Reg. ord. n. 172 del 2025 pubbl. su G.U. del 24/09/2025 n. 39

Ordinanza del Tribunale di Nola  del 15/07/2025

Tra: L. C.

Oggetto:

Processo penale – Giudizio abbreviato – Decisione – Previsione che quando né l'imputato né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione – Mancata previsione che il giudice dell’esecuzione possa applicare la detenzione domiciliare sostitutiva ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l’applicazione contenuta nei limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori presupposti – Denunciata preclusione del raggiungimento delle finalità rieducative e di deflazione processuale connesse agli istituti coinvolti – Irragionevolezza in relazione al principio della finalità rieducativa della pena e al principio, anche convenzionale, della ragionevole durata del processo. 

Norme impugnate:

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 442  Co. 2

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 676  Co. 3



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.

Costituzione  Art. 27   Co.

Costituzione  Art. 111   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.  Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 172 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2025

Ordinanza del 15 luglio 2025 del Tribunale di Nola  nel  procedimento
penale a carico di L. C.. 
 
Processo penale - Giudizio abbreviato - Decisione  -  Previsione  che
  quando  ne'  l'imputato  ne'  il  suo  difensore   hanno   proposto
  impugnazione contro la sentenza di condanna, la  pena  inflitta  e'
  ulteriormente ridotta di un sesto  dal  giudice  dell'esecuzione  -
  Mancata previsione che il giudice dell'esecuzione  possa  applicare
  la detenzione domiciliare sostitutiva ove la diminuzione automatica
  di pena per la mancata  impugnazione  della  sentenza  di  condanna
  emessa in  sede  di  giudizio  abbreviato  comporti  l'applicazione
  contenuta  nei  limiti  di  legge  e  ricorrendone  gli   ulteriori
  presupposti. 
- Codice di procedura penale, artt. 442, comma 2-bis,  e  676,  comma
  3-bis. 


(GU n. 39 del 24-09-2025)

