, c), incluse  le  cave  gia'
oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano  di  coltivazione
terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di
discarica chiusi  ovvero  ripristinati,  c-bis),  c-bis.1)  e  c-ter,
numeri 2) e 3), del comma 8 del presente articolo. Il  primo  periodo
non  si  applica  nel  caso  di  progetti  che   prevedano   impianti
fotovoltaici  con  moduli  collocati   a   terra   finalizzati   alla
costituzione  di  una  comunita'  energetica  rinnovabile  ai   sensi
dell'art. 31  del  presente  decreto  nonche'  in  caso  di  progetti
attuativi delle altre misure di investimento del Piano  nazionale  di
ripresa e resilienza (PNRR), approvato con  decisione  del  Consiglio
ECOFIN  del  13  luglio  2021,  come  modificato  con  decisione  del
Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del Piano nazionale per  gli
investimenti complementari al  PNRR  (PNC)  di  cui  all'art.  1  del
decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti necessari  per
il conseguimento degli obiettivi del PNRR». 
    5.13. Pertanto, successivamente  alle  modifiche  introdotte  nel
decreto legislativo n. 199/2021 ad opera dell'art. 5,  comma  1,  del
decreto-legge  n.  63/2024,  gli  impianti  fotovoltaici  con  moduli
collocati a terra possono essere realizzati soltanto: 
        a) nei siti ove sono gia' installati  impianti  della  stessa
fonte,  nei  limiti  degli  interventi  di   modifica,   rifacimento,
potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata; 
        b)  presso  cave  e  miniere  cessate,   non   recuperate   o
abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le  porzioni  di
cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento; 
        c) presso i siti e gli impianti  nelle  disponibilita'  delle
societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e  dei  gestori  di
infrastrutture  ferroviarie  nonche'  delle  societa'  concessionarie
autostradali; 
        d) presso i siti e gli impianti  nella  disponibilita'  delle
societa'   di   gestione   aeroportuale   all'interno   dei    sedimi
aeroportuali; 
        e) nelle  aree  interne  agli  impianti  industriali  e  agli
stabilimenti e  in  quelle  classificate  agricole  racchiuse  in  un
perimetro i cui punti distino non piu'  di  500  metri  dal  medesimo
impianto o stabilimento; 
        f) nelle aree adiacenti  alla  rete  autostradale  entro  una
distanza non superiore a 300 metri. 
    5.14. Dalla richiamata elencazione si desume  che,  in  sostanza,
sulla generalita' dei terreni classificati agricoli (pari a circa  la
meta' della superficie del territorio italiano) risulta  preclusa  la
realizzazione di qualsiasi intervento di  installazione  di  impianti
fotovoltaici con moduli collocati  a  terra,  residuando,  di  fatto,
unicamente la possibilita' di realizzare interventi  consistenti  nel
mero rifacimento/modifica/ricostruzione di impianti  gia'  esistenti,
sempre che cio' non comporti consumo di ulteriore terreno agricolo. 
    5.15. Se e' vero che il divieto introdotto  dall'art.  20,  comma
1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 non  riguarda  i  progetti
attuativi di misure finanziate con il PNRR o il PNC, e' pur vero  che
detti  progetti  non  comprendono,  ne'  esauriscono,  tutti   quelli
necessari al  raggiungimento  dei  target  previsti  dal  PNIEC,  che
rappresenta lo strumento previsto dalla normativa eurounitaria per il
conseguimento degli obiettivi vincolanti fissati dall'Unione  europea
in relazione alla  quota  di  energia  rinnovabile  che  deve  essere
assicurata  dai  singoli  Stati  membri  nel   contesto   dell'Unione
dell'energia. 
    Gia' tale circostanza evidenzia come la previsione di un  divieto
di portata pari  a  quella  stabilita  dalla  disposizione  normativa
sospettata di incostituzionalita' rischi  di  mettere  seriamente  in
pericolo il conseguimento degli obiettivi energetici unionali. 
    L'applicazione  di  un  siffatto  divieto,  invero,  si  appalesa
suscettibile di sottrarre una larga porzione del territorio  agricolo
nazionale a ogni possibile utilizzo  della  tecnologia  fotovoltaica,
senza che siano prevedibili  e  siano  stati  vagliati  i  potenziali
effetti sul rispetto delle traiettorie stabilite in sede unionale  in
merito alla quota di energia da fonti  rinnovabili  che  deve  essere
assicurata dall'Italia. 
    Oltretutto, in considerazione dello  stato  di  attuazione  della
disciplina dettata dall'art. 20, comma 1, del decreto legislativo  n.
199/2021, nonche' degli ampi margini di flessibilita' che il  decreto
ministeriale  del  21   giugno   2024   lascia   alle   regioni   per
l'individuazione delle aree non  idonee,  l'impatto  del  divieto  in
questione risulta del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un
severo  limite  all'individuazione   delle   zone   disponibili   per
l'installazione degli impianti FER che, in  base  a  quanto  previsto
dall'art.  15-ter,  par.  1,   secondo   periodo,   della   direttiva
2018/2001/UE, devono essere commisurate «alle traiettorie  stimate  e
alla potenza totale installata pianificata delle  tecnologie  per  le
energie rinnovabili stabilite nei piani nazionali per l'energia e  il
clima presentati a norma degli articoli 3 e 14 del  regolamento  (UE)
2018/1999». 
