Reg. ord. n. 167 del 2025 pubbl. su G.U. del 17/09/2025 n. 38

Ordinanza del Tribunale di Torino  del 25/06/2025

Tra: Maria Eugenia Escovar Alvarado e altri  C/ Ministero dell'Interno



Oggetto:

Cittadinanza – Acquisizione della cittadinanza italiana in ragione del criterio della discendenza (cosiddetto iure sanguinis) – Modifiche alla legge n. 91 del 1992 – Preclusione all’acquisizione della cittadinanza italiana in base al criterio della discendenza per i soggetti, discendenti da cittadino italiano, nati all’estero e in possesso di altra cittadinanza – Applicabilità della preclusione ai nati all’estero anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 3-bis della legge n. 91 del 1992, introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36 – Deroghe nel caso di riconoscimento, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda di accertamento della cittadinanza presentata (in via amministrativa o giurisdizionale) non oltre le 23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025 – Denunciata retroazione degli effetti limitativi sull’acquisto della cittadinanza a titolo originario dei soggetti nati all’estero con avo italiano – Assenza di una disciplina di diritto intertemporale di conservazione della cittadinanza entro termini ragionevoli – Denunciata revoca retroattiva della cittadinanza applicabile a quanti, pur ricorrendone le condizioni, non abbiano presentato domanda di riconoscimento (in via amministrativa o giudiziale) entro le ore 23:59 del 27 marzo 2025 – Violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza – Disparità di trattamento rispetto ai soggetti che hanno proposto domanda di riconoscimento anteriormente al 28 marzo 2025 – Lesione dell’affidamento nella sicurezza giuridica in relazione a un diritto già acquisito nel patrimonio giuridico della persona – Violazione dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali – Contrasto con le norme dei Trattati dell’Unione europea istitutive della cittadinanza europea – Contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in relazione al divieto di privazione arbitraria della cittadinanza – Contrasto con le previsioni del Protocollo n. 4 addizionale alla CEDU.

Norme impugnate:

legge  del 05/02/1992  Num. 91  Art. 3

decreto-legge  del 28/03/2025  Num. 36  Art. 1  Co. 1

legge  del 23/05/2025  Num. 74



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Trattato unione europea  Art.  Co.  

Trattato sul funzionamento dell'Unione europea  Art. 20   Co.  

Dichiarazione universale dei diritti umani  Art. 15   Co.

Protocollo n. 4 a Convenzione europea diritti dell'uomo  Art.  Co.




Testo dell'ordinanza

                        N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 2025

Ordinanza del 25 giugno 2025 del Tribunale di Torino nel procedimento
civile promosso da Maria Eugenia  Escovar  Alvarado  e  altri  contro
Ministero dell'interno. 
 
Cittadinanza - Acquisizione della cittadinanza  italiana  in  ragione
  del  criterio  della  discendenza  (cosiddetto  iure  sanguinis)  -
  Modifiche alla legge n. 91 del 1992 - Preclusione  all'acquisizione
  della cittadinanza italiana in base al criterio  della  discendenza
  per i soggetti, discendenti da cittadino italiano, nati  all'estero
  e  in  possesso  di  altra  cittadinanza  -  Applicabilita'   della
  preclusione ai nati all'estero anche prima dell'entrata  in  vigore
  dell'art.  3-bis  della  legge  n.  91  del  1992,  introdotto  dal
  decreto-legge  28  marzo  2025,  n.  36  -  Deroghe  nel  caso   di
  riconoscimento, nel rispetto  della  normativa  applicabile  al  27
  marzo 2025, a seguito di domanda di accertamento della cittadinanza
  presentata (in via amministrativa o giurisdizionale) non  oltre  le
  23:59, ora di Roma, del 27 marzo 2025. 
- Legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), art.
  3-bis, introdotto dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 28  marzo
  2025, n. 36 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  cittadinanza),
  convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 2025, n. 74. 


(GU n. 38 del 17-09-2025)

 
                         TRIBUNALE DI TORINO 
Sezione  specializzata  in  materia   di   immigrazione,   protezione
        internazionale e libera circolazione dei cittadini UE 
 
