Reg. ord. n. 178 del 2025 pubbl. su G.U. del 01/10/2025 n. 40
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio del 11/08/2025
Tra: Elements Green Atena srl e altri C/ Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri
Oggetto:
Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al d.lgs. n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 – Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del d.lgs. n. 199 del 2021 – Denunciata disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea e con la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici nonché con l’obiettivo complessivo dell’Unione europea al 2030 – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Divieto di valenza assoluta non avendo il legislatore istituito alcun possibile bilanciamento tra i contrastanti interessi in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, sganciata da una valutazione concreta dell’effettiva utilizzabilità di tali aree a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Norme impugnate:
decreto legislativo del 08/11/2021 Num. 199 Art. 20 Co. 1
decreto-legge del 15/05/2024 Num. 63 Art. 5 Co. 1
legge del 12/07/2024 Num. 101
decreto legislativo del 25/11/2024 Num. 190 Art. 2 Co. 2
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 11 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
regolamento UE Art. Co.
regolamento UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
Testo dell'ordinanza
N. 178 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 agosto 2025
Ordinanza dell'11 agosto 2025 del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Elements Green Atena S.r.l. e
altri contro Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e
altri.
Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Modifiche al
d.lgs. n. 199 del 2021 - Disposizioni finalizzate a limitare l'uso
del suolo agricolo - Previsione che l'installazione degli impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita
esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente
agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o
integrale ricostruzione degli impianti gia' installati, a
condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c),
incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e quelle con
piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonche' le
discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati,
c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell'art.
20 del d.lgs. n. 199 del 2021 - Previsione che il primo periodo del
comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto legislativo non si applica
nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto
nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di
investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR
(PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli
obiettivi del PNRR - Disciplina dei regimi amministrativi per la
produzione di energia da fonti rinnovabili - Previsione che gli
interventi di cui all'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 190 del 2024
sono considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e
possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai
vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art.
20, comma 1-bis, del d.lgs. n. 199 del 2021.
- Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (Attuazione della
direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio,
dell'11 dicembre 2018 , sulla promozione dell'uso dell'energia da
fonti rinnovabili), art. 20, comma 1-bis, come introdotto dall'art.
5, comma 1, del decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 (Disposizioni
urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura,
nonche' per le imprese di interesse strategico nazionale),
convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101;
decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei regimi
amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili,
in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettere b) e d), della
legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo periodo.
(GU n. 40 del 01-10-2025)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
Sezione Terza
ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso numero di
registro generale 10460 del 2024, proposto da Elements Green Atena
S.r.l., Elements Green Ermes S.r.l., Elements Green Demetra S.r.l.,
Elements Green Nettuno S.r.l., Elements Green Ares S.r.l., Elements
Green Artemide S.r.l., in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati
Germana Cassar e Michele Rondoni, con domicilio digitale come da PEC
da Registri di giustizia;
contro
Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica,
Ministero della cultura e Ministero dell'agricoltura, della
sovranita' alimentare e delle foreste, in persona dei rispettivi
legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma,
via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
Regione Sardegna, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, nonche' dagli
avvocati Mattia Pani e Giovanni Parisi, con domicilio digitale come
da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso
l'Avvocatura regionale in Cagliari, via Trento, 69;
Ministero per gli affari regionali e le autonomie e
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto del Ministero dell'ambiente e della sicurezza
energetica, di concerto con il Ministero della cultura e con il
Ministero dell'agricoltura, della sovranita' alimentare e delle
foreste del 21 giugno 2024, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
153 del 2 luglio 2024, recante «Disciplina per l'individuazione di
superfici e aree idonee per l'installazione di impianti a fonti
rinnovabili» e di ogni altro presupposto preordinato o connesso,
inclusa l'intesa raggiunta in sede di in sede di Conferenza
unificata, resa nella seduta del 7 giugno 2024;
eventualmente previa rimessione alla Corte costituzionale,
della questione di legittimita' dell'art. 20, comma 1-bis del decreto
legislativo n. 199/2021, introdotto dall'art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 63/2024, convertito con modifiche con legge n.
101/2024, nei termini sopra indicati - con riferimento agli articoli
77, 117 commi 1 e 3, 9 e 41 della Costituzione nonche' con
riferimento ai principi comunitari di massima diffusione delle fonti
rinnovabili;
oppure, previa disapplicazione dell'art. 5 del decreto-legge
15 maggio 2024, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 12
luglio 2024, n. 101, per violazione del diritto comunitario,
segnatamente del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(Protezione della proprieta'), del Trattato sulla Carta europea
dell'energia, stipulato a Lisbona il 17 dicembre 1994, e ratificato
in Italia con legge 10 novembre 1997, n. 415, della direttiva
2009/28/CE e dei principi generali del diritto comunitario di tutela
dell'affidamento, della certezza del diritto, della parita' di
trattamento;
ovvero previa rimessione alla Corte di giustizia dell'Unione
europea della questione pregiudiziale relativa alla conformita'
dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 63/2024, convertito con
modifiche con legge n. 101/2024, ai principi di massima diffusione
delle fonti rinnovabili sanciti (i) dalla direttiva 2018/2001/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018 (modificata
dalla successiva direttiva 2023/2413 del 18 ottobre 2023), sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili; (ii) dal
regolamento (UE) 2022/2577 del Consiglio del 22 dicembre 2022, come
modificato dal regolamento (UE) 2024/223 del Consiglio del 22
dicembre 2023, che ha introdotto un quadro di norme di carattere
emergenziale tese ad accelerare la procedura autorizzativa di
rinnovabili; (iii) regolamento (UE) n. 2021/1119 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 30 giugno 2021, che istituisce il quadro
per il conseguimento della neutralita' climatica e che modifica il
regolamento (CE) n. 401/2009 e il regolamento (UE) n. 2018/1999
(«Normativa europea sul clima»).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero
dell'ambiente e della sicurezza energetica, del Ministero della
cultura, del Ministero dell'agricoltura, della sovranita' alimentare
e delle foreste, della Presidenza del Consiglio dei ministri e della
Regione Sardegna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2025 il dott.
Luca Biffaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
1.) Le societa' ricorrenti, tutte appartenenti al medesimo gruppo
societario, nella loro qualita' di operatori attivi nel settore della
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, hanno
rappresentato di avere avviato gli itinera amministrativi di sviluppo
di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili,
in larga parte agrivoltaici e da realizzare nel territorio della
Regione Sardegna.
1.1.) In particolare: i) Elements Green Atena S.r.l. ha in corso
un procedimento per la realizzazione di un impianto agrivoltaico di
potenza pari a 37,80 MW, da installare nel Comune di Sassari, e
rispetto al quale e' stata presentata istanza di Valutazione di
impatto ambientale («VIA»); ii) Elements Green Demetra S.r.l. ha in
corso un procedimento per la realizzazione di un impianto
agrivoltaico di potenza pari a 41,552 MWp, da installare nel Comune
di Sassari, e rispetto al quale l'istanza di VIA e' stata dichiarata
procedibile in data 4 dicembre 2023; iii) Ermes Green Nettuno S.r.l.
ha in corso un procedimento per la realizzazione di un impianto
agrivoltaico di potenza pari a 40.194 kWp, da installare nel Comune
di Sassari, e rispetto al quale e' stata presentata istanza di VIA
(cfr. docc. 4.1, 4.3 e 4.4 della produzione delle societa'
ricorrenti).
1.2.) Le ricorrenti, dopo aver richiamato la disciplina
introdotta dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante
«Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e
del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili» - anche alla luce delle modifiche
apportate dall'art. 5 del decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63,
recante «Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e
dell'acquacoltura, nonche' per le imprese di interesse strategico
nazionale», convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2024,
n. 101, con la quale e' stato introdotto il divieto di utilizzo dei
terreni agricoli per la realizzazione di impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra (articolo, 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo n. 199/2021) - nonche' quella prevista dal decreto
ministeriale del 21 giugno 2024, recante «Disciplina per
l'individuazione di superfici e aree idonee per l'installazione di
impianti a fonti rinnovabili», hanno prospettato che le previsioni
del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 siano suscettibili di
incidere negativamente nella loro sfera giuridica, andando ad
impattare sulla generale attivita' di sviluppo degli impianti
fotovoltaici («Impianti FTV») e degli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili («Impianti FER»).
2.) Le societa' ricorrenti, con la proposizione del presente
ricorso affidato a sei differenti motivi, hanno impugnato il decreto
ministeriale del 21 giugno 2024, lamentandone l'illegittimita' per
violazione di legge ed eccesso di potere sotto distinti profili, e ne
hanno chiesto l'annullamento, eventualmente previa rimessione alla
Corte costituzionale della questione di legittimita' dell'art. 20,
comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 per violazione degli
articoli 3, 41, 97, e 117 della Costituzione con riferimento ai
principi unionali sulla massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabile, ovvero previa disapplicazione dell'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024, per violazione del diritto eurounitario,
ovvero ancora previa rimessione alla Corte di giustizia dell'Unione
europea della questione pregiudiziale relativa alla conformita'
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 ai principi unionali di
massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile.
2.1.) Le ricorrenti, con il primo motivo di ricorso, hanno
contestato la legittimita' del gravato decreto ministeriale per
«Violazione dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, delle
linee guida nazionali approvate con decreto ministeriale 10 settembre
2010 e dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 - Violazione
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed integrazioni -
Violazione degli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione -
Irragionevolezza e ingiustizia manifesta».
2.1.1.) In particolare, con tale mezzo di gravame e' stata
lamentata l'illegittimita' dell'art. 1, comma 2, del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 nella parte in cui viene attribuito
alle Regioni il compito di individuare con propria legge anche le
aree non idonee all'installazione degli impianti FER.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti, l'individuazione
delle aree non idonee sarebbe soggetta a riserva di procedimento
autorizzativo e, dunque, le regioni potrebbero provvedervi solo in
seguito all'aggiornamento delle linee guida ministeriali approvate
con il decreto ministeriale del 10 settembre 2010 («Linee guida»).
Cio', in quanto il decreto legislativo n. 199/2021 avrebbe distinto
la fase di individuazione delle aree idonee (che assume carattere
prioritario), da quella delle aree non idonee, che dovrebbe avvenire
solo successivamente e a seguito dell'aggiornamento delle Linee
guida. A conferma della impostazione esegetica delle ricorrenti
militerebbero tanto il disposto dell'art. 20, comma 1, del decreto
legislativo n. 199/2021, quanto le pronunce della Corte
costituzionale inerenti al divieto di moratorie ai procedimenti di
autorizzazione degli impianti FER prima della individuazione delle
aree idonee (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023).
Le Regioni, nell'individuare con propria legge le aree non idonee
alla installazione degli impianti FER, finirebbero per incidere
negativamente sui meccanismi di accelerazione procedimentale previsti
per l'autorizzazione degli impianti FER, in quanto la individuazione
di tali aree non sarebbe piu' il frutto di una valutazione in
concreto della compatibilita' del progetto, risolvendosi in una sorta
di incompatibilita' automatica, in violazione dell'art. 12 del
decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, delle Linee guida del
2010 e degli articoli 18 e 20 del decreto legislativo n. 199/2021.
2.2.) Le ricorrenti, con il secondo motivo di ricorso, hanno
contestato la legittimita' del gravato decreto ministeriale per
«Violazione dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, delle
linee guida nazionali approvate con decreto ministeriale 10 settembre
2010 e dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 - Violazione
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed integrazioni -
Violazione degli articoli 3, 41, 97 della Costituzione - Eccesso di
potere per sviamento - Difetto di istruttoria e di motivazione -
Irragionevolezza e ingiustizia manifesta».
2.2.1.) Con tale mezzo di gravame e' stata lamentata
l'illegittimita' delle previsioni del decreto ministeriale del 21
giugno 2024 con le quali le aree non idonee sarebbero state rese
barriere alla realizzazione degli impianti FER.
Cio', in particolare, emergerebbe dalle seguenti disposizioni del
gravato decreto ministeriale:
l'art. 1, nella parte in cui definisce le aree non idonee
come incompatibili con l'installazione di specifiche tipologie di
impianti FER;
l'art. 7, comma 3, laddove considera non idonee le superfici
ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi
dell'art. 10 e dell'art. 36, comma 1, lettere a) e b), del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
l'art. 7, comma 3, nella parte in cui viene attribuita alle
regioni la facolta' di individuare come non idonee le superfici e le
aree ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai
sensi del decreto legislativo n. 42/2004, nonche' la facolta' di
stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a
tutela fino a un massimo di 7 chilometri.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti, dette previsioni si
porrebbero in contrasto con la natura e la funzione delle aree non
idonee, come delineata dal paragrafo 17 e dall'Allegato 3 delle Linee
guida del 2010, in quanto dette aree non possono costituire divieti
generalizzati alla installazione degli impianti FER, devono essere
individuate all'esito di una apposita istruttoria e non possono
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico.
Sarebbero, altresi', violati i principi eurounionali sanciti
dalle direttive 2018/2001/UE (c.d. RED II) e 2023/2413/UE (c.d. RED
III).
2.3.) Le ricorrenti, con il terzo motivo di ricorso, hanno
contestato la legittimita' del gravato decreto ministeriale per
«Violazione dell'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003, delle
linee guida nazionali approvate con decreto ministeriale 10 settembre
2010 e dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 - Violazione
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed integrazioni -
Violazione degli articoli 3, 41, 97 della Costituzione - Eccesso di
potere per sviamento - Difetto di istruttoria e di motivazione -
Irragionevolezza e ingiustizia manifesta».
2.3.1.) Con tale mezzo di gravame e' stata contestata la
legittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 nella parte
in cui non avrebbe fornito alcun criterio oggettivo per la
individuazione delle aree idonee.
Secondo la prospettazione delle ricorrenti, infatti, l'art. 7 del
gravato decreto ministeriale avrebbe conferito una delega in bianco
alle regioni, prevedendo solamente tre criteri omogenei che, in
sostanza, consisterebbero in mere clausole di stile, risolvendosi in
una pedissequa riproposizione degli interessi incisi dalla
realizzazione degli impianti FER, quali la tutela del paesaggio, gli
impatti ambientali, il consumo del suolo e la massimizzazione
dell'energia elettrica da fonti rinnovabili.
Le previsioni del decreto ministeriale del 21 giugno 2024,
quindi, non consentirebbero il mantenimento di una disciplina
uniforme delle aree idonee sull'intero territorio nazionale,
conferendo alle regioni una delega in bianco e generando in tal modo
incertezza negli operatori del settore, e contrasterebbero con il
regime transitorio introdotto con l'art. 20, comma 8, del decreto
legislativo n. 199/2021, stante l'assenza di una clausola di
salvaguardia dei procedimenti in corso.
2.4.) Le ricorrenti, con il quarto motivo di ricorso, hanno
contestato la legittimita' derivata del gravato decreto ministeriale
per «Incostituzionalita' dell'art. 5 del decreto-legge 15 maggio
2024, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
2024, n. 101 - Violazione dell'art. 117 della Costituzione rispetto
alla direttiva n. 2001/77/CE, alla direttiva n. 2009/28/CE ed alla
direttiva (UE) 2018/2001 e successive modificazioni ed integrazioni,
al regolamento (UE) 2022/2577 del Consiglio del 22 dicembre 2022,
nonche' in relazione all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003,
alle linee guida nazionali approvate con decreto ministeriale 10
settembre 2010, all'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 -
Violazione degli articoli 3, 41, 97 della Costituzione».
2.4.1.) Con tale mezzo di gravame e' stata lamentata
l'illegittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 in via
derivata rispetto alla prospettata illegittimita' costituzionale
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024.
