Reg. ord. n. 172 del 2025 pubbl. su G.U. del 24/09/2025 n. 39
Ordinanza del Tribunale di Nola del 15/07/2025
Tra: L. C.
Oggetto:
Processo penale – Giudizio abbreviato – Decisione – Previsione che quando né l'imputato né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione – Mancata previsione che il giudice dell’esecuzione possa applicare la detenzione domiciliare sostitutiva ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l’applicazione contenuta nei limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori presupposti – Denunciata preclusione del raggiungimento delle finalità rieducative e di deflazione processuale connesse agli istituti coinvolti – Irragionevolezza in relazione al principio della finalità rieducativa della pena e al principio, anche convenzionale, della ragionevole durata del processo.
Norme impugnate:
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 442
Co. 2
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 676
Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 1
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Costituzione
Art. 111
Co.
Costituzione
Art. 117
Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali
Art. 6
Co.
Testo dell'ordinanza
N. 172 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2025
Ordinanza del 15 luglio 2025 del Tribunale di Nola nel procedimento
penale a carico di L. C..
Processo penale - Giudizio abbreviato - Decisione - Previsione che
quando ne' l'imputato ne' il suo difensore hanno proposto
impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta e'
ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione -
Mancata previsione che il giudice dell'esecuzione possa applicare
la detenzione domiciliare sostitutiva ove la diminuzione automatica
di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna
emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l'applicazione
contenuta nei limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori
presupposti.
- Codice di procedura penale, artt. 442, comma 2-bis, e 676, comma
3-bis.
(GU n. 39 del 24-09-2025)
TRIBUNALE DI NOLA
Sezione GIP/GUP
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nola,
dott. Raffaele Muzzica, in funzione di Giudice dell'esecuzione ha
pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale nei
confronti di C. L. , nato a ... il ..., elettivamente domiciliato ex
art. 161 del codice di procedura penale in ... alla Via ...; difeso
di fiducia dall'avv. Claudio Caira, del foro di Foggia, imputato del
delitto p. e p. dall'art. 110 del codice penale - 73, comma 1,
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309,
perche' senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 illecitamente e fuori dei
casi di esclusivo uso personale di cui all'art. 75 del medesimo
decreto, in concorso tra loro, detenevano e trasportavano, al fine
cessione a terzi all'interno dell'autovettura ... tg. ... con piu'
azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, illegalmente
deteneva:
un involucro in cellophane trasparente contenente sostanza
stupefacente del tipo cocaina in cristalli del peso complessivo di
grammi 310 (peso netto pari a 299 grammi, con principio attivo al
78,9%);
un involucro in cellophane trasparente contenente sostanza
stupefacente del tipo cocaina in polvere del peso complessivo di gr.
1.184 (peso netto 1003,09 grammi, con principio attivo 64,8%)
sostanza stupefacente che nel complesso consente di ricavare 5906
d.m.s. che per quantita' e modalita' di custodia, e ulteriori
circostanze dell'azione appare destinata ad un uso non esclusivamente
personale;
In ..., in data ...
Con la recidiva specifica ed infraquinquennale per ...
per sollevare questione di legittimita' costituzionale degli
articoli 442, comma 2-bis del codice di procedura penale e 676, comma
3-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono
che il Giudice dell'esecuzione possa concedere la detenzione
domiciliare sostitutiva, ove la diminuzione automatica di pena per la
mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di
giudizio abbreviato comporti l'applicazione di una pena contenuta nei
limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori presupposti, per
violazione degli articoli 3, 27, commi 1 e 3, 111, 117 Cost, in
riferimento all'art. 6 CEDU.
1. Svolgimento del procedimento
All'udienza camerale dell'8 maggio 2025 l'imputato C. L. ,
personalmente e per il tramite del proprio difensore munito di
procura speciale, chiedeva definirsi il procedimento nelle forme del
rito abbreviato, Nella medesima udienza, il Giudice, sentite le
parti, ritenuto possibile decidere allo stato degli atti, ordinava il
mutamento del rito ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni
di cui in epigrafe.
Appare opportuno evidenziare che, gia' in sede di richieste
conclusive, il difensore all'uopo munito di procura speciale, in
presenza dell'imputato, anticipava il consenso alla sostituzione
della pena detentiva applicanda nella corrispondente detenzione
domiciliare sostitutiva.
Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in Camera
di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al
verbale d'udienza, con contestuale deposito dei motivi.
Questo Giudice dichiarava C. L. colpevole del reato a lui
ascritto e, applicata la riduzione per il rito, lo condannava alla
pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 18.000,00
di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di
mantenimento in carcere.
La sentenza di condanna diventava irrevocabile, per acquiescenza
dell'imputato e del suo difensore, il 26 maggio 2025.
Con successiva istanza il difensore, munito di procura speciale,
chiedeva l'applicazione in favore dell'imputato dell'ulteriore
diminuente prevista dall'art. 442, comma 2-bis c.p.p.
Contestualmente il difensore istante reiterava la richiesta di
sostituzione della pena inflitta nei confronti del C. con quella
della detenzione domiciliare sostitutiva ex articoli 20-bis del
codice penale e 56, legge n. 689/1981 come novellato dal decreto
legislativo n. 150/2022 e successive modifiche.
Il Giudice, previa celebrazione di apposita udienza camerale in
data 8 luglio 2025, accoglieva con separato provvedimento la
richiesta di applicazione della diminuente ex art. 442, comma 2-bis
c.p.p., sollevando con la presente ordinanza questione di
legittimita' costituzionale.
2. La rilevanza della questione
La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel caso
di specie nei termini che seguono.
Con ordinanza emessa in data 8 luglio 2025, questo Giudice, su
richiesta di parte, preso atto dell'intervenuta irrevocabilita' della
sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato nei
confronti del prevenuto, applicava in suo favore la diminuente ex
art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale rideterminando la
pena inflitta al C. in quella di anni tre, mesi sette, giorni dieci
di reclusione ed euro 15.000 di multa.
Il quantum di pena ottenuto, come osservato dal difensore
istante, consentirebbe al C. di poter godere della sostituzione del
trattamento sanzionatorio tradizionale con quello rappresentato dalla
detenzione domiciliare sostitutiva.
Ricorrono, inoltre, ulteriori elementi idonei a fondare una
prognosi favorevole circa l'astensione, da parte del C. , dalla
commissione di ulteriori reati e di adeguatezza della richiesta pena
sostitutiva.
In primo luogo, il C. e' tuttora in regime domiciliare presso il
medesimo immobile - luogo di residenza dei genitori, che rinnovavano
in data 23 maggio 2025 la disponibilita' ad accoglierlo anche per il
prosieguo - dove sarebbe chiamato ad espiare la detenzione
domiciliare sostitutiva.
L'imputato, soggetto in giovane eta', e da poco padre di un
neonato, era incensurato all'epoca dei fatti e non annovera ulteriori
precedenti diversi da quello riportato nel presente procedimento,
tant'e' da non rendere necessario il presidio cautelare ex art.
275-bis del codice di procedura penale nei suoi confronti.
Nonostante il regime cautelare domiciliare cui e' stato
sottoposto fin dall'arresto, non risultano segnalazioni o violazioni
della misura a suo carico, tant'e' che questo Giudice autorizzava
l'imputato a recarsi libero e senza scorta presso il Tribunale di
Nola, sito a svariati chilometri di distanza dal domicilio coatto.
Cio' premesso, questo Giudice non ignora che il consolidato
diritto vivente, enucleato dalle Sezioni unite della suprema Corte di
cassazione in tema di sospensione condizionale della pena ma
esportabile al caso di specie, stabilisce che «il giudice
dell'esecuzione puo' compiere proprie autonome valutazioni, sempre
che queste non contraddicano quelle del giudice della cognizione
(Cass., Sez. I, 20 maggio 1994, Casagrande, rv. 198342; Sez. VI, 14
marzo 1994, Zanardini, rv. 197801)» e che «l'intervento a concessione
del beneficio si giustifica solo se nei pregresso giudizio l'unico
motivo della mancata applicazione del beneficio e' identificabile non
nella presenza di una valutazione prognostica della pericolosita'
dell'imputato, ma nel solo effetto preclusivo della sentenza di
condanna successivamente revocata per intervenuta abolizione del
reato» (Sez. Un. 20 dicembre 2005, n. 4687, rv. 232610).
Nel caso di specie questo Giudice, in veste di giudice della
cognizione, si limitava ad attestare l'insussistenza del margine
(edittale) per il riconoscimento della detenzione domiciliare
sostitutiva (dato di per se' autosufficiente ed assorbente),
lasciando espressamente «... impregiudicata ogni ulteriore
valutazione, in qualita' di giudice dell'esecuzione, ai sensi
dell'art. 442, comma 2-bis c.p.p., a seguito di apposita udienza che
sara' fissata» (pag. 16 della sentenza di condanna).
Il comportamento processuale del C. (che, a fronte di una
condanna a pena detentiva non sospesa, prestava acquiescenza e non
presentava appello), l'attuale adeguatezza del regime cautelare cui
e' sottoposto, l'assenza di violazioni e la sua giovane eta'
costituiscono elementi che consentirebbero al giudice di effettuare
positivamente il vaglio richiesto per procedere alla sostituzione
della pena detentiva nella corrispondente detenzione domiciliare
sostitutiva, non sussistendo, peraltro, nessuna delle condizioni
ostative previste dall'art. 59, legge n. 689/1981.
3. L'impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente
conforme
Tanto premesso in punto di rilevanza della questione, ritiene lo
scrivente che l'impossibilita' per il Giudice dell'esecuzione di
valutare la sostituzione della pena detentiva nei confronti del
prevenuto che, a seguito della diminuente ex art. 442, comma 2-bis
c.p.p., risulti condannato a pena inferiore al margine edittale
previsto dalla norma ed in presenza degli ulteriori requisiti di
legge, sia contraria al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.),
in relazione alla finalita' rieducativa della pena (art. 27, comma 3
Cost.), nonche' alla regola della ragionevole durata del processo
(art. 111 Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.).
Cio' nonostante, questo Giudice ritiene impraticabile una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma.
Il legislatore della riforma Cartabia non ha delineato alcun
istituto processuale funzionale all'applicazione delle pene
sostitutive delle pene detentive brevi in fase esecutiva.
Questo Giudice non ignora l'insegnamento impartito dalla Corte
costituzionale n. 208 del 2024, dettato in relazione al caso
specifico della concessione in executivis della sospensione
condizionale della pena, ma, di portata chiaramente generale, in
quanto fondante sull'applicazione della cd. «teoria dei poteri
impliciti», spesso citata dalle pronunce della suprema Corte, secondo
cui, una volta dimostrato che la legge processuale demanda al giudice
una determinata funzione, allo stesso giudice deve essere conferita
la titolarita' di tutti i poteri necessari all'esercizio di quella
medesima attribuzione.