    Il  Tribunale  di  Torino,  in  persona  del   giudice   Fabrizio
Alessandria,  nella  causa  civile  iscritta  al  n.  r.g.  6648/2025
promossa da: 
        Maria Eugenia Escovar  Alvarado,  nata  in  Venezuela  il  26
dicembre 1982; Ramon Jose' Escovar Alvarado, nato in Venezuela il  15
gennaio 1978; Maria Victoria Alvarado Bajares, nata in  Venezuela  il
17 aprile 1952; Angela Cecilia Alvarado Bajares, nata in Venezuela il
12 gennaio 1955; Maria Victoria Escovar Alvarado, nata  in  Venezuela
il 15 gennaio  1978;  Marcelino  Alfredo  Madriz  Alvarado,  nato  in
Venezuela il 9 maggio 1983; Manuel Alberto Madriz Alvarado,  nato  in
Venezuela il 17 maggio 1986, per se' e per il proprio  figlio  minore
Joaquin Ignacio Madriz Valladares, nato in  Venezuela  l'8  settembre
2022, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Benedetta Ballatore, dal
prof. avv. Alfonso Celotto, dal prof. avv. Giovanni Bonato, dall'avv.
Giovanni Caridi e dall'avv. Riccardo De Simone - ricorrenti -  contro
Ministero  dell'interno,  in  persona  del  Ministro   pro   tempore,
domiciliato ex lege presso l'Avvocatura distrettuale dello  Stato  di
Torino  -  convenuto  contumace  -  e  nei  confronti  del   pubblico
ministero, in persona del  procuratore  della  Repubblica  presso  il
Tribunale di Torino - interveniente necessario - a scioglimento della
riserva assunta all'udienza del 16 giugno  2025,  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza. 
    1. Con ricorso ex art. 28-decies del codice di  procedura  civile
depositato  in  data  28  marzo  2025,  ritualmente   notificato,   i
ricorrenti  convenivano  in  giudizio   il   Ministero   dell'interno
chiedendo di accertare e  dichiarare  il  loro  status  di  cittadini
italiani  iure  sanguinis,  deducendo  di  essere   discendenti   del
cittadino italiano Pietro Maria Dorato, nato a  Torino  l'11  ottobre
1837 (cfr. doc. 1) che, successivamente, emigrava in Venezuela, senza
tuttavia mai naturalizzarsi  cittadino  venezuelano  (cfr.  doc.  2).
Conseguentemente, i ricorrenti chiedevano di  ordinare  al  Ministero
dell'interno  e,  per  esso,   all'ufficiale   dello   Stato   Civile
competente, di procedere all'iscrizione, trascrizione  e  annotazione
della cittadinanza nei registri dello stato civile. 
    Il Ministero dell'interno non si costituiva in giudizio. 
    Il  pubblico  ministero  nulla  opponeva   all'accoglimento   del
ricorso. 
    All'udienza del 16  giugno  2025,  verificata  la  regolarita'  e
tempestivita'  delle  notificazioni,   il   giudice   dichiarava   la
contumacia del Ministero convenuto. In via preliminare, i  ricorrenti
eccepivano  l'incostituzionalita'  dell'art.  3-bis  della  legge  n.
91/1992,  richiamandosi  alle  argomentazioni  di  cui  alla  memoria
autorizzata dell'11 giugno 2025; osservavano, in particolare, che  la
questione di costituzionalita' sarebbe ammissibile e  rilevante,  per
essere  la  normativa  introdotta  dal   decreto-legge   n.   36/2025
applicabile al caso di specie (ricorso presentato in  data  28  marzo
2025 e non preceduto da domanda in via amministrativa, trattandosi di
discendenza iure sanguinis per  linea  materna).  Il  giudice,  preso
atto, tratteneva la causa in riserva. 
    2. Preliminarmente  va  affermata  la  competenza  della  Sezione
specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e
libera circolazione dei cittadini UE presso il Tribunale  di  Torino,
ai sensi dall'art. 1, comma 36 e comma 37, legge n. 206/2021  che  ha
introdotto  all'art.  4,  comma  5,  del  decreto-legge  n.  13/2017,
convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  46/2017  il  seguente
periodo: «quando  l'attore  risiede  all'estero  le  controversie  di
accertamento dello stato  di  cittadinanza  italiana  sono  assegnate
avendo riguardo al  comune  di  nascita  del  padre,  della  madre  o
dell'avo cittadini italiani». 
    3.  Nel  merito,  e  con  riferimento  all'ammissibilita'   della
questione di costituzionalita' eccepita dai ricorrenti, si rileva che
- in applicazione della normativa precedente  all'entrata  in  vigore
del decreto-legge n. 36/2025 - la domanda di parte ricorrente sarebbe
stata fondata, in quanto sulla base  della  documentazione  in  atti,
risulta provata la discendenza diretta per linea paterna da cittadino
italiano, nonostante nella linea genealogica figuri un ascendente  di
sesso femminile, sposata con cittadino  straniero  e  con  cui  aveva
avuto un figlio prima della promulgazione della vigente  Costituzione
del 1948. 
    Si  ritiene   peraltro   che   la   documentazione   offerta   in
comunicazione dai ricorrenti consenta di ritenere rispettata anche la
previsione di cui al novellato art. 19-bis del decreto legislativo n.