In particolare, l'art. 1, comma 2, lettera d), dell'impugnato
decreto ministeriale risulterebbe illegittimo in via derivata nella
misura in cui ha reso vincolante e inderogabile per tutte le regioni
il divieto preventivo e assoluto di installazione in area agricola di
impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra previsto dall'art.
5 del decreto-legge n. 63/2024 e trasfuso nell'art. 20, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 199/2021.
Tale divieto, secondo la prospettazione delle ricorrenti, si
porrebbe in contrasto con i principi di massima diffusione delle
fonti rinnovabili e con la riserva di procedimento amministrativo,
entrambi di matrice eurounitaria, con conseguente violazione
dell'art. 117 della Costituzione.
Peraltro, la scelta di attribuire esclusivo valore alla
destinazione urbanistica dell'area, senza alcun approfondimento in
merito alla effettiva coltivazione dei terreni, al tipo di colture e
alla esistenza di vincoli, violerebbe i principi di ragionevolezza e
proporzionalita' discendenti dagli articoli 3 e 97 della
Costituzione.
Oltretutto, l'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024,
nell'attribuire aprioristica prevalenza alla tutela del suolo
agricolo, si porrebbe anche in contrasto con l'art. 16-septies della
direttiva RED II e con il regolamento eurounitario 2022/2577.
2.5.) Le ricorrenti, con il quinto motivo di ricorso, hanno
contestato la legittimita' derivata del gravato decreto ministeriale
per «Incostituzionalita' dell'art. 5 del decreto-legge 15 maggio
2024, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
2024, n. 101 - Violazione dell'art. 117 della Costituzione in
relazione all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
(Protezione della proprieta') - Violazione art. 41 Costituzione sulla
liberta' di iniziativa economica - Violazione del legittimo
affidamento».
2.5.1.) Con tale mezzo di gravame e' stata lamentata
l'illegittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 in via
derivata rispetto alla prospettata illegittimita' costituzionale
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 sotto un ulteriore profilo.
In particolare, secondo la prospettazione delle ricorrenti,
l'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 cagionerebbe un danno
irreparabile del diritto dominicale degli operatori del settore,
producendo effetti ablativi della proprieta' privata e una lesione
del legittimo affidamento, con conseguente incisione negativa della
liberta' di iniziativa economica tutelata dalla Costituzione.
Infatti, detta disposizione normativa non prenderebbe in
considerazione le situazioni nelle quali i terreni agricoli sono gia'
stati contrattualizzati dagli operatori interessati allo sviluppo di
un impianto FER in area agricola prima della sua entrata in vigore.
Da cio' discenderebbe, quindi, la portata ablativa della previsione
sospettata di incostituzionalita', stante la sua portata preclusiva
dei diritti dominicali degli operatori attivi nella produzione di
energia da fonti rinnovabili, vieppiu' aggravata dalla sua efficacia
retroattiva.
Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024,
inoltre, risulterebbe sproporzionato rispetto alle esigenze di
salvaguardia della attivita' agricola e di riduzione del consumo del
suolo, sfociando in un non corretto bilanciamento tra esigenze di
interesse pubblico e tutela dei diritti fondamentali degli operatori
del settore. Cio', piu' in dettaglio, emergerebbe dal fatto che non
e' stata prevista alcuna distinzione tra aree agricole ad alta
vocazione (ossia, quelle interessate da coltivazioni DOCG, DOP e IGP)
e aree fortemente antropizzate e del tutto prive di pregio.
In definitiva, l'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 violerebbe
il diritto di proprieta' tutelato dall'art. 1 del Protocollo
addizionale alla Convenzione EDU.
Oltretutto, tale disposizione normativa risulterebbe
incostituzionale per violazione dei principi unionali in materia di
promozione e sviluppo della produzione di energia da fonti
rinnovabili anche in ragione della sua incidenza negativa sugli
investimenti del settore, il che, arrecando pregiudizio agli
operatori economici, contrasterebbe il raggiungimento degli obiettivi
assunti dall'Italia in sede europea.
2.6.) Le ricorrenti, con il sesto motivo di ricorso, hanno
contestato la legittimita' derivata del gravato decreto ministeriale
per «Incostituzionalita' dell'art. 5 del decreto-legge 15 maggio
2024, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
2024, n. 101 - Violazione dell'art. 117 della Costituzione con
riferimento agli obblighi di diritto comunitario - Violazione degli
articoli 3, 101 e 102 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
e al protocollo (n. 27) sul mercato interno e sulla concorrenza».
2.6.1.) Con tale mezzo di gravame e' stata lamentata
l'illegittimita' del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 in via
derivata rispetto alla prospettata illegittimita' costituzionale
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 per violazione degli
articoli 3, 101 e 102 TFUE, nonche' del protocollo n. 27 sul mercato
interno e la concorrenza.
In particolare, secondo la tesi delle ricorrenti, l'introduzione
del divieto di installare impianti FTV con moduli collocati a terra
sulle aree agricole falserebbe il gioco della concorrenza all'interno
del mercato unico, in quanto impedirebbe agli operatori economici
italiani di utilizzare dette aree, discriminandoli rispetto agli
operatori «comunitari» operanti in qualsiasi altro Stato membro
dell'Unione europea.
L'introduzione del contestato divieto, quindi, integrerebbe gli
estremi di una violazione degli obblighi discendenti dal diritto
eurounitario, stante la violazione delle norme poste a tutela della
concorrenza nel mercato, nonche' la lesione del legittimo affidamento
degli operatori del settore e del principio della certezza del
diritto.
3.) Il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica
(«Mase»), il Ministero della cultura («Mic»), il Ministero
dell'agricoltura, della sovranita' alimentare e delle foreste
(«Masaf»), la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Regione
Sardegna si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso in
esame.
4.) La Regione Sardegna, con memoria depositata in data 4 aprile
2025, ha eccepito l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso in
esame sull'assunto che i criteri delineati dall'art. 7 del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 non soltanto non siano generici, ma
siano altresi' funzionali al perseguimento degli obiettivi
individuati dalle direttive eurounitarie.
Una volta che detti obiettivi siano stati raggiunti risulterebbe
legittimo che le regioni prevedano in autonomia quali aree del
territorio qualificare come idonee e quali come non idonee, in vista
della salvaguardia di ulteriori interessi, quali quelli della tutela
dell'ambiente e del paesaggio, rispetto ai quali gli interessi
economici privati risultano recessivi.
Cio', a maggior ragione, varrebbe per la Regione Sardegna che
gode di competenza legislativa esclusiva nella materia della tutela e
pianificazione paesaggistica, ai sensi del decreto del Presidente
della Repubblica n. 480/1975, nella interpretazione fornita dalla
Corte costituzionale, nonche' nelle materie dell'urbanistica e
dell'agricoltura e delle foreste, ai sensi dell'art. 3 dello Statuto
speciale.
La Regione Sardegna, inoltre, ha eccepito anche l'infondatezza
delle doglianze tese a contestare la legittimita' della previsione
che attribuisce alle regioni il compito di individuare pure le aree
non idonee con propria legge, valorizzando la circostanza che l'art.
20 del decreto legislativo n. 199/2021 disciplina sempre in maniera
congiunta tanto le aree idonee, quanto quelle non idonee.
Risulterebbe, altresi', infondato il profilo di censura con il
quale e' stata lamentata la previsione dell'art. 7, comma 2, lettera
c), del decreto ministeriale del 21 giugno 2024, in ragione del fatto
che l'individuazione ope legis delle aree idonee operata dall'art.
20, comma 8, del decreto legislativo n. 199/2021 avrebbe un carattere
meramente transitorio, valendo solo nelle more della individuazione
delle aree idonee da parte delle regioni.
Del pari infondato risulterebbe essere il motivo di ricorso con
il quale si prospetta l'illegittimita' del decreto ministeriale del
21 giugno 2024 per violazione del principio di massima diffusione
delle fonti di energia rinnovabile, in considerazione del fatto che
lo stesso decreto ministeriale impugnato definisce uno specifico
percorso da seguire per conseguire gli obiettivi assunti dall'Italia
a livello europeo.
5.) Le societa' ricorrenti, con memoria depositata in data 5
aprile 2025, hanno specificato ulteriormente le proprie doglianze e
hanno insistito per l'accoglimento del ricorso.
6.) Le societa' ricorrenti, con memoria di replica depositata in
data 16 aprile 2025, controdedotto alle eccezioni sollevate dalla
Regione Sardegna e hanno instato per l'accoglimento del gravame.
6.1.) La Regione Sardegna, con memoria di replica depositata in
data 16 aprile 2025, ha spiegato le proprie difese avverso le
controdeduzioni svolte dalle ricorrenti e ha instato per il rigetto
del ricorso.
7.) All'udienza pubblica del 7 maggio 2025 la causa e' stata
discussa.
Nel corso della discussione il Collegio ha rilevato d'ufficio, ai
sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a. la sussistenza di possibili
profili di inammissibilita' dei primi tre motivi di ricorso per
difetto di interesse.
All'esito della discussione la causa e' stata trattenuta in
decisione.
Diritto
1. Il Collegio, in via preliminare, ritiene che i primi tre
motivi di ricorso, inerenti alla legittimita' del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ad eccezione della previsione con la
quale e' stato introdotto il divieto di installazione in aree
agricole di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra
(oggetto delle censure articolate con il quarto, quinto e sesto
motivo di ricorso), siano inammissibili per carenza di interesse
cosi' come rilevato d'ufficio dal Collegio ai sensi dell'art. 73,
comma 3, c.p.a. nel corso dell'udienza pubblica del 7 maggio 2025 e
fatto constare nel relativo verbale d'udienza.
Le seguenti considerazioni valgono ad assorbire anche i
concorrenti profili di inammissibilita' oggetto di eccezione da parte
della Regione Sardegna.
1.1. La delibazione del profilo processuale inerente alla carenza
di interesse a ricorrere degli operatori economici del settore, quali
le societa' ricorrenti, richiede che vengano preliminarmente chiariti
i termini nei quali va declinato il concetto di area non idonea
all'installazione di impianti FER nel regime introdotto dall'art. 20,
comma 1, del decreto legislativo n. 199/2021.
Tale esigenza, invero, risulta intrinsecamente correlata con il
tenore delle censure ricorsuali, che ruotano sostanzialmente intorno
all'assunto secondo il quale le aree non idonee siano superfici sulle
quali e' totalmente preclusa l'installazione di impianti FER, il che
avrebbe comportato un totale e indebito stravolgimento dell'impianto
ordinamentale delineato con il precedente regime giuridico
applicabile in subiecta materia.
1.2. Il Collegio ritiene che la tesi sostenuta dalle societa'
ricorrenti non possa essere condivisa per le ragioni di diritto di
seguito esposte.
1.3. Come noto, l'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387, ha introdotto disposizioni per la razionalizzazione e
la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
A tal fine, l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n.
387/2003 ha inter alia previsto che «In Conferenza unificata, su
proposta del Ministro delle attivita' produttive, di concerto con il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro
per i beni e le attivita' culturali, si approvano le linee guida per
lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3 [la c.d. procedura
di autorizzazione unica, n.d.r.]. Tali linee guida sono volte, in
particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti,
con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In
attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla
indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di impianti».
1.4. Come gia' anticipato in precedenza, le Linee guida indicate
dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003 sono
state adottate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del
10 settembre 2010, nel quale e' stato stabilito che:
paragrafo 17: «Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione
alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee
guida, le regioni e le province autonome possono procedere alla
indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di impianti secondo le modalita' di cui al
presente punto e sulla base dei criteri di cui all'Allegato 3.
L'individuazione della non idoneita' dell'area e' operata dalle
regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la
ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del
paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni
agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che
identificano obiettivi di protezione non compatibili con
l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una
elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di
autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da richiamare nell'atto
di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie
e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilita'
riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle
disposizioni esaminate [...]. Le aree non idonee sono [...]
individuate dalle regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con
cui sono definite le misure e gli interventi necessari al
raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati in
attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione individua
le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente gia'
previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico
obiettivo assegnatole»;
allegato 3: «L'individuazione delle aree e dei siti non
idonei mira non gia' a rallentare la realizzazione degli impianti,
bensi' ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di
riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti.
L'individuazione delle aree non idonee dovra' essere effettuata dalle
regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti
strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica,
secondo le modalita' indicate al paragrafo 17", nonche' sulla base di
principi e criteri, individuati dal medesimo allegato, in ragione dei
quali, tra l'altro: "a) l'individuazione delle aree non idonee deve
essere basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi legati ad
aspetti di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
artistico-culturale, connessi alle caratteristiche intrinseche del
territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti non
idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse
fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto; [...] d)
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a
tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate,
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'impatto ambientale nei
casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non
deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di
accelerazione e semplificazione dell'iter di autorizzazione alla
costruzione e all'esercizio, anche in termini di opportunita'
localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni
del territorio».
1.5. Nel contesto del sistema delineato dall'art. 12, comma 10,
del decreto legislativo n. 387/2003, come risulta dai pacifici
orientamenti pretori formatisi in seno alla giurisprudenza della
Corte costituzionale, le Linee guida sono «poste a completamento
della normativa primaria "in settori squisitamente tecnici" (sentenze
n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 e
n. 86 del 2019, nonche' n. 69 del 2018) e connotate dal carattere
della inderogabilita' a garanzia di una disciplina "uniforme in tutto
il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del
2018)" (sentenza n. 106 del 2020; nello stesso senso, sentenze n.
221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)» (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023).
Va, poi, evidenziato che la Corte costituzionale ha chiarito che
con le disposizioni normative introdotte dal decreto legislativo n.
199/2021 «il legislatore statale ha inteso superare il sistema
dettato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla
promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e dal conseguente
decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010
(Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione
delle aree non idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a
individuare le aree "idonee" all'installazione degli impianti, sulla
scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti
interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20 [...].
Inoltre, l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non
piu' in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente
in relazione a quelle non idonee, bensi' "con legge" regionale,
secondo quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso
art. 20» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 103/2024).
1.6. Sulla scorta di quanto chiarito ed affermato negli
orientamenti giurisprudenziali teste' richiamati, discende che nel
dare applicazione del rinnovato quadro normativo che ha interessato
la materia della realizzazione degli impianti FER, non possano sic et
simpliciter essere trasposti, in maniera acritica e meccanica, i
principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione
al pregresso assetto normativo e regolatorio.
Laddove, infatti, si aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica
- che e', poi, quella sostanzialmente prospettata dalle societa'
ricorrenti - si finirebbe per obliterare indebitamente il vigente
contesto normativo, avuto specifico riguardo alla circostanza per
cui, de iure condito, l'art. 20, comma 1, del decreto legislativo n.
199/2021 espressamente dispone che sia il Mase, di concerto con il
Mic e il Masaf, previo raggiungimento dell'intesa in Conferenza
unificata, a stabilire con decreto i principi e i criteri omogenei
strumentali all'individuazione delle aree idonee e non idonee.
1.7. Invero, proprio sulla scorta delle scelte compiute dalle
amministrazioni resistenti con l'adozione del gravato decreto
ministeriale - e condivise con gli enti territoriali tramite lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge come,
contrariamente a quanto sostenuto dalle societa' ricorrenti, nel
complessivo nuovo impianto normativo e regolamentare sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e finalita', la
portata precettiva del concetto di «area non idonea».
Infatti, l'art. 1, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale
del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree non idonee» come
«aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con
l'installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10
settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 settembre
2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni».
A dispetto di quanto asserito dalle societa' ricorrenti - secondo
le quali la definizione di area non idonea come area incompatibile
equivarrebbe alla introduzione di un divieto assoluto alla
installazione di impianti FER - occorre ricordare che il paragrafo 17
delle Linee guida gia' per il passato specificava che il processo di
ricognizione delle aree non idonee dovesse avvenire prendendo in
considerazione gli «obiettivi di protezione non compatibili con
l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti».