Secondo il Giudice delle leggi, «...in considerazione del
silenzio serbato sul punto dal legislatore (e dunque dell'assenza di
dati testuali incompatibili con tale interpretazione), ma anche alla
luce dei principi gradatamente enucleati dalla giurisprudenza di
legittimita', dai quali emerge che tra i poteri del giudice
dell'esecuzione - fondati che siano su espresse disposizioni
normative, su applicazioni analogiche di tali disposizioni ovvero su
un analogia iuris che muova dal principio generale del necessario
adeguamento del titolo esecutivo a fatti sopravvenuti al giudicato
stesso - rientra il potere di effettuare ogni valutazione conseguente
alla rideterminazione della pena irrogata nella sentenza
irrevocabile, a sua volta imposta dalle disposizioni di legge di
volta in volta rilevanti. In simili ipotesi, il giudizio di
esecuzione e' chiamato a ospitare un "frammento di cognizione"
(sentenza n. 183 del 2013, punto 6 del Considerato in diritto), sulla
base del materiale raccolto in precedenza o - eventualmente - delle
nuove evidenze necessarie a compiere le valutazioni in parola, si da
adeguare le statuizioni relative alla pena nel loro complesso alla
mutata situazione sopravvenuta al giudicato, e alla quale il
giudicato stesso deve essere conformato» cfr. 4.1.4. del Considerato
in diritto).
Tuttavia, anche in questo caso, sebbene non sussista un diritto
vivente consolidato contrario all'interpretazione analogica che
sarebbe necessaria per colmare la lacuna, ritiene lo scrivente che
quelle «... esigenze di certezza giuridica, che sono particolarmente
acute nella materia processuale» (Corte cost. n. 208 del 2024) - e
che nel caso di specie attengono ad un giudizio a quo nei confronti
di un imputato in vinculis - rendano necessaria una pronuncia
additiva della Corte costituzionale, in ragione di un recente
formante della suprema Corte di cassazione, avverso il quale la
pronuncia di questo Giudice sarebbe inevitabilmente destinata ad
infrangersi.
La suprema Corte di cassazione, sebbene con riferimento ad una
questione specifica diversa da quella posta all'attenzione di questo
Giudice ma con argomentazione logico-giuridica da cui questo Giudice
non puo' prescindere, ha espressamente statuito che «...il momento
che ordinariamente rileva per la valutazione della possibilita' di
sostituzione della pena detentiva breve e' quello in cui si conclude
il giudizio di primo grado, snodo nel quale vanno verificate le
condizioni per l'attivazione del meccanismo bifasico istituito
dall'art. 545-bis cod. proc. pen. (quando, subito dopo la lettura del
dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la
pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53
cit., ne da' avviso alle parti e, se l'imputato acconsente alla
sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena
pecuniaria, ovvero se puo' aver luogo la sostituzione con detta pena,
il giudice, sentito il pubblico ministero, procede; in tal caso, se
non e' possibile decidere immediatamente, fissa una apposita udienza
non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e
all'ufficio di esecuzione penale esterna competente, con contestuale
sospensione del processo; indi, svolta l'istruttoria prevista dalla
norma, il giudice, all'udienza fissata, sentite le parti presenti, il
giudice, se si determina a sostituire la pena detentiva, integra il
dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le
prescrizioni corrispondenti, mentre, se esclude la sostituzione,
conferma il dispositivo, in ogni caso dando lettura in udienza del
dispositivo integrato o confermato)» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre
2023, dep. 2024, Canova, Rv. 285987 - 01).
Nella sentenza citata la suprema Corte ha espressamente statuito
che l'istituto dell'acquiescenza meritevole e della sostituzione
della pena detentiva breve si pongono in una «ineludibile
alternativa» il cui «carattere ineludibile di tale alternativa non
pare avere integrato, a giudizio della Corte, una illogica strettoia
ordinamentale, essendo indefettibile per ogni imputato giudicato con
rito abbreviato e condannato dal giudice di primo grado l'esigenza di
scegliere fra la riduzione di pena in funzione deflattiva prevista
dall'art. 442, comma 2-bis, cod. proc pen. e la proposizione
dell'appello» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre 2023, dep. 2024,
Canova, Rv. 285987 - 01).
L'ineludibilita' di tale alternativa, ad avviso della suprema
Corte, sussiste nel caso di specie «... a fronte di istituti diversi,
connotati dalle rispettive, autonome funzioni, fra loro non
compatibili ove l'ottenimento della pena sostitutiva debba essere
richiesto e, se del caso, ottenuto attraverso la previa impugnazione
della sentenza» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre 2023, dep. 2024,
Canova, Rv. 285987 - 01).
Ad opinione della suprema Corte, nella fase corrispondente alla
definizione del primo grado del giudizio, l'imputato e' posto nella
piena condizione di valutare «l'alternativa costituita dall'adesione
o meno alla riduzione premiale stabilita dall'art. 442, comma 2-bis,
codice di procedura penale in dipendenza dell'opzione escludente
l'impugnazione.» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre 2023, dep. 2024,
Canova, Rv. 285987 - 01).
Pur consapevole della natura non vincolante, ancorche' altamente
autorevole, dell'argomentazione sostenuta dalla suprema Corte ed in
assenza di pronunce di segno apertamente contrario, ritiene questo
Giudice che tale orientamento giurisprudenziale di legittimita', per
quanto in fieri, non renda praticabile un'interpretazione conforme a
Costituzione da parte del singolo giudice di merito, in un processo
nei confronti di imputato detenuto, che si tradurrebbe nella ardita
costruzione pretoria di un istituto in assenza di qualsivoglia
appiglio, sia giurisprudenziale sia, ancor prima, legislativo (a
differenza di quanto poteva rilevarsi nel diverso ambito della
concessione della sospensione condizionale in executivis, in cui
plurimi agganci normativi erano effettivamente a disposizione del
Giudice). Per giunta, una applicazione della analogia iuris nel caso
di specie si porrebbe in aperto contrasto con la (tendenziale)
immodificabilita' del giudicato, per opinione consolidata della
suprema Corte di cassazione principio generale dell'ordinamento
derogabile solo nei casi previsti dalla legge (Sez. Un. , sentenza 24
ottobre 2013, n. 18821; Sez. un. pen. , 29 maggio 2014 (dep. 14
ottobre 2014) n. 42858).
Ed infatti, dal punto di vista legislativo la riforma Cartabia ha
contemplato, all'art. 95, decreto legislativo n. 150 del 2022, una
disciplina transitoria tale da permettere l'applicazione retroattiva
in bonam partem delle pene sostitutive delle pene detentive brevi
anche nei giudizi di impugnazione pendenti alla data del 30 dicembre
2022, in ragione della natura sostanziale delle pene sostitutive e
del contenuto complessivamente piu' favorevole al reo delle
innovazioni contenute nella nuova disciplina, soprattutto per il piu'
elevato limite edittale entro il quale viene consentita la
sostituzione della pena detentiva.
L'art. 95, comma 1, d.lgs. cit. prevede che le nuove disposizioni
introdotte al Capo III della legge n. 689 del 1981, se piu'
favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in
primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore
dello stesso decreto legislativo. Quanto ai procedimenti pendenti in
sede di legittimita', il condannato a pena detentiva non superiore a
quattro anni - all'esito di un procedimento pendente innanzi alla
Corte di cassazione alla data di entrata in vigore della suindicata
disciplina - ha titolo a presentare istanza di applicazione di una
delle nuove pene sostitutive innanzi al giudice dell'esecuzione,
secondo il procedimento di cui all'art. 666 c.p.p., nel termine di
trenta giorni dall'irrevocabilita' della sentenza, con la
specificazione che, nel giudizio di esecuzione, si applicano, in
quanto compatibili, le norme previste dal gia' citato Capo III della
legge n. 689 del 1981 e del codice di procedura penale relative alle
pene sostitutive.
Nessun precedente arresto della suprema Corte di cassazione -
ne', stando a quanto consta a questo Giudice, alcun precedente di
merito - sorregge l'applicazione analogica che sarebbe necessaria nel
caso in esame.
Nessuna norma dell'attuale ordito processuale regola la
situazione in esame.
Nel caso di specie, nessun appiglio normativo consente al giudice
dell'esecuzione, nel rideterminare la pena ex art. 442, comma 2-bis,
e 676, comma 3-bis c.p.p., di «adottare i provvedimenti conseguenti»,
ovvero di delibare il possibile riconoscimento della pena sostitutiva
e di seguirne l'iter di esecuzione, stante il completo silenzio del
legislatore sul punto.
4. La non manifesta infondatezza della questione: una lacuna
normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla funzione
rieducativa della pena
Preliminarmente, la giurisprudenza di legittimita' che ha avuto
modo di pronunciarsi finora sull'ambito applicativo dell'istituto di
cui all'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., ne ha riconosciuto la pacifica
natura sostanziale (Sez. 2, sentenza n. 4237 del 17 novembre 2023 Ud.
(dep. 31 gennaio 2024) Rv. 285820 - 0), sulla falsariga dei
precedenti arresti delle Sezioni unite in casi analoghi (cfr. Sez.
un. , n. 2977 del 6 marzo 1992, Peccillo; Sez. Un. , n. 18821 del 24
ottobre 2013, Ercolano), affermando che «puo', dunque, in conclusione
affermarsi che e' ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il
principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove
collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute
sostanziali».
D'altronde, e' altrettanto pacifica la (rinnovata) funzione
specialpreventiva delle pene sostitutive delle pene detentive brevi.
La stessa relazione illustrativa del decreto legislativo n. 150
del 2022 redatta dall'Ufficio del Massimario della suprema Corte si
mostra ben consapevole di cio', affermando espressamente che «...La
ratio ispiratrice della riforma dev'essere individuata nella
considerazione, da tempo diffusa anche nel contesto internazionale,
secondo cui una detenzione di breve durata comporta costi individuali
e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi in termini
di risocializzazione del condannato e di riduzione dei tassi di
recidiva e nell'altrettanto radicata convinzione che, nei casi di
pena detentiva di breve durata, la finalita', imposta dall'art. 27
Cost., di rieducazione e di risocializzazione del condannato puo'
raggiungersi con maggiori probabilita' attraverso pene da eseguirsi
nella comunita' delle persone libere, in modo da escludere o ridurre
l'effetto di desocializzazione della detenzione in istituiti di pena,
relegando questa al ruolo di extrema ratio. L'azione del legislatore
delegato si snoda in una triplice direzione. Innanzitutto, si
realizza una radicale rivisitazione delle tipologie sanzionatorie,
con connessa estensione dell'ambito applicativo della loro
sostituibilita'. Si dispone, poi, l'emancipazione delle pene
sostitutive dalla sospensione condizionale della pena, eliminando in
tal modo una delle principali ragioni della scarsa applicazione delle
previgenti sanzioni sostitutive. Da ultimo, si riorientano le
sanzioni sostitutive verso finalita' piu' accentuatamente
specialpreventive.» (pag. 209 della Relazione illustrativa di
accompagnamento del decreto legislativo n. 150 del 2022).