150/2011. Come noto, il decreto-legge n. 36/2025 ha aggiunto  a  tale
norma il comma 2-bis, che introduce  il  divieto  di  ricorrere  alla
prova testimoniale, e il comma  2-ter,  ai  sensi  del  quale  «nelle
controversie in materia di accertamento della  cittadinanza  italiana
chi chiede l'accertamento della cittadinanza e' tenuto ad allegare  e
provare l'insussistenza delle cause di mancato acquisto o di  perdita
della cittadinanza previste dalla legge»). Nel  caso  qui  in  esame,
come  gia'  rilevato,  e'  agli  atti  il  certificato  negativo   di
naturalizzazione dell'avo (doc.  2),  di  talche'  deve  considerarsi
assolto anche il nuovo  onere  probatorio  documentale  previsto  dal
decreto-legge n.  36/2025.  Tanto  premesso,  in  punto  di  fatto  i
ricorrenti: 
        allegano di essere tutti discendenti  in  linea  diretta  dal
sig.  Pietro  Maria   Dorato,   cittadino   italiano   per   nascita,
segnatamente nato a Torino in data 11  ottobre  1837  e  deceduto  in
Venezuela successivamente alla proclamazione del Regno  d'Italia  (di
conseguenza, si deve ritenere che Pietro Maria Dorato abbia acquisito
la cittadinanza italiana in  seguito  all'unificazione  avvenuta  nel
1861; in questo senso, cfr. ex multis l'ord. n. 23849  del  2023  del
Tribunale di Roma); 
        allegano che il sig. Pietro Maria Dorato si e' trasferito  in
Venezuela e non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana; 
        ricostruiscono la linea di discendenza, per il tramite  della
figlia del sig. Dorato e delle figlie di quest'ultima; 
        allegano che i discendenti del sig. Dorato sono italiani  per
diritto di nascita, ma che il Consolato del Venezuela non consente di
ricevere le istanze di riconoscimento di cittadinanza ove una persona
della linea di discendenza  sia  donna  nata  prima  dell'entrata  in
vigore della costituzione repubblicana, imponendo a costoro di  agire
esclusivamente per la via giudiziale (cfr. estratto del sito internet
del Consolato generale d'Italia a Caracas, sub doc. 19). 
    A prova di tali fatti, i ricorrenti hanno  depositato  l'estratto
di nascita dell'avo italiano  emigrato  in  Venezuela  (doc.  1),  il
certificato di mancata sua naturalizzazione (doc. 2) e il certificato
di matrimonio dell'avo con una donna venezuelana (doc.  3).  Inoltre,
depositano i certificati di nascita e di matrimonio  dei  discendenti
dell'avo (docc. da 4 a 18), le indicazioni del Consolato italiano  in
Venezuela  circa  l'impossibilita'  di  presentare  domanda  in   via
amministrativa per i discendenti da donne  italiane  nati  prima  del
1948 (doc. 19), nonche' l'ordinanza n. 23849 del 2023  del  Tribunale
di Roma, resa nel giudizio R.G. n. 13107/2022, con cui - in  un  caso
che vedeva quali ricorrenti alcuni parenti in linea collaterale degli
odierni ricorrenti, tutti discendenti dell'avo Pietro Maria Dorato  -
e' stato accertato lo status di cittadino  italiano  dell'avo  Pietro
Maria Dorato, della figlia Angela Maria  Dorato  Soto  e  del  nipote
Anselmo  Alvarado  Dorato,  con  il  conseguente  diritto  dei   loro
discendenti alla cittadinanza italiana (doc. 20). 
    In diritto, i ricorrenti: 
        richiamano il disposto dell'art. 1 della  legge  n.  555  del
1912 circa la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis; 
        richiamano la sentenza della Corte costituzionale, n. 30  del
1983, che ha stabilito che l'art. 1 della legge n. 555  del  1912  e'
incostituzionale nella parte in cui non prevede che sia cittadino per
nascita anche il figlio di madre italiana; 
        danno atto  della  costante  giurisprudenza  della  Corte  di
Cassazione, in ragione della quale non vi e' un limite temporale alla
possibilita' di richiedere la  cittadinanza  italiana  in  quanto  lo
status di cittadino ha natura permanente ed  imprescrittibile  ed  e'
giustiziabile in ogni tempo, salvo  l'estinzione  per  effetto  della
rinuncia del richiedente e  che  la  titolarita'  della  cittadinanza
italiana va riconosciuta in sede  giudiziaria  alla  donna  che  l'ha
perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al
1° gennaio 1948,  in  quanto  la  perdita  senza  la  volonta'  della
titolare della  cittadinanza  e'  effetto  perdurante  di  una  norma
incostituzionale, per violazione  del  principio  della  parita'  dei
sessi e della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi di cui  agli
articoli  3  e  29  della   Costituzione   (cfr.   Cassazione   civ.,
Sezioni unite, sentenza n. 4466 del 2009); 
        richiamano ancora la giurisprudenza di legittimita', a  tenor
del  quale  la  cittadinanza  «per  nascita»  si  acquista  a  titolo
originario,  determinando  uno  status  civitatis   che   ha   natura
permanente ed e' imprescrittibile e giustiziabile in  ogni  tempo  in