    5.16. Peraltro, si e' gia' avuto modo di porre in  evidenza  che,
in forza  dell'art.  32  del  regolamento  2018/1999/UE,  laddove  la
Commissione europea ritenga che uno o piu' punti di riferimento della
traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e  2027  non  siano
stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e 2027 risultino
al di sotto di  uno  o  piu'  dei  rispettivi  punti  di  riferimento
nazionali, saranno interessati dall'esercizio degli specifici  poteri
della Commissione europea. 
    Tali Stati, in particolare, entro un anno dalla valutazione della
Commissione europea saranno tenuti ad adottare  misure  supplementari
(art. 32, paragrafo 3, del regolamento 2018/1999/UE), tra le quali e'
incluso anche il pagamento finanziario volontario  al  meccanismo  di
finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile  istituito  a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia  da
fonti  rinnovabili  gestiti  direttamente  o   indirettamente   dalla
Commissione. 
    La sottrazione  indiscriminata  di  larga  parte  del  territorio
nazionale  all'utilizzo  della  tecnologia  fotovoltaica  con  moduli
collocati  a  terra,  laddove  si   risolva   in   un   ostacolo   al
raggiungimento degli obiettivi dell'Unione dell'energia, potrebbe far
sorgere in capo allo Stato  italiano  l'obbligo  di  adottare  misure
supplementari, il cui impatto sulle finanze  pubbliche  potrebbe  non
essere trascurabile. 
    Giova, inoltre, evidenziare che la  mera  adozione  delle  misure
supplementari richieste dalla Commissione europea potrebbe non essere
sufficiente  a  riallineare  lo  Stato  italiano  sulle   traiettorie
unionali in tema di energia rinnovabile, come risulta  dall'art.  32,
paragrafo 2, secondo capoverso, del regolamento 2018/1999/UE, a mente
del quale «Qualora le misure nazionali  risultino  insufficienti,  la
Commissione, se opportuno, propone misure ed esercita i propri poteri
a livello unionale in aggiunta a  tali  raccomandazioni  al  fine  di
assicurare,  in   particolare,   il   conseguimento   del   traguardo
dell'Unione al 2030 sul versante dell'energia rinnovabile». 
    5.17. Il  divieto  introdotto  dall'art.  20,  comma  1-bis,  del
decreto legislativo n.  199/2021,  inoltre,  appare  porsi  anche  in
contrasto con un ulteriore principio di matrice unionale. 
    In particolare, nell'ambito del processo di individuazione  delle
zone necessarie per i contributi nazionali all'obiettivo  complessivo
dell'Unione al 2030 sul versante dell'energia rinnovabile,  viene  in
rilievo  il  disposto  di  cui  all'art.   15-ter   della   direttiva
2018/2001/UE, a mente del quale «Gli Stati membri  favoriscono  l'uso
polivalente delle zone di cui al paragrafo 1. I progetti  in  materia
di energia rinnovabile sono compatibili con gli usi  preesistenti  di
tali zone» (art. 15-ter, paragrafo 3). 
    Come gia' rilevato in precedenza,  il  considerando  27  di  tale
direttiva  precisa  che  «Gli  Stati  membri  dovrebbero   esplorare,
consentire e favorire l'uso  polivalente  delle  zone  individuate  a
seguito delle misure di pianificazione territoriali adottate.  A  tal
fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino, ove  necessario,
i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche' i diversi usi  e
attivita' siano compatibili tra di loro e possano coesistere». 
    Il divieto introdotto dalla disposizione normativa sospettata  di
incostituzionalita' nell'ambito  del  presente  giudizio  istituisce,
invece, un  insanabile  conflitto  tra  l'utilizzo  della  tecnologia
fotovoltaica con moduli collocati a terra e l'uso del  suolo  a  fini
agricoli che il legislatore ha risolto in radice, vietando in maniera
generalizzata l'installazione in area  agricola  degli  impianti  FTV
caratterizzati da tale tecnologia. 
    5.18. Ad avviso del Collegio,  il  divieto  in  questione,  nella
misura in cui e' suscettibile di ostacolare il  raggiungimento  degli
obiettivi di potenza  installata  delle  tecnologie  per  le  energie
rinnovabili,  si  pone  anche  in  posizione  critica  rispetto  alla
strategia  di  adattamento  ai  cambiamenti   climatici   dell'Unione
europea. 
    Come  precedentemente  ricordato,  ai  sensi  dell'art.   5   del
regolamento 2021/1119/UE «Le istituzioni competenti dell'Unione e gli
Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento della
capacita' di adattamento, nel rafforzamento della resilienza e  nella
riduzione  della   vulnerabilita'   ai   cambiamenti   climatici   in
conformita' dell'art. 7 dell'accordo di  Parigi».  Tali  istituzioni,
inoltre,  «garantiscono  [...]  che  le  politiche  in   materia   di
adattamento nell'Unione e  negli  Stati  membri  siano  coerenti,  si
sostengano reciprocamente, comportino  benefici  collaterali  per  le
politiche  settoriali   e   si   adoperino   per   integrare   meglio
l'adattamento  ai  cambiamenti  climatici  in  tutti  i  settori   di
intervento, comprese le  pertinenti  politiche  e  azioni  in  ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione». 
