Reg. ord. n. 167 del 2025 pubbl. su G.U. del 17/09/2025 n. 38
Ordinanza del Tribunale di Torino del 25/06/2025
Tra: Maria Eugenia Escovar Alvarado e altri C/ Ministero dell'Interno
Oggetto:
Cittadinanza – Acquisizione della cittadinanza italiana in ragione del criterio della discendenza (cosiddetto iure sanguinis) – Modifiche alla legge n. 91 del 1992 – Preclusione all’acquisizione della cittadinanza italiana in base al criterio della discendenza per i soggetti, discendenti da cittadino italiano, nati all’estero e in possesso di altra cittadinanza – Applicabilità della preclusione ai nati all’estero anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 3-bis della legge n. 91 del 1992, introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36 – Deroghe nel caso di riconoscimento, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda di accertamento della cittadinanza presentata (in via amministrativa o giurisdizionale) non oltre le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025 – Denunciata retroazione degli effetti limitativi sull’acquisto della cittadinanza a titolo originario dei soggetti nati all’estero con avo italiano – Assenza di una disciplina di diritto intertemporale di conservazione della cittadinanza entro termini ragionevoli – Denunciata revoca retroattiva della cittadinanza applicabile a quanti, pur ricorrendone le condizioni, non abbiano presentato domanda di riconoscimento (in via amministrativa o giudiziale) entro le ore 23:59 del 27 marzo 2025 – Violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza – Disparità di trattamento rispetto ai soggetti che hanno proposto domanda di riconoscimento anteriormente al 28 marzo 2025 – Lesione dell’affidamento nella sicurezza giuridica in relazione a un diritto già acquisito nel patrimonio giuridico della persona – Violazione dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali – Contrasto con le norme dei Trattati dell’Unione europea istitutive della cittadinanza europea – Contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in relazione al divieto di privazione arbitraria della cittadinanza – Contrasto con le previsioni del Protocollo n. 4 addizionale alla CEDU.
Norme impugnate:
legge del 05/02/1992 Num. 91 Art. 3
decreto-legge del 28/03/2025 Num. 36 Art. 1 Co. 1
legge del 23/05/2025 Num. 74
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 2 Co.
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Trattato unione europea Art. 9 Co.
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea Art. 20 Co.
Dichiarazione universale dei diritti umani Art. 15 Co. 2
Protocollo n. 4 a Convenzione europea diritti dell'uomo Art. 3 Co. 2
Testo dell'ordinanza
N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 2025
Ordinanza del 25 giugno 2025 del Tribunale di Torino nel procedimento
civile promosso da Maria Eugenia Escovar Alvarado e altri contro
Ministero dell'interno.
Cittadinanza - Acquisizione della cittadinanza italiana in ragione
del criterio della discendenza (cosiddetto iure sanguinis) -
Modifiche alla legge n. 91 del 1992 - Preclusione all'acquisizione
della cittadinanza italiana in base al criterio della discendenza
per i soggetti, discendenti da cittadino italiano, nati all'estero
e in possesso di altra cittadinanza - Applicabilita' della
preclusione ai nati all'estero anche prima dell'entrata in vigore
dell'art. 3-bis della legge n. 91 del 1992, introdotto dal
decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36 - Deroghe nel caso di
riconoscimento, nel rispetto della normativa applicabile al 27
marzo 2025, a seguito di domanda di accertamento della cittadinanza
presentata (in via amministrativa o giurisdizionale) non oltre le
23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025.
- Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), art.
3-bis, introdotto dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 28 marzo
2025, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza),
convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 2025, n. 74.
(GU n. 38 del 17-09-2025)
TRIBUNALE DI TORINO
Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione
internazionale e libera circolazione dei cittadini UE
Il Tribunale di Torino, in persona del giudice Fabrizio
Alessandria, nella causa civile iscritta al n. r.g. 6648/2025
promossa da:
Maria Eugenia Escovar Alvarado, nata in Venezuela il 26
dicembre 1982; Ramon Jose' Escovar Alvarado, nato in Venezuela il 15
gennaio 1978; Maria Victoria Alvarado Bajares, nata in Venezuela il
17 aprile 1952; Angela Cecilia Alvarado Bajares, nata in Venezuela il
12 gennaio 1955; Maria Victoria Escovar Alvarado, nata in Venezuela
il 15 gennaio 1978; Marcelino Alfredo Madriz Alvarado, nato in
Venezuela il 9 maggio 1983; Manuel Alberto Madriz Alvarado, nato in
Venezuela il 17 maggio 1986, per se' e per il proprio figlio minore
Joaquin Ignacio Madriz Valladares, nato in Venezuela l'8 settembre
2022, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Benedetta Ballatore, dal
prof. avv. Alfonso Celotto, dal prof. avv. Giovanni Bonato, dall'avv.
Giovanni Caridi e dall'avv. Riccardo De Simone - ricorrenti - contro
Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato ex lege presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di
Torino - convenuto contumace - e nei confronti del pubblico
ministero, in persona del procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Torino - interveniente necessario - a scioglimento della
riserva assunta all'udienza del 16 giugno 2025, ha pronunciato la
seguente ordinanza.
1. Con ricorso ex art. 28-decies del codice di procedura civile
depositato in data 28 marzo 2025, ritualmente notificato, i
ricorrenti convenivano in giudizio il Ministero dell'interno
chiedendo di accertare e dichiarare il loro status di cittadini
italiani iure sanguinis, deducendo di essere discendenti del
cittadino italiano Pietro Maria Dorato, nato a Torino l'11 ottobre
1837 (cfr. doc. 1) che, successivamente, emigrava in Venezuela, senza
tuttavia mai naturalizzarsi cittadino venezuelano (cfr. doc. 2).
Conseguentemente, i ricorrenti chiedevano di ordinare al Ministero
dell'interno e, per esso, all'ufficiale dello Stato Civile
competente, di procedere all'iscrizione, trascrizione e annotazione
della cittadinanza nei registri dello stato civile.
Il Ministero dell'interno non si costituiva in giudizio.
Il pubblico ministero nulla opponeva all'accoglimento del
ricorso.
All'udienza del 16 giugno 2025, verificata la regolarita' e
tempestivita' delle notificazioni, il giudice dichiarava la
contumacia del Ministero convenuto. In via preliminare, i ricorrenti
eccepivano l'incostituzionalita' dell'art. 3-bis della legge n.
91/1992, richiamandosi alle argomentazioni di cui alla memoria
autorizzata dell'11 giugno 2025; osservavano, in particolare, che la
questione di costituzionalita' sarebbe ammissibile e rilevante, per
essere la normativa introdotta dal decreto-legge n. 36/2025
applicabile al caso di specie (ricorso presentato in data 28 marzo
2025 e non preceduto da domanda in via amministrativa, trattandosi di
discendenza iure sanguinis per linea materna). Il giudice, preso
atto, tratteneva la causa in riserva.
2. Preliminarmente va affermata la competenza della Sezione
specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e
libera circolazione dei cittadini UE presso il Tribunale di Torino,
ai sensi dall'art. 1, comma 36 e comma 37, legge n. 206/2021 che ha
introdotto all'art. 4, comma 5, del decreto-legge n. 13/2017,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 46/2017 il seguente
periodo: «quando l'attore risiede all'estero le controversie di
accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate
avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o
dell'avo cittadini italiani».
3. Nel merito, e con riferimento all'ammissibilita' della
questione di costituzionalita' eccepita dai ricorrenti, si rileva che
- in applicazione della normativa precedente all'entrata in vigore
del decreto-legge n. 36/2025 - la domanda di parte ricorrente sarebbe
stata fondata, in quanto sulla base della documentazione in atti,
risulta provata la discendenza diretta per linea paterna da cittadino
italiano, nonostante nella linea genealogica figuri un ascendente di
sesso femminile, sposata con cittadino straniero e con cui aveva
avuto un figlio prima della promulgazione della vigente Costituzione
del 1948.
Si ritiene peraltro che la documentazione offerta in
comunicazione dai ricorrenti consenta di ritenere rispettata anche la
previsione di cui al novellato art. 19-bis del decreto legislativo n.