 
                          TRIBUNALE DI NOLA 
                           Sezione GIP/GUP 
 
    Il Giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale  di  Nola,
dott. Raffaele Muzzica, in funzione  di  Giudice  dell'esecuzione  ha
pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  penale   nei
confronti di C. L. , nato a ... il ..., elettivamente domiciliato  ex
art. 161 del codice di procedura penale in ... alla Via  ...;  difeso
di fiducia dall'avv. Claudio Caira, del foro di Foggia, imputato  del
delitto p. e p. dall'art. 110  del  codice  penale  -  73,  comma  1,
decreto del Presidente della  Repubblica  9  ottobre  1990,  n.  309,
perche' senza  l'autorizzazione  di  cui  all'art.  17,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990  illecitamente  e  fuori  dei
casi di esclusivo uso personale  di  cui  all'art.  75  del  medesimo
decreto, in concorso tra loro, detenevano e  trasportavano,  al  fine
cessione a terzi all'interno dell'autovettura ... tg.  ...  con  piu'
azioni esecutive  di  un  medesimo  disegno  criminoso,  illegalmente
deteneva: 
        un involucro in cellophane  trasparente  contenente  sostanza
stupefacente del tipo cocaina in cristalli del  peso  complessivo  di
grammi 310 (peso netto pari a 299 grammi,  con  principio  attivo  al
78,9%); 
        un involucro in cellophane  trasparente  contenente  sostanza
stupefacente del tipo cocaina in polvere del peso complessivo di  gr.
1.184 (peso netto 1003,09 grammi, con principio attivo 64,8%) 
    sostanza stupefacente che nel complesso consente di ricavare 5906
d.m.s. che  per  quantita'  e  modalita'  di  custodia,  e  ulteriori
circostanze dell'azione appare destinata ad un uso non esclusivamente
personale; 
    In ..., in data ... 
    Con la recidiva specifica ed infraquinquennale per ... 
    per sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale  degli
articoli 442, comma 2-bis del codice di procedura penale e 676, comma
3-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono
che  il  Giudice  dell'esecuzione  possa  concedere   la   detenzione
domiciliare sostitutiva, ove la diminuzione automatica di pena per la
mancata impugnazione della sentenza di condanna  emessa  in  sede  di
giudizio abbreviato comporti l'applicazione di una pena contenuta nei
limiti  di  legge  e  ricorrendone  gli  ulteriori  presupposti,  per
violazione degli articoli 3, 27, commi 1  e  3,  111,  117  Cost,  in
riferimento all'art. 6 CEDU. 
1. Svolgimento del procedimento 
    All'udienza camerale  dell'8  maggio  2025  l'imputato  C.  L.  ,
personalmente e per  il  tramite  del  proprio  difensore  munito  di
procura speciale, chiedeva definirsi il procedimento nelle forme  del
rito abbreviato, Nella  medesima  udienza,  il  Giudice,  sentite  le
parti, ritenuto possibile decidere allo stato degli atti, ordinava il
mutamento del rito ed invitava le parti a rassegnare  le  conclusioni
di cui in epigrafe. 
    Appare opportuno evidenziare  che,  gia'  in  sede  di  richieste
conclusive, il difensore all'uopo  munito  di  procura  speciale,  in
presenza dell'imputato,  anticipava  il  consenso  alla  sostituzione
della  pena  detentiva  applicanda  nella  corrispondente  detenzione
domiciliare sostitutiva. 
    Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in Camera
di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al
verbale d'udienza, con contestuale deposito dei motivi. 
    Questo Giudice  dichiarava  C.  L.  colpevole  del  reato  a  lui
ascritto e, applicata la riduzione per il rito,  lo  condannava  alla
pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed  euro  18.000,00
di  multa,  oltre  al  pagamento  delle  spese   processuali   e   di
mantenimento in carcere. 
    La sentenza di condanna diventava irrevocabile, per  acquiescenza
dell'imputato e del suo difensore, il 26 maggio 2025. 
    Con successiva istanza il difensore, munito di procura  speciale,
chiedeva  l'applicazione  in  favore   dell'imputato   dell'ulteriore
diminuente prevista dall'art. 442, comma 2-bis c.p.p. 
    Contestualmente il difensore istante reiterava  la  richiesta  di
sostituzione della pena inflitta nei  confronti  del  C.  con  quella
della detenzione  domiciliare  sostitutiva  ex  articoli  20-bis  del
codice penale e 56, legge n.  689/1981  come  novellato  dal  decreto
legislativo n. 150/2022 e successive modifiche. 
    Il Giudice, previa celebrazione di apposita udienza  camerale  in
data  8  luglio  2025,  accoglieva  con  separato  provvedimento   la
richiesta di applicazione della diminuente ex art. 442,  comma  2-bis
c.p.p.,  sollevando  con   la   presente   ordinanza   questione   di
legittimita' costituzionale. 
2. La rilevanza della questione 
    La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel caso
di specie nei termini che seguono. 
    Con ordinanza emessa in data 8 luglio 2025,  questo  Giudice,  su
richiesta di parte, preso atto dell'intervenuta irrevocabilita' della
sentenza di condanna  emessa  in  sede  di  giudizio  abbreviato  nei
confronti del prevenuto, applicava in suo  favore  la  diminuente  ex
art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale  rideterminando  la
pena inflitta al C. in quella di anni tre, mesi sette,  giorni  dieci
di reclusione ed euro 15.000 di multa. 
    Il  quantum  di  pena  ottenuto,  come  osservato  dal  difensore
istante, consentirebbe al C. di poter godere della  sostituzione  del
trattamento sanzionatorio tradizionale con quello rappresentato dalla
detenzione domiciliare sostitutiva. 
    Ricorrono, inoltre,  ulteriori  elementi  idonei  a  fondare  una
prognosi favorevole circa l'astensione,  da  parte  del  C.  ,  dalla
commissione di ulteriori reati e di adeguatezza della richiesta  pena
sostitutiva. 
    In primo luogo, il C. e' tuttora in regime domiciliare presso  il
medesimo immobile - luogo di residenza dei genitori, che  rinnovavano
in data 23 maggio 2025 la disponibilita' ad accoglierlo anche per  il
prosieguo  -  dove  sarebbe  chiamato  ad   espiare   la   detenzione
domiciliare sostitutiva. 
    L'imputato, soggetto in giovane eta',  e  da  poco  padre  di  un
neonato, era incensurato all'epoca dei fatti e non annovera ulteriori
precedenti diversi da quello  riportato  nel  presente  procedimento,
tant'e' da non rendere  necessario  il  presidio  cautelare  ex  art.
275-bis del codice di procedura penale nei suoi confronti. 
    Nonostante  il  regime  cautelare  domiciliare   cui   e'   stato
sottoposto fin dall'arresto, non risultano segnalazioni o  violazioni
della misura a suo carico, tant'e'  che  questo  Giudice  autorizzava
l'imputato a recarsi libero e senza scorta  presso  il  Tribunale  di
Nola, sito a svariati chilometri di distanza dal domicilio coatto. 
    Cio' premesso, questo  Giudice  non  ignora  che  il  consolidato
diritto vivente, enucleato dalle Sezioni unite della suprema Corte di
cassazione  in  tema  di  sospensione  condizionale  della  pena   ma