    5.18.1. In proposito, giova rilevare che la Commissione  europea,
con la Comunicazione COM(2021)82 final, relativa alla nuova Strategia
dell'Unione europea per l'adattamento ai  cambiamenti  climatici,  ha
affermato che «Il  Green  Deal  europeo,  la  strategia  di  crescita
dell'UE per un futuro sostenibile, si basa sulla  consapevolezza  che
la trasformazione verde e' un'opportunita' e che la mancata azione ha
un costo enorme. Con esso l'UE ha mostrato la propria leadership  per
scongiurare lo scenario peggiore  -  impegnandosi  a  raggiungere  la
neutralita' climatica - e prepararsi al meglio - puntando  ad  azioni
di adattamento piu' ambiziose che si fondano sulla strategia  dell'UE
di adattamento del 2013. La visione a lungo termine prevede  che  nel
2050 l'UE sara' una societa' resiliente ai cambiamenti climatici, del
tutto adeguata agli inevitabili impatti  dei  cambiamenti  climatici.
Cio' significa che entro il 2050, anno in cui l'Unione aspira ad aver
raggiunto la neutralita' climatica, avremo rafforzato la capacita' di
adattamento e ridotto al minimo la vulnerabilita'  agli  effetti  dei
cambiamenti climatici, in linea con l'accordo  di  Parigi  e  con  la
proposta di legge europea sul clima». 
    Il  raggiungimento  dei  target  di  potenza   installata   delle
tecnologie  rinnovabili  costituisce,   all'evidenza,   un   elemento
centrale  per  conseguire  nel  lungo   termine   l'obiettivo   della
neutralita' climatica, che viene posto seriamente a  rischio  da  una
disciplina,  quale   quella   censurata,   che   vieta   in   maniera
generalizzata sulla quasi totalita' del territorio agricolo nazionale
l'installazione di impianti FER dotati di tecnologia fotovoltaica con
pannelli collocati a terra. 
    5.19. Il divieto in questione, peraltro, appare  anche  porsi  in
contrasto con il principio di integrazione sancito dall'art.  11  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dall'art.  37  della
Carta di Nizza, sulla scorta del quale «Le esigenze connesse  con  la
tutela dell'ambiente devono  essere  integrate  nella  definizione  e
nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in  particolare
nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile». 
    Come noto, l'integrazione ambientale in tutti i settori  politici
pertinenti  (agricoltura,  energia,  pesca,   trasporti,   ecc.)   e'
funzionale a  ridurre  le  pressioni  sull'ambiente  derivanti  dalle
politiche e dalle attivita' di altri settori e  per  raggiungere  gli
obiettivi ambientali e climatici. 
    Il divieto introdotto dall'art.  20,  comma  1-bis,  del  decreto
legislativo n. 199/2021 all'interno di un corpo normativo finalizzato
a  dare  attuazione,  nell'ordinamento   giuridico   italiano,   alle
previsioni della direttiva 2018/2001/UE sulla promozione dell'uso  di
energia  da  fonti  rinnovabili,  quale  obiettivo   della   politica
energetica dell'Unione europea, appare violare l'art. 117,  comma  1,
della Costituzione anche per le seguenti ragioni: 
        si inserisce nel complesso delle previsioni dell'art. 20  del
decreto legislativo n. 199/2021 quale corpo tendenzialmente estraneo,
tant'e'  che   le   relative   previsioni   non   risultano   neppure
adeguatamente coordinate con il resto dell'articolato  normativo  (si
consideri, ad esempio, il comma 3 del medesimo art. 20,  nella  parte
in cui prevede che  con  i  decreti  di  cui  al  comma  1  si  debba
verificare, tra l'altro, "l'idoneita' di aree  non  utilizzabili  per
altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili"); 
        il divieto in parola presenta una valenza assoluta, in quanto
il  legislatore  non  ha  istituito   alcuna   forma   di   possibile
bilanciamento tra i  contrastanti  valori  in  gioco.  In  tal  modo,
invero, e' stata sancita una insuperabile  prevalenza  dell'interesse
alla conservazione dello stato dei luoghi  dei  terreni  classificati
come aree  agricole,  del  tutto  sganciata  da  una  valutazione  in
concreto  della  effettiva  utilizzabilita'  di  tali  aree  a   fini
agricoli. Non puo', pertanto, mancarsi di rilevare, che  tale  scelta
legislativa risulta innesta una contraddizione  interna  al  medesimo
decreto legislativo n. 199/2021, appalesandosi antitetica rispetto al
perseguimento dell'obiettivo normativo per  il  quale  lo  stesso  e'
stato emanato, dato dalla promozione dell'uso dell'energia  da  fonti
rinnovabili. 
    Tali ulteriori considerazioni rafforzano, ad avviso del Collegio,
il sospetto di incostituzionalita' dell'art.  20,  comma  1-bis,  del
decreto legislativo n. 199/2021, avvalorando come l'introduzione  del
contestato divieto si ponga in contrasto  con  la  cornice  normativa
europea in materia di Unione dell'energia. 
    6. Il  Collegio  ritiene,  inoltre,  che  il  divieto  introdotto
dall'art. 5 del  decreto-legge  n.  63/2024  appaia  anche  porsi  in
contrasto con il principio di proporzionalita' discendente  dall'art.