base alla semplice  prova  della  fattispecie  acquisitiva  integrata
dalla  nascita  da  cittadino  italiano,  di  talche'  la  linea   di
trasmissione e' prova necessaria  e  sufficiente  per  l'accoglimento
della tutela giudiziale (nel senso che il richiedente puo'  limitarsi
ad  allegare  e  provare  di  essere  discendente  di  un   cittadino
italiano); 
        menzionano  un  ulteriore  profilo  della  giurisprudenza  di
legittimita', che ha  chiarito  che  il  cittadino  italiano  nato  e
residente in  uno  Stato  estero,  dal  quale  sia  ritenuto  proprio
cittadino per nascita, conserva comunque la cittadinanza  italiana  e
la trasmette ai figli (cfr. Cassazione civ., Sezioni unite, n.  25317
del 2022). 
    4. Nel contesto di  fatto  e  di  diritto  appena  descritto,  e'
intervenuto  il  decreto-legge  n.  36  del  2025,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 74 del 2025. 
    Il decreto-legge ha inserito l'art. 3-bis nella legge n. 91/1992,
norma del seguente testuale tenore: 
        «In deroga agli articoli 1, 2, 3,  14  e  20  della  presente
legge, all'art. 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123,  agli  articoli
1, 2, 7, 10, 12 e 19 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nonche' agli
articoli 4, 5, 7, 8 e 9 del codice civile approvato con regio decreto
25 giugno 1865, n. 2358, e' considerato non avere mai  acquistato  la
cittadinanza italiana chi e' nato all'estero anche prima  della  data
di entrata in vigore del presente articolo ed e' in possesso di altra
cittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni: 
          a) lo stato di cittadino dell'interessato e'  riconosciuto,
nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a  seguito
di domanda, corredata  della  necessaria  documentazione,  presentata
all'ufficio consolare o al sindaco competenti non oltre le 23,59, ora
di Roma, della medesima data; 
          a-bis)  lo   stato   di   cittadino   dell'interessato   e'
riconosciuto, nel rispetto della normativa applicabile  al  27  marzo
2025,   a   seguito   di   domanda,   corredata   della    necessaria
documentazione,  presentata  all'ufficio  consolare  o   al   sindaco
competenti   nel   giorno   indicato   da   appuntamento   comunicato
all'interessato dall'ufficio competente entro le 23,59, ora di  Roma,
della medesima data del 27 marzo 2025; 
          b) lo stato  di  cittadino  dell'interessato  e'  accertato
giudizialmente, nel rispetto della normativa applicabile al 27  marzo
2025, a seguito di domanda giudiziale presentata non oltre le  23,59,
ora di Roma, della medesima data; 
          c) un ascendente di primo o di secondo  grado  possiede,  o
possedeva al momento  della  morte,  esclusivamente  la  cittadinanza
italiana; 
          d) un genitore o adottante e' stato residente in Italia per
almeno  due  anni  continuativi  successivamente  all'acquisto  della
cittadinanza italiana e prima della data di nascita o di adozione del
figlio». 
    In buona sostanza, la nuova normativa emergenziale introduce  dei
requisiti piu'  stringenti  per  il  riconoscimento  dello  stato  di
cittadino italiano dei soggetti nati all'estero che,  pur  avendo  il
diritto ad essere riconosciuti  cittadini  italiani  ai  sensi  della
legge n. 91/1992, non abbiano esercitato  tale  diritto  con  domanda
(amministrativa o giudiziale) presentata «non oltre le 23,59, ora  di
Roma»  del  27  marzo  2025;  vale  a  dire,  del  giorno  precedente
all'entrata in vigore del decreto legge n. 36/2025. 
    4.1. La disposizione in esame si applica al caso di specie, per i
seguenti motivi: 
        i  ricorrenti   hanno   rappresentato   che   nel   Venezuela
l'attribuzione  della  cittadinanza  venezuelana  avviene  sia   iure
sanguinis sia iure soli; 
        i ricorrenti sono tutti nati in Venezuela,  di  talche'  essi
hanno acquisito (anche) la cittadinanza venezuelana; 
        ai sensi dell'art. 34  della  Costituzione  della  Repubblica
Bolivariana  del  Venezuela  approvata  il  20  dicembre  1999,   «la
nazionalita' venezuelana non si perde all'optare o acquisire di altra
nazionalita'», di talche' il Venezuela consente il regime  di  doppia
cittadinanza; 
        ai sensi della nuova  disposizione  di  legge,  i  ricorrenti
devono essere considerati come non aver mai acquisito la cittadinanza
italiana sin dalla nascita; 
        i  ricorrenti  non  rientrano  nelle   clausole   derogatorie
previste dalla legge, atteso che: 
          non  e'  stata  proposta  (ne'  risultava  proponibile,  in
ragione del fatto che la figlia dell'avo emigrato ha avuto un  figlio
nato prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana del
1948) domanda in via amministrativa; 
          la domanda giudiziale e' stata proposta il 28 marzo 2025 e,