150/2011. Come noto, il decreto-legge n. 36/2025 ha aggiunto a tale
norma il comma 2-bis, che introduce il divieto di ricorrere alla
prova testimoniale, e il comma 2-ter, ai sensi del quale «nelle
controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana
chi chiede l'accertamento della cittadinanza e' tenuto ad allegare e
provare l'insussistenza delle cause di mancato acquisto o di perdita
della cittadinanza previste dalla legge»). Nel caso qui in esame,
come gia' rilevato, e' agli atti il certificato negativo di
naturalizzazione dell'avo (doc. 2), di talche' deve considerarsi
assolto anche il nuovo onere probatorio documentale previsto dal
decreto-legge n. 36/2025. Tanto premesso, in punto di fatto i
ricorrenti:
allegano di essere tutti discendenti in linea diretta dal
sig. Pietro Maria Dorato, cittadino italiano per nascita,
segnatamente nato a Torino in data 11 ottobre 1837 e deceduto in
Venezuela successivamente alla proclamazione del Regno d'Italia (di
conseguenza, si deve ritenere che Pietro Maria Dorato abbia acquisito
la cittadinanza italiana in seguito all'unificazione avvenuta nel
1861; in questo senso, cfr. ex multis l'ord. n. 23849 del 2023 del
Tribunale di Roma);
allegano che il sig. Pietro Maria Dorato si e' trasferito in
Venezuela e non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana;
ricostruiscono la linea di discendenza, per il tramite della
figlia del sig. Dorato e delle figlie di quest'ultima;
allegano che i discendenti del sig. Dorato sono italiani per
diritto di nascita, ma che il Consolato del Venezuela non consente di
ricevere le istanze di riconoscimento di cittadinanza ove una persona
della linea di discendenza sia donna nata prima dell'entrata in
vigore della costituzione repubblicana, imponendo a costoro di agire
esclusivamente per la via giudiziale (cfr. estratto del sito internet
del Consolato generale d'Italia a Caracas, sub doc. 19).
A prova di tali fatti, i ricorrenti hanno depositato l'estratto
di nascita dell'avo italiano emigrato in Venezuela (doc. 1), il
certificato di mancata sua naturalizzazione (doc. 2) e il certificato
di matrimonio dell'avo con una donna venezuelana (doc. 3). Inoltre,
depositano i certificati di nascita e di matrimonio dei discendenti
dell'avo (docc. da 4 a 18), le indicazioni del Consolato italiano in
Venezuela circa l'impossibilita' di presentare domanda in via
amministrativa per i discendenti da donne italiane nati prima del
1948 (doc. 19), nonche' l'ordinanza n. 23849 del 2023 del Tribunale
di Roma, resa nel giudizio R.G. n. 13107/2022, con cui - in un caso
che vedeva quali ricorrenti alcuni parenti in linea collaterale degli
odierni ricorrenti, tutti discendenti dell'avo Pietro Maria Dorato -
e' stato accertato lo status di cittadino italiano dell'avo Pietro
Maria Dorato, della figlia Angela Maria Dorato Soto e del nipote
Anselmo Alvarado Dorato, con il conseguente diritto dei loro
discendenti alla cittadinanza italiana (doc. 20).
In diritto, i ricorrenti:
richiamano il disposto dell'art. 1 della legge n. 555 del
1912 circa la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis;
richiamano la sentenza della Corte costituzionale, n. 30 del
1983, che ha stabilito che l'art. 1 della legge n. 555 del 1912 e'
incostituzionale nella parte in cui non prevede che sia cittadino per
nascita anche il figlio di madre italiana;
danno atto della costante giurisprudenza della Corte di
Cassazione, in ragione della quale non vi e' un limite temporale alla
possibilita' di richiedere la cittadinanza italiana in quanto lo
status di cittadino ha natura permanente ed imprescrittibile ed e'
giustiziabile in ogni tempo, salvo l'estinzione per effetto della
rinuncia del richiedente e che la titolarita' della cittadinanza
italiana va riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l'ha
perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al
1° gennaio 1948, in quanto la perdita senza la volonta' della
titolare della cittadinanza e' effetto perdurante di una norma
incostituzionale, per violazione del principio della parita' dei
sessi e della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi di cui agli
articoli 3 e 29 della Costituzione (cfr. Cassazione civ.,
Sezioni unite, sentenza n. 4466 del 2009);
richiamano ancora la giurisprudenza di legittimita', a tenor
del quale la cittadinanza «per nascita» si acquista a titolo
originario, determinando uno status civitatis che ha natura
permanente ed e' imprescrittibile e giustiziabile in ogni tempo in
base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata
dalla nascita da cittadino italiano, di talche' la linea di
trasmissione e' prova necessaria e sufficiente per l'accoglimento
della tutela giudiziale (nel senso che il richiedente puo' limitarsi
ad allegare e provare di essere discendente di un cittadino
italiano);
menzionano un ulteriore profilo della giurisprudenza di
legittimita', che ha chiarito che il cittadino italiano nato e
residente in uno Stato estero, dal quale sia ritenuto proprio
cittadino per nascita, conserva comunque la cittadinanza italiana e
la trasmette ai figli (cfr. Cassazione civ., Sezioni unite, n. 25317
del 2022).
4. Nel contesto di fatto e di diritto appena descritto, e'
intervenuto il decreto-legge n. 36 del 2025, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 74 del 2025.
Il decreto-legge ha inserito l'art. 3-bis nella legge n. 91/1992,
norma del seguente testuale tenore:
«In deroga agli articoli 1, 2, 3, 14 e 20 della presente
legge, all'art. 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123, agli articoli
1, 2, 7, 10, 12 e 19 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nonche' agli
articoli 4, 5, 7, 8 e 9 del codice civile approvato con regio decreto
25 giugno 1865, n. 2358, e' considerato non avere mai acquistato la
cittadinanza italiana chi e' nato all'estero anche prima della data
di entrata in vigore del presente articolo ed e' in possesso di altra
cittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni:
a) lo stato di cittadino dell'interessato e' riconosciuto,
nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito
di domanda, corredata della necessaria documentazione, presentata
all'ufficio consolare o al sindaco competenti non oltre le 23,59, ora
di Roma, della medesima data;
a-bis) lo stato di cittadino dell'interessato e'
riconosciuto, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo
2025, a seguito di domanda, corredata della necessaria
documentazione, presentata all'ufficio consolare o al sindaco
competenti nel giorno indicato da appuntamento comunicato
all'interessato dall'ufficio competente entro le 23,59, ora di Roma,
della medesima data del 27 marzo 2025;
b) lo stato di cittadino dell'interessato e' accertato
giudizialmente, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo
2025, a seguito di domanda giudiziale presentata non oltre le 23,59,
ora di Roma, della medesima data;
c) un ascendente di primo o di secondo grado possiede, o
possedeva al momento della morte, esclusivamente la cittadinanza
italiana;
d) un genitore o adottante e' stato residente in Italia per
almeno due anni continuativi successivamente all'acquisto della
cittadinanza italiana e prima della data di nascita o di adozione del
figlio».
In buona sostanza, la nuova normativa emergenziale introduce dei
requisiti piu' stringenti per il riconoscimento dello stato di
cittadino italiano dei soggetti nati all'estero che, pur avendo il
diritto ad essere riconosciuti cittadini italiani ai sensi della
legge n. 91/1992, non abbiano esercitato tale diritto con domanda
(amministrativa o giudiziale) presentata «non oltre le 23,59, ora di
Roma» del 27 marzo 2025; vale a dire, del giorno precedente
all'entrata in vigore del decreto legge n. 36/2025.