esportabile  al  caso  di  specie,   stabilisce   che   «il   giudice
dell'esecuzione puo' compiere proprie  autonome  valutazioni,  sempre
che queste non contraddicano  quelle  del  giudice  della  cognizione
(Cass., Sez. I, 20 maggio 1994, Casagrande, rv. 198342; Sez.  VI,  14
marzo 1994, Zanardini, rv. 197801)» e che «l'intervento a concessione
del beneficio si giustifica solo se nei  pregresso  giudizio  l'unico
motivo della mancata applicazione del beneficio e' identificabile non
nella presenza di una  valutazione  prognostica  della  pericolosita'
dell'imputato, ma nel  solo  effetto  preclusivo  della  sentenza  di
condanna successivamente  revocata  per  intervenuta  abolizione  del
reato» (Sez. Un. 20 dicembre 2005, n. 4687, rv. 232610). 
    Nel caso di specie questo Giudice,  in  veste  di  giudice  della
cognizione, si limitava  ad  attestare  l'insussistenza  del  margine
(edittale)  per  il  riconoscimento  della   detenzione   domiciliare
sostitutiva  (dato  di  per  se'  autosufficiente   ed   assorbente),
lasciando   espressamente   «...   impregiudicata   ogni    ulteriore
valutazione,  in  qualita'  di  giudice  dell'esecuzione,  ai   sensi
dell'art. 442, comma 2-bis c.p.p., a seguito di apposita udienza  che
sara' fissata» (pag. 16 della sentenza di condanna). 
    Il comportamento  processuale  del  C.  (che,  a  fronte  di  una
condanna a pena detentiva non sospesa, prestava  acquiescenza  e  non
presentava appello), l'attuale adeguatezza del regime  cautelare  cui
e'  sottoposto,  l'assenza  di  violazioni  e  la  sua  giovane  eta'
costituiscono elementi che consentirebbero al giudice  di  effettuare
positivamente il vaglio richiesto  per  procedere  alla  sostituzione
della pena  detentiva  nella  corrispondente  detenzione  domiciliare
sostitutiva, non  sussistendo,  peraltro,  nessuna  delle  condizioni
ostative previste dall'art. 59, legge n. 689/1981. 
3.  L'impossibilita'  di   una   interpretazione   costituzionalmente
conforme 
    Tanto premesso in punto di rilevanza della questione, ritiene  lo
scrivente che l'impossibilita'  per  il  Giudice  dell'esecuzione  di
valutare la sostituzione  della  pena  detentiva  nei  confronti  del
prevenuto che, a seguito della diminuente ex art.  442,  comma  2-bis
c.p.p., risulti condannato  a  pena  inferiore  al  margine  edittale
previsto dalla norma ed in  presenza  degli  ulteriori  requisiti  di
legge, sia contraria al principio di ragionevolezza (art.  3  Cost.),
in relazione alla finalita' rieducativa della pena (art. 27, comma  3
Cost.), nonche' alla regola della  ragionevole  durata  del  processo
(art. 111 Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.). 
    Cio'  nonostante,  questo  Giudice  ritiene   impraticabile   una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma. 
    Il legislatore della riforma  Cartabia  non  ha  delineato  alcun
istituto   processuale   funzionale   all'applicazione   delle   pene
sostitutive delle pene detentive brevi in fase esecutiva. 
    Questo Giudice non ignora l'insegnamento  impartito  dalla  Corte
costituzionale  n.  208  del  2024,  dettato  in  relazione  al  caso
specifico  della  concessione   in   executivis   della   sospensione
condizionale della pena, ma,  di  portata  chiaramente  generale,  in
quanto  fondante  sull'applicazione  della  cd.  «teoria  dei  poteri
impliciti», spesso citata dalle pronunce della suprema Corte, secondo
cui, una volta dimostrato che la legge processuale demanda al giudice
una determinata funzione, allo stesso giudice deve  essere  conferita
la titolarita' di tutti i poteri necessari  all'esercizio  di  quella
medesima attribuzione. 
    Secondo  il  Giudice  delle  leggi,  «...in  considerazione   del
silenzio serbato sul punto dal legislatore (e dunque dell'assenza  di
dati testuali incompatibili con tale interpretazione), ma anche  alla
luce dei principi  gradatamente  enucleati  dalla  giurisprudenza  di
legittimita',  dai  quali  emerge  che  tra  i  poteri  del   giudice
dell'esecuzione  -  fondati  che  siano  su   espresse   disposizioni
normative, su applicazioni analogiche di tali disposizioni ovvero  su
un analogia iuris che muova dal  principio  generale  del  necessario
adeguamento del titolo esecutivo a fatti  sopravvenuti  al  giudicato
stesso - rientra il potere di effettuare ogni valutazione conseguente
alla   rideterminazione   della   pena   irrogata   nella    sentenza
irrevocabile, a sua volta imposta  dalle  disposizioni  di  legge  di
volta  in  volta  rilevanti.  In  simili  ipotesi,  il  giudizio   di
esecuzione e'  chiamato  a  ospitare  un  "frammento  di  cognizione"
(sentenza n. 183 del 2013, punto 6 del Considerato in diritto), sulla
base del materiale raccolto in precedenza o - eventualmente  -  delle
nuove evidenze necessarie a compiere le valutazioni in parola, si  da
adeguare le statuizioni relative alla pena nel  loro  complesso  alla
mutata  situazione  sopravvenuta  al  giudicato,  e  alla  quale   il
giudicato stesso deve essere conformato» cfr. 4.1.4. del  Considerato
in diritto). 
    Tuttavia, anche in questo caso, sebbene non sussista  un  diritto
vivente  consolidato  contrario  all'interpretazione  analogica   che
sarebbe necessaria per colmare la lacuna, ritiene  lo  scrivente  che
quelle «... esigenze di certezza giuridica, che sono  particolarmente
acute nella materia processuale» (Corte cost. n. 208 del  2024)  -  e
che nel caso di specie attengono ad un giudizio a quo  nei  confronti
di un  imputato  in  vinculis  -  rendano  necessaria  una  pronuncia
additiva  della  Corte  costituzionale,  in  ragione  di  un  recente
formante della suprema Corte  di  cassazione,  avverso  il  quale  la
pronuncia di questo  Giudice  sarebbe  inevitabilmente  destinata  ad
infrangersi. 
    La suprema Corte di cassazione, sebbene con  riferimento  ad  una
questione specifica diversa da quella posta all'attenzione di  questo
Giudice ma con argomentazione logico-giuridica da cui questo  Giudice
non puo' prescindere, ha espressamente statuito  che  «...il  momento
che ordinariamente rileva per la valutazione  della  possibilita'  di
sostituzione della pena detentiva breve e' quello in cui si  conclude
il giudizio di primo grado,  snodo  nel  quale  vanno  verificate  le
condizioni  per  l'attivazione  del  meccanismo  bifasico   istituito
dall'art. 545-bis cod. proc. pen. (quando, subito dopo la lettura del
dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la
pena detentiva con una delle pene  sostitutive  di  cui  all'art.  53
cit., ne da' avviso alle  parti  e,  se  l'imputato  acconsente  alla
sostituzione della pena detentiva con una  pena  diversa  dalla  pena
pecuniaria, ovvero se puo' aver luogo la sostituzione con detta pena,
il giudice, sentito il pubblico ministero, procede; in tal  caso,  se
non e' possibile decidere immediatamente, fissa una apposita  udienza
non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso  alle  parti  e
all'ufficio di esecuzione penale esterna competente, con  contestuale