Emerge, quindi, come gia' nel contesto previgente all'adozione
del gravato decreto ministeriale le aree non idonee si
caratterizzassero per essere aree incompatibili con il
soddisfacimento degli obiettivi di protezione che l'ordinamento
intende perseguire. Tale forma di incompatibilita', quale tratto
caratterizzante delle aree non idonee, non si traduceva in una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di «una elevata probabilita' di esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione».
L'analisi diacronica sinteticamente svolta consente di affermare
che, sotto l'esaminato profilo della «incompatibilita'», la
definizione di «aree non idonee» contenuta nell'art. 1, comma 2,
lettera b), del gravato decreto ministeriale non possiede un
carattere innovativo, risultando sostanzialmente invariata, quoad
effectum, la portata del concetto di «area non idonea» per come
declinato dal decreto ministeriale del 21 giugno 2024 rispetto a
quella scaturente dalle Linee guida.
1.8. Ad avviso del Collegio il richiamo alle modalita' stabilite
dalle Linee guida operato dall'art. 1, comma 2, lettera b), del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024, deve essere inteso
unicamente nel senso che, in sede di attuazione della delega
legislativa di cui alla legge n. 53/2021, si sia optato per il
consolidamento, anche rispetto al nuovo regime, delle acquisizioni,
in termini di significato e declinazione delle aree non idonee, gia'
raggiunte nel previgente assetto normativo in applicazione delle
previsioni dettate dalle Linee guida.
Tale opzione esegetica puo' essere legittimamente percorsa in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione conservativa di
cui all'art. 1367 cod civ. - pacificamente applicabile anche agli
atti amministrativi, come chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5358 del 4
settembre 2020 e riferimenti ivi citati) -. Infatti, mediante
l'impiego di tale, legittimo, criterio interpretativo, nel nostro
ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori giuridici
non affetti da vizi di legittimita' (ut res magis valeat quam
pereat), risultando cio' confacente, peraltro, ai principi di
economicita' ed efficacia dell'attivita' amministrativa sanciti
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons.
Stato, sez. III, sentenza n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione.
Peraltro, come sara' meglio approfondito nel prosieguo, anche nel
nuovo assetto normativo e' stato assegnato un ruolo alle linee guida
ministeriali, ancorche' subordinato ad un aggiornamento delle stesse
teso a renderle compatibili con il nuovo impianto ordinamentale,
giusto quanto previsto dall'art. 18, comma 3, del decreto legislativo
n. 199/2021.
1.9. Se e' vero che non puo' essere sottaciuto il fatto che
l'art. 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga che le
regioni provvedono con legge alla individuazione (anche) delle aree
non idonee - e non piu' nell'ambito di un apposito procedimento
amministrativo, come previsto dalle Linee guida - e' del pari vero
che non v'e' alcun indice normativo che faccia ritenere che a tale
cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata dalle societa'
ricorrenti.
Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo
giuridico di approvazione della classificazione delle aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non risulta accompagnato da
una cosi' radicale trasfigurazione del significato che il concetto
giuridico di «aree non idonee» esprime ai fini del raggiungimento
degli obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili.
L'interpretazione dell'art. 1, comma 2, lettera b), del gravato
decreto ministeriale del 21 giugno 2024, al quale il Collegio intende
aderire - partendo dall'assunto che il carattere di non idoneita' di
un'area non precluda in radice la realizzazione di impianti FER - e'
atta a porre in rilievo come l'individuazione con legge regionale
delle aree non idonee non esclude che le amministrazioni coinvolte
negli specifici procedimenti amministrativi di valutazione delle
istanze di autorizzazione alla realizzazione di impianti FER debbano
necessariamente apprezzare in concreto l'impatto dei progetti
proposti sulle esigenze di tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale e dei beni culturali, anche laddove l'area
interessata rientri tra quelle classificate come non idonee.
1.10. Il Collegio, chiariti i termini nei quali debba essere
inteso il concetto giuridico di «aree non idonee» alla realizzazione
degli impianti FER, ritiene di poter esaustivamente procedere
all'esame dei profili di attualita' e concretezza dell'interesse a
ricorrere delle societa' ricorrenti.
A tale riguardo, sulla scorta delle considerazioni innanzi
svolte, e' d'uopo evidenziare che non si ritiene sussistente in capo
a queste ultime tale condizione dell'azione richiesta dalla legge per
conseguire l'annullamento giudiziale del gravato decreto ministeriale
del 21 giugno 2024.
1.11. In proposito, giova preliminarmente evidenziare che
l'interesse a ricorrere, quale condizione dell'azione concettualmente
autonoma dalla legittimazione ad agire, trova il suo fondamento
nell'art. 100 del codice di procedura civile, rubricato «Interesse ad
agire» e applicabile al processo amministrativo in virtu' del rinvio
esterno sancito dall'art. 39 c.p.a.
In particolare, atteso che l'art. 100 codice di procedura civile
stabilisce che «Per proporre una domanda o per contraddire alla
stessa essa e' necessario avervi interesse», l'interesse a ricorrere
si caratterizza per la «prospettazione di una lesione concreta ed
attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva
utilita' che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale
annullamento dell'atto impugnato» (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. , 26
aprile 2018, n. 4).
Cio', invero, risulta coerente con la funzione svolta dalle
condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati dal principio
della domanda e dal principio dispositivo (cfr. Cassazione civ.,
SS.UU., 22 aprile 2013 n. 9685; Cassazione civ., sez. III, 3 marzo
2015, n. 4228; Cassazione civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542).
L'interesse a ricorrere, inoltre, e' espressione della concezione
soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche del processo
amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sentenza n. 4 del 7
aprile 2011) e ad esso e' attribuita una funzione di filtro
processuale, fino a divenire strumento di selezione degli interessi
meritevoli di tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. , sentenza n. 22
del 9 dicembre 2021).
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, proprio con
riferimento a tale condizione dell'azione, ha ulteriormente chiarito
che «Il codice del processo amministrativo fa piu' volte riferimento,
direttamente o indirettamente, all'interesse a ricorrere: all'art.
35, primo comma, lettere b) e c), all'art. 34, comma 3, all'art. 13,
comma 4-bis e, in modo piu' sfumato, all'art. 31, primo comma,
sembrando confermare, con l'accentuazione della dimensione
sostanziale dell'interesse legittimo e l'arricchimento delle tecniche
di tutela, la necessita' di una verifica delle condizioni dell'azione
(piu') rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla base
degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali
eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo
dall'accertamento effettivo della (sussistenza della situazione
giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito.
Nel senso che, come e' stato osservato, va verificato che "la
situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una
lesione" ma non anche che "abbia subito" una lesione, poiche' questo
secondo accertamento attiene al merito della lite» (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen., sentenza n. 22/2021, cit.).
1.12. Ordunque, nel caso in esame viene in rilievo una
fattispecie controversa rispetto alla quale l'interesse al bene
(i.e., l'utilita' finale o petitum mediato) correlato alla situazione
giuridica soggettiva dedotta in giudizio dalle societa' ricorrenti
rimonta alle previsioni ministeriali che, con carattere generale,
sono destinate a incidere sui procedimenti di autorizzazione, con la
conseguenza che e' rispetto alle stesse che deve essere apprezzata in
via prognostica la possibilita' che la situazione dedotta in giudizio
dalla societa' ricorrente abbia subito la prospettata lesione.
Un siffatto apprezzamento, per una pluralita' di ragioni (tra le
quali la piu' evidente e' quella che risiede nel fatto che opinando
diversamente si finirebbe per violare il divieto sancito dall'art.
34, comma 2, c.p.a.), non puo' che prescindere dall'esito
procedimentale dell'iter di autorizzazione e deve necessariamente
essere incentrato sulla eventuale diretta, immediata e concreta
valenza pregiudizievole delle contestate previsioni del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 per le societa' ricorrenti.
1.13. Il Collegio non reputa che gli articoli 1, 3 e 7 del
gravato decreto ministeriale siano immediatamente lesivi della sfera
giuridica della societa' ricorrente, donde l'inammissibilita' delle
relative censure.
1.14. Invero, siccome il fulcro delle censure proposte ruota
intorno alla prospettata lesivita' del nuovo assetto regolamentare
per effetto della rivisitazione del previgente sistema e del ruolo
che l'istituto delle «aree non idonee» e' destinato a giocare, anche
per cio' che concerne gli aspetti inerenti alle modalita' della loro
determinazione, dall'analisi svolta in precedenza emerge come la
qualificazione di determinate porzioni di territorio in termini di
«aree non idonee» non costituisce un impedimento assoluto alla
realizzazione di progetti tesi alla costruzione e all'esercizio di
impianti FER, donde la radicale insussistenza, anche in una
prospettiva prognostica di valutazione, della lesione prospettata
dalle societa' ricorrenti.
1.15. A tale riguardo, giova evidenziare che la localizzazione di
un impianto FER in un'area non idonea non osta a che gli operatori
economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell'ambito dei
singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia
compatibile con il complessivo assetto dei valori in gioco,
ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela ai
sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e, dall'altro, con il
raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da traguardare
al 2030 in base a quanto previsto dalla Tabella A dell'art. 2 del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024.
Tali considerazioni trovano espresso conforto nelle previsioni
del gravato decreto ministeriale, laddove, all'art. 7, comma 3, in
fine, si dispone che «Nell'applicazione del presente comma deve
essere contemperata la necessita' di tutela dei beni con la garanzia
di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A dell'art. 2
del presente decreto».
1.16. In base al nuovo assetto normativo e regolamentare
culminato con l'adozione del gravato decreto ministeriale, anche
l'individuazione delle «aree non idonee» debba essere determinata
mediante legge regionale e non invece, come avveniva con il
previgente regime, con atti di programmazione e all'esito di una
precipua istruttoria procedimentale (cfr. paragrafo 17 delle Linee
guida).
A tal proposito, infatti, vale considerare che anche ipotizzando
che l'individuazione delle aree non idonee possa, in alcuni casi,
scontare in sede di legislazione regionale una carente
caratterizzazione in ragione del diverso atteggiarsi dei lavori
preparatori di un provvedimento legislativo rispetto alla fase
istruttoria di un procedimento amministrativo, cio' non risulterebbe
di per se' suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale
agli interessi degli operatori economici che intendono realizzare
impianti FER in siti classificati come «aree non idonee».
Infatti, la conseguenza giuridica che puo' farsi discendere dalla
concretizzazione dell'ipotesi innanzi prospettata, consiste in un
mero aggravamento dell'onere motivazionale a carico
dell'amministrazione competente a pronunciarsi sulle istanze di
autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER.
In particolare, l'amministrazione procedente, all'esito dell'iter
di autorizzazione, non potra' giustificare l'eventuale ritenuta
incompatibilita' del progetto solo in ragione del fatto che
l'impianto sia localizzato in un'area classificata come non idonea -
motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel caso
in cui la caratterizzazione delle aree non idonee sia stata
puntualmente svolta dal legislatore regionale, in quanto la
qualificazione di non idoneita' non si traduce in un divieto assoluto
di installazione di impianti FER, come esposto in precedenza - ma
dovra' necessariamente fondare il proprio diniego dando conto in
maniera adeguata, ancorche' in ipotesi sintetica, delle intrinseche
caratteristiche del progetto e delle aree interessate, traguardate
alla luce della comparazione dei contrapposti interessi in giuoco,
fermo restando quanto previsto dall'art. 16-septies della direttiva
2018/2001/UE, in seguito alle modifiche operate con la direttiva
2023/2413/UE, nonche' dalle previsioni di cui all'art. 3 del decreto
legislativo n. 190/2024.
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle societa'
ricorrenti, nessun pregiudizio attuale e concreto puo' farsi
discendere dal fatto che sia stato previsto che l'individuazione
delle «aree non idonee» debba avvenire con legge regionale.
Per converso, un siffatto pregiudizio e' suscettibile di venire
ad esistenza solo in caso di esito negativo del procedimento di
autorizzazione e solo nella misura in cui risulti che
l'amministrazione procedente non abbia esercitato correttamente il
potere amministrativo di carattere tecnico-discrezionale ad essa
attribuito dalla legge.
1.17. Ad avviso del Collegio, sempre sulla scorta della chiarita
portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di «aree non
idonee» nell'ambito dell'attuale contesto normativo e regolamentare,
il gravato decreto ministeriale si appalesa privo di immediata e
concreta lesivita' anche relativamente alle prescrizioni con le quali
detto decreto classifica determinate aree come non idonee ovvero fa
salva la possibilita', in favore delle regioni, di considerare come
aree idonee quelle gia' individuate come tali dall'art. 20, comma 8,
ritenute illegittime in quanto suscettibili di condurre alla
introduzione di una disciplina frammentata e, dunque, foriera di
totale indeterminatezza.
1.17.1. La circostanza per cui il gravato decreto ministeriale
qualifichi come non idonee le aree ricomprese nel perimetro dei beni
sottoposti a tutela ai sensi di quanto previsto dal decreto
legislativo n. 42/2004 (art. 7, comma 3), non vale a mutare la
portata generale del concetto di «aree non idonee», convertendolo in
un istituto a geometrie variabili che, ove direttamente applicato
dall'amministrazione ministeriale, sia tale da determinare una
aprioristica e radicale sottrazione, ex voluntate administrationis,
dell'area non idonea alla realizzazione degli impianti FER.
Invero, sia in tal caso, sia nell'altro (cioe', quando
l'individuazione delle «aree non idonee» avviene con legge
regionale), la localizzazione dell'impianto all'interno di un sito
ritenuto non idoneo non costituisce mai ragione di per se'
sufficiente a precludere in radice la realizzazione del progetto
proposto dall'operatore economico istante, potendosi giungere a tale
esito procedimentale solo nel caso in cui il progetto venga in
concreto reputato incompatibile, dall'amministrazione procedente, con
gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie.
Le societa' ricorrenti, viceversa, con l'impostazione impressa al
ricorso in esame hanno tentato di far retrocedere una siffatta - e
meramente eventuale - lesione ad una fase prodromica rispetto alla
valutazione in concreto dei progetti tesi alla realizzazione di
impianti FER, in quanto unicamente riservata alla individuazione
delle «aree non idonee»
Tuttavia, sulla scorta delle regole che governano il processo
amministrativo e in considerazione del fatto che la giurisdizione
amministrativa di legittimita' costituisce pur sempre una
giurisdizione di diritto soggettivo, non e' possibile accordare alle
societa' ricorrenti, che risultano essere operatori attivi nel
settore interessato dalle contestate modifiche ordinamentali, una
tutela anticipata di merito, ossia una tutela giudiziale del tutto
sganciata dalla sussistenza di una possibile incisione negativa della
loro sfera giuridica che, per le ragioni innanzi esposte, puo'
predicarsi solo rispetto ad un esito negativo dei procedimenti
autorizzativi e solo laddove cio' consegua al cattivo esercizio del
potere da parte dell'amministrazione procedente.
1.18. Ad avviso del Collegio, inoltre, l'eventuale mutamento
della classificazione di un'area, in precedenza non qualificata come
non idonea, non e' ex se atto a condizionare, in maniera
indefettibile e in senso sicuramente negativo, l'iter procedimentale
di autorizzazione all'installazione e all'esercizio di impianti FER.
Pertanto, neppure la mancata previsione di un regime transitorio
di salvaguardia delle iniziative in corso vale a dimostrare che le
previsioni del gravato decreto ministeriale possano arrecare alle
societa' ricorrenti il pregiudizio dalle stesse paventato.
1.19. Il Collegio ritiene che l'iniziativa giudiziale promossa
dalle societa' ricorrenti sia sguarnita del necessario interesse a
ricorrere anche in relazione alle censure tese a contestare le
previsioni del decreto mnisteriale del 21 giugno 2024 con le quali
sono stati fissati i criteri per la individuazione delle aree idonee
ed e' stata concessa alle regioni la mera facolta' di far salve le
aree considerate idonee ope legis ai sensi dell'art. 20, comma 8, del
decreto legislativo n. 199/2021.