4.1. La disposizione in esame si applica al caso di specie, per i
seguenti motivi:
i ricorrenti hanno rappresentato che nel Venezuela
l'attribuzione della cittadinanza venezuelana avviene sia iure
sanguinis sia iure soli;
i ricorrenti sono tutti nati in Venezuela, di talche' essi
hanno acquisito (anche) la cittadinanza venezuelana;
ai sensi dell'art. 34 della Costituzione della Repubblica
Bolivariana del Venezuela approvata il 20 dicembre 1999, «la
nazionalita' venezuelana non si perde all'optare o acquisire di altra
nazionalita'», di talche' il Venezuela consente il regime di doppia
cittadinanza;
ai sensi della nuova disposizione di legge, i ricorrenti
devono essere considerati come non aver mai acquisito la cittadinanza
italiana sin dalla nascita;
i ricorrenti non rientrano nelle clausole derogatorie
previste dalla legge, atteso che:
non e' stata proposta (ne' risultava proponibile, in
ragione del fatto che la figlia dell'avo emigrato ha avuto un figlio
nato prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana del
1948) domanda in via amministrativa;
la domanda giudiziale e' stata proposta il 28 marzo 2025 e,
quindi, successivamente alle ore 23,59 del 27 marzo 2025;
non risulta che gli ascendenti dei ricorrenti abbiano
soggiornato in Italia per due anni prima della nascita del figlio;
gli ascendenti dei ricorrenti non avevano esclusivamente la
cittadinanza italiana.
5. I ricorrenti, con memoria autorizzata dell'11 giugno 2025,
hanno eccepito l'incostituzionalita' del predetto art. 3-bis legge n.
91/1992, rilevando che tale norma violerebbe numerosi precetti
tutelati dalla Costituzione, in particolare agli articoli 3, 22, 77 e
117, comma 1.
5.1. Orbene, la disamina dell'ammissibilita' e della rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale dedotta impone la
soluzione di una questione interpretativa, che si ritiene preliminare
e dirimente: occorre cioe' stabilire quale sia l'efficacia dell'art.
3-bis legge n. 91/1992 sul diritto di cittadinanza dei ricorrenti. In
altri termini, occorre stabilire se la nuova norma introdotta - con
efficacia retroattiva - dal decreto-legge n. 36/2025 incida (i) su un
diritto di cittadinanza iure sanguinis gia' acquisito al patrimonio
giuridico dei ricorrenti, ovvero se incida (ii) su una situazione di
mera aspettativa al riconoscimento della cittadinanza italiana.
5.2. Invero, e' evidente che la normativa introdotta con il
decreto-legge n. 36/2025 comporti una limitazione del diritto al
riconoscimento della cittadinanza italiana previsto dalla
legislazione previgente: in questo senso, si rileva che l'appena
richiamato art. 3-bis legge n. 91/1992 esordisce con l'espressione
«in deroga agli articoli ...»; si tratta, pertanto, di normativa
speciale che deroga agli ordinari criteri in materia di
riconoscimento della cittadinanza italiana.
Ne' puo' essere dubitato che tale normativa abbia efficacia
(almeno in parte) retroattiva, nel senso che essa si applica a tutte
le domande presentate successivamente alle 23,59 del 27 marzo 2025;
vale a dire, anche a persone gia' nate che, in applicazione della
normativa previgente (come detto, espressamente derogata dal
decreto-legge n. 36/2025) avrebbero pacificamente avuto diritto al
riconoscimento della cittadinanza italiana.
Nella relazione illustrativa al decreto-legge n. 36/2025 si legge
che il novellato art. 3-bis legge n. 91/1992 «stabilisce una
preclusione all'acquisto automatico della cittadinanza per i nati
all'estero in possesso di cittadinanza di Stato estero», con le sole
eccezioni previste alle lettere c) e d) del medesimo art. 3-bis
(ascendente di primo o secondo grado titolare esclusivamente della
cittadinanza italiana, ovvero residenza «qualificata» in Italia pari
ad almeno due anni continuativi). Secondo la medesima relazione
illustrativa, dunque, «la disposizione non introdurrebbe un'ipotesi
di perdita della cittadinanza (ulteriore rispetto a quelle previste
dall'art. 13 della legge n. 91 del 1992) bensi' una specifica
preclusione all'acquisto automatico della cittadinanza (ex tunc e
dunque operante anche ai nati all'estero prima dell'entrata in vigore
della disposizione stessa) per discendenza, per adozione o per altra
causa».
In tale contesto, come detto, occorre dunque valutare se la
deroga introdotta dal decreto-legge n. 36/2025 costituisca negli
effetti una nuova ipotesi di perdita (rectius, revoca) della
cittadinanza, ovvero se introduca - come prospettato nella relazione
illustrativa - un semplice «meccanismo processuale», in quanto tale
immediatamente applicabile alla stregua del principio tempus regit
actum. In altri termini, e in buona sostanza, occorre valutare se
l'immediata applicabilita' della nuova disposizione normativa di cui
all'art. 3-bis legge n. 91/1992 sia compatibile con i principi
costituzionali e, in particolare, con i principi di ragionevolezza e
di affidamento nella sicurezza giuridica piu' volte affermati dalla
giurisprudenza costituzionale (si tratta di principi ricavabili dagli
articoli 2 e 3 della Costituzione, che sono stati ripetutamente
affermati dalla Corte con particolare riguardo alla materia
previdenziale; cfr., ex multis, sentenza n. 69 del 2014 e sentenza n.
173 del 2016), nonche' con i principi costituzionali e internazionali
che impediscono che un individuo sia arbitrariamente privato della
sua cittadinanza (art. 22 della Costituzione, art. 15, comma 2, della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 e
art. 3, comma 2, del Quarto protocollo addizionale alla CEDU).
6. A tal fine, si rende necessario un breve excursus sui
requisiti per l'accertamento della cittadinanza italiana in favore di
soggetti nati all'estero nel regime previgente alla novella di cui al
decreto-legge n. 36/2025.
Sul punto, appare utile innanzi tutto richiamare quanto
recentemente affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione
che, nella sentenza n. 25318 del 24 agosto 2022 (relativa alle
conseguenze giuridiche nell'ordinamento italiano della normativa
brasiliana che introdusse, con decreto n. 58-A del 1889, la c.d.
«grande naturalizzazione») ha ripercorso i principi fondamentali
posti dalla legge n. 91/1992 per l'accertamento del diritto alla
cittadinanza italiana. Si riporta di seguito testualmente, per
ragioni di chiarezza espositiva, il paragrafo della menzionata
sentenza delle Sezioni unite che ricostruisce i principi attributivi
della cittadinanza italiana nel regime normativo vigente sino al 27
marzo 2025:
«XIII. Essenzialmente la cittadinanza e' una qualita',
attribuita dalla legge, che indica l'appartenenza di un soggetto a
uno Stato.
A essa corrisponde un patrimonio variabile di diritti e
doveri di matrice pubblica e costituzionale (uno status, come si suol
dire).
A questo riguardo l'ordinamento giuridico italiano mantiene
per tradizione un approccio conservatore, senza alterazioni
sostanziali rispetto al prevalente criterio di acquisizione della
cittadinanza iure sanguinis, praticamente immutato fin dal codice
civile del 1865 secondo un impianto ereditato prima dalla legge n.
555 del 1912 e poi dalla attuale legge n. 91 del 1992.
L'acquisto fondamentale e' a titolo originario per nascita.
Fino al 1992 cio' equivaleva a dire che e' cittadino italiano
chi sia figlio di padre cittadino, oppure, quando il padre e' ignoto
(o apolide), chi sia figlio di madre cittadina.
Una tale formula ha nella sostanza caratterizzato le leggi
nazionali nell'arco del divenire storico che qui rileva: articoli 4 e
7 del codice civile del 1865, art. 1 della legge n. 555 del 1912.
Il quadro e' mutato con la legge n. 91 del 1992, frutto di
una sopravvenuta maturazione costituzionale, ma semplicemente nel
senso che e' cittadino per nascita - oggi - chi sia figlio di padre o
di madre cittadini, ovvero chi sia nato nel territorio della
Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi (o se non
segua la loro cittadinanza in base alla legge dello Stato di
appartenenza).
Guardando alle prime manifestazioni della volonta'
legislativa esternata dalla legislazione precostituzionale, non e'
dubitabile che il legislatore italiano si sia espresso in termini di
sostanziale continuita' di scopo e di intenti; ed e' infatti
comunemente accettata l'opinione che vede nella legge n. 555 del 1912
un semplice punto di perfezionamento della disciplina gia' insita nel
codice civile del 1865.