Esplicitamente, la Relazione di accompagnamento si prefigge «un
ragionevole coordinamento tra istituti diversi - sospensione
condizionale della pena e pene sostitutive -, entrambi volti a
contrastare l'esecuzione in carcere di pene detentive brevi». (pag.
385 della Relazione illustrativa di accompagnamento del decreto
legislativo n. 150 del 2022).
Cio' premesso, questo Giudice non ignora che il legislatore
conserva un margine di discrezionalita' nell'intervenire nell'ambito
del sistema sanzionatorio (cfr. ordinanza Corte cost. n. 238 del
2019).
Tuttavia, anche in tali ambiti le scelte legislative devono
rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa Corte
costituzionale ha piu' volte ribadito [ex multis, sentenza n. 185 del
2015: «Secondo la costante giurisprudenza costituzionale,
l'individuazione delle condotte punibili e la configurazione del
relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalita'
legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di sindacato,
sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca in
scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis: sentenze
n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e n.
394 del 2006)»].
Ebbene, come subito piu' dettagliatamente si illustrera' facendo
applicazione dei suddetti criteri direttivi tracciati dalla Corte,
l'attuale impossibilita' di valutare l'applicazione della
sostituzione della pena detentiva a seguito dell'applicazione della
diminuente ex art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale
sembra costituire una di quelle «manifeste ragioni di irrazionalita'
o discriminazioni prive di fondamento giuridico, che sole potrebbero
consentire di sindacare [l']ampio potere discrezionale riservato al
legislatore» (Sent. n. 175 del 1997, ma anche n. 416 del 1996; n. 295
e n. 188 del 1995), in riferimento alla quale sarebbe consentita alla
Corte «una valutazione di legittimita' costituzionale [...] fondata
soltanto su una irrazionalita' manifesta, irrefutabile» (Sent. n. 46
del 1993, ma anche n. 236 del 2008, n. 81 del 1992, n. 206 del 1999).
L'impossibilita' di riconoscere la possibilita' di sostituire il
trattamento sanzionatorio tradizionale con quello sostitutivo, reso
possibile in ragione dell'applicazione della diminuente ex art. 442,
comma 2-bis, codice di procedura penale produce di per se' effetti
distonici rispetto agli scopi prefissati dal legislatore e, pertanto,
sproporzionati ed irragionevoli, nell'accezione del giudizio di
ragionevolezza fatta propria dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale («il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare
il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente
prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla
proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da
soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto
delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» cfr.
Corte costituzionale sent. n. 1130 del 1988; Corte costituzionale
sent. n. 264 del 1996). D'altronde, come da tempo la stessa Corte
costituzionale ha inequivocabilmente affermato «Il principio di
proporzionalita' [va] inteso [...] anche e soprattutto, quale
"criterio generale" di congruenza degli strumenti normativi rispetto
alle finalita' da perseguire» (Corte cost., sentenza n. 487 del
1989).
In primo luogo, richiamando la natura sostanziale e
specialpreventiva delle pene sostitutive, il disposto normativo qui
censurato istituzionalizza un vero e proprio «vuoto giurisdizionale»,
la cui esistenza e' di per se' indice manifesto della sua
irragionevolezza, come peraltro confermato dalla Corte costituzionale
nella gia' citata sentenza n. 208 del 2024 in relazione alla analoga
questione relativa alla sospensione condizionale della pena.
In altri termini, a legislazione invariata, nessuna autorita'
giurisdizionale ha il potere di vagliare la sussistenza dei
presupposti per la possibile applicazione della detenzione
domiciliare sostitutiva - ma il discorso e', apertis verbis,
estendibile anche alle altre pene sostitutive - nei confronti del
soggetto in questione: non pote' farlo il giudice della cognizione,
in quanto inibito dal quantum di pena (originariamente) inflitto; non
puo' farlo il giudice dell'esecuzione che, a seguito della diminuente
ex art. 442, comma 2-bis c.p.p., applica al condannato, autore di un
comportamento processuale particolarmente meritevole, una pena
rientrante nei limiti.
Tale meccanismo normativo comporta, come conseguenza pressocche'
automatica, l'applicazione di una pena sproporzionata nei confronti
del condannato, in astratto meritevole di un trattamento
sanzionatorio alternativo quale quello rappresentato dalla detenzione
domiciliare sostitutiva.
L'individualizzazione del trattamento sanzionatorio costituisce
evidente attuazione del «mandato costituzionale di "personalita'"
della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma, Cost.»
(Corte cost., sentenza n. 222 del 2018); al contempo, «... una pena
non proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita come tale
dal condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione
rieducativa» (Corte cost., ult. cit.; ma v. gia', ex multis, sentenza
n. 236 del 2016 e n. 68 del 2012). E come ormai da tempo la Corte,
superando la concezione c.d. polifunzionale della pena, ha
inequivocabilmente affermato, il rispetto della finalita' rieducativa
della pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione, implica e
al contempo impone un «"principio di proporzione" tra qualita' e
quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» e,
«lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo
trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e
generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e
l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa,
fino a quando in concreto si estingue» (Corte cost., sentenza n. 313
del 1990).
Da ultimo, la giurisprudenza costituzionale ha vigorosamente
rimarcato «... allorche' le pene comminate appaiano manifestamente
sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato,
si profila un contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost., giacche' una
pena non proporzionata alla gravita' del fatto si risolve in un
ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis, sentenze n. 236
del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). I principi di cui agli
articoli 3 e 27 Cost. «esigono di contenere la privazione della
liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura
minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di
recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale»
(sentenza n. 179 del 2017) in vista del "progressivo reinserimento
armonico della persona nella societa', che costituisce l'essenza
della finalita' rieducativa" della pena (da ultimo, sentenza n. 149
del 2018). Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai
principi costituzionali e' di ostacolo l'espiazione di una pena
oggettivamente non proporzionata alla gravita' del fatto, quindi,
soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e,
dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui
obbligatoriamente deve tendere») (sentenza n. 40 del 2019; v., da
ultimo, sentenza n. 102/2020).
Ne' varrebbe obiettare in senso contrario che attualmente il
prevenuto e' gia' in un regime domiciliare pseudo-esecutivo,
perdurando la misura cautelare degli arresti domiciliari - destinati,
con ogni probabilita', a diventare cd. «arresti domiciliari
esecutivi» ex art. 656, comma 1 del codice di procedura penale a
seguito della presa in esecuzione della sentenza da parte
dell'Ufficio di procura.
Analogamente, non puo' obiettarsi che il prevenuto potrebbe
giovarsi dell'applicazione della detenzione domiciliare come misura
alternativa.
Tali obiezioni non colgono nel segno.
In primo luogo, deve evidenziarsi che la concessione di siffatti
istituti (gli arresti domiciliari esecutivi e la detenzione
domiciliare come misura alternativa alla detenzione) costituiscono,
rebus sic stantibus, scenari futuribili, appannaggio di altre
autorita' giurisdizionali, a fronte della possibilita' di una
concreta e immediata decisione da parte del giudice della cognizione
(con tutto cio' che ne consegue in relazione alla tenuta del
combinato disposto qui censurato dal punto di vista dei riferimenti
costituzionali di matrice processuale, come si dira' nel seguente
paragrafo).
In secondo luogo, la lacuna normativa di cui si duole lo
scrivente depriva il ricorrente di un trattamento sanzionatorio
sostitutivo non soltanto di immediata applicazione, da parte del
giudice della cognizione, ma connotato per sua intrinseca natura,
come e' stato osservato da accorta dottrina, da una «una minore
afflittivita' della pena» rispetto ad istituti speculati, funzionale
a scongiurare i negativi effetti collaterali dell'espiazione
carceraria in danno di chi si vede applicata una condanna di breve
durata.
La detenzione domiciliare sostitutiva, al pari di quanto
stabilito dal legislatore in relazione alla semiliberta' sostitutiva,
puo' essere accompagnata dalla predisposizione di un programma di
trattamento da parte dell'Ufficio esecuzione penale esterna, allo
scopo di consentire un adeguato reinserimento del condannato nella
societa' (art. 56, comma 2, legge n. 689/1981 «Il giudice dispone la
detenzione domiciliare sostitutiva tenendo conto anche del programma
di trattamento elaborato dall'Ufficio di esecuzione penale esterna,
che prende in carico il condannato e che riferisce periodicamente
sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale.»).
Inoltre, il decreto legislativo n. 150/2022 stabilisce che
l'obbligo del condannato di rimanere nella propria abitazione debba
essere determinato dal giudice in un lasso temporale non inferiore a
dodici ore quotidiane, tenuto conto delle comprovate esigenze
familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro e di
salute del reo, nonche' al sopra menzionato programma di trattamento.
La norma stabilisce che, a fronte del minimo di ore che
l'imputato deve trascorrere nel proprio domicilio, il giudice deve
stabilire un minimo di ore in libera uscita, pari a quattro, tali da
garantire al condannato di provvedere alle esigenze di vita.
In questo senso, la detenzione domiciliare sostitutiva appare
maggiormente incline ad una reintegrazione sociale del reo rispetto
ad istituti di cui il ricorrente potrebbe, in astratto ed in un tempo
piu' o meno remoto, usufruire: gli spazi di maggiore autorizzazione
ex lege e la presenza di un programma di trattamento vengono intesi
quale strumento responsabilizzante in favore del condannato,
incentivando la conservazione di una sua sfera esistenziale, come
principale viatico di non desocializzazione.
Pertanto, l'impossibilita' di convertire la pena detentiva nella
corrispondente detenzione domiciliare sostitutiva, che sarebbe
applicabile all'esito della diminuente ex art. 442, comma 2-bis
c.p.p., comporta l'applicazione di un trattamento sanzionatorio
sproporzionato in se', in quanto non necessario per il perseguimento
delle finalita' di risocializzazione di cui all'art. 27, comma 3
Cost., nulla apportando alla concreta tutela dei diritti fondamentali
dei soggetti coinvolti, tenuto conto, altresi', del comportamento
processuale acquiescente del condannato.