In proposito, e' sufficiente rinviare alle considerazioni gia'
espresse in precedenza in quanto, anche in relazione a tali censure,
l'interesse a ricorrere potrebbe dirsi sussistente solo nel caso in
cui le gravate prescrizioni sulle «aree idonee» fossero tali da
arrecare, ex se e immediatamente, un pregiudizio alla societa'
ricorrente.
La possibilita' di lesione prospettata dalle societa' ricorrenti,
infatti, non e' riscontrabile ex ante in un'ottica prognostica, in
quanto l'effetto giuridico discendente dalla qualificazione di una
superficie come «area idonea» alla realizzazione ed esercizio di un
impianto FER e' essenzialmente limitato al solo riconoscimento di un
vantaggio procedimentale.
Pertanto, le societa' ricorrenti non possiedono il necessario
interesse ad azionare in giudizio una posizione giuridica
sostanzialmente consistente nell'interesse a non vedersi aggravato
l'iter procedimentale di autorizzazione (laddove, in futuro, si
determinino a presentare la dovuta istanza all'amministrazione), a
che venga mantenuto il precedente impianto normativo e a che vengano
considerate come «aree idonee» ex lege, superfici che tali sono state
considerate dal legislatore, expressis verbis, solo «nelle more
dell'individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle
modalita' stabiliti dai decreti di cui al comma 1 [dell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, n.d.r.]».
1.19.1. Al pari di quanto rilevato in relazione alle gravate
previsioni sulle «aree non idonee», anche con riferimento a questo
ulteriore gruppo di censure proposte dalle societa' ricorrenti, non
risulta che le amministrazioni resistenti abbiano dettato
prescrizioni cogenti e introdotto divieti assoluti e aprioristici,
dalla cui applicazione discenda con assoluta certezza la radicale
preclusione alla realizzazione, miglioria ed esercizio di impianti
FER.
In definitiva, non venendo in rilievo prescrizioni suscettibili
di impedire alle societa' ricorrenti, in via immediata e diretta, lo
svolgimento della propria attivita' di produzione di energia da fonti
rinnovabili, deve ritenersi insussistente l'interesse processuale
richiesto dalla legge per conseguire l'annullamento giudiziale del
gravato decreto ministeriale.
1.19.2. A ben vedere, e fermo restando il carattere assorbente
delle anzidette considerazioni, la decidibilita' nel merito del
presente gravame risulterebbe preclusa anche dalla natura della
posizione dedotta in giudizio dalle societa' ricorrenti.
Infatti, ad essere stata azionata risulta essere una mera
aspettativa di fatto al corretto esercizio sia della funzione
amministrativa, sia della funzione legislativa delle regioni, ossia
una situazione del tutto priva della specifica connessione a un bene
della vita che costituisce il proprium delle situazioni giuridiche
soggettive che l'ordinamento reputa meritevoli di tutela.
1.20. La disamina dei profili sin qui esaminati risulta, ad
avviso del Collegio, sufficiente a dimostrare l'insussistenza di un
interesse diretto, concreto e attuale delle societa' ricorrenti
rispetto all'annullamento del decreto ministeriale del 21 giugno
2024, donde l'inammissibilita' dei primi tre motivi del presente
gravame.
1.20.1. Ad abundantiam, vale anche osservare che, alla luce della
natura della posizione azionata, la circostanza per cui le societa'
ricorrenti siano operatori attivi nel settore della produzione di
energia da fonti rinnovabili non costituisce elemento sufficiente a
rendere differenziate e normativamente qualificate le loro posizioni,
le quali, pertanto, non risultano distinguibili da quella del quisque
de populo.
D'altronde, anche volendo attribuire alle posizioni azionate
dalle societa' ricorrenti la consistenza di interessi diffusi e
metaindividuali, il ricorso in esame non risulterebbe decidibile nel
merito per carenza di legittimazione attiva, atteso che una siffatta
situazione giuridica soggettiva puo' essere fatta valere in giudizio
esclusivamente dai soggetti giuridici statutariamente o
istituzionalmente preposti a rappresentare interessi omogenei di
specifiche categorie, attribuzione, questa, che esula dalla sfera
giuridica del singolo individuo o, come nel caso di specie, da quella
dei singoli operatori economici attivi nel mercato.
1.20.2. Ne consegue che «in se' considerata, la semplice
possibilita' di ricavare dall'invocata decisione di accoglimento una
qualche utilita' pratica, indiretta ed eventuale, ricollegabile in
via meramente contingente ed occasionale al corretto esercizio della
funzione pubblica censurata, non dimostra la sussistenza della
posizione legittimante, nel senso che siffatto possibile vantaggio
ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta idoneo a
determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione
differenziata, fondante la legittimazione al ricorso; occorre,
invece, una ulteriore condizione-elemento che valga a differenziare
il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che
avrebbero un generico interesse alla legalita' dell'azione
amministrativa, essendo quest'ultimo interesse riconosciuto non al
quisque de populo, ma solamente a quel soggetto che si trovi,
rispetto alla generalita', in una posizione legittimante
differenziata» (cfr. Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 265 del 27
gennaio 2016).
1.20.3. Tale condizione-elemento non puo' essere rintracciata
nell'aspirazione a una determinata configurazione del procedimento
amministrativo per effetto della qualificazione attribuita all'area
di localizzazione degli impianti FER, il che implica una
inammissibile conformazione dei poteri pubblici per mano dei soggetti
privati, strumentale ad asservire le scelte dell'amministrazione (e,
nel caso di specie, anche del legislatore regionale) ad interessi di
natura egoistica, slegati dalle esigenze di carattere pubblicistico,
e ai desiderata, modali e metodologici, degli operatori del settore.
2. Il Collegio, per converso, ritiene che sia rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
prospettata con il quarto motivo di ricorso avverso il divieto di
installazione in zone classificate agricole di impianti fotovoltaici
(FTV) con moduli collocati a terra, introdotto con l'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024.
Come esposto in narrativa, le societa' ricorrenti hanno
prospettato che siffatto divieto violi l'art. 117, comma 1, della
Costituzione, ponendosi in contrasto con il principio di matrice
eurounitaria della massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabile, recepito dal legislatore nazionale gia' con l'art. 12
del decreto legislativo n. 387/2003 e con le linee guida ministeriali
del 2010.
2.1. A riguardo, vale in via preliminare evidenziare che il
legislatore nazionale ha inteso superare la previsione recata
dall'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, in quanto
tale disposizione normativa e' stata abrogata per effetto del decreto
legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei regimi
amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in
attuazione dell'art. 26, commi 4 e 5, lettere b) e d), della legge 5
agosto 2022, n. 118».
In particolare, l'art. 14 del decreto legislativo n. 190/2024,
rubricato «Disposizioni di coordinamento», al comma 8 stabilisce che
«L'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti e'
consentita nei limiti di cui all'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo 8 novembre 2021, n. 199».
Emerge, pertanto, in maniera netta come il legislatore, per cio'
che concerne la realizzazione di impianti FTV con moduli collocati a
terra in area agricola, abbia inteso superare il regime dettato
dall'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, sancendo
l'esclusiva applicazione del regime introdotto con l'art. 20, comma
1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 e di cui le previsioni del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024 costituiscono diretta
attuazione.
I. Sulla impossibilita' di operare una interpretazione
costituzionalmente conforme dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024
e dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021.
3. Il Collegio non ritiene che sia possibile operare
un'interpretazione conforme alla Costituzione del divieto introdotto
dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 mediante l'inserimento del
comma 1-bis all'art. 20, del decreto legislativo n. 199/2021 - e al
quale nel prosieguo della trattazione si fara' riferimento -
tentativo questo che ai fini della rimessione alla Corte
costituzionale di una questione di legittimita' costituzionale deve
essere ragionevolmente e consapevolmente escluso (cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 262/2015; in senso conforme sentenze nn.
202/2023, 139/2022, 11/2020, 189, 133 e 78/2019, 42/2017).
Infatti, se e' vero che «le leggi non si dichiarano
costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne
interpretazioni incostituzionali [...], ma perche' e' impossibile
darne interpretazioni costituzionali» (cfr. Corte costituzionale,
sentenza n. 356/1996), nel caso di specie, la sola, possibile,
interpretazione costituzionalmente orientata della contestata
previsione normativa risulterebbe quella che considera privo di
effettualita' il divieto previsto dalle suddette disposizioni.
3.1. In particolare, l'impossibilita' di operare
un'interpretazione conforme a Costituzione della anzidetta
disposizione normativa discende dal suo chiaro tenore letterale e
dalla portata del divieto con essa introdotto nell'ordinamento
giuridico.
Infatti, l'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n.
199/2021, nel consentire l'installazione di impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra in zone classificate agricole dai piani
urbanistici vigenti, circoscrive tale possibilita' ai soli casi in
cui, da un lato, l'area agricola coincida con alcune specifiche aree
ritenute idonee ai sensi dell'art. 20, comma 8, del decreto
legislativo n. 199/2021 - che, peraltro, ricomprendono anche le aree
nelle quali sono gia' installati detti impianti (comma 8, lettera a),
le quali possono essere interessate solo da interventi di modifica,
rifacimento, potenziamento o ricostruzione, a condizione che non
comportino incremento dell'area gia' occupata - o, dall'altro,
l'intervento sia finalizzato alla creazione di una comunita'
energetica rinnovabile o sia correlato a progetti attuativi del PNRR
o funzionali al perseguimento degli obiettivi di tale piano.
Dal tenore letterale dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo n. 199/2021 risulta, quindi, che il legislatore nel
«consentire esclusivamente» l'installazione degli impianti FTV con
moduli collocati a terra nelle aree agricole coincidenti con quelle
innanti menzionate, ha sostanzialmente introdotto un divieto
generalizzato di realizzare detti impianti su tutta la restante parte
del suolo agricolo nazionale.
3.2. L'introduzione di una preclusione di tale ampiezza
all'installazione di impianti FTV con moduli collocati a terra in
area agricola non risulta costituzionalmente compatibile,
innanzitutto perche' si pone in insanabile contrasto con l'art. 117,
comma 1, della Costituzione, atteso che il contestato divieto e'
suscettibile di integrare una violazione dei «vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario».
In particolare, con il divieto generalizzato previsto dall'art.
20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 e' stato
completamente ribaltato il sistema previgente, plasmato dal principio
di matrice eurounitaria della massima diffusione delle fonti di
energia rinnovabili (direttiva 2001/77/CE e 2009/28/CE). Tale
principio, in particolare, dovrebbe trovare attuazione nella generale
utilizzabilita' di tutti i terreni per l'inserimento degli impianti
FER, con le sole eccezioni ispirate alla tutela di altri interessi
costituzionalmente protetti (cosi', ad esempio, si e' espressa la
Corte costituzionale relativamente agli impianti di produzione di
energia eolica, Corte costituzionale, sentenza n. 224/2012).
Con il contestato divieto, viceversa, il legislatore ha
specificamente individuato le aree agricole nelle quali e' consentita
l'installazione di impianti FTV con moduli collocati a terra e ha
inibito, per la restante parte del suolo agricolo nazionale, la
realizzazione di detti impianti: risulta, quindi, di piana evidenza
che una siffatta preclusione violi il principio di massima diffusione
di matrice eurounitaria, sottraendo in maniera ingiustificata una
considerevole parte del territorio nazionale al perseguimento delle
finalita' sottese allo sviluppo energetico da fonti rinnovabili, in
assenza di valide ragioni di tutela di specifici interessi pubblici -
non potendo considerarsi tale l'invocato consumo indiscriminato del
suolo - e senza che possa essere operata in concreto, nell'ambito
dell'iter procedimentale di autorizzazione dell'impianto, la
ponderazione con gli altri interessi confliggenti, anche di natura
pubblicistica e, in parte, legati al perseguimento degli obiettivi
unionali di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili al
2030, sanciti dalla direttiva 2018/2001/UE.
3.3. Tali considerazioni pongono in evidenza anche il carattere
non proporzionato della scelta legislativa, tenuto conto della
ampiezza ed incisivita' del divieto rispetto al fine perseguito, il
che corrobora l'impossibilita' di addivenire ad una interpretazione
costituzionalmente conforme dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo n. 199/2021.
II. Sulla rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 e dell'art. 20, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 199/2021.
4. Dall'acclarata impercorribilita' di un'interpretazione
dell'enunciato normativo integralmente satisfattivo per le societa'
ricorrenti deriva la rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale prospettate con il terzo motivo di ricorso.
La questione di legittimita' costituzionale che il Collegio
intende rimettere alla Corte costituzionale con la presente ordinanza
risulta, dunque, fornita di rilevanza nel presente giudizio, atteso
che l'art. 1, comma 2, lettera d), dell'impugnato decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 costituisce attuazione della
disposizione normativa qui sospettata di incostituzionalita', vale a
dire l'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, per
le ragioni gia' esposte in precedenza e alle quali integralmente si
rinvia.
Pertanto, dall'esito del giudizio di costituzionalita' dell'art.
20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 dipende la
legittimita' del contestato divieto di cui all'art. 1, comma 2,
lettera d), del decreto ministeriale del 21 giugno 2024, nella misura
solo nel caso di declaratoria di incostituzionalita' della
disposizione normativa primaria la previsione impugnata dalle
societa' ricorrenti potrebbe essere annullata, con conseguente venir
meno della preclusione assoluta, ad oggi vigente, alla realizzazione
dei propri progetti sul suolo agricolo.
III. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale posta con il IV motivo di ricorso.
5. Le societa' ricorrenti, come gia' esposto in precedenza, con
il quarto motivo di ricorso hanno prospettato l'illegittimita'
costituzionale del divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge
n. 63/2024 per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento
europeo e, in particolare, con il principio della massima diffusione
degli impianti FER, affermato dalla direttiva 2001/77/CE, dalla
direttiva 2009/28/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in
attuazione della quale e' stato emanato il decreto legislativo n.
199/2021. Sotto altro profilo, l'art. 20, comma 1-bis del decreto
legislativo n. 199/2021 si porrebbe in contrasto con i principi
generali dettati in materia dallo stesso legislatore statale, in
attuazione delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12,
comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli
impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma
1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate
agricole dai vigenti piani urbanistici», e con le Linee guida del
2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali
le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non
possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio.
Le societa' ricorrenti, inoltre, hanno anche sospettato
d'incostituzionalita' il divieto introdotto dall'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024 per violazione dei principi di
ragionevolezza e proporzionalita' discendenti dagli articoli 3 e 97
della Costituzione in combinato disposto con quanto previsto
dall'art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001, nonche' per violazione
di quanto previsto dall'art. 16-septies della direttiva (UE)
2018/2001 e dal regolamento (UE) 2022/2577.
5.1. In primo luogo, il Collegio ritiene che la disciplina
censurata presenti profili di contrasto con l'art. 117, comma 1,
della Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto «dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario» e, in particolare,
del principio di massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabili di matrice eurounitaria.
5.2. In proposito, risulta necessario richiamare tutte le
previsioni normative vigenti nell'ordinamento giuridico eurounitario
e suscettibili di assumere rilievo nella materia oggetto della
presente controversia, da intendersi anche quale integrazione del
quadro normativo di riferimento, in uno con le previsioni nazionali
gia' richiamate in precedenza ed analizzate dal Collegio sin dalla
esposizione dei motivi di ricorso, quale condizione di ammissibilita'
della rimessione della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, cosi'
come introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024.