Puo' osservarsi che il peso della scelta ispirata ai legami
di sangue (per l'appunto iure sanguinis), rispetto ad altri indici di
legame tra la persona e il territorio (iure loci o, come anche si
dice, iure soli, piu' o meno temperati da requisiti e condizioni
aggiunte), ha giustificato (e tuttora in parte giustifica, nella
legge n. 91 del 1992) una decisa restrizione delle possibilita' di
acquisto della cittadinanza di chi non vanti ascendenti italiani, ma
anche - per la contraddizione che non consente - una altrettanto
decisa restrizione delle possibilita' di ravvisare fattispecie
estintive della cittadinanza degli italiani all'estero.
E' un fatto assolutamente ovvio, da quest'ultimo punto di
vista, che l'istituto della perdita della cittadinanza italiana puo'
dipendere solo dalla legislazione nazionale, secondo le previsioni in
questa pro tempore rinvenibili, non mai invece da decisioni attuate
in un ambito ordinamentale straniero.
Proprio da cio' e' originato il riconoscimento dei fenomeni
di doppia cittadinanza, d'altronde armonici con lo sviluppo e
l'evoluzione del diritto internazionale. Fenomeni dei quali
l'ordinamento attuale (con la citata legge n. 91 del 1992) tende
semmai a risolvere le ipotetiche conseguenti situazioni di conflitto.
Non puo' non sottolinearsi come della rilevanza di tali
fenomeni di doppia cittadinanza abbia dato atto pure (e finanche
all'epoca) la tanto evocata sentenza della Corte di cassazione di
Napoli del 1907.
La possibilita' di aversi nel tempo «una duplice
nazionalita'» venne gia' allora considerata una «conseguenza
inevitabile (...) del concetto della sovranita', che include
necessariamente le note di autonomia ed indipendenza di ciascuna di
esse nel proprio territorio».
La risultante di un tale schema e' molto semplice.
La cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo
originario.
Lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura
permanente ed e' imprescrittibile.
Esso e' giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice
prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da
cittadino italiano.
Donde la prova e' nella linea di trasmissione.
Resta salva solo l'estinzione per effetto di rinuncia (v.
gia' Cassazione Sezioni unite n. 4466-09).
Ne segue che, ove la cittadinanza sia rivendicata da un
discendente, null'altro - a legislazione invariata - spetta a lui di
dimostrare salvo che questo: di essere appunto discendente di un
cittadino italiano; mentre incombe alla controparte, che ne abbia
fatto eccezione, la prova dell'evento interruttivo della linea di
trasmissione» (cosi' testualmente Cassazione, Sezioni unite, sentenza
n. 25318 del 24 agosto 2022).
Ad analoghe conclusioni era gia' pervenuta in precedenza la
giurisprudenza di legittimita', di talche' si puo' parlare di
orientamento consolidato. Per completezza, si richiama - tra le molte
- quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sempre a Sezioni unite,
nella precedente pronuncia n. 4466 del 25 febbraio 2009, ricognitiva
dei principi affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze n.
87 del 1975 e n. 30 del 1983, che avevano - come noto - esteso
l'acquisto della cittadinanza a titolo originario per nascita anche
ai figli di madre italiana:
«Per la normativa ordinaria, alla cittadinanza ha diritto il
figlio di padre o madre cittadini o di genitori ignoti, se nasce sul
territorio nazionale (legge 5 febbraio 1992, n. 91, art. 1), con
riferimento ai concetti di ius sanguinis e ius soli; la Costituzione
vieta che lo stato possa perdersi per motivi politici (art. 22 della
Costituzione) e la legge ordinaria precisa che ad esso puo'
rinunciare solo chi ne e' titolare (legge n. 92 del 1991, art. 11).
La struttura normativa dell'istituto evidenzia che ogni persona ha un
diritto soggettivo alla condizione personale costituita dallo stato
di cittadino e in tal senso sono pure le convenzioni internazionali
rilevanti in questa sede ai sensi dell'art. 117 della Costituzione
(dall'art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
del 1948 al Trattato di Lisbona approvato dal Parlamento europeo il
16 gennaio 2008).
La legge n. 92 del 1991 sulla cittadinanza riafferma
l'esistenza di tale diritto che puo' essere solo riconosciuto dalle
autorita' amministrative competenti (Ministero dell'interno: articoli
7 e 8), prevedendo eccezionalmente atti concessori di esso da parte
del Presidente della Repubblica, con una discrezionalita' politica
limitata, in rapporto alle circostanze speciali indicate dalla legge,
per le quali la cittadinanza viene concessa (art. 9). Lo stato di
cittadino e' permanente ed ha effetti perduranti nel tempo che si
manifestano nell'esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si e'
rilevato, puo' perdersi solo per rinuncia, cosi' come anche nella
legislazione previgente (legge n. 555 del 1912, art. 8, n. 2).
Per la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di
discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18
dicembre 1979 e ratificata in Italia dalla legge 14 marzo 1985, n.
132, richiamata in ricorso, alle donne spettano "diritti uguali a
quelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione
della cittadinanza". Nella legge del 1912, come interpretata dalla
Corte costituzionale nelle due richiamate sentenze, il rapporto di
coniugio della donna "maritata" con straniero e quello di
"filiazione" solo da padre cittadino comportavano rispettivamente la
perdita o l'acquisto della cittadinanza, non spettante al figlio di
donna che l'aveva perduta per matrimonio.
Nessun riferimento esclusivo alla nascita e al mero ius
sanguinis giustificava o giustifica l'acquisto dello stato di
cittadino, che sorge dalla filiazione, oggi anche adottiva, essendo
dubitabile e superato il collegamento al mero fatto del nascere da un
soggetto con una specifica cittadinanza dell'acquisto di questa, con
una visione che pericolosamente si accosta al concetto di "razza",
incompatibile con la civilta' prima ancora che con l'art. 3 della
Costituzione. La cittadinanza, come esattamente si afferma dalla
migliore dottrina, assume il suo senso e significato non solo nella
disciplina dei rapporti verticali del suo titolare con lo Stato che
esercita poteri sovrani nei suoi confronti, ma anche in quelli
orizzontali con gli altri appartenenti alla societa' cui egli
partecipa con lui titolari del medesimo stato (art. 4 della
Costituzione). Attraverso il rapporto di filiazione che collega una
persona alla formazione sociale intermedia costituita dalla famiglia
"societa' naturale" (articoli 2 e 29 della Costituzione), la persona
entra in rapporto con l'intera societa' e ha diritto al
riconoscimento dello stato di cittadino e dei diritti e doveri
conseguenti.
Percio' correttamente si afferma che lo stato di cittadino,
effetto della condizione di figlio, come questa, costituisce una
qualita' essenziale della persona, con caratteri d'assolutezza,
originarieta', indisponibilita' ed imprescrittibilita', che lo
rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non definibile come
esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da
sentenza passata in giudicato.
Tale ricostruzione del concetto di cittadinanza emerge dalle
stesse sentenze sulla legge precostituzionale che la regolava della
Corte costituzionale, che ritengono la perdita e il mancato acquisto
dello stato imposte dalla normativa illegittima, effetto di un
matrimonio, sempre che questo permanga efficace e non sia stato
sciolto, e dell'essere figlio di madre che la perdita dello stato
abbia subito contro la sua volonta', senza rinunciarvi. ...» (cosi'
testualmente Cass., Sezioni unite n. 4466 del 25 febbraio 2009).
In applicazione del c.d. «diritto vivente», dunque, deve
concludersi che - nel regime previgente al decreto-legge n. 36/2025 -
i soggetti nati all'estero che potevano dimostrare la propria
discendenza ininterrotta da un cittadino italiano fossero per cio'
solo cittadini italiani, essendo la qualita' di «cittadino italiano»
una «qualita' essenziale della persona, con caratteri d'assolutezza,
originarieta', indisponibilita' ed imprescrittibilita'» (cosi'
Cassazione Sezioni unite n. 4466/2009, cit.).