Tale ultima variabile, come gia' ricordato dalla Corte
costituzionale nella gia' citata sentenza n. 208 del 2024, non puo'
non essere considerata nella determinazione del trattamento
sanzionatorio da applicare al condannato («... la diminuzione della
pena conseguente a scelte processuali individuali non e' una graziosa
concessione al condannato, ma riflette la precisa logica
sinallagmatica - la cui legittimita' costituzionale non e' qui in
discussione - adottata dal legislatore, che garantisce un minor
carico sanzionatorio a chi volontariamente rinunci a esercitare parti
integranti del proprio diritto costituzionale di difesa, fornendo
cosi' un contributo al piu' rapido ed efficiente funzionamento del
sistema penale nel suo complesso: il che non e' senza significato
nemmeno ai fini della valutazione della "necessita' di pena" del
singolo condannato. Sicche' e' del tutto logico che la valutazione
sui preposti della sospensione condizionale e della non menzione
venga operata rispetto alla pena cosi' come determinata "a valle"
delle scelte processuali dell'imputato, che costituiscono, esse pure,
elementi significativi nella "commisurazione in senso lato" della
pena a lui applicabile» cfr. 3.2. del Considerato in diritto).
5. La non manifesta infondatezza della questione: una lacuna
normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla ragionevole
durata del processo
Come puo' desumersi agevolmente dalla lettura della relazione
illustrativa al decreto legislativo n. 150 del 2022, l'introduzione -
fedele e pedissequa attuazione del corrispondente criterio direttivo
della legge delega - dell'istituto di cui all'art. 442, comma 2-bis
del codice di procedura penale e' stata ispirata ad una «ratio
deflattiva dell'intervento - che collega alla totale acquiescenza, e
al connesso risparmio di tempo e risorse processuali, l'ulteriore
trattamento premiale in relazione alla pena inflitta».
Ma uno sguardo piu' ampio sull'intero portato della riforma -
spesso definita, non a caso, una riforma «di sistema» - consente di
delineare un quadro piu' sinergico e composito delle finalita'
prefissate da legislatore, animato dal plurimo obiettivo di apportare
«... interventi sul sistema sanzionatorio, sinergici con quelli
relativi al processo, (che) consentono di: ridurre le impugnazioni
(inappellabilita' delle sentenze di condanna alla pena sostitutiva
del lavoro di pubblica utilita'); rendere piu' efficiente il
procedimento penale nella fase dell'esecuzione (riduzione delle
misure alternative alla detenzione peri condannati in stato di
liberta', in favore di pene sostitutive applicate dal giudice di
cognizione, con conseguente riduzione del numero e ridimensionamento
della patologica situazione dei c.d. liberi sospesi, cioe' dei
condannati a pena detentiva che attendono talora per anni, in stato
di liberta', la decisione sull'istanza di concessione di una misura
alternativa alla detenzione)...» (pag. 8 della relazione).
In altri termini, l'obiettivo «ultimo» del legislatore delegato
e' stato quello di consentire «... una anticipazione dell'alternativa
al carcere all'esito del giudizio di cognizione» mediante la
riconosciuta possibilita' giudice di cognizione di applicare pene,
diverse da quella detentiva, destinate a essere eseguite
immediatamente, dopo la definitivita' della condanna, senza essere
«sostituite» con misure alternative da parte del tribunale di
sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna stessa
(come testimonia l'allarmante fenomeno dei c.d. liberi sospesi).»
(pag. 186 della relazione illustrativa al decreto legislativo n. 150
del 2022).
Orbene, cio' premesso, la lacuna normativa qui censurata si pone
altresi' in contrasto con il principio di ragionevole durata del
processo e, di conseguenza, con la finalita' di deflazione
processuale posta a fondamento sia dell'art. 442, comma 2-bis del
codice di procedura penale sia delle pene sostitutive delle pene
detentive brevi.
Come sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale, la
ragionevole durata e' oggetto, (oltreche' di un interesse collettivo,
di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno
di quello ad un giudizio equo e imparziale, come oggi espressamente
risulta dal dettato dell'art. 111, comma 2 Cost.» (C. cost., 21 marzo
2002, n. 78, altresi' Corte costituzionale, 26 aprile 2018, n. 88).
La garanzia in esame e' funzionale, come piu' volte affermato anche
dalla giurisprudenza sovranazionale, a tutelare il relativo titolare
«dal rischio di restare troppo a lungo nell'incertezza della propria
sorte» (C. eur., 10 novembre 1969, Stogmuller c. Austria, § 5: «in
criminal matters, especially, it is designed to avoid that a person
charged should remain too long in a state of uncertainty about his
fate»), sul presupposto che tale condizione nel processo penale - a
prescindere dall'esito piu' o meno fausto - sia di per se' fonte di
sofferenza individuale.
Il principio, come e' noto, affonda le sue radici non solo
nell'art. 111, comma 2 Cost., ma altresi' in una congerie di norme
internazionale, parimenti violate dal combinato disposto qui
censurato (artt. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per il tramite
dell'art. 117 Cost., art. 47 CDFUE, nonche' art. 14, lettera c) del
Patto internazionale sui diritti civili e politici) e, per pacifica
giurisprudenza costituzionale e convenzionale, si estende non solo a
tutela dell'indagato che abbia avuto conoscenza del procedimento a
suo carico (C. cost., 23 luglio 2015, n. 184) e dell'imputato (Corte
EDU, 15 luglio 1982, Eckle c. Germania, § 73, secondo cui i termini
"charge" e "charged" alludono a: «the official notification given to
an individual by the competent authority of an allegation that he has
committed a criminal offence, a definition that also corresponds to
the test whether "the situation of the [suspect] has been
substantially affected"». V. anche C. eur., 10 dicembre 1982,
Corigliano c. Italia, § 34. Piu' di recente, Corte europea dei
diritti dell'uomo, 5 ottobre 2017, Kaleja c. Lettonia, § 36: «The
Court reiterates that in criminal matters, the "reasonable time"
referred to in Article 6 § 1 begins to run as soon as a person is
"charged". A "criminal charge" exists from the moment that an
individual is officially notified by the competent authority of an
allegation that he has committed a criminal offence, or from the
point at which his situation has been substantially affected by
actions taken by the authorities as a result of a suspicion against
him»; cfr. anche, da ultimo, Corte europea dei diritti dell'uomo, 20
giugno 2019, Chiarello c. Germania, § 44) ma anche alla fase
esecutivo - trattamentale del processo.
Il principio della ragionevole durata del processo, come
interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, obbliga gli Stati
membri, in primo luogo, «a organizzare il loro sistema giudiziario in
modo che le giurisdizioni possano assolvere all'esigenza di celebrare
i processi in termini ragionevoli» (C. eur., GC, 29 marzo 2006,
Scordino c. Italia, cit., in particolare §§ 183-187), prescrivendo al
legislatore di porre le condizioni ordinamentali, organizzative e
processuali piu' idonee al conseguimento degli obiettivi connessi ad
un congruo accertamento processuale.
Cio' premesso, l'inibizione per il giudice dell'esecuzione di
valutare il riconoscimento della detenzione domiciliare sostitutiva
nei confronti del soggetto che, ormai condannato in via definitiva, a
seguito dell'applicazione della diminuente ex art. 442, comma 2-bis
c.p.p., si trovi destinatario di una pena rientrante nel margine
edittale, tramuta quest'ultimo - in esatta antitesi a quanto
propugnato dalla Riforma Cartabia, che mirava ad eliminare il
fenomeno - nell'equivalente, mutatis mutandis, di un «libero
sospeso», il cui trattamento sanzionatorio - con ogni probabilita',
extracarcerario stante il quantum di pena - dovra' essere
supervisionato e gestito dalla Magistratura di sorveglianza, previa
emissione di un ordine di carcerazione da parte del p.m.,
eventualmente sospeso ove ne ricorrano le condizioni.
Laddove, in caso contrario, non sussistano i presupposti per il
riconoscimento della sospensione dell'ordine di esecuzione
addirittura il trattamento sanzionatori del soggetto in questione
sara' veicolato attraverso un nocivo e temporaneo contatto con il
carcere, in completo dispregio della necessita' di evitare il cd.
fenomeno delle «porte girevoli», anticamera degli effetti
desocializzanti delle pene detentive brevi, che pure il legislatore
delegato mirava a contenere.
Dalle ragioni sovraesposte, dunque, appare evidente che la lacuna
normativa censurata non solo non consente di raggiungere le finalita'
rieducative e di deflazione processuale connesse agli istituti
coinvolti, ma si pone in chiave antagonista rispetto a queste ultime,
ostacolando la realizzazione di trattamenti sanzionatori alternativi
al carcere gia' in fase di cognizione ed inflazionando in misura
deteriore il gia' gravato procedimento di sorveglianza.
Ne' puo' valere, in senso contrario, obiettare che il sistema
offre un'alternativa rimediale mediante il sistema delle
impugnazioni.
Come gia' riconosciuto dalla Corte costituzionale n. 208 del
2024, infatti, «... la soluzione ora in esame finirebbe per minare
gravemente l'effettivita' dell'incentivo alla rinuncia
all'impugnazione, sul quale ha scommesso la riforma del 2022, per chi
sia stato condannato a una pena che, grazie alla riduzione di un
sesto, potrebbe rientrare entro i limiti di legge per il
riconoscimento di entrambi i benefici. In tal caso, infatti, il
condannato avrebbe ogni incentivo per proporre appello, mirando a
ottenere in quella sede una riduzione della pena, anche grazie al
meccanismo del concordato con rinuncia ai motivi di appello di cui
all'art. 599-bis del codice di procedura penale. Il che
introdurrebbe, come a ragione osserva il rimettente, un elemento di
intrinseca irrazionalita' rispetto allo stesso scopo legislativo di
favorire una piu' rapida definizione del contenzioso penale: con
conseguente ulteriore profilo di frizione rispetto all'art. 3 Cost.,
in combinato disposto con gli articoli 111, secondo comma, e 117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo
1, CEDU» cfr. 3.4.4. del Considerato in diritto).
Infine, l'accoglimento della questione proposta dallo scrivente
risulterebbe proattivo e sinergico rispetto all'attuale assetto
normativo che, a seguito della modifica normativa dell'art. 676,
comma 1, c.p.p., operata dall'art. 2, comma 1, lettera dd), decreto
legislativo 19 marzo 2024, n. 31, richiede la fissazione di
un'apposita udienza camerale per la delibazione sull'applicazione
della diminuente ex art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale
ai sensi del neo-introdotto comma 3-bis della citata norma, come
interpretata dai piu' recenti arresti della suprema Corte
(«L'applicazione in sede esecutiva della riduzione della pena di un
sesto, prevista dall'art. 442, comma 2-bis, codice di procedura
penale nel caso di mancata impugnazione della sentenza resa in esito
a giudizio abbreviato, deve essere deliberata all'esito dell'udienza
camerale fissata ai sensi dell'art. 666 del codice di procedura
penale , sicche' il provvedimento emesso "de plano" dal giudice
dell'esecuzione e' affetto da nullita' assoluta ed insanabile, ai
sensi dell'art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.» (Sez. 1,
n. 7356 del 6 febbraio 2025, Abbrescia, Rv. 287522 - 01).