3 della Costituzione, anche  tenuto  conto,  stante  le  specificita'
della fattispecie in esame, di  quanto  previsto  dagli  articoli  15
(nella parte che stabilisce che le disposizioni  normative  nazionali
che regolano  le  procedure  di  autorizzazione  degli  impianti  FER
debbano essere proporzionate, necessarie e contribuire all'attuazione
del principio di priorita' della efficienza energetica) e  16-septies
(nella parte in cui si prevede che nelle procedure di rilascio  delle
autorizzazioni,  gli  impianti  FER  sono  considerati  di  interesse
pubblico prevalente) della direttiva (UE) 2018/2001. 
    6.1. In proposito, occorre innanzitutto porre in evidenza che  la
Corte di giustizia dell'Unione europea ha piu' volte ribadito che «il
principio di proporzionalita' e' un principio  generale  del  diritto
comunitario  che  dev'essere   rispettato   tanto   dal   legislatore
comunitario quanto dai legislatori e  dai  giudici  nazionali»  (cfr.
CGUE,  Sezione  Quinta,  sentenza  dell'11  giugno  2009,  in   causa
C-170/08, H. J. Nijemeisland contro Minister van Landbouw, Natuur  en
Voedselkwaliteit,  par.  41).  Il   sindacato   di   proporzionalita'
costituisce, inoltre, un  aspetto  del  controllo  di  ragionevolezza
delle  leggi  condotto  dalla  giurisprudenza  costituzionale,   onde
verificare che il bilanciamento  degli  interessi  costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da  determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva  e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. 
    Come la  stessa  Corte  costituzionale  ha  gia'  avuto  modo  di
precisare "Tale  giudizio  deve  svolgersi  «attraverso  ponderazioni
relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal  legislatore
nella  sua  insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle  esigenze
obiettive da soddisfare o  alle  finalita'  che  intende  perseguire,
tenuto conto delle  circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente
sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalita'
utilizzato  da  questa  Corte  come  da  molte  delle   giurisdizioni
costituzionali europee, spesso insieme con quello di  ragionevolezza,
ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell'Unione  europea
per  il  controllo  giurisdizionale  di   legittimita'   degli   atti
dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare  se  la  norma
oggetto di scrutinio, con la misura e le  modalita'  di  applicazione
stabilite, sia necessaria e  idonea  al  conseguimento  di  obiettivi
legittimamente perseguiti, in quanto, tra  piu'  misure  appropriate,
prescriva  quella  meno  restrittiva  dei  diritti  a   confronto   e
stabilisca oneri non  sproporzionati  rispetto  al  perseguimento  di
detti obiettivi" (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 1/2014). 
    6.2. Giova, poi, evidenziare che la misura censurata consiste  in
un divieto generalizzato e sostanzialmente assoluto all'utilizzo,  su
un'ampia  parte  del  territorio  nazionale,   di   una   determinata
tecnologia di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. 
    Si tratta di una soluzione del tutto diversa  rispetto  a  quella
adottata in funzione di tutela di tutti gli altri valori che  entrano
in bilanciamento con il principio di massima diffusione  delle  fonti
rinnovabili:   le   esigenze   di   tutela    dell'ambiente,    della
biodiversita', dei beni culturali e  del  paesaggio  passa,  infatti,
attraverso  l'individuazione  di  aree  non  idonee  che,   come   in
precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi'  zone  in
cui, in ragione delle esigenze di protezione in  concreto  esistenti,
e' altamente verosimile che si approdi a un esito negativo  dell'iter
di autorizzazione, relativamente alla valutazione  di  compatibilita'
ambientale dei progetti che interessano tali aree. 
    Cio', peraltro, non osta  alla  possibilita'  di  verificare,  in
concreto  e  nell'ambito  dei  singoli  procedimenti   autorizzativi,
l'effettiva  compatibilita'  degli  interventi   proposti   con   gli
ulteriori e confliggenti interessi pubblici. 
    Di contro, l'art. 20, comma 1-bis,  del  decreto  legislativo  n.
199/2021, introduce un divieto di tale portata che  risulta  preclusa
in radice la possibilita',  per  le  amministrazioni  procedenti,  di
operare un bilanciamento tra  i  contrapposti  interessi  in  giuoco.
Infatti,  risulta  gia'  stata  affermata  a  monte,  da  parte   del
legislatore, la prevalenza assoluta e  incondizionata  dell'interesse
alla conservazione dei suoli  classificati  agricoli,  rispetto  alla
possibile funzionalizzazione degli stessi  al  soddisfacimento  delle
esigenze energetiche correlate con gli obiettivi assunti  dall'Italia
a livello unionale. 
    6.3. Il contestato divieto trova  applicazione  a  partire  dalla
mera classificazione di  un'area  come  agricola  in  base  ai  piani
urbanistici, senza che alcuna rilevanza possa a tal fine assumere  il
suo utilizzo, concreto o potenziale, a fini agricoli. 
    Anche per tale ragione la  disposizione  normativa  in  questione
sembra caratterizzata da  irragionevolezza  e  non  proporzionalita',
atteso che la dichiarata finalita' di contrastare il consumo di suolo
agricolo  non  e'  riscontrabile  (o  quantomeno  non   nei   termini
incondizionati e assoluti previsti da tale norma) in  relazione  alle
superfici agricole non utilizzabili o degradate. 