7. Ad avviso di questo Tribunale, dunque, il dubbio
interpretativo sollevato retro al paragrafo 5.1 va risolto nel senso
che - nel regime previgente al decreto-legge n. 36/2025 - i nati
all'estero da avo italiano erano ab origine cittadini italiani. La
circostanza che essi avessero, o meno, agito in giudizio per il
riconoscimento «formale» del loro status di cittadini costituiva
invero una semplice circostanza di fatto, irrilevante ai fini del
riconoscimento del diritto. Non poteva cioe' parlarsi di rapporto
giuridico «a formazione progressiva», ma di un diritto soggettivo
perfetto che sorgeva con la nascita della persona.
L'ipotesi interpretativa contraria, alla stregua della quale lo
status di cittadino non sarebbe ancora «completo», necessitando di un
suo formale riconoscimento giudiziale, contrasta con l'impostazione
ermeneutica tradizionalmente adottata dalla giurisprudenza
costituzionale e di legittimita' piu' sopra richiamata. Essa
contrasta, in particolare, con la natura dichiarativa (e non
costitutiva) che viene pacificamente accordata alle sentenze di
accertamento della cittadinanza iure sanguinis; cio' a dimostrazione
del fatto che l'intervento giudiziale (o amministrativo) non
comportava la costituzione di alcun diritto alla cittadinanza in capo
ai discendenti di un avo italiano, ma il semplice riconoscimento di
un diritto gia' da essi acquisito. Diversamente opinando, infatti, si
verterebbe in un'ipotesi di acquisto della cittadinanza «per
naturalizzazione» (come avviene per le persone straniere che
risiedano in Italia per un dato periodo temporale, al ricorrere delle
circostanze normativamente previste) e non di acquisto della
cittadinanza «per nascita», come indubitabilmente era nel caso dei
cittadini iure sanguinis nel regime previgente al decreto-legge n.
36/2025.
7.1. Rileggendo l'art. 1 decreto-legge n. 36/2025 alla luce di
tali principi, si impongono ancora le seguenti considerazioni.
La nuova norma comporta, nella sostanza, una limitazione dello
status di cittadino, gia' acquisito a titolo originario dai soggetti
nati all'estero con avo italiano.
Come piu' volte rimarcato, il «diritto vivente» (da ultimo
oggetto dell'interpretazione nomofilattica della Corte di Cassazione
a Sezioni unite nella richiamata sentenza n. 25318/22) attribuisce
rilevanza - ai fini del riconoscimento dello status di cittadino
italiano - alla sola circostanza di essere discendente diretto di un
avo italiano (sempre che la linea di trasmissione della cittadinanza
non sia interrotta da un volontario atto di revoca; circostanza da
escludersi nel caso oggi in discussione), senza che assuma alcuna
rilevanza la circostanza che gli ascendenti del ricorrente abbiano, o
meno, esercitato il loro diritto al riconoscimento «formale» della
cittadinanza. In altri termini, lo status di cittadino e' parte del
patrimonio giuridico della persona, e viene acquisito alla nascita a
titolo originario: tale diritto, imprescrittibile, puo' essere
oggetto di accertamento giudiziale in qualsiasi momento, ma il
mancato accertamento giudiziale del diritto soggettivo non fa venire
meno l'esistenza del diritto (in questo senso, si richiama quanto
affermato dalla giurisprudenza di legittimita' nella sentenza a
Sezioni unite n. 29459 del 13 novembre 2019: in quel caso la Suprema
Corte, chiamata a pronunciarsi sull'applicabilita' delle norme
restrittive in materia di protezione umanitaria introdotte dalla
novella del 2020, ne aveva escluso l'applicazione retroattiva - cioe'
alle domande presentate precedentemente all'introduzione della
menzionata novella - osservando che «il principio generale
d'irretroattivita', che non gode di copertura costituzionale nella
materia in questione, ... e' pur sempre stabilito, salvo deroghe,
dall'art. 11 delle preleggi. Esso, di la' da distinzioni, di rilievo
eminentemente descrittivo, tra retroattivita' in senso proprio e
retroattivita' in senso improprio, e' volto a tutelare non gia'
fatti, bensi' diritti: quel che il divieto di retroattivita'
garantisce e' il divieto di modificazione della rilevanza giuridica
dei fatti che gia' si siano compiutamente verificati (nel caso di
fattispecie istantanea) o di una fattispecie non ancora esauritasi
(nel caso di fattispecie durevole non completata all'epoca
dell'abrogazione»).
Una volta chiarito che, nel caso di specie, i ricorrenti sono
nati cittadini italiani, deve conseguentemente concludersi che la
normativa di cui al decreto-legge n. 36/2025 introduce - nella
sostanza - una fattispecie di «revoca implicita» della cittadinanza.
E, inoltre, si tratta di una ipotesi di «revoca retroattiva», nella
misura in cui le nuove norme si applicano a tutti i casi che non
siano pendenti alle 23,59 del 27 marzo 2025 (giorno precedente
all'entrata in vigore del decreto-legge n. 36/2025).
Cio' posto, si deve rilevare la sussistenza di seri dubbi in
ordine alla compatibilita' del menzionato art. 3-bis della legge 5
febbraio 1992 n. 91, introdotto dall'art. 1, comma 1, del
decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, convertito con modificazioni
dalla legge 23 maggio 2025, n. 74, coi parametri desumibili dagli
articoli 2, 3, 22 e 117, comma 1, della Costituzione.
I. - Sulla violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione
Innanzitutto, deve essere contestata la violazione degli articoli
2 e 3 della Costituzione (violazione del principio d'eguaglianza).
In questa prospettiva, rileva l'assoluta arbitrarieta' del
trattamento tra coloro che avevano presentato una domanda giudiziale
prima del 28 marzo 2025 e coloro che la hanno presentata dopo, senza
che la diversita' nella normativa applicabile sia in qualche modo
legata ad alcun ulteriore elemento oggettivo rilevante.
A tal proposito, la giurisprudenza costituzionale ha ricavato
dagli articoli 2 e 3 della Costituzione l'esistenza di un generale
principio di ragionevolezza delle norme, che devono rispettare un
altrettanto generale principio di «affidamento nella sicurezza
giuridica». Tali principi sono stati per lo piu' affermati in materia
previdenziale, dove piu' spesso si sono registrati interventi
normativi che - per far fronte a contingenti esigenze di bilancio -
hanno tentato di incidere su rapporti pensionistici gia' in corso di
erogazione. Da qui la definizione dottrinale secondo cui il
legislatore ordinario, in materia pensionistica, si trovi di fronte
al limite costituzionale invalicabile dei cc.dd. «diritti quesiti».
Si ritiene tuttavia che il principio di «affidamento nella
sicurezza giuridica» e la tutela dei «diritti quesiti» abbiano una
portata piu' ampia, non limitabile alla sola materia previdenziale.
L'affidamento nella sicurezza giuridica costituisce infatti un
principio immanente nell'ordinamento costituzionale, alla base del
«patto sociale» su cui si fonda l'ordinamento repubblicano. Un
legislatore ordinario svincolato dal rispetto dei «diritti quesiti»,
infatti, potrebbe aggredire non solo consolidati diritti in materia
pensionistica o di cittadinanza, ma qualsiasi altro diritto
costituzionalmente tutelato (quali, a mero diritto di esempio, il
diritto di proprieta' o il diritto al risparmio).
Tra le numerose pronunce della Corte costituzionale che hanno
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una normativa ordinaria
che incideva retroattivamente su diritti gia' acquisiti al patrimonio
giuridico della persona (in questo senso, cfr. Corte costituzionale
n. 169 del 2022) si richiama il passaggio argomentativo centrale
della sentenza n. 69 del 2014, laddove si legge testualmente:
«A tal riguardo, questa Corte ha ulteriormente, e
reiteratamente, precisato come l'efficacia retroattiva della legge
trovi, in particolare, un limite nel "principio dell'affidamento dei
consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico", il mancato
rispetto del quale si risolve in irragionevolezza e comporta, di
conseguenza, l'illegittimita' della norma retroattiva (sentenze n.