In particolare, devono essere presi in considerazione:
l'art. 3, par. 5, del TUE, a mente del quale «Nelle relazioni
con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e
interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini», di tal
forma che, per questa via, l'Unione europea «Contribuisce [...] allo
sviluppo sostenibile della Terra»;
l'art. 6, par. 1, del TUE, che precisa che «L'Unione
riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000,
adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore
giuridico dei trattati». Ai sensi dell'art. 37 della Carta, «Un
livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua
qualita' devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e
garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile»;
l'art. 11 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
che, muovendosi nella medesima direzione gia' tracciata dal
richiamato art. 6, par. 1, del TUE, sancisce che «Le esigenze
connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella
definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione,
in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo
sostenibile» (c.d. principio di integrazione);
l'art. 191 del TFUE, secondo il quale «La politica
dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i
seguenti obiettivi: - salvaguardia, tutela e miglioramento della
qualita' dell'ambiente; - protezione della salute umana; -
utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; -
promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i
problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in
particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 2. La politica
dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di
tutela, tenendo conto della diversita' delle situazioni nelle varie
regioni dell'Unione. Essa e' fondata sui principi della precauzione e
dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via
prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonche' sul
principio "chi inquina paga"»;
l'art. 192, par. 1, del TFUE, ai sensi del quale «Il
Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura
legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e
sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni
che devono essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi
dell'art. 191»;
l'art. 194 del TFUE, in forza del quale «Nel quadro
dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo
conto dell'esigenza di preservare e migliorare l'ambiente, la
politica dell'Unione nel settore dell'energia e' intesa, in uno
spirito di solidarieta' tra Stati membri, a [...] promuovere il
risparmio energetico, l'efficienza energetica e lo sviluppo di
energie nuove e rinnovabili».
5.2.1. Protezione dell'ambiente e promozione delle c.d. energie
rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti.
Come si ricava dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
dell'Unione europea, l'uso di fonti di energia rinnovabili per la
produzione di elettricita' e' utile alla tutela dell'ambiente in
quanto contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas a effetto
serra che compaiono tra le principali cause dei cambiamenti climatici
che l'Unione europea e i suoi Stati membri si sono impegnati a
contrastare.
L'incremento della quota di rinnovabili costituisce, in
particolare, uno degli elementi portanti del pacchetto di misure
richieste per ridurre tali emissioni e conformarsi al protocollo di
Kyoto, alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici, nonche' agli altri impegni assunti a livello comunitario e
internazionale per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto
serra. Cio', peraltro, e' funzionale anche alla tutela della salute e
della vita delle persone e degli animali, nonche' alla preservazione
dei vegetali (cfr. CGUE, Grande Sezione, sentenza del 1° luglio 2014,
in causa C-573/12, Ã…lands vindkraft AB contro Energimyndigheten, par.
78 e ss.; CGUE, sentenza del 13 marzo 2001, in causa C-379/98,
PreussenElektra AG contro Schhleswag AG, par. 73 e ss.).
5.2.2. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha, peraltro,
precisato che l'art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea si limita a definire gli obiettivi generali dell'Unione in
materia ambientale, mentre l'art. 192 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea affida al Parlamento europeo e al Consiglio
dell'Unione europea il compito di decidere le azioni da avviare al
fine del raggiungimento di detti obiettivi.
Di conseguenza, l'art. 191 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea non puo' essere invocato in quanto tale dai
privati al fine di escludere l'applicazione di una normativa
nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale
quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata in
base all'art. 192 del TFUE; viceversa, l'art. 191 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea assume rilevanza allorquando esso
trovi attuazione nel diritto derivato (cfr. CGUE, Sezione Terza,
sentenza del 4 marzo 2015, in causa C- 534/13, Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare et al. contro
Fipa Group srl et al., par. 39 e ss.).
5.3. Disposizioni sulla promozione dell'energia elettrica da
fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175 del
TCE (ora art. 192 del TFUE), sono state introdotte gia' con la
direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27
settembre 2001 e, successivamente, con la direttiva 2009/28/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009.
In particolare, nel preambolo della direttiva 2018/2001/UE - con
la quale il legislatore sovranazionale ha proceduto alla rifusione e
alla modifica delle disposizioni contenute nella direttiva 2009/28/CE
- e' stato inter alia considerato che:
«[...] (2) Ai sensi dell'art. 194, paragrafo 1, del trattato
sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione delle
forme di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi
della politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo e' perseguito
dalla presente direttiva. Il maggiore ricorso all'energia da fonti
rinnovabili o all'energia rinnovabile costituisce una parte
importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le
emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni
dell'Unione nel quadro dell'accordo di Parigi del 2015 sui
cambiamenti climatici, a seguito della 21a Conferenza delle parti
della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici ("accordo di Parigi"), e il quadro per le politiche
dell'energia e del clima all'orizzonte 2030, compreso l'obiettivo
vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40%
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in
materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e i
contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote di
riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi nazionali generali
per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per
la politica energetica e ambientale dell'Unione [...].
3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo'
svolgere una funzione indispensabile anche nel promuovere la
sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione, oltre alla leadership tecnologica e
industriale, offrendo nel contempo vantaggi ambientali, sociali e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di lavoro e sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita' demografica o soggetti a parziale
deindustrializzazione.
(4) In particolare, la riduzione del consumo energetico, i
maggiori progressi tecnologici, gli incentivi all'uso e alla
diffusione dei trasporti pubblici, il ricorso a tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo di energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del riscaldamento e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle misure di efficienza energetica per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua dipendenza
energetica.
(5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro normativo
per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti rinnovabili che
fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota di energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel settore dei trasporti da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del 22
gennaio 2014, intitolata "Quadro per le politiche dell'energia e del
clima per il periodo dal 2020 al 2030" ha definito un quadro per le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del clima e
ha promosso un'intesa comune sulle modalita' per sviluppare dette
politiche dopo il 2020. La Commissione ha proposto come obiettivo
dell'Unione una quota di energie rinnovabili consumate nell'Unione
pari ad almeno il 27% entro il 2030. Tale proposta e' stata sostenuta
dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre 2014, le
quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare i propri
obiettivi nazionali piu' ambiziosi, per realizzare i contributi
all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi pianificati e andare
oltre.
(6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del 5 febbraio
2014, "Un quadro per le politiche dell'energia e del clima
all'orizzonte 2030", e del 23 giugno 2016, "I progressi compiuti
nell'ambito delle energie rinnovabili", si e' spinto oltre la
proposta della Commissione o le conclusioni del Consiglio,
sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e delle recenti
riduzioni del costo delle tecnologie rinnovabili, era auspicabile
essere molto piu' ambiziosi. [...]
(8) Appare pertanto opportuno stabilire un obiettivo
vincolante dell'Unione in relazione alla quota di energia da fonti
rinnovabili pari almeno al 32%. Inoltre, la Commissione dovrebbe
valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo alla luce
di sostanziali riduzioni del costo della produzione di energia
rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore della
decarbonizzazione o in caso di un significativo calo del consumo
energetico nell'Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro
contributo al conseguimento di tale obiettivo nell'ambito dei
rispettivi piani nazionali integrati per l'energia e il clima in
applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE)
2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio. [...]
(10) Al fine di garantire il consolidamento dei risultati
conseguiti ai sensi della direttiva 2009/28/CE, gli obiettivi
nazionali stabiliti per il 2020 dovrebbero rappresentare il
contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030. In
nessun caso le quote nazionali delle energie rinnovabili dovrebbero
scendere al di sotto di tali contributi. [...].
(11) Gli Stati membri dovrebbero adottare ulteriori misure
qualora la quota di energie rinnovabili a livello di Unione non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di almeno il 32% di energie rinnovabili. Come stabilito nel
regolamento (UE) 2018/1999, se, nel valutare i piani nazionali
integrati in materia di energia e clima, ravvisa un insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure a livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo. Se, nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate sull'energia e
il clima, la Commissione ravvisa progressi insufficienti verso la
realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare tale
lacuna».
5.4. Quanto affermato nei consideranda della direttiva
2018/2001/UE ha trovato poi concretizzazione normativa nelle
previsioni dell'art. 3 di tale direttiva, rubricato «Obiettivo
vincolante complessivo dell'Unione per il 2030».
Il legislatore unionale, infatti, ha previsto un obiettivo
vincolante complessivo dell'Unione europea per il 2030, stabilendo
che «Gli Stati membri provvedono collettivamente a far si' che la
quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di
energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32%. La Commissione
valuta tale obiettivo al fine di presentare, entro il 2023, una
proposta legislativa intesa a rialzarlo nel caso di ulteriori
sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia
rinnovabile, se risulta necessario per rispettare gli impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o se il
rialzo e' giustificato da un significativo calo del consumo
energetico nell'Unione», con la precisazione che «Se, sulla base
della valutazione delle proposte dei piani nazionali integrati per
l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'art. 9 del regolamento
(UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che i contributi nazionali
degli Stati membri sono insufficienti per conseguire collettivamente
l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la Commissione segue
la procedura di cui agli articoli 9 e 31 di tale regolamento».
5.5. Il regolamento 2021/1119/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 30 giugno 2021, adottato in forza dell'art. 192 del
TFUE, ha poi istituito un quadro per il conseguimento della
neutralita' climatica, sul presupposto che:
«(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici
richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per
il clima da parte dell'Unione e degli Stati membri. L'Unione si e'
impegnata a potenziare gli sforzi per far fronte ai cambiamenti
climatici e a dare attuazione all'accordo di Parigi adottato
nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici («accordo di Parigi»), guidata dai suoi
principi e sulla base delle migliori conoscenze scientifiche
disponibili, nel contesto dell'obiettivo a lungo termine relativo
alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi. [...]
(4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale per
contribuire alla trasformazione economica e sociale, alla creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile e al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni
Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in modo efficiente in termini di costi
l'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'accordo di Parigi. [...]
(9) L'azione per il clima dell'Unione e degli Stati membri
mira a tutelare le persone e il pianeta, il benessere, la
prosperita', l'economia, la salute, i sistemi alimentari,
l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro la minaccia
dei cambiamenti climatici, nel contesto dell'agenda 2030 delle
Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e nel perseguimento degli
obiettivi dell'accordo di Parigi; mira inoltre a massimizzare la
prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza e
ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In
quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli Stati membri dovrebbero
essere guidate dal principio di precauzione e dal principio "chi
inquina paga", istituiti dal trattato sul funzionamento dell'Unione
europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza
energetica al primo posto e del principio del "non nuocere" del Green
Deal europeo. [...]
(11) Vista l'importanza della produzione e del consumo di
energia per il livello di emissioni di gas a effetto serra, e'
indispensabile realizzare la transizione verso un sistema energetico
sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato sulla diffusione
delle energie rinnovabili, su un mercato interno dell'energia ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel contempo la poverta' energetica. Anche la trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sono
fattori importanti per conseguire l'obiettivo della neutralita'
climatica. [...]
(20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro il 2050,
un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici dai pozzi dei gas a
effetto serra di tutti i settori economici e, ove opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito. Tale obiettivo dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...]
(25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti nell'intero spettro delle politiche e uno sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e della societa', come
evidenziato nel Green Deal europeo. Il Consiglio europeo, nelle
conclusioni del 12 dicembre 2019, ha dichiarato che tutte le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono essere coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo della neutralita' climatica e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti. [...]
(36) Al fine di garantire che l'Unione e gli Stati membri
restino sulla buona strada per conseguire l'obiettivo della
neutralita' climatica e registrino progressi nell'adattamento, e'
opportuno che la Commissione valuti periodicamente i progressi
compiuti, sulla base delle informazioni di cui al presente
regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma
del regolamento (UE) 2018/1999. [...] Nel caso in cui i progressi
collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto all'obiettivo della
neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che le
misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita'
climatica o inadeguate per migliorare la capacita' di adattamento,
rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la Commissione
dovrebbe adottare le misure necessarie conformemente ai trattati
[...]».
5.5.1. Tale regolamento ha, quindi, sancito che «l'obiettivo
vincolante della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050, in
vista dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'art. 2, paragrafo 1, lettera a), dell'accordo di Parigi» (art.
1), precisando altresi' che per conseguire tale obiettivo «il
traguardo vincolante dell'Unione in materia di clima per il 2030
consiste in una riduzione interna netta delle emissioni di gas a
effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il
55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030» (art. 4).
5.5.2. Ai sensi dell'art. 5 del regolamento 2021/1119/UE «Le
istituzioni competenti dell'Unione e gli Stati membri assicurano il
costante progresso nel miglioramento della capacita' di adattamento,
nel rafforzamento della resilienza e nella riduzione della
vulnerabilita' ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7
dell'accordo di Parigi», garantendo inoltre che «le politiche in
materia di adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano
coerenti, si sostengano reciprocamente, comportino benefici
collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per integrare
meglio l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di
intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione».
A tal fine, «Gli Stati membri adottano e attuano strategie e
piani nazionali di adattamento, tenendo conto della strategia
dell'Unione sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...] e fondati
su analisi rigorose in materia di cambiamenti climatici e di
vulnerabilita', sulle valutazioni dei progressi compiuti e sugli
indicatori, e basandosi sulle migliori e piu' recenti evidenze
scientifiche disponibili. Nelle loro strategie nazionali di
adattamento, gli Stati membri tengono conto della particolare
vulnerabilita' dei pertinenti settori, tra cui l'agricoltura, e dei
sistemi idrici e alimentari nonche' della sicurezza alimentare, e
promuovono soluzioni basate sulla natura e l'adattamento basato sugli
ecosistemi. Gli Stati membri aggiornano periodicamente le strategie e
includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono
tenuti a presentare a norma dell'art. 19, paragrafo 1, del
regolamento (UE) 2018/1999».
5.6. La direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 18 ottobre 2023 ha introdotto, tra l'altro,
disposizioni volte a modificare la direttiva (UE) 2018/2001, il
regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto
riguarda la promozione dell'energia da fonti rinnovabili,
evidenziando che:
«[...] (2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo
fondamentale nel conseguimento di tali obiettivi, dato che il settore
energetico contribuisce attualmente per oltre il 75% alle emissioni
totali di gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni
di gas a effetto serra, le energie rinnovabili possono anche
contribuire ad affrontare sfide ambientali come la perdita di
biodiversita', e a ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi
della comunicazione della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo
"Un percorso verso un pianeta piu' sano per tutti - Piano d'azione
dell'UE: Verso l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo".
La transizione verde verso un'economia basata sulle energie da fonti
rinnovabili contribuira' a conseguire gli obiettivi della decisione
(UE) 2022/591 del Parlamento europeo e del Consiglio, che mira
altresi' a proteggere, ripristinare e migliorare lo stato
dell'ambiente, mediante, tra l'altro, l'interruzione e l'inversione
del processo di perdita di biodiversita'. [...].
(4) Il contesto generale determinato dall'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia di
COVID-19 ha provocato un'impennata dei prezzi dell'energia
nell'intera Unione, evidenziando in tal modo la necessita' di
accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso delle energie
da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a
lungo termine di un sistema energetico indipendente dai paesi terzi,
l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione della transizione
verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione delle
emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili
fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i cittadini e
le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia.
(5) Il piano REPowerEU stabilito nella comunicazione della
Commissione del 18 maggio 2022 ("piano REPowerEU") mira a rendere
l'Unione indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del
2030. Tale comunicazione prevede l'anticipazione delle capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio di diffusione di tale
energia e capacita' supplementari di energia da fonti rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o anticipare gli obiettivi
fissati per l'aumento della quota di energia rinnovabile nel mix
energetico. [...] Al di la' di tale livello obbligatorio, gli Stati
membri dovrebbero adoperarsi per conseguire collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione del 45% di energia da fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU.