La celebrazione di un'udienza camerale ai sensi del combinato
disposto degli articoli 442, comma 2-bis e 676, comma 3-bis del
codice di procedura penale - piuttosto che tramutarsi in un inutile
orpello formalistico per l'applicazione di un automatismo legislativo
che ben potrebbe effettuarsi de plano - si riempirebbe di
significato, assumendo le sembianze di una udienza di sentencing in
fase esecutiva, ovverosia di uno «spazio di contraddittorio sulla
pena» funzionale a consentire alle parti ed al giudice rinnovate (e
piu' congruenti) valutazioni in ordine al trattamento sanzionatorio
nei confronti del condannato.
Tutto cio' premesso,
P.Q.M.
Dichiara rilevante nel presente giudizio e non manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli
442, comma 2-bis e 676, comma 3-bis del codice di procedura penale
nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione possa
applicare la detenzione domiciliare sostitutiva, ove la diminuzione
automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di
condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti
l'applicazione di una pena contenuta nei limiti di legge e
ricorrendone gli ulteriori presupposti, per violazione degli articoli
3, 27, commi 1 e 3, 111, 117 della Costituzione in riferimento
all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
Sospende il giudizio.
Ordina l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della
presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme con la prova
delle comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso.
Dispone che la presente ordinanza sia notificata al condannato,
al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri e
che sia comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e della
Camera dei deputati.
Nola, 14 luglio 2025
Il GIP: Muzzica
Oggetto:
Processo penale – Giudizio abbreviato – Decisione – Previsione che quando né l'imputato né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione – Mancata previsione che il giudice dell’esecuzione possa applicare la detenzione domiciliare sostitutiva ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l’applicazione contenuta nei limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori presupposti – Denunciata preclusione del raggiungimento delle finalità rieducative e di deflazione processuale connesse agli istituti coinvolti – Irragionevolezza in relazione al principio della finalità rieducativa della pena e al principio, anche convenzionale, della ragionevole durata del processo.
Norme impugnate:
codice di procedura penale del Num. Art. 442 Co. 2
codice di procedura penale del Num. Art. 676 Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 1
Costituzione Art. 27 Co. 3
Costituzione Art. 111 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali Art. 6 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 172 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2025 Ordinanza del 15 luglio 2025 del Tribunale di Nola nel procedimento penale a carico di L. C.. Processo penale - Giudizio abbreviato - Decisione - Previsione che quando ne' l'imputato ne' il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta e' ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione - Mancata previsione che il giudice dell'esecuzione possa applicare la detenzione domiciliare sostitutiva ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l'applicazione contenuta nei limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori presupposti. - Codice di procedura penale, artt. 442, comma 2-bis, e 676, comma 3-bis. (GU n. 39 del 24-09-2025) TRIBUNALE DI NOLA Sezione GIP/GUP Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nola, dott. Raffaele Muzzica, in funzione di Giudice dell'esecuzione ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di C. L. , nato a ... il ..., elettivamente domiciliato ex art. 161 del codice di procedura penale in ... alla Via ...; difeso di fiducia dall'avv. Claudio Caira, del foro di Foggia, imputato del delitto p. e p. dall'art. 110 del codice penale - 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, perche' senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 illecitamente e fuori dei casi di esclusivo uso personale di cui all'art. 75 del medesimo decreto, in concorso tra loro, detenevano e trasportavano, al fine cessione a terzi all'interno dell'autovettura ... tg. ... con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, illegalmente deteneva: un involucro in cellophane trasparente contenente sostanza stupefacente del tipo cocaina in cristalli del peso complessivo di grammi 310 (peso netto pari a 299 grammi, con principio attivo al 78,9%); un involucro in cellophane trasparente contenente sostanza stupefacente del tipo cocaina in polvere del peso complessivo di gr. 1.184 (peso netto 1003,09 grammi, con principio attivo 64,8%) sostanza stupefacente che nel complesso consente di ricavare 5906 d.m.s. che per quantita' e modalita' di custodia, e ulteriori circostanze dell'azione appare destinata ad un uso non esclusivamente personale; In ..., in data ... Con la recidiva specifica ed infraquinquennale per ... per sollevare questione di legittimita' costituzionale degli articoli 442, comma 2-bis del codice di procedura penale e 676, comma 3-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono che il Giudice dell'esecuzione possa concedere la detenzione domiciliare sostitutiva, ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l'applicazione di una pena contenuta nei limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori presupposti, per violazione degli articoli 3, 27, commi 1 e 3, 111, 117 Cost, in riferimento all'art. 6 CEDU. 1. Svolgimento del procedimento All'udienza camerale dell'8 maggio 2025 l'imputato C. L. , personalmente e per il tramite del proprio difensore munito di procura speciale, chiedeva definirsi il procedimento nelle forme del rito abbreviato, Nella medesima udienza, il Giudice, sentite le parti, ritenuto possibile decidere allo stato degli atti, ordinava il mutamento del rito ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe. Appare opportuno evidenziare che, gia' in sede di richieste conclusive, il difensore all'uopo munito di procura speciale, in presenza dell'imputato, anticipava il consenso alla sostituzione della pena detentiva applicanda nella corrispondente detenzione domiciliare sostitutiva. Al termine della discussione questo Giudice si ritirava in Camera di consiglio per la decisione, pubblicando il dispositivo allegato al verbale d'udienza, con contestuale deposito dei motivi. Questo Giudice dichiarava C. L. colpevole del reato a lui ascritto e, applicata la riduzione per il rito, lo condannava alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere. La sentenza di condanna diventava irrevocabile, per acquiescenza dell'imputato e del suo difensore, il 26 maggio 2025. Con successiva istanza il difensore, munito di procura speciale, chiedeva l'applicazione in favore dell'imputato dell'ulteriore diminuente prevista dall'art. 442, comma 2-bis c.p.p. Contestualmente il difensore istante reiterava la richiesta di sostituzione della pena inflitta nei confronti del C. con quella della detenzione domiciliare sostitutiva ex articoli 20-bis del codice penale e 56, legge n. 689/1981 come novellato dal decreto legislativo n. 150/2022 e successive modifiche. Il Giudice, previa celebrazione di apposita udienza camerale in data 8 luglio 2025, accoglieva con separato provvedimento la richiesta di applicazione della diminuente ex art. 442, comma 2-bis c.p.p., sollevando con la presente ordinanza questione di legittimita' costituzionale. 2. La rilevanza della questione La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante nel caso di specie nei termini che seguono. Con ordinanza emessa in data 8 luglio 2025, questo Giudice, su richiesta di parte, preso atto dell'intervenuta irrevocabilita' della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato nei confronti del prevenuto, applicava in suo favore la diminuente ex art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale rideterminando la pena inflitta al C. in quella di anni tre, mesi sette, giorni dieci di reclusione ed euro 15.000 di multa. Il quantum di pena ottenuto, come osservato dal difensore istante, consentirebbe al C. di poter godere della sostituzione del trattamento sanzionatorio tradizionale con quello rappresentato dalla detenzione domiciliare sostitutiva. Ricorrono, inoltre, ulteriori elementi idonei a fondare una prognosi favorevole circa l'astensione, da parte del C. , dalla commissione di ulteriori reati e di adeguatezza della richiesta pena sostitutiva. In primo luogo, il C. e' tuttora in regime domiciliare presso il medesimo immobile - luogo di residenza dei genitori, che rinnovavano in data 23 maggio 2025 la disponibilita' ad accoglierlo anche per il prosieguo - dove sarebbe chiamato ad espiare la detenzione domiciliare sostitutiva. L'imputato, soggetto in giovane eta', e da poco padre di un neonato, era incensurato all'epoca dei fatti e non annovera ulteriori precedenti diversi da quello riportato nel presente procedimento, tant'e' da non rendere necessario il presidio cautelare ex art. 275-bis del codice di procedura penale nei suoi confronti. Nonostante il regime cautelare domiciliare cui e' stato sottoposto fin dall'arresto, non risultano segnalazioni o violazioni della misura a suo carico, tant'e' che questo Giudice autorizzava l'imputato a recarsi libero e senza scorta presso il Tribunale di Nola, sito a svariati chilometri di distanza dal domicilio coatto. Cio' premesso, questo Giudice non ignora che il consolidato diritto vivente, enucleato dalle Sezioni unite della suprema Corte di cassazione in tema di sospensione condizionale della pena ma esportabile al caso di specie, stabilisce che «il giudice dell'esecuzione puo' compiere proprie autonome valutazioni, sempre che queste non contraddicano quelle del giudice della cognizione (Cass., Sez. I, 20 maggio 1994, Casagrande, rv. 198342; Sez. VI, 14 marzo 1994, Zanardini, rv. 197801)» e che «l'intervento a concessione del beneficio si giustifica solo se nei pregresso giudizio l'unico motivo della mancata applicazione del beneficio e' identificabile non nella presenza di una valutazione prognostica della pericolosita' dell'imputato, ma nel solo effetto preclusivo della sentenza di condanna successivamente revocata per intervenuta abolizione del reato» (Sez. Un. 20 dicembre 2005, n. 4687, rv. 232610). Nel caso di specie questo Giudice, in veste di giudice della cognizione, si limitava ad attestare l'insussistenza del margine (edittale) per il riconoscimento della detenzione domiciliare sostitutiva (dato di per se' autosufficiente ed assorbente), lasciando espressamente «... impregiudicata ogni ulteriore valutazione, in qualita' di giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 442, comma 2-bis c.p.p., a seguito di apposita udienza che sara' fissata» (pag. 16 della sentenza di condanna). Il comportamento processuale del C. (che, a fronte di una condanna a pena detentiva non sospesa, prestava acquiescenza e non presentava appello), l'attuale adeguatezza del regime cautelare cui e' sottoposto, l'assenza di violazioni e la sua giovane eta' costituiscono elementi che consentirebbero al giudice di effettuare positivamente il vaglio richiesto per procedere alla sostituzione della pena detentiva nella corrispondente detenzione domiciliare sostitutiva, non sussistendo, peraltro, nessuna delle condizioni ostative previste dall'art. 59, legge n. 689/1981. 