170 e n. 103 del 2013, n. 271 e n. 71 del 2011, n. 236 e n. 206 del
2009, per tutte).
E, in linea con tale indirizzo, ha anche sottolineato come il
principio dell'affidamento trovi applicazione anche in materia
processuale e risulti violato a fronte di soluzioni interpretative, o
comunque retroattive, adottate dal legislatore rispetto a quelle
affermatesi nella prassi (sentenze n. 525 del 2000 e n. 111 del
1998).
Con ancor piu' puntuale riguardo a disposizioni processuali
sui termini dell'azione, questa Corte ha poi comunque escluso che
l'istituto della decadenza tolleri, per sua natura, applicazioni
retroattive, "non potendo logicamente configurarsi una ipotesi di
estinzione del diritto [...] per mancato esercizio da parte del
titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il
quale il diritto [...] debba essere esercitato" (sentenza n. 191 del
2005)» (cosi' testualmente Corte Costituzionale, sentenza n. 69 del
2014).
Ad avviso del giudice rimettente, tali principi devono trovare
applicazione nel caso di specie, dovendosi tenere a mente - in
particolare - del «grado di consolidamento» particolarmente elevato
della giurisprudenza in materia di cittadinanza iure sanguinis, che
consta di un innumerevole di numero di pronunce che (in casi
sovrapponibili a quello di specie) avevano pacificamente riconosciuto
il diritto alla cittadinanza. Sul punto, si rimanda alla sentenza
della Corte costituzionale n. 70 del 2024, nella parte in cui afferma
che «va considerato il grado di consolidamento della situazione
soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta
dall'intervento retroattivo (sentenze n. 89 del 2018, n. 250 del
2017, n. 108 del 2016, n. 216 e n. 56 del 2015)».
Un ulteriore argomento nel senso dell'arbitrarieta' e
dell'irragionevolezza del meccanismo introdotto dal decreto-legge n.
36/2025 (id est, revoca implicita della cittadinanza con efficacia
retroattiva e senza alcuna previsione di diritto intertemporale) puo'
essere tratto dall'esperienza comparata di sistemi giuridici affini.
Particolarmente significativo e' il caso dell'ordinamento
tedesco. La disciplina legislativa federale in materia di
cittadinanza e' contenuta principalmente nella legge sulla
cittadinanza (Staatsangehörigkeitsgesetz - StAG) del 22 luglio 1913
che, nel corso degli anni, ha subito varie riforme. Ai fini che qui
interessano, occorre prendere in considerazione la riforma che e'
stata attuata con legge del 15 luglio 1999, entrata in vigore il 1°
gennaio 2000, che ha introdotto quale ulteriore condizione per
l'acquisizione della cittadinanza tedesca il principio del luogo di
nascita (ius soli o Geburtsortsprinzip), in aggiunta al principio di
filiazione (ius sanguinis o Abstammungsprinzip). In questa
prospettiva, l'art. 4(4) StAG stabilisce che «la cittadinanza tedesca
non viene acquisita secondo il comma 1 alla nascita all'estero, se il
genitore tedesco e' nato all'estero dopo il 31 dicembre 1999 e
risiede abitualmente li', a meno che il bambino non risulti apolide.
...».
Cio' significa che il legislatore tedesco del 1999 ha voluto
rendere applicabile la nuova (e piu' restrittiva) normativa in
materia di cittadinanza soltanto ai nati dopo il 1° gennaio 2000,
senza cioe' prevedere alcuna applicazione retroattiva (e in peius).
Tale esperienza comparatistica costituisce - ad avviso del giudice
rimettente - una dimostrazione ulteriore dell'insostenibilita' della
scelta normativa del decreto-legge n. 36/2025, che disapplica la
normativa in materia di acquisto della cittadinanza italiana per
nascita in vigore sin dal 1912 con decreto-legge avente efficacia
immediata ed effetto retroattivo.
II. - Sulla violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione.
L'irragionevolezza di una normativa che limita il diritto di
cittadinanza gia' acquisito al patrimonio giuridico del cittadino,
senza che egli vi abbia rinunciato o abbia commesso un atto
«colpevole» in contrasto con il suo status (come nei casi di cui agli
articoli 10-bis e 12 legge n. 91/1992), contrasta non solo con i
menzionati principi di ragionevolezza e affidamento ricavabili dagli
articoli 2 e 3 della Costituzione, ma anche con gli obblighi
internazionali assunti dall'Italia ai sensi dell'art. 117, comma 1,
della Costituzione.
Sulla giustiziabilita' della violazione del diritto
internazionale pattizio dinanzi alla Corte costituzionale, si
richiama quel consolidato orientamento giurisprudenziale che trova la
sua sintesi nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007. Secondo il giudice
delle leggi, «in occasione di ogni questione nascente da pretesi
contrasti tra norme interposte e norme legislative interne, occorre
verificare congiuntamente la conformita' a Costituzione di entrambe e
precisamente la compatibilita' della norma interposta con la
Costituzione e la legittimita' della norma censurata rispetto alla
stessa norma interposta». In particolare, con riferimento alla
necessita' di sollevare un incidente di costituzionalita'
ogniqualvolta la norma interna si ponga in insanabile contrasto con
la norma pattizia, la Corte costituzionale ha affermato che «al
giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme
alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio' sia
permesso dai testi delle norme. Qualora cio' non sia possibile,
ovvero dubiti della compatibilita' della norma interna con la
disposizione convenzionale «interposta», egli deve investire questa
Corte della relativa questione di legittimita' costituzionale
rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma» (cosi' Corte
costituzionale n. 349 del 2007).
Con specifico riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 1,
della Costituzione in relazione a norme di diritto dell'Unione
europea - in quanto tali giustiziabili anche mediante la proposizione
di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ex art. 267
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - si rileva che la
giurisprudenza costituzionale italiana si e' ormai consolidata nel
senso della c.d. alternativita' dei rimedi. Si richiama,
sull'argomento, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 7
del 2025, che ha cosi' efficacemente ricostruito i termini della
questione:
«La Sezione rimettente si e' dunque trovata di fronte al
bivio se decidere direttamente sulla contrarieta' dell'art. 2641
del codice civile all'art. 49, paragrafo 3, CDFUE - e,
conseguentemente, confermare o annullare la statuizione della Corte
d'appello in proposito -, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla
Corte di giustizia (come suggerito dallo stesso procuratore generale
ricorrente); ovvero se investire questa Corte della valutazione sulla
legittimita' costituzionale del medesimo art. 2641 del codice civile,
alla stregua tanto dei parametri nazionali sui quali si fonda il
principio di proporzionalita' della pena, quanto dello stesso art.
49, paragrafo 3, CDFUE (oltre che dell'art. 17 CDFUE, che tutela a
livello unionale il diritto di proprieta'), per il tramite degli
articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione.
2.2.2. - La decisione della Sezione rimettente di procedere
in questo secondo senso e' conforme ai principi ormai ripetutamente
enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (a partire dalla
sentenza n. 269 del 2017, punto 5.2. del Considerato in diritto) per
l'ipotesi in cui il giudice rilevi una incompatibilita' tra una legge
nazionale e una norma di diritto dell'Unione dotata di effetto
diretto.
Ove la questione abbia altresi' «un "tono costituzionale",
per il nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale»
(sentenza n. 181 del 2024, punto 6.3. del Considerato in diritto), il
giudice italiano ha sempre - accanto alla possibilita' di
disapplicare, nel caso concreto, la legge nazionale, previo eventuale
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in caso di dubbio
sull'interpretazione o sulla validita' della norma rilevante
dell'Unione - l'ulteriore possibilita' di sollecitare l'intervento di
questa Corte, affinche' rimuova la legge nazionale ritenuta
incompatibile con il diritto dell'Unione (nello stesso senso,
recentemente, sentenza n. 1 del 2025, punto 3.1. del Considerato in
diritto).