(6) [...] E' auspicabile che gli Stati membri possano
combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze nazionali e
della struttura delle loro forniture energetiche. Al fine di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato obiettivo generale vincolante dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari di decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili che
gli Stati membri decidono di perseguire. [...]
(25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere una piu' rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie rinnovabili
e per le relative infrastrutture, in coordinamento con gli enti
locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare le zone
terrestri, le superfici, le zone sotterranee, le acque interne e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per le relative infrastrutture al fine di
apportare almeno i rispettivi contributi nazionali all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti rinnovabili per
il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE)
2018/2001 e a sostegno del conseguimento dell'obiettivo della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in conformita' del
regolamento (UE) 2021/1119. [...]. Gli Stati membri dovrebbero
garantire che le zone in questione riflettano le rispettive
traiettorie stimate e la potenza totale installata pianificata e
dovrebbero individuare le zone specifiche per i diversi tipi di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile stabilite nei loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. [...].
(26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme
di tali aree, specifiche zone terrestri (comprese superfici e
sottosuperfici) e marine o delle acque interne come zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi di tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare un impatto ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per le
energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero evitare le zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero poter designare
zone di accelerazione specificamente per le energie rinnovabili per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di energia rinnovabile e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli Stati membri dovrebbero designare tali zone di
accelerazione per le energie rinnovabili per almeno un tipo di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi' facendo, gli Stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni combinate
di tali zone siano sostanziali e contribuiscano al conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001.
(27) L'uso polivalente dello spazio per la produzione di
energia rinnovabile e per altre attivita' terrestri, delle acque
interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del suolo, delle
acque interne e del mare. In tale contesto la pianificazione
territoriale rappresenta uno strumento indispensabile con cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle acque interne e del mare. Gli Stati membri dovrebbero
esplorare, consentire e favorire l'uso polivalente delle zone
individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra di loro e possano
coesistere. [...]
(36) In considerazione della necessita' di accelerare la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione delle
zone di accelerazione per le energie rinnovabili non dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di progetti di energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione. Questi
progetti dovrebbero continuare a sottostare all'obbligo di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere soggetti alle procedure di rilascio delle
autorizzazioni applicabili ai progetti in materia di energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Per accelerare le procedure di rilascio delle
autorizzazioni nella misura necessaria a conseguire l'obiettivo di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE) 2018/2001, anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili
dovrebbero essere semplificate e razionalizzate attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per tutte le fasi della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese le valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto.
5.7. La direttiva (UE) 2023/2413, per tali ragioni, ha anche
introdotto disposizioni in materia di mappatura delle zone necessarie
per assicurare che i contributi nazionali forniti rispettino il
perseguimento dell'obiettivo complessivo dell'Unione in relazione
alla produzione di energia rinnovabile per il 2030. Sono state,
inoltre, previste zone di accelerazione per le energie rinnovabili,
nonche' specifiche procedure amministrative per il rilascio delle
relative autorizzazioni.
5.8. Il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 dicembre 2018, adottato sulla base degli articoli
192 e 194 del TFUE, costituisce la necessaria base legislativa per
una governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima
affidabile, inclusiva, efficace sotto il profilo dei costi,
trasparente e prevedibile che garantisca il conseguimento degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino al 2030, in linea con
l'accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici - derivante
dalla 21ª Conferenza delle parti alla Convenzione quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici - attraverso sforzi
complementari, coerenti e ambiziosi da parte dell'Unione e degli
Stati membri, limitando la complessita' amministrativa nella materia
in questione.
5.8.1. In particolare, il legislatore unionale, nel configurare
un siffatto meccanismo, ha considerato che:
2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque dimensioni:
la sicurezza energetica; il mercato interno dell'energia;
l'efficienza energetica; il processo di decarbonizzazione; la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'.
(3) L'obiettivo di un'Unione dell'energia resiliente e
articolata intorno a una politica ambiziosa per il clima e' di
fornire ai consumatori dell'UE - comprese famiglie e imprese -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e di
promuovere la ricerca e l'innovazione attraendo investimenti; cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, in particolare promuovendo l'efficienza energetica e i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia rinnovabile
[...]
(7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno il
40% delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico
entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, e' stato formalmente
approvato in occasione del Consiglio «Ambiente» del 6 marzo 2015,
quale contributo previsto determinato a livello nazionale,
dell'Unione e dei suoi Stati membri all'accordo di Parigi. L'accordo
di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 ed e'
entrato in vigore il 4 novembre 2016; sostituisce l'approccio
adottato nell'ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che e' stato
approvato dall'Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio
e che non sara' prorogato dopo il 2020. E' opportuno aggiornare di
conseguenza il sistema dell'Unione per il monitoraggio e la
comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto
serra.
(8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di ambizione
globale relativo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con l'obiettivo di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di sotto
di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di continuare ad
adoperarsi per limitare tale aumento della temperatura a 1,5 °C
rispetto ai livelli preindustriali [...]
(12) Nelle conclusioni del 23 e del 24 ottobre 2014, il
Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare un sistema di
governance affidabile, trasparente, privo di oneri amministrativi
superflui e con una sufficiente flessibilita' per gli Stati membri
per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della liberta' degli Stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...]
(18) Il principale obiettivo del meccanismo di governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi del
quadro 2030 per il clima e l'energia, nei settori della riduzione
delle emissioni dei gas a effetto serra, delle fonti di energia
rinnovabili e dell'efficienza energetica. Tali obiettivi derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e dalla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno di questi obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere considerato secondario rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di energia
e di clima. Gli Stati membri devono poter scegliere in modo
flessibile le politiche che meglio si adattano alle preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche' tale flessibilita' sia
compatibile con l'ulteriore integrazione del mercato,
l'intensificazione della concorrenza, il conseguimento degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il passaggio graduale a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio. [...]
(36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a lungo
termine con una prospettiva di almeno trenta anni per contribuire al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai sensi dell'UNFCCC e
all'accordo di Parigi, nel contesto dell'obiettivo dell'accordo di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine delle emissioni di gas a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in tutti i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione [...].
(56) Se l'ambizione dei piani nazionali integrati per
l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti, fosse insufficiente
per il raggiungimento collettivo degli obiettivi dell'Unione
dell'energia e, nel primo periodo, in particolare per il
raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile
e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a
livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo di
tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali «divari di
ambizione»). Qualora i progressi dell'Unione verso tali obiettivi e
traguardi fossero insufficienti a garantirne il raggiungimento, la
Commissione dovrebbe, oltre a formulare raccomandazioni, proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per garantire
il raggiungimento di detti obiettivi, colmando cosi' eventuali
«divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero altresi' tenere
conto degli sforzi pregressi dagli Stati membri per raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una quota di energia da fonti rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante oppure realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per il
2020 o nell'attuazione del loro contributo all'obiettivo vincolante
dell'Unione di almeno il 32% di energia rinnovabile nel 2030. In
materia di energia rinnovabile, le misure possono includere anche
contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati a un
meccanismo di finanziamento dell'energia rinnovabile nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire ai progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione, offrendo cosi' agli Stati membri la possibilita' di
contribuire al conseguimento dell'obiettivo dell'Unione al minor
costo possibile. Gli obiettivi degli Stati membri in materia di
rinnovabili per il 2020 dovrebbero servire come quota base di
riferimento di energia rinnovabile a partire dal 2021 e dovrebbero
essere mantenuti per tutto il periodo. In materia di efficienza
energetica, le misure aggiuntive possono mirare soprattutto a
migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti.
(57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di
energia rinnovabile per il 2020, di cui all'allegato I della
direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza per la loro traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo, una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente parte della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo, la quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo di energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento.
(58) Se uno Stato membro non mantiene la quota base di
riferimento misurata in un periodo di un anno, esso dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora abbia effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato conforme ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal momento
in cui il divario in questione si e' verificato, sia ai sensi del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]».
5.8.2. Il meccanismo di governance previsto dal regolamento
2018/1999/UE, nella formulazione conseguente alle modifiche apportate
con l'art. 2 della direttiva 2023/2413/UE, prevede, tra l'altro, che:
«Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e
successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica alla
Commissione un piano nazionale integrato per l'energia e il clima
[...]» (art. 3, paragrafo 1);
«Ciascuno Stato membro definisce nel suo piano nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi, traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato I,
sezione A, punto 2:
a) dimensione «decarbonizzazione»: [...]
2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile:
al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota
di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1,
della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo in termini di quota
dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo lordo
di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo segue
una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18% dell'aumento
totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il
suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2025, la traiettoria
indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 43%
dell'aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra
l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro
interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la
traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad
almeno il 65% dell'aumento totale della quota di energia da fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello
Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030.
Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve raggiungere almeno
il contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato membro
prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per il
2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello che si
aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri,
nel loro insieme, concorrono al raggiungimento dei punti di
riferimento dell'Unione nel 2022, 2025 e 2027 e all'obiettivo
vincolante dell'Unione per la quota di energia rinnovabile per il
2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001.
Indipendentemente dal suo contributo all'obiettivo dell'Unione e
dalla sua traiettoria indicativa ai fini del presente regolamento,
uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu' ambiziosi per
finalita' di politica nazionale» (art. 4);
«Nel proprio contributo alla propria quota di energia da fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia del 2030 e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'art. 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro tiene
conto degli elementi seguenti:
a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001;
b) misure adottate per conseguire il traguardo di efficienza
energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE;
c) altre misure esistenti volte a promuovere l'energia
rinnovabile nello Stato membro e, ove pertinente, a livello di
Unione;
d) l'obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all'allegato I
della direttiva (EU) 2018/2001;
e) le circostanze pertinenti che incidono sulla diffusione
dell'energia rinnovabile, quali:
i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione;
ii) le condizioni economiche e il potenziale, compreso il
PIL pro capite;
iii) il potenziale per una diffusione delle energie
rinnovabili efficace sul piano dei costi;
iv) i vincoli geografici, ambientali e naturali, compresi
quelli delle zone e regioni non interconnesse;
v) il livello di interconnessione elettrica tra gli Stati
membri;
vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi
pregressi [...]
2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la somma dei
rispettivi contributi ammonti almeno all'obiettivo vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il 2030
di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001» (art.
5);
«[...] 3. Se nel settore dell'energia rinnovabile, in base alla
valutazione di cui all'art. 29, paragrafi 1 e 2, la Commissione
conclude che uno o piu' punti di riferimento della traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027, di cui all'art. 29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022,
2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di
riferimento nazionali di cui all'art. 4, lettera a), punto 2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un anno dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a colmare il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali:
a) misure nazionali volte ad aumentare la diffusione
dell'energia rinnovabile;
b) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili
nel settore del riscaldamento e raffreddamento di cui all'art. 23,
paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001;
c) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili
nel settore dei trasporti di cui all'art. 25, paragrafo 1, della
direttiva (UE) 2018/2001;
d) un pagamento finanziario volontario al meccanismo di
finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da
fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla
Commissione, come indicato all'art. 33;
e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla
direttiva (UE) 2018/2001 [...]» (art. 32).
5.9. Come gia' esposto in precedenza, il decreto legislativo n.
199/2021 costituisce «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del
Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili» e si pone
«l'obiettivo di accelerare il percorso di crescita sostenibile del
Paese, recando disposizioni in materia di energia da fonti
rinnovabili, in coerenza con gli obiettivi europei di
decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa
decarbonizzazione al 2050», definendo «gli strumenti, i meccanismi,
gli incentivi e il quadro istituzionale, finanziario e giuridico,
necessari per il raggiungimento degli obiettivi di incremento della
quota di energia da fonti rinnovabili al 2030, in attuazione della
direttiva (UE) 2018/2001 e nel rispetto dei criteri fissati dalla
legge 22 aprile 2021, n. 53» (art. 1, commi 1 e 2).
In vista del perseguimento di tali finalita', il decreto
legislativo n. 199/2021 reca «Disposizioni necessarie all'attuazione
delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza (di seguito
anche: PNRR) in materia di energia da fonti rinnovabili,
conformemente al Piano nazionale integrato per l'energia e il clima
(di seguito anche: PNIEC), con la finalita' di individuare un insieme
di misure e strumenti coordinati, gia' orientati all'aggiornamento
degli obiettivi nazionali da stabilire ai sensi del regolamento (UE)
n. 2021/1119, con il quale si prevede, per l'Unione europea, un
obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di gas a effetto
serra di almeno il 55 percento rispetto ai livelli del 1990 entro il
2030» (art. 1, comma 3).
5.10. Come ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza
costituzionale (cfr., ex multis, Corte costituzionale sentenze nn.
121/2022, 77/2022, 106/2020, 286/2019, 69/2018, 13/2014 e 44/2011),
la normativa eurounitaria (nonche' quella nazionale) e' ispirata nel
suo insieme al principio fondamentale di massima diffusione delle
fonti di energia rinnovabili, che tra l'altro «trova attuazione nella
generale utilizzabilita' di tutti i terreni per l'inserimento di tali
impianti, con le eccezioni [...] ispirate alla tutela di altri
interessi costituzionalmente protetti» (cfr., in particolare, Corte
costituzionale, sentenza n. 13/2014).
5.11. La disciplina originariamente contenuta nell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, relativa all'individuazione delle
aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili, non prevedeva alcun divieto generalizzato
rispetto alla realizzazione di impianti FER su terreni classificati
come agricoli dai vigenti piani urbanistici.
L'art. 20, comma 3, di tale decreto, in effetti, stabilisce che
«nella definizione della disciplina inerente le aree idonee, i
decreti di cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del
patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e
forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando
l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni
industriali e parcheggi, nonche' di aree a destinazione industriale,
artigianale, per servizi e logistica, e verificando l'idoneita' di
aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici
agricole non utilizzabili».
Tale disposizione, pur prendendo espressamente in considerazione
l'esigenza di approntare tutela alle aree agricole, da un lato non
pone alcuna preclusione assoluta all'installazione di impianti FER su
tale tipologia di siti e, dall'altro, stabilisce chiaramente che le
superfici agricole non utilizzabili costituiscono, tra le altre, aree
privilegiate per l'installazione degli impianti FER.
L'art. 20, comma 7, del decreto legislativo n. 199/2021, inoltre,
prevede che «Le aree non incluse tra le aree idonee non possono
essere dichiarate non idonee all'installazione di impianti di
produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione
territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione
della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee».
Il successivo comma 8, poi, nell'individuare transitoriamente le
aree ritenute idonee alla installazione di impianti FER, stabilisce
quanto segue «fatto salvo quanto previsto alle lettere a), b), c),
c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei
beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all'art.
142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto, ne' ricadono nella
fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte
seconda oppure dell'art. 136 del medesimo decreto legislativo».
5.12. L'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021
ha, di contro, determinato un radicale mutamento di regime rispetto
all'assetto previgente, prevedendo che «L'installazione degli
impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone
classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita
esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli
interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale
ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che non
comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave gia'
oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione
terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di
discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter,
numeri 2) e 3), del comma 8 del presente articolo. Il primo periodo
non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla
costituzione di una comunita' energetica rinnovabile ai sensi
dell'art. 31 del presente decreto nonche' in caso di progetti
attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di
ripresa e resilienza (PNRR), approvato con decisione del Consiglio
ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato con decisione del
Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del Piano nazionale per gli
investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui all'art. 1 del
decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni,
dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti necessari per
il conseguimento degli obiettivi del PNRR».