sospensione del processo; indi, svolta l'istruttoria  prevista  dalla
norma, il giudice, all'udienza fissata, sentite le parti presenti, il
giudice, se si determina a sostituire la pena detentiva,  integra  il
dispositivo indicando la pena  sostitutiva  con  gli  obblighi  e  le
prescrizioni corrispondenti,  mentre,  se  esclude  la  sostituzione,
conferma il dispositivo, in ogni caso dando lettura  in  udienza  del
dispositivo integrato o confermato)» (Sez. 1, n. 8106 del 6  dicembre
2023, dep. 2024, Canova, Rv. 285987 - 01). 
    Nella sentenza citata la suprema Corte ha espressamente  statuito
che l'istituto  dell'acquiescenza  meritevole  e  della  sostituzione
della  pena  detentiva  breve  si   pongono   in   una   «ineludibile
alternativa» il cui «carattere ineludibile di  tale  alternativa  non
pare avere integrato, a giudizio della Corte, una illogica  strettoia
ordinamentale, essendo indefettibile per ogni imputato giudicato  con
rito abbreviato e condannato dal giudice di primo grado l'esigenza di
scegliere fra la riduzione di pena in  funzione  deflattiva  prevista
dall'art.  442,  comma  2-bis,  cod.  proc  pen.  e  la  proposizione
dell'appello» (Sez. 1, n.  8106  del  6  dicembre  2023,  dep.  2024,
Canova, Rv. 285987 - 01). 
    L'ineludibilita' di tale alternativa,  ad  avviso  della  suprema
Corte, sussiste nel caso di specie «... a fronte di istituti diversi,
connotati  dalle  rispettive,  autonome  funzioni,   fra   loro   non
compatibili ove l'ottenimento della  pena  sostitutiva  debba  essere
richiesto e, se del caso, ottenuto attraverso la previa  impugnazione
della sentenza» (Sez. 1, n. 8106 del  6  dicembre  2023,  dep.  2024,
Canova, Rv. 285987 - 01). 
    Ad opinione della suprema Corte, nella fase  corrispondente  alla
definizione del primo grado del giudizio, l'imputato e'  posto  nella
piena condizione di valutare «l'alternativa costituita  dall'adesione
o meno alla riduzione premiale stabilita dall'art. 442, comma  2-bis,
codice di procedura  penale  in  dipendenza  dell'opzione  escludente
l'impugnazione.» (Sez. 1, n. 8106 del 6  dicembre  2023,  dep.  2024,
Canova, Rv. 285987 - 01). 
    Pur consapevole della natura non vincolante, ancorche'  altamente
autorevole, dell'argomentazione sostenuta dalla suprema Corte  ed  in
assenza di pronunce di segno apertamente  contrario,  ritiene  questo
Giudice che tale orientamento giurisprudenziale di legittimita',  per
quanto in fieri, non renda praticabile un'interpretazione conforme  a
Costituzione da parte del singolo giudice di merito, in  un  processo
nei confronti di imputato detenuto, che si tradurrebbe  nella  ardita
costruzione pretoria  di  un  istituto  in  assenza  di  qualsivoglia
appiglio, sia giurisprudenziale  sia,  ancor  prima,  legislativo  (a
differenza di  quanto  poteva  rilevarsi  nel  diverso  ambito  della
concessione della sospensione  condizionale  in  executivis,  in  cui
plurimi agganci normativi erano  effettivamente  a  disposizione  del
Giudice). Per giunta, una applicazione della analogia iuris nel  caso
di specie si  porrebbe  in  aperto  contrasto  con  la  (tendenziale)
immodificabilita'  del  giudicato,  per  opinione  consolidata  della
suprema  Corte  di  cassazione  principio  generale  dell'ordinamento
derogabile solo nei casi previsti dalla legge (Sez. Un. , sentenza 24
ottobre 2013, n. 18821; Sez. un. pen.  ,  29  maggio  2014  (dep.  14
ottobre 2014) n. 42858). 
    Ed infatti, dal punto di vista legislativo la riforma Cartabia ha
contemplato, all'art. 95, decreto legislativo n. 150  del  2022,  una
disciplina transitoria tale da permettere l'applicazione  retroattiva
in bonam partem delle pene sostitutive  delle  pene  detentive  brevi
anche nei giudizi di impugnazione pendenti alla data del 30  dicembre
2022, in ragione della natura sostanziale delle  pene  sostitutive  e
del  contenuto  complessivamente  piu'  favorevole   al   reo   delle
innovazioni contenute nella nuova disciplina, soprattutto per il piu'
elevato  limite  edittale  entro  il  quale   viene   consentita   la
sostituzione della pena detentiva. 
    L'art. 95, comma 1, d.lgs. cit. prevede che le nuove disposizioni
introdotte al  Capo  III  della  legge  n.  689  del  1981,  se  piu'
favorevoli, si applicano anche ai  procedimenti  penali  pendenti  in
primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata  in  vigore
dello stesso decreto legislativo. Quanto ai procedimenti pendenti  in
sede di legittimita', il condannato a pena detentiva non superiore  a
quattro anni - all'esito di un  procedimento  pendente  innanzi  alla
Corte di cassazione alla data di entrata in vigore  della  suindicata
disciplina - ha titolo a presentare istanza di  applicazione  di  una
delle nuove pene  sostitutive  innanzi  al  giudice  dell'esecuzione,
secondo il procedimento di cui all'art. 666 c.p.p.,  nel  termine  di
trenta   giorni   dall'irrevocabilita'   della   sentenza,   con   la
specificazione che, nel giudizio  di  esecuzione,  si  applicano,  in
quanto compatibili, le norme previste dal gia' citato Capo III  della
legge n. 689 del 1981 e del codice di procedura penale relative  alle
pene sostitutive. 
    Nessun precedente arresto della suprema  Corte  di  cassazione  -
ne', stando a quanto consta a questo  Giudice,  alcun  precedente  di
merito - sorregge l'applicazione analogica che sarebbe necessaria nel
caso in esame. 
    Nessuna  norma  dell'attuale   ordito   processuale   regola   la
situazione in esame. 
    Nel caso di specie, nessun appiglio normativo consente al giudice
dell'esecuzione, nel rideterminare la pena ex art. 442, comma  2-bis,
e 676, comma 3-bis c.p.p., di «adottare i provvedimenti conseguenti»,
ovvero di delibare il possibile riconoscimento della pena sostitutiva
e di seguirne l'iter di esecuzione, stante il completo  silenzio  del
legislatore sul punto. 
4.  La  non  manifesta  infondatezza  della  questione:  una   lacuna
normativa intrinsecamente irragionevole in  relazione  alla  funzione
rieducativa della pena 
    Preliminarmente, la giurisprudenza di legittimita' che  ha  avuto
modo di pronunciarsi finora sull'ambito applicativo dell'istituto  di
cui all'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., ne ha riconosciuto la pacifica
natura sostanziale (Sez. 2, sentenza n. 4237 del 17 novembre 2023 Ud.
(dep.  31  gennaio  2024)  Rv.  285820  -  0),  sulla  falsariga  dei
precedenti arresti delle Sezioni unite in casi  analoghi  (cfr.  Sez.
un. , n. 2977 del 6 marzo 1992, Peccillo; Sez. Un. , n. 18821 del  24
ottobre 2013, Ercolano), affermando che «puo', dunque, in conclusione
affermarsi che e' ormai acquisito nel  nostro  sistema  giuridico  il
principio secondo cui il  trattamento  sanzionatorio,  anche  laddove
collegato alla scelta del rito, finisce  sempre  con  avere  ricadute
sostanziali». 
    D'altronde,  e'  altrettanto  pacifica  la  (rinnovata)  funzione
specialpreventiva delle pene sostitutive delle pene detentive brevi. 
    La stessa relazione illustrativa del decreto legislativo  n.  150