quindi, successivamente alle ore 23,59 del 27 marzo 2025; 
          non risulta  che  gli  ascendenti  dei  ricorrenti  abbiano
soggiornato in Italia per due anni prima della nascita del figlio; 
          gli ascendenti dei ricorrenti non avevano esclusivamente la
cittadinanza italiana. 
    5. I ricorrenti, con memoria  autorizzata  dell'11  giugno  2025,
hanno eccepito l'incostituzionalita' del predetto art. 3-bis legge n.
91/1992,  rilevando  che  tale  norma  violerebbe  numerosi  precetti
tutelati dalla Costituzione, in particolare agli articoli 3, 22, 77 e
117, comma 1. 
    5.1. Orbene, la disamina dell'ammissibilita'  e  della  rilevanza
della questione di  legittimita'  costituzionale  dedotta  impone  la
soluzione di una questione interpretativa, che si ritiene preliminare
e dirimente: occorre cioe' stabilire quale sia l'efficacia  dell'art.
3-bis legge n. 91/1992 sul diritto di cittadinanza dei ricorrenti. In
altri termini, occorre stabilire se la nuova norma introdotta  -  con
efficacia retroattiva - dal decreto-legge n. 36/2025 incida (i) su un
diritto di cittadinanza iure sanguinis gia' acquisito  al  patrimonio
giuridico dei ricorrenti, ovvero se incida (ii) su una situazione  di
mera aspettativa al riconoscimento della cittadinanza italiana. 
    5.2. Invero, e' evidente  che  la  normativa  introdotta  con  il
decreto-legge n. 36/2025 comporti  una  limitazione  del  diritto  al
riconoscimento   della   cittadinanza   italiana    previsto    dalla
legislazione previgente: in questo  senso,  si  rileva  che  l'appena
richiamato art. 3-bis legge n. 91/1992  esordisce  con  l'espressione
«in deroga agli articoli ...»;  si  tratta,  pertanto,  di  normativa
speciale  che  deroga   agli   ordinari   criteri   in   materia   di
riconoscimento della cittadinanza italiana. 
    Ne' puo' essere  dubitato  che  tale  normativa  abbia  efficacia
(almeno in parte) retroattiva, nel senso che essa si applica a  tutte
le domande presentate successivamente alle 23,59 del 27  marzo  2025;
vale a dire, anche a persone gia' nate  che,  in  applicazione  della
normativa  previgente  (come  detto,   espressamente   derogata   dal
decreto-legge n. 36/2025) avrebbero pacificamente  avuto  diritto  al
riconoscimento della cittadinanza italiana. 
    Nella relazione illustrativa al decreto-legge n. 36/2025 si legge
che  il  novellato  art.  3-bis  legge  n.  91/1992  «stabilisce  una
preclusione all'acquisto automatico della  cittadinanza  per  i  nati
all'estero in possesso di cittadinanza di Stato estero», con le  sole
eccezioni previste alle lettere c)  e  d)  del  medesimo  art.  3-bis
(ascendente di primo o secondo grado  titolare  esclusivamente  della
cittadinanza italiana, ovvero residenza «qualificata» in Italia  pari
ad almeno due  anni  continuativi).  Secondo  la  medesima  relazione
illustrativa, dunque, «la disposizione non  introdurrebbe  un'ipotesi
di perdita della cittadinanza (ulteriore rispetto a  quelle  previste
dall'art. 13 della  legge  n.  91  del  1992)  bensi'  una  specifica
preclusione all'acquisto automatico della  cittadinanza  (ex  tunc  e
dunque operante anche ai nati all'estero prima dell'entrata in vigore
della disposizione stessa) per discendenza, per adozione o per  altra
causa». 
    In tale contesto, come  detto,  occorre  dunque  valutare  se  la
deroga introdotta dal  decreto-legge  n.  36/2025  costituisca  negli
effetti  una  nuova  ipotesi  di  perdita  (rectius,  revoca)   della
cittadinanza, ovvero se introduca - come prospettato nella  relazione
illustrativa - un semplice «meccanismo processuale», in  quanto  tale
immediatamente applicabile alla stregua del  principio  tempus  regit
actum. In altri termini, e in buona  sostanza,  occorre  valutare  se
l'immediata applicabilita' della nuova disposizione normativa di  cui
all'art. 3-bis legge  n.  91/1992  sia  compatibile  con  i  principi
costituzionali e, in particolare, con i principi di ragionevolezza  e
di affidamento nella sicurezza giuridica piu' volte  affermati  dalla
giurisprudenza costituzionale (si tratta di principi ricavabili dagli
articoli 2 e 3  della  Costituzione,  che  sono  stati  ripetutamente
affermati  dalla  Corte  con  particolare   riguardo   alla   materia
previdenziale; cfr., ex multis, sentenza n. 69 del 2014 e sentenza n.
173 del 2016), nonche' con i principi costituzionali e internazionali
che impediscono che un individuo sia  arbitrariamente  privato  della
sua cittadinanza (art. 22 della Costituzione, art. 15, comma 2, della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 e
art. 3, comma 2, del Quarto protocollo addizionale alla CEDU). 
    6. A  tal  fine,  si  rende  necessario  un  breve  excursus  sui
requisiti per l'accertamento della cittadinanza italiana in favore di