5.13. Pertanto, successivamente alle modifiche introdotte nel
decreto legislativo n. 199/2021 ad opera dell'art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 63/2024, gli impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra possono essere realizzati soltanto:
a) nei siti ove sono gia' installati impianti della stessa
fonte, nei limiti degli interventi di modifica, rifacimento,
potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata;
b) presso cave e miniere cessate, non recuperate o
abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le porzioni di
cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento;
c) presso i siti e gli impianti nelle disponibilita' delle
societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di
infrastrutture ferroviarie nonche' delle societa' concessionarie
autostradali;
d) presso i siti e gli impianti nella disponibilita' delle
societa' di gestione aeroportuale all'interno dei sedimi
aeroportuali;
e) nelle aree interne agli impianti industriali e agli
stabilimenti e in quelle classificate agricole racchiuse in un
perimetro i cui punti distino non piu' di 500 metri dal medesimo
impianto o stabilimento;
f) nelle aree adiacenti alla rete autostradale entro una
distanza non superiore a 300 metri.
5.14. Dalla richiamata elencazione si desume che, in sostanza,
sulla generalita' dei terreni classificati agricoli (pari a circa la
meta' della superficie del territorio italiano) risulta preclusa la
realizzazione di qualsiasi intervento di installazione di impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra, residuando, di fatto,
unicamente la possibilita' di realizzare interventi consistenti nel
mero rifacimento/modifica/ricostruzione di impianti gia' esistenti,
sempre che cio' non comporti consumo di ulteriore terreno agricolo.
5.15. Se e' vero che il divieto introdotto dall'art. 20, comma
1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021 non riguarda i progetti
attuativi di misure finanziate con il PNRR o il PNC, e' pur vero che
detti progetti non comprendono, ne' esauriscono, tutti quelli
necessari al raggiungimento dei target previsti dal PNIEC, che
rappresenta lo strumento previsto dalla normativa eurounitaria per il
conseguimento degli obiettivi vincolanti fissati dall'Unione europea
in relazione alla quota di energia rinnovabile che deve essere
assicurata dai singoli Stati membri nel contesto dell'Unione
dell'energia.
Gia' tale circostanza evidenzia come la previsione di un divieto
di portata pari a quella stabilita dalla disposizione normativa
sospettata di incostituzionalita' rischi di mettere seriamente in
pericolo il conseguimento degli obiettivi energetici unionali.
L'applicazione di un siffatto divieto, invero, si appalesa
suscettibile di sottrarre una larga porzione del territorio agricolo
nazionale a ogni possibile utilizzo della tecnologia fotovoltaica,
senza che siano prevedibili e siano stati vagliati i potenziali
effetti sul rispetto delle traiettorie stabilite in sede unionale in
merito alla quota di energia da fonti rinnovabili che deve essere
assicurata dall'Italia.
Oltretutto, in considerazione dello stato di attuazione della
disciplina dettata dall'art. 20, comma 1, del decreto legislativo n.
199/2021, nonche' degli ampi margini di flessibilita' che il decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 lascia alle regioni per
l'individuazione delle aree non idonee, l'impatto del divieto in
questione risulta del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un
severo limite all'individuazione delle zone disponibili per
l'installazione degli impianti FER che, in base a quanto previsto
dall'art. 15-ter, par. 1, secondo periodo, della direttiva
2018/2001/UE, devono essere commisurate «alle traiettorie stimate e
alla potenza totale installata pianificata delle tecnologie per le
energie rinnovabili stabilite nei piani nazionali per l'energia e il
clima presentati a norma degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE)
2018/1999».
5.16. Peraltro, si e' gia' avuto modo di porre in evidenza che,
in forza dell'art. 32 del regolamento 2018/1999/UE, laddove la
Commissione europea ritenga che uno o piu' punti di riferimento della
traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027 non siano
stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e 2027 risultino
al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di riferimento
nazionali, saranno interessati dall'esercizio degli specifici poteri
della Commissione europea.
Tali Stati, in particolare, entro un anno dalla valutazione della
Commissione europea saranno tenuti ad adottare misure supplementari
(art. 32, paragrafo 3, del regolamento 2018/1999/UE), tra le quali e'
incluso anche il pagamento finanziario volontario al meccanismo di
finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da
fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla
Commissione.
La sottrazione indiscriminata di larga parte del territorio
nazionale all'utilizzo della tecnologia fotovoltaica con moduli
collocati a terra, laddove si risolva in un ostacolo al
raggiungimento degli obiettivi dell'Unione dell'energia, potrebbe far
sorgere in capo allo Stato italiano l'obbligo di adottare misure
supplementari, il cui impatto sulle finanze pubbliche potrebbe non
essere trascurabile.
Giova, inoltre, evidenziare che la mera adozione delle misure
supplementari richieste dalla Commissione europea potrebbe non essere
sufficiente a riallineare lo Stato italiano sulle traiettorie
unionali in tema di energia rinnovabile, come risulta dall'art. 32,
paragrafo 2, secondo capoverso, del regolamento 2018/1999/UE, a mente
del quale «Qualora le misure nazionali risultino insufficienti, la
Commissione, se opportuno, propone misure ed esercita i propri poteri
a livello unionale in aggiunta a tali raccomandazioni al fine di
assicurare, in particolare, il conseguimento del traguardo
dell'Unione al 2030 sul versante dell'energia rinnovabile».
5.17. Il divieto introdotto dall'art. 20, comma 1-bis, del
decreto legislativo n. 199/2021, inoltre, appare porsi anche in
contrasto con un ulteriore principio di matrice unionale.
In particolare, nell'ambito del processo di individuazione delle
zone necessarie per i contributi nazionali all'obiettivo complessivo
dell'Unione al 2030 sul versante dell'energia rinnovabile, viene in
rilievo il disposto di cui all'art. 15-ter della direttiva
2018/2001/UE, a mente del quale «Gli Stati membri favoriscono l'uso
polivalente delle zone di cui al paragrafo 1. I progetti in materia
di energia rinnovabile sono compatibili con gli usi preesistenti di
tali zone» (art. 15-ter, paragrafo 3).
Come gia' rilevato in precedenza, il considerando 27 di tale
direttiva precisa che «Gli Stati membri dovrebbero esplorare,
consentire e favorire l'uso polivalente delle zone individuate a
seguito delle misure di pianificazione territoriali adottate. A tal
fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino, ove necessario,
i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche' i diversi usi e
attivita' siano compatibili tra di loro e possano coesistere».
Il divieto introdotto dalla disposizione normativa sospettata di
incostituzionalita' nell'ambito del presente giudizio istituisce,
invece, un insanabile conflitto tra l'utilizzo della tecnologia
fotovoltaica con moduli collocati a terra e l'uso del suolo a fini
agricoli che il legislatore ha risolto in radice, vietando in maniera
generalizzata l'installazione in area agricola degli impianti FTV
caratterizzati da tale tecnologia.
5.18. Ad avviso del Collegio, il divieto in questione, nella
misura in cui e' suscettibile di ostacolare il raggiungimento degli
obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie
rinnovabili, si pone anche in posizione critica rispetto alla
strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell'Unione
europea.
Come precedentemente ricordato, ai sensi dell'art. 5 del
regolamento 2021/1119/UE «Le istituzioni competenti dell'Unione e gli
Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento della
capacita' di adattamento, nel rafforzamento della resilienza e nella
riduzione della vulnerabilita' ai cambiamenti climatici in
conformita' dell'art. 7 dell'accordo di Parigi». Tali istituzioni,
inoltre, «garantiscono [...] che le politiche in materia di
adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano coerenti, si
sostengano reciprocamente, comportino benefici collaterali per le
politiche settoriali e si adoperino per integrare meglio
l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di
intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione».
5.18.1. In proposito, giova rilevare che la Commissione europea,
con la Comunicazione COM(2021)82 final, relativa alla nuova Strategia
dell'Unione europea per l'adattamento ai cambiamenti climatici, ha
affermato che «Il Green Deal europeo, la strategia di crescita
dell'UE per un futuro sostenibile, si basa sulla consapevolezza che
la trasformazione verde e' un'opportunita' e che la mancata azione ha
un costo enorme. Con esso l'UE ha mostrato la propria leadership per
scongiurare lo scenario peggiore - impegnandosi a raggiungere la
neutralita' climatica - e prepararsi al meglio - puntando ad azioni
di adattamento piu' ambiziose che si fondano sulla strategia dell'UE
di adattamento del 2013. La visione a lungo termine prevede che nel
2050 l'UE sara' una societa' resiliente ai cambiamenti climatici, del
tutto adeguata agli inevitabili impatti dei cambiamenti climatici.
Cio' significa che entro il 2050, anno in cui l'Unione aspira ad aver
raggiunto la neutralita' climatica, avremo rafforzato la capacita' di
adattamento e ridotto al minimo la vulnerabilita' agli effetti dei
cambiamenti climatici, in linea con l'accordo di Parigi e con la
proposta di legge europea sul clima».
Il raggiungimento dei target di potenza installata delle
tecnologie rinnovabili costituisce, all'evidenza, un elemento
centrale per conseguire nel lungo termine l'obiettivo della
neutralita' climatica, che viene posto seriamente a rischio da una
disciplina, quale quella censurata, che vieta in maniera
generalizzata sulla quasi totalita' del territorio agricolo nazionale
l'installazione di impianti FER dotati di tecnologia fotovoltaica con
pannelli collocati a terra.
5.19. Il divieto in questione, peraltro, appare anche porsi in
contrasto con il principio di integrazione sancito dall'art. 11 del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dall'art. 37 della
Carta di Nizza, sulla scorta del quale «Le esigenze connesse con la
tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e
nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare
nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile».
Come noto, l'integrazione ambientale in tutti i settori politici
pertinenti (agricoltura, energia, pesca, trasporti, ecc.) e'
funzionale a ridurre le pressioni sull'ambiente derivanti dalle
politiche e dalle attivita' di altri settori e per raggiungere gli
obiettivi ambientali e climatici.
Il divieto introdotto dall'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo n. 199/2021 all'interno di un corpo normativo finalizzato
a dare attuazione, nell'ordinamento giuridico italiano, alle
previsioni della direttiva 2018/2001/UE sulla promozione dell'uso di
energia da fonti rinnovabili, quale obiettivo della politica
energetica dell'Unione europea, appare violare l'art. 117, comma 1,
della Costituzione anche per le seguenti ragioni:
si inserisce nel complesso delle previsioni dell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021 quale corpo tendenzialmente estraneo,
tant'e' che le relative previsioni non risultano neppure
adeguatamente coordinate con il resto dell'articolato normativo (si
consideri, ad esempio, il comma 3 del medesimo art. 20, nella parte
in cui prevede che con i decreti di cui al comma 1 si debba
verificare, tra l'altro, "l'idoneita' di aree non utilizzabili per
altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili");
il divieto in parola presenta una valenza assoluta, in quanto
il legislatore non ha istituito alcuna forma di possibile
bilanciamento tra i contrastanti valori in gioco. In tal modo,
invero, e' stata sancita una insuperabile prevalenza dell'interesse
alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni classificati
come aree agricole, del tutto sganciata da una valutazione in
concreto della effettiva utilizzabilita' di tali aree a fini
agricoli. Non puo', pertanto, mancarsi di rilevare, che tale scelta
legislativa risulta innesta una contraddizione interna al medesimo
decreto legislativo n. 199/2021, appalesandosi antitetica rispetto al
perseguimento dell'obiettivo normativo per il quale lo stesso e'
stato emanato, dato dalla promozione dell'uso dell'energia da fonti
rinnovabili.
Tali ulteriori considerazioni rafforzano, ad avviso del Collegio,
il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 20, comma 1-bis, del
decreto legislativo n. 199/2021, avvalorando come l'introduzione del
contestato divieto si ponga in contrasto con la cornice normativa
europea in materia di Unione dell'energia.
6. Il Collegio ritiene, inoltre, che il divieto introdotto
dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 appaia anche porsi in
contrasto con il principio di proporzionalita' discendente dall'art.
3 della Costituzione, anche tenuto conto, stante le specificita'
della fattispecie in esame, di quanto previsto dagli articoli 15
(nella parte che stabilisce che le disposizioni normative nazionali
che regolano le procedure di autorizzazione degli impianti FER
debbano essere proporzionate, necessarie e contribuire all'attuazione
del principio di priorita' della efficienza energetica) e 16-septies
(nella parte in cui si prevede che nelle procedure di rilascio delle
autorizzazioni, gli impianti FER sono considerati di interesse
pubblico prevalente) della direttiva (UE) 2018/2001.
6.1. In proposito, occorre innanzitutto porre in evidenza che la
Corte di giustizia dell'Unione europea ha piu' volte ribadito che «il
principio di proporzionalita' e' un principio generale del diritto
comunitario che dev'essere rispettato tanto dal legislatore
comunitario quanto dai legislatori e dai giudici nazionali» (cfr.
CGUE, Sezione Quinta, sentenza dell'11 giugno 2009, in causa
C-170/08, H. J. Nijemeisland contro Minister van Landbouw, Natuur en
Voedselkwaliteit, par. 41). Il sindacato di proporzionalita'
costituisce, inoltre, un aspetto del controllo di ragionevolezza
delle leggi condotto dalla giurisprudenza costituzionale, onde
verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.
Come la stessa Corte costituzionale ha gia' avuto modo di
precisare "Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni
relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore
nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze
obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire,
tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente
sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di proporzionalita'
utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni
costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza,
ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell'Unione europea
per il controllo giurisdizionale di legittimita' degli atti
dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma
oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di applicazione
stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi
legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate,
prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e
stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di
detti obiettivi" (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 1/2014).
6.2. Giova, poi, evidenziare che la misura censurata consiste in
un divieto generalizzato e sostanzialmente assoluto all'utilizzo, su
un'ampia parte del territorio nazionale, di una determinata
tecnologia di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto a quella
adottata in funzione di tutela di tutti gli altri valori che entrano
in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle fonti
rinnovabili: le esigenze di tutela dell'ambiente, della
biodiversita', dei beni culturali e del paesaggio passa, infatti,
attraverso l'individuazione di aree non idonee che, come in
precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi' zone in
cui, in ragione delle esigenze di protezione in concreto esistenti,
e' altamente verosimile che si approdi a un esito negativo dell'iter
di autorizzazione, relativamente alla valutazione di compatibilita'
ambientale dei progetti che interessano tali aree.
Cio', peraltro, non osta alla possibilita' di verificare, in
concreto e nell'ambito dei singoli procedimenti autorizzativi,
l'effettiva compatibilita' degli interventi proposti con gli
ulteriori e confliggenti interessi pubblici.
Di contro, l'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n.
199/2021, introduce un divieto di tale portata che risulta preclusa
in radice la possibilita', per le amministrazioni procedenti, di
operare un bilanciamento tra i contrapposti interessi in giuoco.
Infatti, risulta gia' stata affermata a monte, da parte del
legislatore, la prevalenza assoluta e incondizionata dell'interesse
alla conservazione dei suoli classificati agricoli, rispetto alla
possibile funzionalizzazione degli stessi al soddisfacimento delle
esigenze energetiche correlate con gli obiettivi assunti dall'Italia
a livello unionale.
6.3. Il contestato divieto trova applicazione a partire dalla
mera classificazione di un'area come agricola in base ai piani
urbanistici, senza che alcuna rilevanza possa a tal fine assumere il
suo utilizzo, concreto o potenziale, a fini agricoli.
Anche per tale ragione la disposizione normativa in questione
sembra caratterizzata da irragionevolezza e non proporzionalita',
atteso che la dichiarata finalita' di contrastare il consumo di suolo
agricolo non e' riscontrabile (o quantomeno non nei termini
incondizionati e assoluti previsti da tale norma) in relazione alle
superfici agricole non utilizzabili o degradate.
Manca, inoltre, qualsivoglia considerazione della qualita' e
dell'importanza delle colture eventualmente praticate sui suoli
interdetti all'installazione degli impianti FTV con moduli collocati
a terra.