del 2022 redatta dall'Ufficio del Massimario della suprema  Corte  si
mostra ben consapevole di cio', affermando espressamente  che  «...La
ratio  ispiratrice  della  riforma   dev'essere   individuata   nella
considerazione, da tempo diffusa anche nel  contesto  internazionale,
secondo cui una detenzione di breve durata comporta costi individuali
e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi in  termini
di risocializzazione del condannato  e  di  riduzione  dei  tassi  di
recidiva e nell'altrettanto radicata convinzione  che,  nei  casi  di
pena detentiva di breve durata, la finalita',  imposta  dall'art.  27
Cost., di rieducazione e di  risocializzazione  del  condannato  puo'
raggiungersi con maggiori probabilita' attraverso pene  da  eseguirsi
nella comunita' delle persone libere, in modo da escludere o  ridurre
l'effetto di desocializzazione della detenzione in istituiti di pena,
relegando questa al ruolo di extrema ratio. L'azione del  legislatore
delegato  si  snoda  in  una  triplice  direzione.  Innanzitutto,  si
realizza una radicale rivisitazione  delle  tipologie  sanzionatorie,
con  connessa   estensione   dell'ambito   applicativo   della   loro
sostituibilita'.  Si  dispone,  poi,   l'emancipazione   delle   pene
sostitutive dalla sospensione condizionale della pena, eliminando  in
tal modo una delle principali ragioni della scarsa applicazione delle
previgenti  sanzioni  sostitutive.  Da  ultimo,  si  riorientano   le
sanzioni   sostitutive   verso   finalita'    piu'    accentuatamente
specialpreventive.»  (pag.  209  della  Relazione   illustrativa   di
accompagnamento del decreto legislativo n. 150 del 2022). 
    Esplicitamente, la Relazione di accompagnamento si  prefigge  «un
ragionevole  coordinamento  tra  istituti   diversi   -   sospensione
condizionale della pena  e  pene  sostitutive  -,  entrambi  volti  a
contrastare l'esecuzione in carcere di pene detentive  brevi».  (pag.
385 della  Relazione  illustrativa  di  accompagnamento  del  decreto
legislativo n. 150 del 2022). 
    Cio' premesso, questo  Giudice  non  ignora  che  il  legislatore
conserva un margine di discrezionalita' nell'intervenire  nell'ambito
del sistema sanzionatorio (cfr. ordinanza  Corte  cost.  n.  238  del
2019). 
    Tuttavia, anche in  tali  ambiti  le  scelte  legislative  devono
rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa  Corte
costituzionale ha piu' volte ribadito [ex multis, sentenza n. 185 del
2015:   «Secondo   la   costante    giurisprudenza    costituzionale,
l'individuazione delle condotte  punibili  e  la  configurazione  del
relativo trattamento sanzionatorio rientrano  nella  discrezionalita'
legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di  sindacato,
sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca  in
scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis: sentenze
n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e  n.
394 del 2006)»]. 
    Ebbene, come subito piu' dettagliatamente si illustrera'  facendo
applicazione dei suddetti criteri direttivi  tracciati  dalla  Corte,
l'attuale   impossibilita'   di   valutare    l'applicazione    della
sostituzione della pena detentiva a seguito  dell'applicazione  della
diminuente ex art. 442,  comma  2-bis,  codice  di  procedura  penale
sembra costituire una di quelle «manifeste ragioni di  irrazionalita'
o discriminazioni prive di fondamento giuridico, che sole  potrebbero
consentire di sindacare [l']ampio potere discrezionale  riservato  al
legislatore» (Sent. n. 175 del 1997, ma anche n. 416 del 1996; n. 295
e n. 188 del 1995), in riferimento alla quale sarebbe consentita alla
Corte «una valutazione di legittimita' costituzionale  [...]  fondata
soltanto su una irrazionalita' manifesta, irrefutabile» (Sent. n.  46
del 1993, ma anche n. 236 del 2008, n. 81 del 1992, n. 206 del 1999). 
    L'impossibilita' di riconoscere la possibilita' di sostituire  il
trattamento sanzionatorio tradizionale con quello  sostitutivo,  reso
possibile in ragione dell'applicazione della diminuente ex art.  442,
comma 2-bis, codice di procedura penale produce di  per  se'  effetti
distonici rispetto agli scopi prefissati dal legislatore e, pertanto,
sproporzionati  ed  irragionevoli,  nell'accezione  del  giudizio  di
ragionevolezza  fatta  propria  dalla  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale («il giudizio di ragionevolezza, lungi dal  comportare
il  ricorso  a  criteri  di  valutazione  assoluti  e   astrattamente
prefissati,  si  svolge   attraverso   ponderazioni   relative   alla
proporzionalita'  dei  mezzi  prescelti  dal  legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» cfr.
Corte costituzionale sent. n. 1130  del  1988;  Corte  costituzionale
sent. n. 264 del 1996). D'altronde, come da  tempo  la  stessa  Corte
costituzionale  ha  inequivocabilmente  affermato  «Il  principio  di
proporzionalita'  [va]  inteso  [...]  anche  e  soprattutto,   quale
"criterio generale" di congruenza degli strumenti normativi  rispetto
alle finalita' da perseguire»  (Corte  cost.,  sentenza  n.  487  del
1989). 
    In   primo   luogo,   richiamando   la   natura   sostanziale   e
specialpreventiva delle pene sostitutive, il disposto  normativo  qui
censurato istituzionalizza un vero e proprio «vuoto giurisdizionale»,
la  cui  esistenza  e'  di  per  se'  indice  manifesto   della   sua
irragionevolezza, come peraltro confermato dalla Corte costituzionale
nella gia' citata sentenza n. 208 del 2024 in relazione alla  analoga
questione relativa alla sospensione condizionale della pena. 
    In altri termini, a  legislazione  invariata,  nessuna  autorita'
giurisdizionale  ha  il  potere  di  vagliare  la   sussistenza   dei
presupposti  per   la   possibile   applicazione   della   detenzione
domiciliare  sostitutiva  -  ma  il  discorso  e',  apertis   verbis,
estendibile anche alle altre pene sostitutive  -  nei  confronti  del
soggetto in questione: non pote' farlo il giudice  della  cognizione,
in quanto inibito dal quantum di pena (originariamente) inflitto; non
puo' farlo il giudice dell'esecuzione che, a seguito della diminuente
ex art. 442, comma 2-bis c.p.p., applica al condannato, autore di  un
comportamento  processuale  particolarmente  meritevole,   una   pena
rientrante nei limiti. 
    Tale meccanismo normativo comporta, come conseguenza  pressocche'
automatica, l'applicazione di una pena sproporzionata  nei  confronti
del  condannato,   in   astratto   meritevole   di   un   trattamento
sanzionatorio alternativo quale quello rappresentato dalla detenzione
domiciliare sostitutiva. 
    L'individualizzazione del trattamento  sanzionatorio  costituisce
evidente attuazione del  «mandato  costituzionale  di  "personalita'"
della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma,  Cost.»
(Corte cost., sentenza n. 222 del 2018); al contempo, «...  una  pena
non proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita come  tale