Le due possibilita' - configuranti un "concorso di rimedi
giurisdizionali [che] arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti
fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione» (sentenza
n. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato in diritto) - si fondano
entrambe sul principio del primato del diritto dell'Unione, la cui
tutela puo' essere assicurata, in modo "sempre piu' integrato"
(sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato in diritto),
sia da ciascun giudice attraverso il rimedio della disapplicazione
della legge nazionale incompatibile nel caso concreto, sia da questa
Corte attraverso la dichiarazione della sua illegittimita'
costituzionale per contrasto con la norma unionale.
Quest'ultimo rimedio, come gia' sottolineato nella sentenza
n. 20 del 2019, ha - anzi - particolare rilievo proprio nella materia
della tutela dei diritti fondamentali, dove e' essenziale che le
corti costituzionali e supreme nazionali possano "contribuire, per la
propria parte, a rendere effettiva la possibilita', di cui ragiona
l'art. 6 del Trattato sull'Unione europea (TUE) [...] che i
corrispondenti diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo, e
in particolare dalla CDFUE, siano interpretati in armonia con le
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate anche
dall'art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti"
(punto 2.3. del Considerato in diritto).
Al giudice comune spetta, dunque, il compito di individuare
il rimedio di volta in volta piu' appropriato».
II-1. Tanto premesso, si rileva innanzitutto la violazione
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione agli articoli
9 del Trattato sull'Unione europea e 20 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea, che istituiscono e regolano la
cittadinanza europea come status che si aggiunge a quello di
cittadino di uno Stato membro.
Tale censura e' ammissibile in ragione del riflesso che la
cittadinanza italiana produce circa la titolarita' della cittadinanza
europea. Essa e' altresi' rilevante, in quanto la situazione di
perdita della cittadinanza italiana introdotta dal decreto-legge n.
36/2025 indubitabilmente incide su norme di diritto dell'Unione che
hanno efficacia diretta nel nostro ordinamento, non potendosi
altrimenti qualificare le norme dei Trattati istitutive della
cittadinanza europea («E' cittadino dell'Unione chiunque abbia la
cittadinanza di uno Stato membro», art. 9 TUE; «E' istituita una
cittadinanza dell'Unione. E' cittadino dell'Unione chiunque abbia la
cittadinanza di uno Stato membro», art. 20 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea).
Si osserva in proposito che la CGUE, nella sentenza 5 settembre
2023, C-689/21, causa X c. Udlændinge - og Integrationsministeriet,
e' stata chiamata a pronunciarsi su una normativa danese che, per i
cittadini danesi nati all'estero, prescriveva la perdita ipso iure
della cittadinanza al compimento dei ventidue anni, qualora non
sussistesse un legame effettivo con la Danimarca; in quel caso, la
Corte ha testualmente affermato che «la situazione di cittadini
dell'Unione che [...] possiedono la cittadinanza di un solo Stato
membro e che, con la perdita di tale cittadinanza, si ritrovano senza
lo status conferito dall'art. 20 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea e i diritti a esso correlati ricade, per sua
natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto
dell'Unione. Pertanto, nell'esercizio della loro competenza in
materia di cittadinanza, gli Stati membri devono rispettare il
diritto dell'Unione e, in particolare, il principio di
proporzionalita' [sentenze del 2 marzo 2010, Rottmann, C-135/08,
EU:C:2010:104, punti 42 e 45; del 12 marzo 2019, Tjebbes e a.,
C-221/17, EU:C:2019:189, punto 32, nonche' del 18 gennaio 2022,
Wiener Landesregierung (Revoca di una garanzia di naturalizzazione),
C-118/20, EU:C:2022:34, punto 51]».
In particolare, la Corte di giustizia ha avuto modo di
sottolineare che «la perdita ipso iure della cittadinanza di uno
Stato membro sarebbe incompatibile con il principio di
proporzionalita' se le norme nazionali pertinenti non consentissero,
in nessun momento, un esame individuale delle conseguenze determinate
da tale perdita, per gli interessati, sotto il profilo del diritto
dell'Unione». Con la citata sentenza, in conformita' alla sua
giurisprudenza anteriore (cfr. sentenza 12 marzo 2019, C-221/17,
Tjebbes, punto 41, nonche', piu' di recente, sentenza 25 aprile 2024,
C-684/22, S.O. c. Stadt Duisburg, punto 43), la Corte ha altresi'
chiaramente stabilito che lo Stato deve garantire la possibilita' di
presentare una richiesta di conservazione o recupero ex tunc della
cittadinanza entro termini ragionevoli, che possono iniziare a
decorrere solo dopo che ogni individuo - destinatario di una
possibile decadenza - sia stato specificamente avvertito
dell'imminenza di tale evento, concedendogli la possibilita' di
formulare una richiesta diretta ad impedire il verificarsi
dell'evento estintivo (CGUE, sentenza 5 settembre 2023, C-689/21,
punti 50-52).
Per le ragioni gia' ampiamente esposte, deve dunque concludersi
che la normativa italiana introdotta dal decreto-legge n. 36/2025
viola le norme dei Trattati istitutive della cittadinanza europea,
comportando - di fatto - la perdita della cittadinanza italiana in
danno di soggetti che (al di la' del dato meramente formale di non
avere ancora avviato un procedimento giurisdizionale o amministrativo
di riconoscimento del loro diritto) erano pacificamente da
considerarsi cittadini italiani per nascita, senza che sia stato
previsto alcun meccanicismo di diritto intertemporale che consentisse
loro la conservazione della cittadinanza entro termini ragionevoli
(ad esempio, prevedendo una «finestra temporale» entro la quale poter
presentare una domanda amministrativa o giudiziale di riconoscimento
della cittadinanza).
II-2. Si ravvisa inoltre una violazione dell'art. 117, comma 1,
della Costituzione in relazione all'art. 15, comma 2, della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948,
ai sensi del quale «nessun individuo potra' essere arbitrariamente
privato della sua cittadinanza, ne' del diritto di mutare
cittadinanza»: nella specie, si deduce appunto l'arbitrarieta' dei
criteri di «revoca implicita» introdotti dall'art. 1, comma 1,
lettera a) e b), decreto-legge n. 36/2025, nella parte in cui fanno
retroagire la «revoca» (id est, l'impossibilita' di far valere in
giudizio il proprio diritto originario al riconoscimento della
cittadinanza italiana) alle ore 23,59 del giorno precedente l'entrata
in vigore del medesimo decreto-legge.
Sul punto, si segnala la differenza sostanziale che intercorre
tra l'art. 15, comma 2, della Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo e l'art. 22 della Costituzione: la norma internazionale
adopera infatti l'avverbio «arbitrariamente», la cui estensione e'
lessicalmente e strutturalmente piu' ampia rispetto all'inciso «per
motivi politici» fatto proprio dalla normativa costituzionale
italiana. Se per «motivi politici» devono intendersi motivi
«essenzialmente politici» (si pensi al caso della revoca della
cittadinanza in danno di una minoranza etnica o degli appartenenti a
un dato movimento politico, filosofico, religioso o culturale),
l'avverbio «arbitrariamente» contempla invece qualsiasi ipotesi di
privazione di cittadinanza che - al di la' delle sue motivazioni
«politiche» o «comuni» - risulti essere ingiusta, ingiustificata,
irragionevole; vale a dire, arbitraria.
Nel caso dell'art. 3-bis cit., per tutte le ragioni diffusamente
esposte retro al paragrafo I, deve dunque ritenersi che la perdita
indiscriminata e retroattiva della cittadina attuata nei confronti di
tutti i cittadini italiani nati all'estero, in ragione del solo fatto
di non avere manifestato (per via amministrativa o giudiziale) la
propria volonta' di avvalersi del proprio diritto di cittadinanza
(giova rimarcarlo ancora, ad essi attribuito fin dalla nascita iure
sanguinis e in un momento storico in cui l'affidamento sul perdurare
dell'assetto normativo e giurisprudenziale consolidato in materia di
cittadinanza era massimo) costituisca un'ipotesi di privazione
arbitraria della cittadinanza, con conseguente violazione del
precetto dell'art. 15, comma 2, della Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo, tutelato nel nostro ordinamento per il tramite
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione come interpretato dalla
giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenze n.