    Manca, inoltre,  qualsivoglia  considerazione  della  qualita'  e
dell'importanza  delle  colture  eventualmente  praticate  sui  suoli
interdetti all'installazione degli impianti FTV con moduli  collocati
a terra. 
    6.4. Vale, poi, richiamare quanto previsto nelle Linee  Guida  di
cui al decreto ministeriale del  10  settembre  2010,  in  base  alle
quali: 
        le zone classificate agricole dai vigenti  piani  urbanistici
non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei; 
        l'individuazione delle aree e dei siti non  idonei  non  puo'
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela  dell'ambiente,  del  paesaggio  e  del  patrimonio
storico-artistico, ne'  tradursi  nell'identificazione  di  fasce  di
rispetto di dimensioni non  giustificate  da  specifiche  e  motivate
esigenze  di  tutela.  La  tutela  di  tali  interessi   e'   infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore  ed  affidate
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche,  alle
regioni, agli enti  locali  ed  alle  autonomie  funzionali  all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno  del  procedimento
unico e della procedura di Valutazione  dell'impatto  ambientale  nei
casi previsti; 
        le regioni possono procedere ad indicare come aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree
particolarmente  sensibili  e/o   vulnerabili   alle   trasformazioni
territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da
produzioni agricolo-alimentari di  qualita'  (produzioni  biologiche,
produzioni  D.O.P.,  I.G.P.,  S.T.G.,  D.O.C.,  D.O.C.G.,  produzioni
tradizionali)  e/o  di  particolare  pregio  rispetto   al   contesto
paesaggistico culturale, anche con riferimento alle aree, se previste
dalla  programmazione   regionale,   caratterizzate   da   un'elevata
capacita' d'uso del suolo. 
    6.5. Siffatte previsioni si pongono nel solco  delle  indicazioni
emergenti in sede europea,  per  cui  «Gli  Stati  membri  dovrebbero
limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui  non  puo'
essere sviluppata l'energia rinnovabile ("zone di esclusione").  Essi
dovrebbero fornire informazioni chiare e  trasparenti,  corredate  di
una giustificazione motivata, sulle restrizioni dovute alla  distanza
dagli abitati e dalle zone dell'aeronautica  militare  o  civile.  Le
restrizioni dovrebbero essere basate su dati concreti e concepite  in
modo  da  rispondere   allo   scopo   perseguito   massimizzando   la
disponibilita' di spazio per lo  sviluppo  dei  progetti  di  energia
rinnovabile, tenuto  conto  degli  altri  vincoli  di  pianificazione
territoriale»  (cfr.  la   raccomandazione   (UE)   2024/1343   della
Commissione del 13 maggio  2024  sull'accelerazione  delle  procedure
autorizzative  per  l'energia  da  fonti  rinnovabili  e  i  progetti
infrastrutturali correlati). 
    La disciplina posta dall'art. 5 del decreto-legge  n.  63/2024  e
poi confluita nell'art. 20, comma 1-bis, del decreto  legislativo  n.
199/2021 si traduce, invece, nell'esatto opposto, ponendo un  divieto
che massimizza le zone di esclusione, che non risulta fondato su dati
concreti e che appare porsi in patente  contrasto  con  l'obietto  di
massimizzazione della disponibilita' di spazio per  lo  sviluppo  dei
progetti correlati con la produzione di energia da fonte rinnovabile. 
    6.6. Il  contestato  deficit  di  proporzionalita'  della  misura
introdotta  dall'art.  5  del  decreto-legge  n.  63/2024,  peraltro,
risulta avvalorato dal fatto che il divieto in questione impedisce di
considerare di interesse pubblico prevalente  gli  impianti  FTV  con
pannelli collocati a terra da realizzare in area agricola, senza  che
per tale tipologia di area sia stata  prevista  la  non  applicazione
dell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 190/2024 secondo  le
modalita', provvedimentali e procedurali, previste dall'art. 3, comma
2, del decreto legislativo n. 190/2024. 
IV.   Sulla   non   rilevanza   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale prospettate con il quinto motivo di ricorso. 
    7. Le societa' ricorrenti, con il quinto motivo di ricorso, hanno
prospettato   l'illegittimita'   costituzionale   dell'art.   5   del
decreto-legge n. 63/2024 per violazione degli articoli 10, 41  e  117
della Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale
n. 1 della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  e  per  violazione   del
principio del legittimo affidamento. 
    Ad avviso del Collegio la questione  prospettata  dalle  societa'
ricorrenti non risulta rilevante nel caso di specie in  quanto  dette
societa' non hanno dimostrato in  giudizio  di  avere  effettivamente
acquisito la proprieta' dei terreni agricoli sui quali  realizzare  i
propri progetti. Le stesse, infatti, si sono  solo  limitate,  da  un
lato, ad  affermare  di  essere  «titolari  di  impianti  in  via  di
autorizzazione (in larga parte agrivoltaici) con procedimenti  ancora
pendenti» (cfr. pag. 4 del  ricorso)  e,  dall'altro,  a  produrre  i
contratti preliminari di compravendita di terreni agricoli  da  parte
della Elements Green Artemide S.r.l., stipulati  in  data  1°  agosto
2024 e registrati in data 7 agosto 2024, ma soggetti alla  condizione
risolutiva dell'esercizio del diritto  di  prelazione  da  parte  dei
coltivatori diretti proprietari di terreni agricoli confinanti,  come
risulta dalla nota di trascrizione del 12 agosto 2024,  pure  versata
in atti. 