soggetti nati all'estero nel regime previgente alla novella di cui al
decreto-legge n. 36/2025. 
    Sul  punto,  appare  utile  innanzi   tutto   richiamare   quanto
recentemente affermato dalle Sezioni unite della Corte di  Cassazione
che, nella sentenza n.  25318  del  24  agosto  2022  (relativa  alle
conseguenze  giuridiche  nell'ordinamento  italiano  della  normativa
brasiliana che introdusse, con decreto n.  58-A  del  1889,  la  c.d.
«grande naturalizzazione»)  ha  ripercorso  i  principi  fondamentali
posti dalla legge n. 91/1992  per  l'accertamento  del  diritto  alla
cittadinanza  italiana.  Si  riporta  di  seguito  testualmente,  per
ragioni  di  chiarezza  espositiva,  il  paragrafo  della  menzionata
sentenza delle Sezioni unite che ricostruisce i principi  attributivi
della cittadinanza italiana nel regime normativo vigente sino  al  27
marzo 2025: 
        «XIII.  Essenzialmente  la  cittadinanza  e'  una   qualita',
attribuita dalla legge, che indica l'appartenenza di  un  soggetto  a
uno Stato. 
        A essa corrisponde  un  patrimonio  variabile  di  diritti  e
doveri di matrice pubblica e costituzionale (uno status, come si suol
dire). 
        A questo riguardo l'ordinamento giuridico  italiano  mantiene
per  tradizione  un   approccio   conservatore,   senza   alterazioni
sostanziali rispetto al prevalente  criterio  di  acquisizione  della
cittadinanza iure sanguinis, praticamente  immutato  fin  dal  codice
civile del 1865 secondo un impianto ereditato prima  dalla  legge  n.
555 del 1912 e poi dalla attuale legge n. 91 del 1992. 
        L'acquisto fondamentale e' a titolo originario per nascita. 
        Fino al 1992 cio' equivaleva a dire che e' cittadino italiano
chi sia figlio di padre cittadino, oppure, quando il padre e'  ignoto
(o apolide), chi sia figlio di madre cittadina. 
        Una tale formula ha nella sostanza  caratterizzato  le  leggi
nazionali nell'arco del divenire storico che qui rileva: articoli 4 e
7 del codice civile del 1865, art. 1 della legge n. 555 del 1912. 
        Il quadro e' mutato con la legge n. 91 del  1992,  frutto  di
una sopravvenuta maturazione  costituzionale,  ma  semplicemente  nel
senso che e' cittadino per nascita - oggi - chi sia figlio di padre o
di  madre  cittadini,  ovvero  chi  sia  nato  nel  territorio  della
Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o  apolidi  (o  se  non
segua la  loro  cittadinanza  in  base  alla  legge  dello  Stato  di
appartenenza). 
        Guardando   alle   prime   manifestazioni   della    volonta'
legislativa esternata dalla legislazione  precostituzionale,  non  e'
dubitabile che il legislatore italiano si sia espresso in termini  di
sostanziale  continuita'  di  scopo  e  di  intenti;  ed  e'  infatti
comunemente accettata l'opinione che vede nella legge n. 555 del 1912
un semplice punto di perfezionamento della disciplina gia' insita nel
codice civile del 1865. 
        Puo' osservarsi che il peso della scelta ispirata  ai  legami
di sangue (per l'appunto iure sanguinis), rispetto ad altri indici di
legame tra la persona e il territorio (iure loci  o,  come  anche  si
dice, iure soli, piu' o meno  temperati  da  requisiti  e  condizioni
aggiunte), ha giustificato (e  tuttora  in  parte  giustifica,  nella
legge n. 91 del 1992) una decisa restrizione  delle  possibilita'  di
acquisto della cittadinanza di chi non vanti ascendenti italiani,  ma
anche - per la contraddizione che  non  consente  -  una  altrettanto
decisa  restrizione  delle  possibilita'  di  ravvisare   fattispecie
estintive della cittadinanza degli italiani all'estero. 
        E' un fatto assolutamente ovvio,  da  quest'ultimo  punto  di
vista, che l'istituto della perdita della cittadinanza italiana  puo'
dipendere solo dalla legislazione nazionale, secondo le previsioni in
questa pro tempore rinvenibili, non mai invece da  decisioni  attuate
in un ambito ordinamentale straniero. 
        Proprio da cio' e' originato il riconoscimento  dei  fenomeni
di  doppia  cittadinanza,  d'altronde  armonici  con  lo  sviluppo  e
l'evoluzione  del  diritto   internazionale.   Fenomeni   dei   quali
l'ordinamento attuale (con la citata legge  n.  91  del  1992)  tende
semmai a risolvere le ipotetiche conseguenti situazioni di conflitto. 
        Non puo' non  sottolinearsi  come  della  rilevanza  di  tali
fenomeni di doppia cittadinanza abbia  dato  atto  pure  (e  finanche
all'epoca) la tanto evocata sentenza della  Corte  di  cassazione  di
Napoli del 1907. 
        La  possibilita'   di   aversi   nel   tempo   «una   duplice
nazionalita'»  venne  gia'  allora   considerata   una   «conseguenza
inevitabile  (...)  del  concetto  della  sovranita',   che   include
necessariamente le note di autonomia ed indipendenza di  ciascuna  di