348 e n. 349 del 2007, cit.).
II-3. Infine, si ritiene che l'art. 3-bis della legge n. 91/1992
violi l'art. 117, comma 1, della Costituzione anche in relazione
all'art. 3, comma 2, del Quarto protocollo addizionale alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ai sensi del quale
«nessuno puo' essere privato del diritto di entrare nel territorio
dello Stato di cui e' cittadino»: nella specie, ci si troverebbe al
cospetto di soggetti titolari sin dalla nascita della cittadinanza
italiana (cioe' di un diritto di soggettivo), che si vedrebbero
privati del loro diritto di entrare nel territorio italiano per il
sol fatto di non avere chiesto (in via amministrativa o giudiziale)
il riconoscimento del proprio diritto entro le ore 23,59 del giorno
precedente l'entrata in vigore del decreto-legge n. 36/2025.
III - Conclusioni
Deve dunque concludersi che la normativa ordinaria introdotta dal
decreto-legge n. 36/2025 sia costituzionalmente illegittima nella
misura in cui fa retroagire gli effetti limitativi dello status di
cittadinanza ad un momento anteriore all'entrata in vigore della
legge stessa.
In altri termini, e' costituzionalmente illegittimo che il
legislatore ordinario stabilisca all'art. 3bis legge n. 91/1992 che -
«in deroga» alla normativa applicabile - «e' considerato non avere
mai acquistato la cittadinanza italiana chi e' nato all'estero anche
prima della data di entrata in vigore del presente articolo ed e' in
possesso di altra cittadinanza», limitando alle successive lettere da
a) a d) il diritto all'accertamento della cittadinanza italiana «per
nascita» al rispetto di determinate condizioni inserite ex novo dal
medesimo decreto-legge n. 36/2025.
Si dubita cioe' che sia costituzionalmente legittimo - per le
ragioni dette e secondo i parametri di cui agli articoli 2, 3 e 117,
comma 1, della Costituzione - far retroagire le limitazioni ad uno
status di cittadino che e' gia' stato acquisito a titolo originario
dalla persona nata all'estero discendente di cittadino italiano, in
ossequio alla normativa in vigore sino al 27 marzo 2025.
La scelta legislativa introdotta dall'art. 3-bis legge n. 91/1992
e', come detto, assimilabile a una «revoca implicita»; tale
constatazione avrebbe (quantomeno) imposto la previsione di un
ragionevole termine per la presentazione di una domanda di
riconoscimento della cittadinanza italiana (a mero titolo di esempio,
«entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto-legge»),
cosi' «agganciando» la perdita della cittadinanza italiana alla
mancata tempestiva presentazione della domanda (amministrativa o
giudiziale) di riconoscimento della medesima cittadinanza. L'avere
previsto una limitazione retroattiva del diritto a chiedere il
riconoscimento della cittadinanza italiana, in capo a soggetti che in
applicazione della normativa previgente erano pacificamente
considerati cittadini italiani a titolo originario dalla nascita (pur
se nati all'estero e in possesso di altra cittadinanza), costituisce
dunque - ad avviso di questo Tribunale - una violazione dei sopra
richiamati principi di ragionevolezza e affidamento nella sicurezza
giuridica in violazione degli articoli 2, 3 e 117, comma 1, della
Costituzione.
La disposizione di cui all'art. 3-bis della legge 5 febbraio
1992, n. 91, introdotta dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36,
presenta dunque profili di possibile incompatibilita' con i parametri
sopra richiamati nella parte in cui stabilisce al comma 1, primo
periodo, l'applicabilita' della nuova normativa a chi e' nato
all'estero «anche prima della data di entrata in vigore del presente
articolo», nonche' con riferimento alle condizioni introdotte alle
lettere a), a-bis) e b), in quanto in tal modo introduce un'ipotesi
di revoca automatica e con effetto immediato della cittadinanza
italiana per tutti quei soggetti nati all'estero e in possesso di
altra cittadinanza che non rispettino le caratteristiche soggettive
introdotte dal medesimo decreto-legge all'art. 1, lettere c) e d)
(sussistenza del c.d. genuine link). In altri termini,
l'incostituzionalita' parziale dell'art. 3-bis cit. deriva dal fatto
che sarebbe stato possibile prevedere una normativa intertemporale
tale consentire alle persone interessate (cioe' agli italiani nati
all'estero, in possesso di altra cittadinanza e privi di un «genuine
link» con l'Italia) di essere debitamente informate delle modifiche
normative intervenute, onde poter presentare - entro un termine
ragionevole - la domanda (amministrativa o giudiziale) di
riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis.
La dichiarazione di parziale incostituzionalita' dell'art. 3-bis
legge n. 91/1992 nei termini sopra prospettati consentirebbe inoltre
di conservare l'effetto utile della riforma legislativa - che
persegue l'intento di dare concreta attuazione nel nostro ordinamento
al principio internazionale del «legame effettivo» (o «genuine link»,
ribadito da ultimo dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella
sentenza del 29 aprile 2025, causa C-181/23) - eliminando le sole
conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'applicazione retroattiva
(cioe' a tutte le persone gia' nate) della nuova normativa. Attesa la
natura derogatoria dell'art. 3-bis legge n. 91/1992, infatti, una
volta eliminati i periodi che espressamente ne prevedono
l'applicazione retroattiva, resterebbe un'unica interpretazione
costituzionalmente orientata della nuova normativa in materia di
cittadinanza: quella dell'applicabilita' dell'art. 3-bis cit.
soltanto alle persone nate successivamente all'entrata in vigore del
decreto-legge n. 36/2025, valendo - in assenza di un'espressa
previsione di retroattivita' - la regola generale di cui all'art. 11
delle preleggi, alla stregua della quale «la legge non dispone che
per l'avvenire».
In questa prospettiva, la dichiarazione di incostituzionalita'
parziale dell'art. 3-bis cit. potrebbe anche essere accompagnata da
un intervento di tipo manipolativo-additivo della Corte
costituzionale, con previsione di un meccanismo di diritto
intertemporale che garantisca la possibilita' (a tutte le persone
gia' nate alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.
36/2025) di presentare una domanda di riconoscimento della
cittadinanza entro termini ragionevoli, in applicazione dei principi
affermati dalla Corte di giustizia UE nella menzionata sentenza 5
settembre 2023, C-689/21.
Per tutte le ragioni che precedono, non e' manifestamente
infondata la questione di incostituzionalita' all'art. 3-bis della
legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza),
introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36 (Disposizioni
urgenti in materia di cittadinanza), limitatamente alle parole «anche
prima della data di entrata in vigore del presente articolo» e alle
condizioni di cui lettere a), a-bis) e b), in riferimento ai
parametri di cui agli articoli 2, 3 e 117 della Costituzione, avuto
riguardo per quest'ultimo ai principi derivati dall'ordinamento
internazionale e, in particolare, dall'art. 9 del Trattato
sull'Unione Europea, dall'art. 20 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea, dall'art. 15, comma 2, della Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 e dell'art. 3,
comma 2, del Quarto protocollo addizionale alla Convenzione europea
dei diritti dell'uomo.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale
n. 1/1948 e 23 legge n. 87 del 1953, ritenuta la rilevanza e la non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3-bis - limitatamente alle parole «anche prima della data
di entrata in vigore del presente articolo» e alle condizioni
previste alle lettere a), a-bis) e b) - della legge 5 febbraio 1992,
n. 91, introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, convertito
con modificazioni dalla legge 23 maggio 2025, n. 74, in riferimento
agli articoli 2, 3 e 117, comma 1, della Costituzione, quest'ultimo
in relazione ai principi derivati dall'ordinamento internazionale e,
in particolare, dall'art. 9 del Trattato sull'Unione europea,
dall'art. 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,
dall'art. 15, comma 2, della Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo del 10 dicembre 1948 e dell'art. 3, comma 2, del Quarto
protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo;
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la
sospensione del giudizio;
Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al
Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del
Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
Torino, il 25 giugno 2025
Il giudice: Alessandria