    Le societa' ricorrenti, ivi inclusa la  Elements  Green  Artemide
S.r.l., non hanno depositato in atti  i  contratti  di  compravendita
degli immobili interessati dalla realizzazione degli impianti FER  di
cui  assumono  essere  titolari,  onere  dimostrativo  su   di   esse
incombenti in virtu' del  principio  di  vicinanza  della  prova  che
concorre a delineare l'assetto giuridico inerente alla  distribuzione
degli oneri probatori nel processo amministrativo, scolpito dall'art.
64  c.p.a.,  in  base  al  quale  il  soggetto   gravato   dall'onere
dimostrativo e' quello nella cui  sfera  giuridica  si  riferisce  o,
comunque, e' piu' prossimo il fatto  da  provare  (cfr.,  ex  multis,
Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 9877 del  9  dicembre  2024;  Cons.
Stato, sez. VI, sentenza n. 2187 del 5 marzo 2024). 
    7.1. Per le medesime ragioni,  risulta  non  rilevante  anche  la
questione di legittimita' costituzionale per  lesione  del  principio
del legittimo affidamento, vieppiu' con riguardo alla societa'  Green
Elements Artemide a r.l.,  atteso  che  i  soprarichiamati  contratti
preliminari  di  compravendita  dei  terreni  agricoli   sono   stati
stipulati successivamente  alla  entrata  in  vigore  del  contestato
divieto normativo. 
V. Sulla  manifesta  infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale prospettate con il sesto motivo di ricorso. 
    8. Il Collegio ritiene, invece, che sia manifestamente  infondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   5   del
decreto-legge n. 63/2024 per violazione degli articoli 3, 101  e  102
del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea («TFUE»),  nonche'
del protocollo n. 27 sul mercato  interno  e  la  concorrenza  (sesto
motivo di ricorso) - peraltro, il riferimento all'art. 3 Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea non risulta  corretto,  essendo  il
parametro  di  riferimento  rilevante  ai  fini  della  questione  di
legittimita' costituzionale  prospettata  dalle  societa'  ricorrenti
l'art. 3, paragrafo 3,  del  Trattato  sull'Unione  europea,  che  fa
riferimento  alla  instaurazione  di  un  «mercato  interno»  e  allo
sviluppo sostenibile dell'Europa  basato  anche  «su  un'economia  di
mercato  fortemente  competitiva»,  espressamente  richiamato   anche
dall'invocato  protocollo  n.  27  sul  mercato   interno   e   sulla
concorrenza, nella parte in cui si afferma che «il mercato interno ai
sensi dell'art. 3  del  Trattato  sull'Unione  europea  comprende  un
sistema che assicura che  la  concorrenza  non  sia  falsata»  -.  In
proposito, vale innanzitutto evidenziare che gli articoli 101  e  102
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dettano la  disciplina
eurounitaria di difesa della concorrenza dalle condotte,  unilaterali
o coordinate, di impresa. Una siffatta  disciplina,  quindi,  non  e'
suscettibile  di  trovare  applicazione  nelle  ipotesi  in  cui  una
eventuale  restrizione  della  concorrenza  nel  mercato  unico   sia
direttamente   riconducibile   a   misure   statali   di    carattere
amministrativo  o  normativo,  che  si  situano   fuori   dall'ambito
oggettivo di applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE. 
    Cio',   invero,   si   ricava    direttamente    dagli    arresti
giurisprudenziali della Corte di giustizia dell'Unione  europea,  che
spinta dall'esigenza di dare piena attuazione ai suddetti precetti in
ossequio al principio dell'effetto utile del diritto  unionale  (cfr.
CGUE, sentenza del 6 ottobre 1970, in causa C-9/70, Franz Grad contro
Finanzamt Traunstein,  in  Racc.  1970/825;  CGUE,  sentenza  del  22
settembre 1988, in causa C-187/87, Saarland et al. contro Ministre de
l'Industrie, des P et T et du Tourisme et  al.,  par.  19,  in  Racc.
1988/5013; CGUE, sentenza del 14 ottobre 1999, in  causa  C-  223/98,
Adidas AG, par. 24, in Racc. 1999/I/7081),  ha  si'  coniato  in  via
pretoria  un  parametro  di  legittimita'  ad  hoc  per  valutare  la
compatibilita' delle misure statali con il diritto antitrust di rango
unionale (cfr., in particolare, CGUE, sentenza del 10  gennaio  1985,
in causa C-229/83,  Association  des  Centres  distributeurs  Edouard
Leclerc at al. contro Sarl "Au ble' vert" et al., par. 20,  in  Racc.
1985/1; CGUE, sentenza del 21  settembre  1988,  in  causa  C-267/86,
Pascal Van Eycke contro Aspa SA,  par.  20,  in  Racc.  1988/4769)  -
costituito   dal   combinato   disposto   degli   articoli   85,   86
(corrispondenti ai vigenti articoli 101  e  102  TFUE),  3,  par.  1,
lettera f) (che fissava l'obiettivo programmatico della creazione  di
un «regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata  nel
mercato interno») e  5  (che  prevedeva  che  «Gli  Stati  membri  si
astengono  da  qualsiasi  misura  che  rischi  di  compromettere   la
realizzazione  degli  scopi  del  presente  Trattato»)  del  Trattato
istitutivo della Comunita' economica europea  («TCEE»)  -  ma  ne  ha
limitato l'applicabilita' alle sole situazioni nelle quali le  misure
statali restrittive della  concorrenza  siano  collegate  a  precipue
condotte anticoncorrenziali poste in essere dalle imprese (cfr. CGUE,
sentenza del 17 novembre 1993, in causa C-2/91, Wolf  W.  Meng,  par.