esse nel proprio territorio». 
        La risultante di un tale schema e' molto semplice. 
        La cittadinanza per fatto di nascita  si  acquista  a  titolo
originario. 
        Lo status  di  cittadino,  una  volta  acquisito,  ha  natura
permanente ed e' imprescrittibile. 
        Esso e' giustiziabile in ogni tempo  in  base  alla  semplice
prova  della  fattispecie  acquisitiva  integrata  dalla  nascita  da
cittadino italiano. 
        Donde la prova e' nella linea di trasmissione. 
        Resta salva solo l'estinzione per  effetto  di  rinuncia  (v.
gia' Cassazione Sezioni unite n. 4466-09). 
        Ne segue che, ove  la  cittadinanza  sia  rivendicata  da  un
discendente, null'altro - a legislazione invariata - spetta a lui  di
dimostrare salvo che questo: di  essere  appunto  discendente  di  un
cittadino italiano; mentre incombe alla  controparte,  che  ne  abbia
fatto eccezione, la prova dell'evento  interruttivo  della  linea  di
trasmissione» (cosi' testualmente Cassazione, Sezioni unite, sentenza
n. 25318 del 24 agosto 2022). 
    Ad analoghe conclusioni  era  gia'  pervenuta  in  precedenza  la
giurisprudenza  di  legittimita',  di  talche'  si  puo'  parlare  di
orientamento consolidato. Per completezza, si richiama - tra le molte
- quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sempre a Sezioni unite,
nella precedente pronuncia n. 4466 del 25 febbraio 2009,  ricognitiva
dei principi affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze  n.
87 del 1975 e n. 30 del 1983,  che  avevano  -  come  noto  -  esteso
l'acquisto della cittadinanza a titolo originario per  nascita  anche
ai figli di madre italiana: 
        «Per la normativa ordinaria, alla cittadinanza ha diritto  il
figlio di padre o madre cittadini o di genitori ignoti, se nasce  sul
territorio nazionale (legge 5 febbraio 1992,  n.  91,  art.  1),  con
riferimento ai concetti di ius sanguinis e ius soli; la  Costituzione
vieta che lo stato possa perdersi per motivi politici (art. 22  della
Costituzione)  e  la  legge  ordinaria  precisa  che  ad  esso   puo'
rinunciare solo chi ne e' titolare (legge n. 92 del 1991,  art.  11).
La struttura normativa dell'istituto evidenzia che ogni persona ha un
diritto soggettivo alla condizione personale costituita  dallo  stato
di cittadino e in tal senso sono pure le  convenzioni  internazionali
rilevanti in questa sede ai sensi dell'art.  117  della  Costituzione
(dall'art. 15 della Dichiarazione universale  dei  diritti  dell'uomo
del 1948 al Trattato di Lisbona approvato dal Parlamento  europeo  il
16 gennaio 2008). 
        La  legge  n.  92  del  1991  sulla  cittadinanza   riafferma
l'esistenza di tale diritto che puo' essere solo  riconosciuto  dalle
autorita' amministrative competenti (Ministero dell'interno: articoli
7 e 8), prevedendo eccezionalmente atti concessori di esso  da  parte
del Presidente della Repubblica, con  una  discrezionalita'  politica
limitata, in rapporto alle circostanze speciali indicate dalla legge,
per le quali la cittadinanza viene concessa (art.  9).  Lo  stato  di
cittadino e' permanente ed ha effetti perduranti  nel  tempo  che  si
manifestano nell'esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si  e'
rilevato, puo' perdersi solo per rinuncia,  cosi'  come  anche  nella
legislazione previgente (legge n. 555 del 1912, art. 8, n. 2). 
        Per  la  Convenzione  sull'eliminazione  di  ogni  forma   di
discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il  18
dicembre 1979 e ratificata in Italia dalla legge 14  marzo  1985,  n.
132, richiamata in ricorso, alle donne  spettano  "diritti  uguali  a
quelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione
della cittadinanza". Nella legge del 1912,  come  interpretata  dalla
Corte costituzionale nelle due richiamate sentenze,  il  rapporto  di
coniugio  della  donna  "maritata"  con   straniero   e   quello   di
"filiazione" solo da padre cittadino comportavano rispettivamente  la
perdita o l'acquisto della cittadinanza, non spettante al  figlio  di
donna che l'aveva perduta per matrimonio. 
        Nessun riferimento esclusivo  alla  nascita  e  al  mero  ius
sanguinis  giustificava  o  giustifica  l'acquisto  dello  stato   di
cittadino, che sorge dalla filiazione, oggi anche  adottiva,  essendo
dubitabile e superato il collegamento al mero fatto del nascere da un
soggetto con una specifica cittadinanza dell'acquisto di questa,  con
una visione che pericolosamente si accosta al  concetto  di  "razza",
incompatibile con la civilta' prima ancora che  con  l'art.  3  della
Costituzione. La cittadinanza,  come  esattamente  si  afferma  dalla
migliore dottrina, assume il suo senso e significato non  solo  nella
disciplina dei rapporti verticali del suo titolare con lo  Stato  che