dal  condannato)  si  risolve  in  un  ostacolo  alla  sua   funzione
rieducativa» (Corte cost., ult. cit.; ma v. gia', ex multis, sentenza
n. 236 del 2016 e n. 68 del 2012). E come ormai da  tempo  la  Corte,
superando  la  concezione  c.d.   polifunzionale   della   pena,   ha
inequivocabilmente affermato, il rispetto della finalita' rieducativa
della pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione, implica  e
al contempo impone un «"principio  di  proporzione"  tra  qualita'  e
quantita' della sanzione, da una  parte,  e  offesa,  dall'altra»  e,
«lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al  solo
trattamento, indica invece proprio una delle  qualita'  essenziali  e
generali che caratterizzano la pena nel suo  contenuto  ontologico  e
l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta  previsione  normativa,
fino a quando in concreto si estingue» (Corte cost., sentenza n.  313
del 1990). 
    Da ultimo,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  vigorosamente
rimarcato «... allorche' le pene  comminate  appaiano  manifestamente
sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato,
si profila un contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost.,  giacche'  una
pena non proporzionata alla gravita'  del  fatto  si  risolve  in  un
ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis,  sentenze  n.  236
del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). I principi di  cui  agli
articoli 3 e 27 Cost.  «esigono  di  contenere  la  privazione  della
liberta' e la sofferenza inflitta alla  persona  umana  nella  misura
minima necessaria e sempre allo scopo  di  favorirne  il  cammino  di
recupero,  riparazione,  riconciliazione  e  reinserimento   sociale»
(sentenza n. 179 del 2017) in vista  del  "progressivo  reinserimento
armonico della persona  nella  societa',  che  costituisce  l'essenza
della finalita' rieducativa" della pena (da ultimo, sentenza  n.  149
del 2018). Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto  dai
principi costituzionali e'  di  ostacolo  l'espiazione  di  una  pena
oggettivamente non proporzionata alla  gravita'  del  fatto,  quindi,
soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente  vessatoria  e,
dunque, destinata a non realizzare lo  scopo  rieducativo  verso  cui
obbligatoriamente deve tendere») (sentenza n. 40  del  2019;  v.,  da
ultimo, sentenza n. 102/2020). 
    Ne' varrebbe obiettare in  senso  contrario  che  attualmente  il
prevenuto  e'  gia'  in  un  regime   domiciliare   pseudo-esecutivo,
perdurando la misura cautelare degli arresti domiciliari - destinati,
con  ogni  probabilita',  a  diventare   cd.   «arresti   domiciliari
esecutivi» ex art. 656, comma 1 del  codice  di  procedura  penale  a
seguito  della  presa  in  esecuzione   della   sentenza   da   parte
dell'Ufficio di procura. 
    Analogamente, non  puo'  obiettarsi  che  il  prevenuto  potrebbe
giovarsi dell'applicazione della detenzione domiciliare  come  misura
alternativa. 
    Tali obiezioni non colgono nel segno. 
    In primo luogo, deve evidenziarsi che la concessione di  siffatti
istituti  (gli  arresti  domiciliari  esecutivi   e   la   detenzione
domiciliare come misura alternativa alla  detenzione)  costituiscono,
rebus  sic  stantibus,  scenari  futuribili,  appannaggio  di   altre
autorita'  giurisdizionali,  a  fronte  della  possibilita'  di   una
concreta e immediata decisione da parte del giudice della  cognizione
(con tutto  cio'  che  ne  consegue  in  relazione  alla  tenuta  del
combinato disposto qui censurato dal punto di vista  dei  riferimenti
costituzionali di matrice processuale, come  si  dira'  nel  seguente
paragrafo). 
    In secondo  luogo,  la  lacuna  normativa  di  cui  si  duole  lo
scrivente depriva  il  ricorrente  di  un  trattamento  sanzionatorio
sostitutivo non soltanto di  immediata  applicazione,  da  parte  del
giudice della cognizione, ma connotato  per  sua  intrinseca  natura,
come e' stato osservato da  accorta  dottrina,  da  una  «una  minore
afflittivita' della pena» rispetto ad istituti speculati,  funzionale
a  scongiurare  i  negativi   effetti   collaterali   dell'espiazione
carceraria in danno di chi si vede applicata una  condanna  di  breve
durata. 
    La  detenzione  domiciliare  sostitutiva,  al  pari   di   quanto
stabilito dal legislatore in relazione alla semiliberta' sostitutiva,
puo' essere accompagnata dalla predisposizione  di  un  programma  di
trattamento da parte dell'Ufficio  esecuzione  penale  esterna,  allo
scopo di consentire un adeguato reinserimento  del  condannato  nella
societa' (art. 56, comma 2, legge n. 689/1981 «Il giudice dispone  la
detenzione domiciliare sostitutiva tenendo conto anche del  programma
di trattamento elaborato dall'Ufficio di esecuzione  penale  esterna,
che prende in carico il condannato  e  che  riferisce  periodicamente
sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale.»). 
    Inoltre,  il  decreto  legislativo  n.  150/2022  stabilisce  che
l'obbligo del condannato di rimanere nella propria  abitazione  debba
essere determinato dal giudice in un lasso temporale non inferiore  a
dodici  ore  quotidiane,  tenuto  conto  delle  comprovate   esigenze
familiari, di studio, di formazione professionale,  di  lavoro  e  di
salute del reo, nonche' al sopra menzionato programma di trattamento. 
    La  norma  stabilisce  che,  a  fronte  del  minimo  di  ore  che
l'imputato deve trascorrere nel proprio domicilio,  il  giudice  deve
stabilire un minimo di ore in libera uscita, pari a quattro, tali  da
garantire al condannato di provvedere alle esigenze di vita. 
    In questo senso, la  detenzione  domiciliare  sostitutiva  appare
maggiormente incline ad una reintegrazione sociale del  reo  rispetto
ad istituti di cui il ricorrente potrebbe, in astratto ed in un tempo
piu' o meno remoto, usufruire: gli spazi di  maggiore  autorizzazione
ex lege e la presenza di un programma di trattamento  vengono  intesi
quale  strumento  responsabilizzante  in   favore   del   condannato,
incentivando la conservazione di una  sua  sfera  esistenziale,  come
principale viatico di non desocializzazione. 
    Pertanto, l'impossibilita' di convertire la pena detentiva  nella
corrispondente  detenzione  domiciliare  sostitutiva,   che   sarebbe
applicabile all'esito della  diminuente  ex  art.  442,  comma  2-bis
c.p.p.,  comporta  l'applicazione  di  un  trattamento  sanzionatorio
sproporzionato in se', in quanto non necessario per il  perseguimento
delle finalita' di risocializzazione di  cui  all'art.  27,  comma  3
Cost., nulla apportando alla concreta tutela dei diritti fondamentali
dei soggetti coinvolti, tenuto  conto,  altresi',  del  comportamento
processuale acquiescente del condannato. 
    Tale  ultima  variabile,  come   gia'   ricordato   dalla   Corte
costituzionale nella gia' citata sentenza n. 208 del 2024,  non  puo'
non  essere  considerata   nella   determinazione   del   trattamento