14, in Racc. 1993/I/5751; CGUE, sentenza del  17  novembre  1993,  in
causa C-185/91, Bundesanstalt für den Güterfernverkehr  contro  Gebr.
Reiff GmbH & Co. KG., par. 14, in Racc. 1993/I/5801). 
    La Corte di giustizia dell'Unione europea ha, poi,  ulteriormente
delineato quali siano i parametri valutativi rilevanti ai fini  dello
scrutinio delle misure pubbliche  ai  sensi  del  combinato  disposto
degli articoli 3, 5, 85 e 86 TCEE, statuendo, in relazione a un  caso
correlato con la possibile realizzazione di  una  intesa  restrittiva
della  concorrenza  ai  sensi  dell'allora  vigente  art.   85   TCEE
(corrispondente al successivo art. 81 TCE e al vigente art. 101 TFUE)
che  «anche  se,  di  per  se',  l'art.  85  del  Trattato   riguarda
esclusivamente la  condotta  delle  imprese  e  non  le  disposizioni
legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, e'  pur  vero
che detto articolo, in combinato disposto con l'art. 5 del  Trattato,
fa obbligo agli Stati membri di non adottare o  mantenere  in  vigore
provvedimenti, anche  di  natura  legislativa  o  regolamentare,  che
possano rendere praticamente  inefficaci  le  regole  di  concorrenza
applicabili alle  imprese  [...].  Ricorre  in  particolare  siffatta
ipotesi allorquando uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione
di accordi in contrasto con l'art. 85,  o  rafforzi  gli  effetti  di
siffatti accordi, ovvero  qualora  privi  la  propria  normativa  del
carattere statuale che le e' proprio, demandando  la  responsabilita'
di adottare decisioni d'intervento in materia economica ad  operatori
privati [...]» (cfr. CGUE, sentenza del  18  giugno  1998,  in  causa
C-35/96,  Commissione  delle  Comunita'  europee  contro   Repubblica
italiana, parr. 53-54, in Racc. 1998/I/3851). 
    Considerato che il contestato divieto contenuto nell'art.  5  del
decreto-legge n. 63/2024 non impone, ne' agevola, la  commissione  di
condotte,  unilaterali  o  coordinate,  d'impresa  restrittive  della
concorrenza, non risulta che  tale  misura  statale  costituisca  una
violazione, da parte dello Stato italiano, degli obblighi discendenti
dal diritto eurounionale in materia di concorrenza, poiche' non  puo'
predicarsi, alla luce dei parametri sovranazionali  che  le  societa'
ricorrenti   assumono   essere   stati    violati    (sostanzialmente
riconducibili  al  parametro  pretorio  individuato  dalla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea nelle pronunce innanzi menzionate), che
la disposizione legislativa di diritto interno di cui si  tratta  sia
di per se' idonea a falsare la concorrenza nel mercato interno in una
forma che si ponga in contrasto  con  il  vigente  assetto  normativo
sovranazionale  e,  quindi,  con   l'art.   117,   comma   1,   della
Costituzione. 
    8.1. Il  Collegio,  ad  abundantiam,  evidenzia  che  il  divieto
introdotto con l'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 neppure si ponga
in contrasto con la disciplina unionale di difesa  della  concorrenza
rivolta agli Stati membri, vale a dire con gli articoli 106 e  107  e
ss. TFUE, posto che lo stesso non si risolve in una misura tesa  alla
concessione o al mantenimento di  diritti  speciali  o  esclusivi  in
favore delle imprese pubbliche, ne'  compromette  lo  sviluppo  degli
scambi in misura contraria  agli  interessi  dell'Unione  europea  in
relazione alla posizione delle imprese incaricate della  gestione  di
servizi  di  interesse  economico  generale  o  aventi  carattere  di
monopolio  fiscale,  ne'  infine  costituisce  un  aiuto   di   stato
incompatibile con il mercato interno. 
    8.2. Il Collegio,  infine,  ritiene  che  il  contestato  divieto
neppure dia luogo ad alcuna discriminazione degli operatori economici
italiani rispetto a quelli transfrontalieri, venendo in  rilievo  una
misura c.d. indistintamente applicabile e non essendo  proibita,  per
effetto  di  tale  misura,   l'operativita'   transfrontaliera   agli
operatori  di  diritto  interno  che,  pertanto,  con  riguardo  alla
produzione  di  energia  da  fonti   rinnovabili   (con   particolare
riferimento  a  quella  prodotta  mediante  impianti  fotovoltaici  e
agrivoltaici) risultano  liberi  di  operare  senza  limitazioni,  in
regime  di  stabilimento  o  di  libera   prestazione   di   servizi,
all'interno del mercato unico. 
VI. Le  questioni  di  costituzionalita'  da  sottoporre  alla  Corte
costituzionale. 