3. L'impossibilita' di una interpretazione costituzionalmente conforme Tanto premesso in punto di rilevanza della questione, ritiene lo scrivente che l'impossibilita' per il Giudice dell'esecuzione di valutare la sostituzione della pena detentiva nei confronti del prevenuto che, a seguito della diminuente ex art. 442, comma 2-bis c.p.p., risulti condannato a pena inferiore al margine edittale previsto dalla norma ed in presenza degli ulteriori requisiti di legge, sia contraria al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in relazione alla finalita' rieducativa della pena (art. 27, comma 3 Cost.), nonche' alla regola della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost. e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 Cost.). Cio' nonostante, questo Giudice ritiene impraticabile una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Il legislatore della riforma Cartabia non ha delineato alcun istituto processuale funzionale all'applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi in fase esecutiva. Questo Giudice non ignora l'insegnamento impartito dalla Corte costituzionale n. 208 del 2024, dettato in relazione al caso specifico della concessione in executivis della sospensione condizionale della pena, ma, di portata chiaramente generale, in quanto fondante sull'applicazione della cd. «teoria dei poteri impliciti», spesso citata dalle pronunce della suprema Corte, secondo cui, una volta dimostrato che la legge processuale demanda al giudice una determinata funzione, allo stesso giudice deve essere conferita la titolarita' di tutti i poteri necessari all'esercizio di quella medesima attribuzione. Secondo il Giudice delle leggi, «...in considerazione del silenzio serbato sul punto dal legislatore (e dunque dell'assenza di dati testuali incompatibili con tale interpretazione), ma anche alla luce dei principi gradatamente enucleati dalla giurisprudenza di legittimita', dai quali emerge che tra i poteri del giudice dell'esecuzione - fondati che siano su espresse disposizioni normative, su applicazioni analogiche di tali disposizioni ovvero su un analogia iuris che muova dal principio generale del necessario adeguamento del titolo esecutivo a fatti sopravvenuti al giudicato stesso - rientra il potere di effettuare ogni valutazione conseguente alla rideterminazione della pena irrogata nella sentenza irrevocabile, a sua volta imposta dalle disposizioni di legge di volta in volta rilevanti. In simili ipotesi, il giudizio di esecuzione e' chiamato a ospitare un "frammento di cognizione" (sentenza n. 183 del 2013, punto 6 del Considerato in diritto), sulla base del materiale raccolto in precedenza o - eventualmente - delle nuove evidenze necessarie a compiere le valutazioni in parola, si da adeguare le statuizioni relative alla pena nel loro complesso alla mutata situazione sopravvenuta al giudicato, e alla quale il giudicato stesso deve essere conformato» cfr. 4.1.4. del Considerato in diritto). Tuttavia, anche in questo caso, sebbene non sussista un diritto vivente consolidato contrario all'interpretazione analogica che sarebbe necessaria per colmare la lacuna, ritiene lo scrivente che quelle «... esigenze di certezza giuridica, che sono particolarmente acute nella materia processuale» (Corte cost. n. 208 del 2024) - e che nel caso di specie attengono ad un giudizio a quo nei confronti di un imputato in vinculis - rendano necessaria una pronuncia additiva della Corte costituzionale, in ragione di un recente formante della suprema Corte di cassazione, avverso il quale la pronuncia di questo Giudice sarebbe inevitabilmente destinata ad infrangersi. La suprema Corte di cassazione, sebbene con riferimento ad una questione specifica diversa da quella posta all'attenzione di questo Giudice ma con argomentazione logico-giuridica da cui questo Giudice non puo' prescindere, ha espressamente statuito che «...il momento che ordinariamente rileva per la valutazione della possibilita' di sostituzione della pena detentiva breve e' quello in cui si conclude il giudizio di primo grado, snodo nel quale vanno verificate le condizioni per l'attivazione del meccanismo bifasico istituito dall'art. 545-bis cod. proc. pen. (quando, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 cit., ne da' avviso alle parti e, se l'imputato acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria, ovvero se puo' aver luogo la sostituzione con detta pena, il giudice, sentito il pubblico ministero, procede; in tal caso, se non e' possibile decidere immediatamente, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente, con contestuale sospensione del processo; indi, svolta l'istruttoria prevista dalla norma, il giudice, all'udienza fissata, sentite le parti presenti, il giudice, se si determina a sostituire la pena detentiva, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti, mentre, se esclude la sostituzione, conferma il dispositivo, in ogni caso dando lettura in udienza del dispositivo integrato o confermato)» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre 2023, dep. 2024, Canova, Rv. 285987 - 01). Nella sentenza citata la suprema Corte ha espressamente statuito che l'istituto dell'acquiescenza meritevole e della sostituzione della pena detentiva breve si pongono in una «ineludibile alternativa» il cui «carattere ineludibile di tale alternativa non pare avere integrato, a giudizio della Corte, una illogica strettoia ordinamentale, essendo indefettibile per ogni imputato giudicato con rito abbreviato e condannato dal giudice di primo grado l'esigenza di scegliere fra la riduzione di pena in funzione deflattiva prevista dall'art. 442, comma 2-bis, cod. proc pen. e la proposizione dell'appello» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre 2023, dep. 2024, Canova, Rv. 285987 - 01). L'ineludibilita' di tale alternativa, ad avviso della suprema Corte, sussiste nel caso di specie «... a fronte di istituti diversi, connotati dalle rispettive, autonome funzioni, fra loro non compatibili ove l'ottenimento della pena sostitutiva debba essere richiesto e, se del caso, ottenuto attraverso la previa impugnazione della sentenza» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre 2023, dep. 2024, Canova, Rv. 285987 - 01). Ad opinione della suprema Corte, nella fase corrispondente alla definizione del primo grado del giudizio, l'imputato e' posto nella piena condizione di valutare «l'alternativa costituita dall'adesione o meno alla riduzione premiale stabilita dall'art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale in dipendenza dell'opzione escludente l'impugnazione.» (Sez. 1, n. 8106 del 6 dicembre 2023, dep. 2024, Canova, Rv. 285987 - 01). Pur consapevole della natura non vincolante, ancorche' altamente autorevole, dell'argomentazione sostenuta dalla suprema Corte ed in assenza di pronunce di segno apertamente contrario, ritiene questo Giudice che tale orientamento giurisprudenziale di legittimita', per quanto in fieri, non renda praticabile un'interpretazione conforme a Costituzione da parte del singolo giudice di merito, in un processo nei confronti di imputato detenuto, che si tradurrebbe nella ardita costruzione pretoria di un istituto in assenza di qualsivoglia appiglio, sia giurisprudenziale sia, ancor prima, legislativo (a differenza di quanto poteva rilevarsi nel diverso ambito della concessione della sospensione condizionale in executivis, in cui plurimi agganci normativi erano effettivamente a disposizione del Giudice). Per giunta, una applicazione della analogia iuris nel caso di specie si porrebbe in aperto contrasto con la (tendenziale) immodificabilita' del giudicato, per opinione consolidata della suprema Corte di cassazione principio generale dell'ordinamento derogabile solo nei casi previsti dalla legge (Sez. Un. , sentenza 24 ottobre 2013, n. 18821; Sez. un. pen. , 29 maggio 2014 (dep. 14 ottobre 2014) n. 42858). Ed infatti, dal punto di vista legislativo la riforma Cartabia ha contemplato, all'art. 95, decreto legislativo n. 150 del 2022, una disciplina transitoria tale da permettere l'applicazione retroattiva in bonam partem delle pene sostitutive delle pene detentive brevi anche nei giudizi di impugnazione pendenti alla data del 30 dicembre 2022, in ragione della natura sostanziale delle pene sostitutive e del contenuto complessivamente piu' favorevole al reo delle innovazioni contenute nella nuova disciplina, soprattutto per il piu' elevato limite edittale entro il quale viene consentita la sostituzione della pena detentiva. L'art. 95, comma 1, d.lgs. cit. prevede che le nuove disposizioni introdotte al Capo III della legge n. 689 del 1981, se piu' favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore dello stesso decreto legislativo. Quanto ai procedimenti pendenti in sede di legittimita', il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni - all'esito di un procedimento pendente innanzi alla Corte di cassazione alla data di entrata in vigore della suindicata disciplina - ha titolo a presentare istanza di applicazione di una delle nuove pene sostitutive innanzi al giudice dell'esecuzione, secondo il procedimento di cui all'art. 666 c.p.p., nel termine di trenta giorni dall'irrevocabilita' della sentenza, con la specificazione che, nel giudizio di esecuzione, si applicano, in quanto compatibili, le norme previste dal gia' citato Capo III della legge n. 689 del 1981 e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive. Nessun precedente arresto della suprema Corte di cassazione - ne', stando a quanto consta a questo Giudice, alcun precedente di merito - sorregge l'applicazione analogica che sarebbe necessaria nel caso in esame. Nessuna norma dell'attuale ordito processuale regola la situazione in esame. Nel caso di specie, nessun appiglio normativo consente al giudice dell'esecuzione, nel rideterminare la pena ex art. 442, comma 2-bis, e 676, comma 3-bis c.p.p., di «adottare i provvedimenti conseguenti», ovvero di delibare il possibile riconoscimento della pena sostitutiva e di seguirne l'iter di esecuzione, stante il completo silenzio del legislatore sul punto. 4. La non manifesta infondatezza della questione: una lacuna normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla funzione rieducativa della pena Preliminarmente, la giurisprudenza di legittimita' che ha avuto modo di pronunciarsi finora sull'ambito applicativo dell'istituto di cui all'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., ne ha riconosciuto la pacifica natura sostanziale (Sez. 2, sentenza n. 4237 del 17 novembre 2023 Ud. (dep. 31 gennaio 2024) Rv. 285820 - 0), sulla falsariga dei precedenti arresti delle Sezioni unite in casi analoghi (cfr. Sez. un. , n. 2977 del 6 marzo 1992, Peccillo; Sez. Un. , n. 18821 del 24 ottobre 2013, Ercolano), affermando che «puo', dunque, in conclusione affermarsi che e' ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali». D'altronde, e' altrettanto pacifica la (rinnovata) funzione specialpreventiva delle pene sostitutive delle pene detentive brevi. La stessa relazione illustrativa del decreto legislativo n. 150 del 2022 redatta dall'Ufficio del Massimario della suprema Corte si mostra ben consapevole di cio', affermando espressamente che «...La ratio ispiratrice della riforma dev'essere individuata nella considerazione, da tempo diffusa anche nel contesto internazionale, secondo cui una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi in termini di risocializzazione del condannato e di riduzione dei tassi di recidiva e nell'altrettanto radicata convinzione che, nei casi di pena detentiva di breve durata, la finalita', imposta dall'art. 27 Cost., di rieducazione e di risocializzazione del condannato puo' raggiungersi con maggiori probabilita' attraverso pene da eseguirsi nella comunita' delle persone libere, in modo da escludere o ridurre l'effetto di desocializzazione della detenzione in istituiti di pena, relegando questa al ruolo di extrema ratio. L'azione del legislatore delegato