sanzionatorio da applicare al condannato («... la  diminuzione  della
pena conseguente a scelte processuali individuali non e' una graziosa
concessione  al   condannato,   ma   riflette   la   precisa   logica
sinallagmatica - la cui legittimita' costituzionale  non  e'  qui  in
discussione - adottata  dal  legislatore,  che  garantisce  un  minor
carico sanzionatorio a chi volontariamente rinunci a esercitare parti
integranti del proprio diritto  costituzionale  di  difesa,  fornendo
cosi' un contributo al piu' rapido ed  efficiente  funzionamento  del
sistema penale nel suo complesso: il che  non  e'  senza  significato
nemmeno ai fini della valutazione  della  "necessita'  di  pena"  del
singolo condannato. Sicche' e' del tutto logico  che  la  valutazione
sui preposti della sospensione  condizionale  e  della  non  menzione
venga operata rispetto alla pena cosi'  come  determinata  "a  valle"
delle scelte processuali dell'imputato, che costituiscono, esse pure,
elementi significativi nella "commisurazione  in  senso  lato"  della
pena a lui applicabile» cfr. 3.2. del Considerato in diritto). 
5.  La  non  manifesta  infondatezza  della  questione:  una   lacuna
normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla ragionevole
durata del processo 
    Come puo' desumersi agevolmente  dalla  lettura  della  relazione
illustrativa al decreto legislativo n. 150 del 2022, l'introduzione -
fedele e pedissequa attuazione del corrispondente criterio  direttivo
della legge delega - dell'istituto di cui all'art. 442,  comma  2-bis
del codice di procedura  penale  e'  stata  ispirata  ad  una  «ratio
deflattiva dell'intervento - che collega alla totale acquiescenza,  e
al connesso risparmio di tempo  e  risorse  processuali,  l'ulteriore
trattamento premiale in relazione alla pena inflitta». 
    Ma uno sguardo piu' ampio sull'intero  portato  della  riforma  -
spesso definita, non a caso, una riforma «di sistema» -  consente  di
delineare un  quadro  piu'  sinergico  e  composito  delle  finalita'
prefissate da legislatore, animato dal plurimo obiettivo di apportare
«... interventi  sul  sistema  sanzionatorio,  sinergici  con  quelli
relativi al processo, (che) consentono di:  ridurre  le  impugnazioni
(inappellabilita' delle sentenze di condanna  alla  pena  sostitutiva
del  lavoro  di  pubblica  utilita');  rendere  piu'  efficiente   il
procedimento  penale  nella  fase  dell'esecuzione  (riduzione  delle
misure alternative  alla  detenzione  peri  condannati  in  stato  di
liberta', in favore di pene  sostitutive  applicate  dal  giudice  di
cognizione, con conseguente riduzione del numero e  ridimensionamento
della patologica  situazione  dei  c.d.  liberi  sospesi,  cioe'  dei
condannati a pena detentiva che attendono talora per anni,  in  stato
di liberta', la decisione sull'istanza di concessione di  una  misura
alternativa alla detenzione)...» (pag. 8 della relazione). 
    In altri termini, l'obiettivo «ultimo» del  legislatore  delegato
e' stato quello di consentire «... una anticipazione dell'alternativa
al  carcere  all'esito  del  giudizio  di  cognizione»  mediante   la
riconosciuta possibilita' giudice di cognizione  di  applicare  pene,
diverse  da   quella   detentiva,   destinate   a   essere   eseguite
immediatamente, dopo la definitivita' della  condanna,  senza  essere
«sostituite»  con  misure  alternative  da  parte  del  tribunale  di
sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna  stessa
(come testimonia l'allarmante fenomeno  dei  c.d.  liberi  sospesi).»
(pag. 186 della relazione illustrativa al decreto legislativo n.  150
del 2022). 
    Orbene, cio' premesso, la lacuna normativa qui censurata si  pone
altresi' in contrasto con il  principio  di  ragionevole  durata  del
processo  e,  di  conseguenza,  con  la   finalita'   di   deflazione
processuale posta a fondamento sia dell'art.  442,  comma  2-bis  del
codice di procedura penale sia  delle  pene  sostitutive  delle  pene
detentive brevi. 
    Come   sostenuto   dalla   giurisprudenza   costituzionale,    la
ragionevole durata e' oggetto, (oltreche' di un interesse collettivo,
di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno
di quello ad un giudizio equo e imparziale, come  oggi  espressamente
risulta dal dettato dell'art. 111, comma 2 Cost.» (C. cost., 21 marzo
2002, n. 78, altresi' Corte costituzionale, 26 aprile 2018,  n.  88).
La garanzia in esame e' funzionale, come piu' volte  affermato  anche
dalla giurisprudenza sovranazionale, a tutelare il relativo  titolare
«dal rischio di restare troppo a lungo nell'incertezza della  propria
sorte» (C. eur., 10 novembre 1969, Stogmuller c. Austria,  §  5:  «in
criminal matters, especially, it is designed to avoid that  a  person
charged should remain too long in a state of  uncertainty  about  his
fate»), sul presupposto che tale condizione nel processo penale  -  a
prescindere dall'esito piu' o meno fausto - sia di per se'  fonte  di
sofferenza individuale. 
    Il principio, come e'  noto,  affonda  le  sue  radici  non  solo
nell'art. 111, comma 2 Cost., ma altresi' in una  congerie  di  norme
internazionale,  parimenti  violate  dal   combinato   disposto   qui
censurato (artt.  6  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  per  il  tramite
dell'art. 117 Cost., art. 47 CDFUE, nonche' art. 14, lettera  c)  del
Patto internazionale sui diritti civili e politici) e,  per  pacifica
giurisprudenza costituzionale e convenzionale, si estende non solo  a
tutela dell'indagato che abbia avuto conoscenza  del  procedimento  a
suo carico (C. cost., 23 luglio 2015, n. 184) e dell'imputato  (Corte
EDU, 15 luglio 1982, Eckle c. Germania, § 73, secondo cui  i  termini
"charge" e "charged" alludono a: «the official notification given  to
an individual by the competent authority of an allegation that he has
committed a criminal offence, a definition that also  corresponds  to
the  test  whether  "the  situation  of  the   [suspect]   has   been
substantially  affected"».  V.  anche  C.  eur.,  10  dicembre  1982,
Corigliano c. Italia, §  34.  Piu'  di  recente,  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, 5 ottobre 2017, Kaleja c.  Lettonia,  §  36:  «The
Court reiterates that in  criminal  matters,  the  "reasonable  time"
referred to in Article 6 § 1 begins to run as soon  as  a  person  is
"charged". A  "criminal  charge"  exists  from  the  moment  that  an
individual is officially notified by the competent  authority  of  an
allegation that he has committed a  criminal  offence,  or  from  the
point at which his  situation  has  been  substantially  affected  by
actions taken by the authorities as a result of a  suspicion  against
him»; cfr. anche, da ultimo, Corte europea dei diritti dell'uomo,  20
giugno 2019,  Chiarello  c.  Germania,  §  44)  ma  anche  alla  fase
esecutivo - trattamentale del processo. 
    Il  principio  della  ragionevole  durata  del   processo,   come
interpretato dalla giurisprudenza convenzionale,  obbliga  gli  Stati