    9. Il Collegio, sulla scorta di tutte le considerazioni  sino  ad
ora  esposte,  ritiene  che  siano  rilevanti  e  non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale prospettate nel
presente giudizio in relazione all'art. 20, comma 1-bis, del  decreto
legislativo n. 199/2021, come introdotto dall'art. 5,  comma  1,  del
decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n.  101/2024.  Il  Collegio,  in  particolare,  sospetta   che   tale
disposizione  normativa  si  ponga  in  contrasto  con   il   dettato
costituzionale, per aver introdotto un divieto  all'installazione  in
area agricola di impianti fotovoltaici con moduli collocati  a  terra
che appare contrario agli articoli  3,  11  e  117,  comma  1,  della
Costituzione, anche in relazione ai principi espressi dalla direttiva
(UE) 2018/2001 e dal  regolamento  (UE)  2018/1999,  come  modificati
dalla  direttiva  (UE)  2023/2413,  nonche'  dal   regolamento   (UE)
2021/1119. 
    9.1. Le sollevate questioni di costituzionalita' vanno  del  pari
riferite all'art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto  legislativo
25  novembre  2024,  n.   190,   recante   «Disciplina   dei   regimi
amministrativi per la produzione di energia  da  fonti  rinnovabili»,
laddove prevede che «Gli interventi di cui all'art. 1, comma 1,  sono
considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti  e  possono
essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti  piani
urbanistici, nel rispetto  di  quanto  previsto  all'art.  20,  comma
1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199». 
    Tale  disposizione  normativa,  infatti,  riproduce  il   divieto
sancito  dall'art.  20,  comma  1-bis,  del  decreto  legislativo  n.
199/2021. 
VII. Conclusioni. 
    10. In definitiva, sulla scorta delle anzidette considerazioni: 
        il primo, secondo e terzo motivo  di  ricorso  devono  essere
dichiarati inammissibili per  carenza  di  interesse  delle  societa'
ricorrenti a contestare la legittimita' delle impugnate  disposizioni
del decreto legislativo n. 199/2021; 
        le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  5  del
decreto-legge n. 63/2004 prospettate con il quinto e il sesto  motivo
di ricorso devono essere dichiarate non  rilevanti  e  manifestamente
infondate; 
        risultano, invece, rilevanti e non  manifestamente  infondate
le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  20,  comma
1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, come introdotto dall'art.
5,  comma  1,  del  decreto-legge   n.   63/2024,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per violazione degli articoli
3 e 117, comma 1, della Costituzione, anche in relazione ai  principi
espressi dalla  direttiva  (UE)  2018/2001  e  dal  regolamento  (UE)
2018/1999, come modificati dalla direttiva  (UE)  2023/2413,  nonche'
dal regolamento (UE) 2021/1119. 
    10.1. Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo  1953,
n.  87,  il  presente  giudizio  e'  sospeso  fino  alla  definizione
dell'incidente di costituzionalita'. 
    10.2. Ai sensi dell'art. 23, commi 4 e 5, della  legge  11  marzo
1953, n.  87,  la  presente  sentenza  sara'  comunicata  alle  parti
costituite, notificata al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e
comunicata anche al Presidente  del  Senato  della  Repubblica  e  al
Presidente della Camera dei deputati. 
    10.3. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine
alle spese resta riservata alla  decisione  definitiva  del  presente
giudizio. 

 
                               P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso,  come  in  epigrafe
proposto: 
        a) dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso; 
        b) dichiara  non  rilevanti  e  manifestamente  infondate  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 20,  comma  1-bis,
del decreto legislativo n. 199/2021,  come  introdotto  dall'art.  5,
comma 1, del decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 101/2024, per violazione degli articoli 10 e 117 della
Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo n. 1  alla  CEDU,
per  violazione  dell'art.  41  della   Costituzione,   nonche'   per
violazione dell'art. 117  della  Costituzione  per  violazione  degli
articoli 3, 101 e 102  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea  e  del  protocollo  n.  27  sul  mercato  interno  e   sulla
concorrenza; 
        c) dichiara rilevanti e  non  manifestamente  infondate,  nei
termini  espressi  in  motivazione,  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo  n.
199/2021, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo  periodo,  del  decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli 3 e 117, comma
1, della Costituzione, anche in relazione ai principi espressi  dalla
direttiva (UE) 2018/2001  e  dal  regolamento  (UE)  2018/1999,  come
modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413,  nonche'  dal  regolamento
(UE) 2021/1119; 
        d) sospende il giudizio  per  le  determinazioni  conseguenti
alla definizione dell'incidente  di  costituzionalita'  e,  ai  sensi
dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,   dispone   la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        e) dispone la  comunicazione  della  presente  sentenza  alle
parti in causa,  nonche'  la  sua  notificazione  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della  Repubblica  e
al Presidente della Camera dei deputati; 
        f) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito  del  giudizio
incidentale promosso con la presente sentenza. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'Autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso in Roma nella  Camera  di  consiglio  del  giorno  7
maggio 2025 con l'intervento dei magistrati: 
        Elena Stanizzi, Presidente; 
        Giovanna Vigliotti, primo referendario; 
        Luca Biffaro, referendario, estensore. 
 
                       Il Presidente: Stanizzi 
 
 
                                                 L'estensore: Biffaro