6.4. Vale, poi, richiamare quanto previsto nelle Linee Guida di
cui al decreto ministeriale del 10 settembre 2010, in base alle
quali:
le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici
non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei;
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo'
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'impatto ambientale nei
casi previsti;
le regioni possono procedere ad indicare come aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree
particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni
territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da
produzioni agricolo-alimentari di qualita' (produzioni biologiche,
produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni
tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto
paesaggistico culturale, anche con riferimento alle aree, se previste
dalla programmazione regionale, caratterizzate da un'elevata
capacita' d'uso del suolo.
6.5. Siffatte previsioni si pongono nel solco delle indicazioni
emergenti in sede europea, per cui «Gli Stati membri dovrebbero
limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui non puo'
essere sviluppata l'energia rinnovabile ("zone di esclusione"). Essi
dovrebbero fornire informazioni chiare e trasparenti, corredate di
una giustificazione motivata, sulle restrizioni dovute alla distanza
dagli abitati e dalle zone dell'aeronautica militare o civile. Le
restrizioni dovrebbero essere basate su dati concreti e concepite in
modo da rispondere allo scopo perseguito massimizzando la
disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei progetti di energia
rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli di pianificazione
territoriale» (cfr. la raccomandazione (UE) 2024/1343 della
Commissione del 13 maggio 2024 sull'accelerazione delle procedure
autorizzative per l'energia da fonti rinnovabili e i progetti
infrastrutturali correlati).
La disciplina posta dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 e
poi confluita nell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n.
199/2021 si traduce, invece, nell'esatto opposto, ponendo un divieto
che massimizza le zone di esclusione, che non risulta fondato su dati
concreti e che appare porsi in patente contrasto con l'obietto di
massimizzazione della disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei
progetti correlati con la produzione di energia da fonte rinnovabile.
6.6. Il contestato deficit di proporzionalita' della misura
introdotta dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, peraltro,
risulta avvalorato dal fatto che il divieto in questione impedisce di
considerare di interesse pubblico prevalente gli impianti FTV con
pannelli collocati a terra da realizzare in area agricola, senza che
per tale tipologia di area sia stata prevista la non applicazione
dell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 190/2024 secondo le
modalita', provvedimentali e procedurali, previste dall'art. 3, comma
2, del decreto legislativo n. 190/2024.
IV. Sulla non rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale prospettate con il quinto motivo di ricorso.
7. Le societa' ricorrenti, con il quinto motivo di ricorso, hanno
prospettato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024 per violazione degli articoli 10, 41 e 117
della Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale
n. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e per violazione del
principio del legittimo affidamento.
Ad avviso del Collegio la questione prospettata dalle societa'
ricorrenti non risulta rilevante nel caso di specie in quanto dette
societa' non hanno dimostrato in giudizio di avere effettivamente
acquisito la proprieta' dei terreni agricoli sui quali realizzare i
propri progetti. Le stesse, infatti, si sono solo limitate, da un
lato, ad affermare di essere «titolari di impianti in via di
autorizzazione (in larga parte agrivoltaici) con procedimenti ancora
pendenti» (cfr. pag. 4 del ricorso) e, dall'altro, a produrre i
contratti preliminari di compravendita di terreni agricoli da parte
della Elements Green Artemide S.r.l., stipulati in data 1° agosto
2024 e registrati in data 7 agosto 2024, ma soggetti alla condizione
risolutiva dell'esercizio del diritto di prelazione da parte dei
coltivatori diretti proprietari di terreni agricoli confinanti, come
risulta dalla nota di trascrizione del 12 agosto 2024, pure versata
in atti.
Le societa' ricorrenti, ivi inclusa la Elements Green Artemide
S.r.l., non hanno depositato in atti i contratti di compravendita
degli immobili interessati dalla realizzazione degli impianti FER di
cui assumono essere titolari, onere dimostrativo su di esse
incombenti in virtu' del principio di vicinanza della prova che
concorre a delineare l'assetto giuridico inerente alla distribuzione
degli oneri probatori nel processo amministrativo, scolpito dall'art.
64 c.p.a., in base al quale il soggetto gravato dall'onere
dimostrativo e' quello nella cui sfera giuridica si riferisce o,
comunque, e' piu' prossimo il fatto da provare (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 9877 del 9 dicembre 2024; Cons.
Stato, sez. VI, sentenza n. 2187 del 5 marzo 2024).
7.1. Per le medesime ragioni, risulta non rilevante anche la
questione di legittimita' costituzionale per lesione del principio
del legittimo affidamento, vieppiu' con riguardo alla societa' Green
Elements Artemide a r.l., atteso che i soprarichiamati contratti
preliminari di compravendita dei terreni agricoli sono stati
stipulati successivamente alla entrata in vigore del contestato
divieto normativo.
V. Sulla manifesta infondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale prospettate con il sesto motivo di ricorso.
8. Il Collegio ritiene, invece, che sia manifestamente infondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024 per violazione degli articoli 3, 101 e 102
del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea («TFUE»), nonche'
del protocollo n. 27 sul mercato interno e la concorrenza (sesto
motivo di ricorso) - peraltro, il riferimento all'art. 3 Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea non risulta corretto, essendo il
parametro di riferimento rilevante ai fini della questione di
legittimita' costituzionale prospettata dalle societa' ricorrenti
l'art. 3, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea, che fa
riferimento alla instaurazione di un «mercato interno» e allo
sviluppo sostenibile dell'Europa basato anche «su un'economia di
mercato fortemente competitiva», espressamente richiamato anche
dall'invocato protocollo n. 27 sul mercato interno e sulla
concorrenza, nella parte in cui si afferma che «il mercato interno ai
sensi dell'art. 3 del Trattato sull'Unione europea comprende un
sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata» -. In
proposito, vale innanzitutto evidenziare che gli articoli 101 e 102
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dettano la disciplina
eurounitaria di difesa della concorrenza dalle condotte, unilaterali
o coordinate, di impresa. Una siffatta disciplina, quindi, non e'
suscettibile di trovare applicazione nelle ipotesi in cui una
eventuale restrizione della concorrenza nel mercato unico sia
direttamente riconducibile a misure statali di carattere
amministrativo o normativo, che si situano fuori dall'ambito
oggettivo di applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE.
Cio', invero, si ricava direttamente dagli arresti
giurisprudenziali della Corte di giustizia dell'Unione europea, che
spinta dall'esigenza di dare piena attuazione ai suddetti precetti in
ossequio al principio dell'effetto utile del diritto unionale (cfr.
CGUE, sentenza del 6 ottobre 1970, in causa C-9/70, Franz Grad contro
Finanzamt Traunstein, in Racc. 1970/825; CGUE, sentenza del 22
settembre 1988, in causa C-187/87, Saarland et al. contro Ministre de
l'Industrie, des P et T et du Tourisme et al., par. 19, in Racc.
1988/5013; CGUE, sentenza del 14 ottobre 1999, in causa C- 223/98,
Adidas AG, par. 24, in Racc. 1999/I/7081), ha si' coniato in via
pretoria un parametro di legittimita' ad hoc per valutare la
compatibilita' delle misure statali con il diritto antitrust di rango
unionale (cfr., in particolare, CGUE, sentenza del 10 gennaio 1985,
in causa C-229/83, Association des Centres distributeurs Edouard
Leclerc at al. contro Sarl "Au ble' vert" et al., par. 20, in Racc.
1985/1; CGUE, sentenza del 21 settembre 1988, in causa C-267/86,
Pascal Van Eycke contro Aspa SA, par. 20, in Racc. 1988/4769) -
costituito dal combinato disposto degli articoli 85, 86
(corrispondenti ai vigenti articoli 101 e 102 TFUE), 3, par. 1,
lettera f) (che fissava l'obiettivo programmatico della creazione di
un «regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel
mercato interno») e 5 (che prevedeva che «Gli Stati membri si
astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere la
realizzazione degli scopi del presente Trattato») del Trattato
istitutivo della Comunita' economica europea («TCEE») - ma ne ha
limitato l'applicabilita' alle sole situazioni nelle quali le misure
statali restrittive della concorrenza siano collegate a precipue
condotte anticoncorrenziali poste in essere dalle imprese (cfr. CGUE,
sentenza del 17 novembre 1993, in causa C-2/91, Wolf W. Meng, par.
14, in Racc. 1993/I/5751; CGUE, sentenza del 17 novembre 1993, in
causa C-185/91, Bundesanstalt für den Güterfernverkehr contro Gebr.
Reiff GmbH & Co. KG., par. 14, in Racc. 1993/I/5801).
La Corte di giustizia dell'Unione europea ha, poi, ulteriormente
delineato quali siano i parametri valutativi rilevanti ai fini dello
scrutinio delle misure pubbliche ai sensi del combinato disposto
degli articoli 3, 5, 85 e 86 TCEE, statuendo, in relazione a un caso
correlato con la possibile realizzazione di una intesa restrittiva
della concorrenza ai sensi dell'allora vigente art. 85 TCEE
(corrispondente al successivo art. 81 TCE e al vigente art. 101 TFUE)
che «anche se, di per se', l'art. 85 del Trattato riguarda
esclusivamente la condotta delle imprese e non le disposizioni
legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, e' pur vero
che detto articolo, in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato,
fa obbligo agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore
provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, che
possano rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza
applicabili alle imprese [...]. Ricorre in particolare siffatta
ipotesi allorquando uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione
di accordi in contrasto con l'art. 85, o rafforzi gli effetti di
siffatti accordi, ovvero qualora privi la propria normativa del
carattere statuale che le e' proprio, demandando la responsabilita'
di adottare decisioni d'intervento in materia economica ad operatori
privati [...]» (cfr. CGUE, sentenza del 18 giugno 1998, in causa
C-35/96, Commissione delle Comunita' europee contro Repubblica
italiana, parr. 53-54, in Racc. 1998/I/3851).
Considerato che il contestato divieto contenuto nell'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024 non impone, ne' agevola, la commissione di
condotte, unilaterali o coordinate, d'impresa restrittive della
concorrenza, non risulta che tale misura statale costituisca una
violazione, da parte dello Stato italiano, degli obblighi discendenti
dal diritto eurounionale in materia di concorrenza, poiche' non puo'
predicarsi, alla luce dei parametri sovranazionali che le societa'
ricorrenti assumono essere stati violati (sostanzialmente
riconducibili al parametro pretorio individuato dalla Corte di
giustizia dell'Unione europea nelle pronunce innanzi menzionate), che
la disposizione legislativa di diritto interno di cui si tratta sia
di per se' idonea a falsare la concorrenza nel mercato interno in una
forma che si ponga in contrasto con il vigente assetto normativo
sovranazionale e, quindi, con l'art. 117, comma 1, della
Costituzione.
8.1. Il Collegio, ad abundantiam, evidenzia che il divieto
introdotto con l'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 neppure si ponga
in contrasto con la disciplina unionale di difesa della concorrenza
rivolta agli Stati membri, vale a dire con gli articoli 106 e 107 e
ss. TFUE, posto che lo stesso non si risolve in una misura tesa alla
concessione o al mantenimento di diritti speciali o esclusivi in
favore delle imprese pubbliche, ne' compromette lo sviluppo degli
scambi in misura contraria agli interessi dell'Unione europea in
relazione alla posizione delle imprese incaricate della gestione di
servizi di interesse economico generale o aventi carattere di
monopolio fiscale, ne' infine costituisce un aiuto di stato
incompatibile con il mercato interno.
8.2. Il Collegio, infine, ritiene che il contestato divieto
neppure dia luogo ad alcuna discriminazione degli operatori economici
italiani rispetto a quelli transfrontalieri, venendo in rilievo una
misura c.d. indistintamente applicabile e non essendo proibita, per
effetto di tale misura, l'operativita' transfrontaliera agli
operatori di diritto interno che, pertanto, con riguardo alla
produzione di energia da fonti rinnovabili (con particolare
riferimento a quella prodotta mediante impianti fotovoltaici e
agrivoltaici) risultano liberi di operare senza limitazioni, in
regime di stabilimento o di libera prestazione di servizi,
all'interno del mercato unico.
VI. Le questioni di costituzionalita' da sottoporre alla Corte
costituzionale.
9. Il Collegio, sulla scorta di tutte le considerazioni sino ad
ora esposte, ritiene che siano rilevanti e non manifestamente
infondate le questioni di legittimita' costituzionale prospettate nel
presente giudizio in relazione all'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo n. 199/2021, come introdotto dall'art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 101/2024. Il Collegio, in particolare, sospetta che tale
disposizione normativa si ponga in contrasto con il dettato
costituzionale, per aver introdotto un divieto all'installazione in
area agricola di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra
che appare contrario agli articoli 3, 11 e 117, comma 1, della
Costituzione, anche in relazione ai principi espressi dalla direttiva
(UE) 2018/2001 e dal regolamento (UE) 2018/1999, come modificati
dalla direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal regolamento (UE)
2021/1119.
9.1. Le sollevate questioni di costituzionalita' vanno del pari
riferite all'art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo
25 novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei regimi
amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili»,
laddove prevede che «Gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, sono
considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono
essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani
urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma
1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199».
Tale disposizione normativa, infatti, riproduce il divieto
sancito dall'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n.
199/2021.
VII. Conclusioni.
10. In definitiva, sulla scorta delle anzidette considerazioni:
il primo, secondo e terzo motivo di ricorso devono essere
dichiarati inammissibili per carenza di interesse delle societa'
ricorrenti a contestare la legittimita' delle impugnate disposizioni
del decreto legislativo n. 199/2021;
le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2004 prospettate con il quinto e il sesto motivo
di ricorso devono essere dichiarate non rilevanti e manifestamente
infondate;
risultano, invece, rilevanti e non manifestamente infondate
le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 20, comma
1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, come introdotto dall'art.
5, comma 1, del decreto-legge n. 63/2024, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per violazione degli articoli
3 e 117, comma 1, della Costituzione, anche in relazione ai principi
espressi dalla direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento (UE)
2018/1999, come modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413, nonche'
dal regolamento (UE) 2021/1119.
10.1. Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, il presente giudizio e' sospeso fino alla definizione
dell'incidente di costituzionalita'.
10.2. Ai sensi dell'art. 23, commi 4 e 5, della legge 11 marzo
1953, n. 87, la presente sentenza sara' comunicata alle parti
costituite, notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
comunicata anche al Presidente del Senato della Repubblica e al
Presidente della Camera dei deputati.
10.3. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine
alle spese resta riservata alla decisione definitiva del presente
giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione
Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto:
a) dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso;
b) dichiara non rilevanti e manifestamente infondate le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 199/2021, come introdotto dall'art. 5,
comma 1, del decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 101/2024, per violazione degli articoli 10 e 117 della
Costituzione in relazione all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU,
per violazione dell'art. 41 della Costituzione, nonche' per
violazione dell'art. 117 della Costituzione per violazione degli
articoli 3, 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea e del protocollo n. 27 sul mercato interno e sulla
concorrenza;
c) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei
termini espressi in motivazione, le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n.
199/2021, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli 3 e 117, comma
1, della Costituzione, anche in relazione ai principi espressi dalla
direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento (UE) 2018/1999, come
modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal regolamento
(UE) 2021/1119;
d) sospende il giudizio per le determinazioni conseguenti
alla definizione dell'incidente di costituzionalita' e, ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
e) dispone la comunicazione della presente sentenza alle
parti in causa, nonche' la sua notificazione al Presidente del
Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica e
al Presidente della Camera dei deputati;
f) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito del giudizio
incidentale promosso con la presente sentenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorita'
amministrativa.
Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 7
maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente;
Giovanna Vigliotti, primo referendario;
Luca Biffaro, referendario, estensore.
Il Presidente: Stanizzi
L'estensore: Biffaro