membri, in primo luogo, «a organizzare il loro sistema giudiziario in
modo che le giurisdizioni possano assolvere all'esigenza di celebrare
i processi in termini ragionevoli»  (C.  eur.,  GC,  29  marzo  2006,
Scordino c. Italia, cit., in particolare §§ 183-187), prescrivendo al
legislatore di porre le  condizioni  ordinamentali,  organizzative  e
processuali piu' idonee al conseguimento degli obiettivi connessi  ad
un congruo accertamento processuale. 
    Cio' premesso, l'inibizione per  il  giudice  dell'esecuzione  di
valutare il riconoscimento della detenzione  domiciliare  sostitutiva
nei confronti del soggetto che, ormai condannato in via definitiva, a
seguito dell'applicazione della diminuente ex art. 442,  comma  2-bis
c.p.p., si trovi destinatario di  una  pena  rientrante  nel  margine
edittale,  tramuta  quest'ultimo  -  in  esatta  antitesi  a   quanto
propugnato  dalla  Riforma  Cartabia,  che  mirava  ad  eliminare  il
fenomeno  -  nell'equivalente,  mutatis  mutandis,  di   un   «libero
sospeso», il cui trattamento sanzionatorio - con  ogni  probabilita',
extracarcerario  stante  il  quantum  di   pena   -   dovra'   essere
supervisionato e gestito dalla Magistratura di  sorveglianza,  previa
emissione  di  un  ordine  di  carcerazione  da   parte   del   p.m.,
eventualmente sospeso ove ne ricorrano le condizioni. 
    Laddove, in caso contrario, non sussistano i presupposti  per  il
riconoscimento   della   sospensione   dell'ordine   di    esecuzione
addirittura il trattamento sanzionatori  del  soggetto  in  questione
sara' veicolato attraverso un nocivo e  temporaneo  contatto  con  il
carcere, in completo dispregio della necessita'  di  evitare  il  cd.
fenomeno   delle   «porte   girevoli»,   anticamera   degli   effetti
desocializzanti delle pene detentive brevi, che pure  il  legislatore
delegato mirava a contenere. 
    Dalle ragioni sovraesposte, dunque, appare evidente che la lacuna
normativa censurata non solo non consente di raggiungere le finalita'
rieducative  e  di  deflazione  processuale  connesse  agli  istituti
coinvolti, ma si pone in chiave antagonista rispetto a queste ultime,
ostacolando la realizzazione di trattamenti sanzionatori  alternativi
al carcere gia' in fase di  cognizione  ed  inflazionando  in  misura
deteriore il gia' gravato procedimento di sorveglianza. 
    Ne' puo' valere, in senso contrario,  obiettare  che  il  sistema
offre   un'alternativa   rimediale   mediante   il   sistema    delle
impugnazioni. 
    Come gia' riconosciuto dalla  Corte  costituzionale  n.  208  del
2024, infatti, «... la soluzione ora in esame  finirebbe  per  minare
gravemente    l'effettivita'     dell'incentivo     alla     rinuncia
all'impugnazione, sul quale ha scommesso la riforma del 2022, per chi
sia stato condannato a una pena che,  grazie  alla  riduzione  di  un
sesto,  potrebbe  rientrare  entro  i  limiti   di   legge   per   il
riconoscimento di entrambi i  benefici.  In  tal  caso,  infatti,  il
condannato avrebbe ogni incentivo per  proporre  appello,  mirando  a
ottenere in quella sede una riduzione della  pena,  anche  grazie  al
meccanismo del concordato con rinuncia ai motivi di  appello  di  cui
all'art.  599-bis  del   codice   di   procedura   penale.   Il   che
introdurrebbe, come a ragione osserva il rimettente, un  elemento  di
intrinseca irrazionalita' rispetto allo stesso scopo  legislativo  di
favorire una piu' rapida  definizione  del  contenzioso  penale:  con
conseguente ulteriore profilo di frizione rispetto all'art. 3  Cost.,
in combinato disposto con gli articoli 111,  secondo  comma,  e  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  6,  paragrafo
1, CEDU» cfr. 3.4.4. del Considerato in diritto). 
    Infine, l'accoglimento della questione proposta  dallo  scrivente
risulterebbe  proattivo  e  sinergico  rispetto  all'attuale  assetto
normativo che, a seguito  della  modifica  normativa  dell'art.  676,
comma 1, c.p.p., operata dall'art. 2, comma 1, lettera  dd),  decreto
legislativo  19  marzo  2024,  n.  31,  richiede  la  fissazione   di
un'apposita udienza camerale  per  la  delibazione  sull'applicazione
della diminuente ex art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale
ai sensi del neo-introdotto comma  3-bis  della  citata  norma,  come
interpretata  dai  piu'   recenti   arresti   della   suprema   Corte
(«L'applicazione in sede esecutiva della riduzione della pena  di  un
sesto, prevista dall'art.  442,  comma  2-bis,  codice  di  procedura
penale nel caso di mancata impugnazione della sentenza resa in  esito
a giudizio abbreviato, deve essere deliberata all'esito  dell'udienza
camerale fissata ai sensi  dell'art.  666  del  codice  di  procedura
penale , sicche' il  provvedimento  emesso  "de  plano"  dal  giudice
dell'esecuzione e' affetto da nullita'  assoluta  ed  insanabile,  ai
sensi dell'art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.»  (Sez.  1,
n. 7356 del 6 febbraio 2025, Abbrescia, Rv. 287522 - 01). 
    La celebrazione di un'udienza camerale  ai  sensi  del  combinato
disposto degli articoli 442, comma  2-bis  e  676,  comma  3-bis  del
codice di procedura penale - piuttosto che tramutarsi in  un  inutile
orpello formalistico per l'applicazione di un automatismo legislativo
che  ben  potrebbe  effettuarsi  de  plano  -   si   riempirebbe   di
significato, assumendo le sembianze di una udienza di  sentencing  in
fase esecutiva, ovverosia di uno  «spazio  di  contraddittorio  sulla
pena» funzionale a consentire alle parti ed al giudice  rinnovate  (e
piu' congruenti) valutazioni in ordine al  trattamento  sanzionatorio
nei confronti del condannato. 
    Tutto cio' premesso, 

 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante nel presente  giudizio  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale degli  articoli
442, comma 2-bis e 676, comma 3-bis del codice  di  procedura  penale
nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione possa
applicare la detenzione domiciliare sostitutiva, ove  la  diminuzione
automatica di pena per la  mancata  impugnazione  della  sentenza  di
condanna   emessa   in   sede   di   giudizio   abbreviato   comporti
l'applicazione  di  una  pena  contenuta  nei  limiti  di   legge   e
ricorrendone gli ulteriori presupposti, per violazione degli articoli
3, 27, commi 1 e  3,  111,  117  della  Costituzione  in  riferimento
all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Sospende il giudizio. 
    Ordina l'immediata trasmissione alla Corte  costituzionale  della
presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme  con  la  prova
delle comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. 
    Dispone che la presente ordinanza sia notificata  al  condannato,
al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio  dei  ministri  e
che sia comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e  della
Camera dei deputati. 
        Nola, 14 luglio 2025 
 
                           Il GIP: Muzzica