si snoda in una triplice direzione. Innanzitutto, si realizza una radicale rivisitazione delle tipologie sanzionatorie, con connessa estensione dell'ambito applicativo della loro sostituibilita'. Si dispone, poi, l'emancipazione delle pene sostitutive dalla sospensione condizionale della pena, eliminando in tal modo una delle principali ragioni della scarsa applicazione delle previgenti sanzioni sostitutive. Da ultimo, si riorientano le sanzioni sostitutive verso finalita' piu' accentuatamente specialpreventive.» (pag. 209 della Relazione illustrativa di accompagnamento del decreto legislativo n. 150 del 2022). Esplicitamente, la Relazione di accompagnamento si prefigge «un ragionevole coordinamento tra istituti diversi - sospensione condizionale della pena e pene sostitutive -, entrambi volti a contrastare l'esecuzione in carcere di pene detentive brevi». (pag. 385 della Relazione illustrativa di accompagnamento del decreto legislativo n. 150 del 2022). Cio' premesso, questo Giudice non ignora che il legislatore conserva un margine di discrezionalita' nell'intervenire nell'ambito del sistema sanzionatorio (cfr. ordinanza Corte cost. n. 238 del 2019). Tuttavia, anche in tali ambiti le scelte legislative devono rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa Corte costituzionale ha piu' volte ribadito [ex multis, sentenza n. 185 del 2015: «Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l'individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalita' legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis: sentenze n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e n. 394 del 2006)»]. Ebbene, come subito piu' dettagliatamente si illustrera' facendo applicazione dei suddetti criteri direttivi tracciati dalla Corte, l'attuale impossibilita' di valutare l'applicazione della sostituzione della pena detentiva a seguito dell'applicazione della diminuente ex art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale sembra costituire una di quelle «manifeste ragioni di irrazionalita' o discriminazioni prive di fondamento giuridico, che sole potrebbero consentire di sindacare [l']ampio potere discrezionale riservato al legislatore» (Sent. n. 175 del 1997, ma anche n. 416 del 1996; n. 295 e n. 188 del 1995), in riferimento alla quale sarebbe consentita alla Corte «una valutazione di legittimita' costituzionale [...] fondata soltanto su una irrazionalita' manifesta, irrefutabile» (Sent. n. 46 del 1993, ma anche n. 236 del 2008, n. 81 del 1992, n. 206 del 1999). L'impossibilita' di riconoscere la possibilita' di sostituire il trattamento sanzionatorio tradizionale con quello sostitutivo, reso possibile in ragione dell'applicazione della diminuente ex art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale produce di per se' effetti distonici rispetto agli scopi prefissati dal legislatore e, pertanto, sproporzionati ed irragionevoli, nell'accezione del giudizio di ragionevolezza fatta propria dalla giurisprudenza della Corte costituzionale («il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» cfr. Corte costituzionale sent. n. 1130 del 1988; Corte costituzionale sent. n. 264 del 1996). D'altronde, come da tempo la stessa Corte costituzionale ha inequivocabilmente affermato «Il principio di proporzionalita' [va] inteso [...] anche e soprattutto, quale "criterio generale" di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalita' da perseguire» (Corte cost., sentenza n. 487 del 1989). In primo luogo, richiamando la natura sostanziale e specialpreventiva delle pene sostitutive, il disposto normativo qui censurato istituzionalizza un vero e proprio «vuoto giurisdizionale», la cui esistenza e' di per se' indice manifesto della sua irragionevolezza, come peraltro confermato dalla Corte costituzionale nella gia' citata sentenza n. 208 del 2024 in relazione alla analoga questione relativa alla sospensione condizionale della pena. In altri termini, a legislazione invariata, nessuna autorita' giurisdizionale ha il potere di vagliare la sussistenza dei presupposti per la possibile applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva - ma il discorso e', apertis verbis, estendibile anche alle altre pene sostitutive - nei confronti del soggetto in questione: non pote' farlo il giudice della cognizione, in quanto inibito dal quantum di pena (originariamente) inflitto; non puo' farlo il giudice dell'esecuzione che, a seguito della diminuente ex art. 442, comma 2-bis c.p.p., applica al condannato, autore di un comportamento processuale particolarmente meritevole, una pena rientrante nei limiti. Tale meccanismo normativo comporta, come conseguenza pressocche' automatica, l'applicazione di una pena sproporzionata nei confronti del condannato, in astratto meritevole di un trattamento sanzionatorio alternativo quale quello rappresentato dalla detenzione domiciliare sostitutiva. L'individualizzazione del trattamento sanzionatorio costituisce evidente attuazione del «mandato costituzionale di "personalita'" della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma, Cost.» (Corte cost., sentenza n. 222 del 2018); al contempo, «... una pena non proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita come tale dal condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa» (Corte cost., ult. cit.; ma v. gia', ex multis, sentenza n. 236 del 2016 e n. 68 del 2012). E come ormai da tempo la Corte, superando la concezione c.d. polifunzionale della pena, ha inequivocabilmente affermato, il rispetto della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione, implica e al contempo impone un «"principio di proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» e, «lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (Corte cost., sentenza n. 313 del 1990). Da ultimo, la giurisprudenza costituzionale ha vigorosamente rimarcato «... allorche' le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost., giacche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis, sentenze n. 236 del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). I principi di cui agli articoli 3 e 27 Cost. «esigono di contenere la privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (sentenza n. 179 del 2017) in vista del "progressivo reinserimento armonico della persona nella societa', che costituisce l'essenza della finalita' rieducativa" della pena (da ultimo, sentenza n. 149 del 2018). Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali e' di ostacolo l'espiazione di una pena oggettivamente non proporzionata alla gravita' del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui obbligatoriamente deve tendere») (sentenza n. 40 del 2019; v., da ultimo, sentenza n. 102/2020). Ne' varrebbe obiettare in senso contrario che attualmente il prevenuto e' gia' in un regime domiciliare pseudo-esecutivo, perdurando la misura cautelare degli arresti domiciliari - destinati, con ogni probabilita', a diventare cd. «arresti domiciliari esecutivi» ex art. 656, comma 1 del codice di procedura penale a seguito della presa in esecuzione della sentenza da parte dell'Ufficio di procura. Analogamente, non puo' obiettarsi che il prevenuto potrebbe giovarsi dell'applicazione della detenzione domiciliare come misura alternativa. Tali obiezioni non colgono nel segno. In primo luogo, deve evidenziarsi che la concessione di siffatti istituti (gli arresti domiciliari esecutivi e la detenzione domiciliare come misura alternativa alla detenzione) costituiscono, rebus sic stantibus, scenari futuribili, appannaggio di altre autorita' giurisdizionali, a fronte della possibilita' di una concreta e immediata decisione da parte del giudice della cognizione (con tutto cio' che ne consegue in relazione alla tenuta del combinato disposto qui censurato dal punto di vista dei riferimenti costituzionali di matrice processuale, come si dira' nel seguente paragrafo). In secondo luogo, la lacuna normativa di cui si duole lo scrivente depriva il ricorrente di un trattamento sanzionatorio sostitutivo non soltanto di immediata applicazione, da parte del giudice della cognizione, ma connotato per sua intrinseca natura, come e' stato osservato da accorta dottrina, da una «una minore afflittivita' della pena» rispetto ad istituti speculati, funzionale a scongiurare i negativi effetti collaterali dell'espiazione carceraria in danno di chi si vede applicata una condanna di breve durata. La detenzione domiciliare sostitutiva, al pari di quanto stabilito dal legislatore in relazione alla semiliberta' sostitutiva, puo' essere accompagnata dalla predisposizione di un programma di trattamento da parte dell'Ufficio esecuzione penale esterna, allo scopo di consentire un adeguato reinserimento del condannato nella societa' (art. 56, comma 2, legge n. 689/1981 «Il giudice dispone la detenzione domiciliare sostitutiva tenendo conto anche del programma di trattamento elaborato dall'Ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato e che riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale.»). Inoltre, il decreto legislativo n. 150/2022 stabilisce che l'obbligo del condannato di rimanere nella propria abitazione debba essere determinato dal giudice in un lasso temporale non inferiore a dodici ore quotidiane, tenuto conto delle comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro e di salute del reo, nonche' al sopra menzionato programma di trattamento. La norma stabilisce che, a fronte del minimo di ore che l'imputato deve trascorrere nel proprio domicilio, il giudice deve stabilire un minimo di ore in libera uscita, pari a quattro, tali da garantire al condannato di provvedere alle esigenze di vita. In questo senso, la detenzione domiciliare sostitutiva appare maggiormente incline ad una reintegrazione sociale del reo rispetto ad istituti di cui il ricorrente potrebbe, in astratto ed in un tempo piu' o meno remoto, usufruire: gli spazi di maggiore autorizzazione ex lege e la presenza di un programma di trattamento vengono intesi quale strumento responsabilizzante in favore del condannato, incentivando la conservazione di una sua sfera esistenziale, come principale viatico di non desocializzazione. Pertanto, l'impossibilita' di convertire la pena detentiva nella corrispondente detenzione domiciliare sostitutiva, che sarebbe applicabile all'esito della diminuente ex art. 442, comma 2-bis c.p.p., comporta l'applicazione di un trattamento sanzionatorio sproporzionato in se', in quanto non necessario per il perseguimento delle finalita' di risocializzazione di cui all'art. 27, comma 3 Cost., nulla apportando alla concreta tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti, tenuto conto, altresi', del comportamento processuale acquiescente del condannato. Tale ultima variabile, come gia' ricordato dalla Corte costituzionale nella gia' citata sentenza n. 208 del 2024, non puo' non essere considerata nella determinazione del trattamento sanzionatorio da applicare al condannato («... la diminuzione della pena conseguente a scelte processuali individuali non e' una graziosa concessione al condannato, ma riflette la precisa logica sinallagmatica - la cui legittimita' costituzionale non e' qui in discussione - adottata dal legislatore, che garantisce un minor carico sanzionatorio a chi volontariamente rinunci a esercitare parti integranti del proprio diritto costituzionale di difesa, fornendo cosi' un contributo al piu' rapido ed efficiente funzionamento del sistema penale nel suo complesso: il che non e' senza significato nemmeno ai fini della valutazione della "necessita' di pena" del singolo condannato. Sicche' e' del tutto logico che la valutazione sui preposti della sospensione condizionale e della non menzione venga operata rispetto alla pena cosi' come determinata "a valle" delle scelte processuali dell'imputato, che costituiscono, esse pure, elementi significativi nella "commisurazione in senso lato" della pena a lui applicabile» cfr. 3.2. del Considerato in diritto). 5. La non manifesta infondatezza della questione: una lacuna normativa intrinsecamente irragionevole in relazione alla ragionevole durata del processo Come puo' desumersi agevolmente dalla lettura della relazione illustrativa al decreto legislativo n. 150 del 2022, l'introduzione - fedele e pedissequa attuazione del corrispondente criterio direttivo della legge delega - dell'istituto di cui all'art. 442, comma 2-bis del codice di procedura penale e' stata ispirata ad una «ratio deflattiva dell'intervento - che collega alla totale acquiescenza, e al connesso risparmio di tempo e risorse processuali, l'ulteriore trattamento premiale in relazione alla pena inflitta». Ma uno sguardo piu' ampio sull'intero portato della riforma - spesso definita, non a caso, una riforma «di sistema» - consente di delineare un quadro piu' sinergico e composito delle finalita' prefissate da legislatore, animato dal plurimo obiettivo di apportare «... interventi sul sistema sanzionatorio, sinergici con quelli relativi al processo, (che) consentono di: ridurre le impugnazioni (inappellabilita' delle sentenze di condanna alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilita'); rendere piu' efficiente il procedimento penale nella fase dell'esecuzione (riduzione delle misure alternative alla detenzione peri condannati in stato di liberta', in favore di pene sostitutive applicate dal giudice di cognizione, con conseguente riduzione del numero e ridimensionamento della patologica situazione dei c.d. liberi sospesi, cioe' dei condannati a pena detentiva che attendono talora per anni, in stato di liberta', la decisione sull'istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione)...» (pag. 8 della relazione). In altri termini, l'obiettivo «ultimo» del legislatore delegato e' stato quello di consentire «... una anticipazione dell'alternativa al carcere all'esito del giudizio di cognizione» mediante la riconosciuta possibilita' giudice di cognizione di applicare pene, diverse da quella detentiva, destinate a essere eseguite immediatamente, dopo la definitivita' della condanna, senza essere «sostituite» con misure alternative da parte del tribunale di sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna stessa (come testimonia l'allarmante fenomeno dei c.d. liberi sospesi).» (pag. 186 della relazione illustrativa al decreto legislativo n. 150 del 2022). Orbene, cio' premesso, la lacuna normativa qui censurata si pone altresi' in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo e, di conseguenza, con la finalita' di deflazione processuale posta a fondamento sia dell'art. 442, comma 2-bis del codice di procedura penale sia delle pene sostitutive delle pene detentive brevi. Come sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale, la ragionevole durata e' oggetto, (oltreche' di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e imparziale, come oggi espressamente risulta dal dettato dell'art. 111, comma 2 Cost.» (C. cost., 21 marzo 2002, n. 78, altresi' Corte costituzionale, 26 aprile 2018, n. 88). La garanzia in esame e' funzionale, come piu' volte affermato anche dalla giurisprudenza sovranazionale, a tutelare il relativo titolare «dal rischio di restare troppo a lungo nell'incertezza della propria sorte» (C. eur., 10 novembre 1969, Stogmuller c. Austria, § 5: «in criminal matters, especially, it is designed to avoid that a person charged should remain too long in a state of uncertainty about his fate»), sul presupposto che tale condizione nel processo penale - a prescindere dall'esito piu' o meno fausto - sia di per se' fonte di sofferenza individuale. Il principio, come e' noto, affonda le sue radici non solo nell'art. 111, comma 2 Cost., ma altresi' in una congerie di norme internazionale, parimenti violate dal combinato disposto qui censurato (artt. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per il tramite dell'art. 117 Cost., art. 47 CDFUE, nonche' art. 14, lettera c) del Patto internazionale sui diritti civili e politici) e, per pacifica giurisprudenza costituzionale e convenzionale, si estende non solo a tutela dell'indagato che abbia avuto conoscenza del procedimento a suo carico (C. cost., 23 luglio 2015, n. 184) e dell'imputato (Corte EDU, 15 luglio 1982, Eckle c. Germania, § 73, secondo cui i termini "charge" e "charged" alludono a: «the official notification given to an individual by the competent authority of an allegation that he has committed a criminal offence, a definition that also corresponds to the test whether "the situation of the [suspect] has been substantially affected"». V. anche C. eur., 10 dicembre 1982, Corigliano c. Italia, § 34. Piu' di recente, Corte europea dei diritti dell'uomo, 5 ottobre 2017, Kaleja c. Lettonia, § 36: «The Court reiterates that in criminal matters, the "reasonable time" referred to in Article 6 § 1 begins to run as soon as a person is "charged". A "criminal charge" exists from the moment that an individual is officially notified by the competent authority of an allegation that he has committed a criminal offence, or from the point at which his situation has been substantially affected by actions taken by the authorities as a result of a suspicion against him»; cfr. anche, da ultimo, Corte europea dei diritti dell'uomo, 20 giugno 2019, Chiarello c. Germania, § 44) ma anche alla fase esecutivo - trattamentale del processo. Il principio della ragionevole durata del processo, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, obbliga gli Stati membri, in primo luogo, «a organizzare il loro sistema giudiziario in modo che le giurisdizioni possano assolvere all'esigenza di celebrare i processi in termini ragionevoli» (C. eur., GC, 29 marzo 2006, Scordino c. Italia, cit., in particolare §§ 183-187), prescrivendo al legislatore di porre le condizioni ordinamentali, organizzative e processuali piu' idonee al conseguimento degli obiettivi connessi ad un congruo accertamento processuale. Cio' premesso, l'inibizione per il giudice dell'esecuzione di valutare il riconoscimento della detenzione domiciliare sostitutiva nei confronti del soggetto che, ormai condannato in via definitiva, a seguito dell'applicazione della diminuente ex art. 442, comma 2-bis c.p.p., si trovi destinatario di una pena rientrante nel margine edittale, tramuta quest'ultimo - in esatta antitesi a quanto propugnato dalla Riforma Cartabia, che mirava ad eliminare il fenomeno - nell'equivalente, mutatis mutandis, di un «libero sospeso», il cui trattamento sanzionatorio - con ogni probabilita', extracarcerario stante il quantum di pena - dovra' essere supervisionato e gestito dalla Magistratura di sorveglianza, previa emissione di un ordine di carcerazione da parte del p.m., eventualmente sospeso ove ne ricorrano le condizioni. Laddove, in caso contrario, non sussistano i presupposti per il riconoscimento della sospensione dell'ordine di esecuzione addirittura il trattamento sanzionatori del soggetto in questione sara' veicolato attraverso un nocivo e temporaneo contatto con il carcere, in completo dispregio della necessita' di evitare il cd. fenomeno delle «porte girevoli», anticamera degli effetti desocializzanti delle pene detentive brevi, che pure il legislatore delegato mirava a contenere. Dalle ragioni sovraesposte, dunque, appare evidente che la lacuna normativa censurata non solo non consente di raggiungere le finalita' rieducative e di deflazione processuale connesse agli istituti coinvolti, ma si pone in chiave antagonista rispetto a queste ultime, ostacolando la realizzazione di trattamenti sanzionatori alternativi al carcere gia' in fase di cognizione ed inflazionando in misura deteriore il gia' gravato procedimento di sorveglianza. Ne' puo' valere, in senso contrario, obiettare che il sistema offre un'alternativa rimediale mediante il sistema delle impugnazioni. Come gia' riconosciuto dalla Corte costituzionale n. 208 del 2024, infatti, «... la soluzione ora in esame finirebbe per minare gravemente l'effettivita' dell'incentivo alla rinuncia all'impugnazione, sul quale ha scommesso la riforma del 2022, per chi sia stato condannato a una pena che, grazie alla riduzione di un sesto, potrebbe rientrare entro i limiti di legge per il riconoscimento di entrambi i benefici. In tal caso, infatti, il condannato avrebbe ogni incentivo per proporre appello, mirando a ottenere in quella sede una riduzione della pena, anche grazie al meccanismo del concordato con rinuncia ai motivi di appello di cui all'art. 599-bis del codice di procedura penale. Il che introdurrebbe, come a ragione osserva il rimettente, un elemento di intrinseca irrazionalita' rispetto allo stesso scopo legislativo di favorire una piu' rapida definizione del contenzioso penale: con conseguente ulteriore profilo di frizione rispetto all'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli articoli 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU» cfr. 3.4.4. del Considerato in diritto). Infine, l'accoglimento della questione proposta dallo scrivente risulterebbe proattivo e sinergico rispetto all'attuale assetto normativo che, a seguito della modifica normativa dell'art. 676, comma 1, c.p.p., operata dall'art. 2, comma 1, lettera dd), decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31, richiede la fissazione di un'apposita udienza camerale per la delibazione sull'applicazione della diminuente ex art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale ai sensi del neo-introdotto comma 3-bis della citata norma, come interpretata dai piu' recenti arresti della suprema Corte («L'applicazione in sede esecutiva della riduzione della pena di un sesto, prevista dall'art. 442, comma 2-bis, codice di procedura penale nel caso di mancata impugnazione della sentenza resa in esito a giudizio abbreviato, deve essere deliberata all'esito dell'udienza camerale fissata ai sensi dell'art. 666 del codice di procedura penale , sicche' il provvedimento emesso "de plano" dal giudice dell'esecuzione e' affetto da nullita' assoluta ed insanabile, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.» (Sez. 1, n. 7356 del 6 febbraio 2025, Abbrescia, Rv. 287522 - 01). La celebrazione di un'udienza camerale ai sensi del combinato disposto degli articoli 442, comma 2-bis e 676, comma 3-bis del codice di procedura penale - piuttosto che tramutarsi in un inutile orpello formalistico per l'applicazione di un automatismo legislativo che ben potrebbe effettuarsi de plano - si riempirebbe di significato, assumendo le sembianze di una udienza di sentencing in fase esecutiva, ovverosia di uno «spazio di contraddittorio sulla pena» funzionale a consentire alle parti ed al giudice rinnovate (e piu' congruenti) valutazioni in ordine al trattamento sanzionatorio nei confronti del condannato. Tutto cio' premesso, P.Q.M. Dichiara rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 442, comma 2-bis e 676, comma 3-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono che il giudice dell'esecuzione possa applicare la detenzione domiciliare sostitutiva, ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l'applicazione di una pena contenuta nei limiti di legge e ricorrendone gli ulteriori presupposti, per violazione degli articoli 3, 27, commi 1 e 3, 111, 117 della Costituzione in riferimento all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Sospende il giudizio. Ordina l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme con la prova delle comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al condannato, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Nola, 14 luglio 2025 Il GIP: Muzzica