esercita poteri sovrani  nei  suoi  confronti,  ma  anche  in  quelli
orizzontali  con  gli  altri  appartenenti  alla  societa'  cui  egli
partecipa  con  lui  titolari  del  medesimo  stato  (art.  4   della
Costituzione). Attraverso il rapporto di filiazione che  collega  una
persona alla formazione sociale intermedia costituita dalla  famiglia
"societa' naturale" (articoli 2 e 29 della Costituzione), la  persona
entra  in  rapporto  con  l'intera   societa'   e   ha   diritto   al
riconoscimento dello stato  di  cittadino  e  dei  diritti  e  doveri
conseguenti. 
        Percio' correttamente si afferma che lo stato  di  cittadino,
effetto della condizione di  figlio,  come  questa,  costituisce  una
qualita'  essenziale  della  persona,  con  caratteri  d'assolutezza,
originarieta',  indisponibilita'  ed  imprescrittibilita',   che   lo
rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non  definibile  come
esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o  riconosciuto  da
sentenza passata in giudicato. 
        Tale ricostruzione del concetto di cittadinanza emerge  dalle
stesse sentenze sulla legge precostituzionale che la  regolava  della
Corte costituzionale, che ritengono la perdita e il mancato  acquisto
dello stato  imposte  dalla  normativa  illegittima,  effetto  di  un
matrimonio, sempre che questo  permanga  efficace  e  non  sia  stato
sciolto, e dell'essere figlio di madre che  la  perdita  dello  stato
abbia subito contro la sua volonta', senza rinunciarvi.  ...»  (cosi'
testualmente Cass., Sezioni unite n. 4466 del 25 febbraio 2009). 
    In  applicazione  del  c.d.  «diritto  vivente»,   dunque,   deve
concludersi che - nel regime previgente al decreto-legge n. 36/2025 -
i  soggetti  nati  all'estero  che  potevano  dimostrare  la  propria
discendenza ininterrotta da un cittadino italiano  fossero  per  cio'
solo cittadini italiani, essendo la qualita' di «cittadino  italiano»
una «qualita' essenziale della persona, con caratteri  d'assolutezza,
originarieta',  indisponibilita'   ed   imprescrittibilita'»   (cosi'
Cassazione Sezioni unite n. 4466/2009, cit.). 
    7.  Ad  avviso   di   questo   Tribunale,   dunque,   il   dubbio
interpretativo sollevato retro al paragrafo 5.1 va risolto nel  senso
che - nel regime previgente al decreto-legge  n.  36/2025  -  i  nati
all'estero da avo italiano erano ab origine  cittadini  italiani.  La
circostanza che essi avessero, o  meno,  agito  in  giudizio  per  il
riconoscimento «formale» del  loro  status  di  cittadini  costituiva
invero una semplice circostanza di fatto,  irrilevante  ai  fini  del
riconoscimento del diritto. Non poteva  cioe'  parlarsi  di  rapporto
giuridico «a formazione progressiva», ma  di  un  diritto  soggettivo
perfetto che sorgeva con la nascita della persona. 
    L'ipotesi interpretativa contraria, alla stregua della  quale  lo
status di cittadino non sarebbe ancora «completo», necessitando di un
suo formale riconoscimento giudiziale, contrasta  con  l'impostazione
ermeneutica   tradizionalmente    adottata    dalla    giurisprudenza
costituzionale  e  di  legittimita'  piu'  sopra   richiamata.   Essa
contrasta,  in  particolare,  con  la  natura  dichiarativa  (e   non
costitutiva) che  viene  pacificamente  accordata  alle  sentenze  di
accertamento della cittadinanza iure sanguinis; cio' a  dimostrazione
del  fatto  che  l'intervento  giudiziale  (o   amministrativo)   non
comportava la costituzione di alcun diritto alla cittadinanza in capo
ai discendenti di un avo italiano, ma il semplice  riconoscimento  di
un diritto gia' da essi acquisito. Diversamente opinando, infatti, si
verterebbe  in  un'ipotesi  di  acquisto  della   cittadinanza   «per
naturalizzazione»  (come  avviene  per  le  persone   straniere   che
risiedano in Italia per un dato periodo temporale, al ricorrere delle
circostanze  normativamente  previste)  e  non  di   acquisto   della
cittadinanza «per nascita», come indubitabilmente era  nel  caso  dei
cittadini iure sanguinis nel regime previgente  al  decreto-legge  n.
36/2025. 
    7.1. Rileggendo l'art. 1 decreto-legge n. 36/2025  alla  luce  di
tali principi, si impongono ancora le seguenti considerazioni. 
    La nuova norma comporta, nella sostanza,  una  limitazione  dello
status di cittadino, gia' acquisito a titolo originario dai  soggetti
nati all'estero con avo italiano. 
    Come piu'  volte  rimarcato,  il  «diritto  vivente»  (da  ultimo
oggetto dell'interpretazione nomofilattica della Corte di  Cassazione
a Sezioni unite nella richiamata sentenza  n.  25318/22)  attribuisce
rilevanza - ai fini del  riconoscimento  dello  status  di  cittadino
italiano - alla sola circostanza di essere discendente diretto di  un
avo italiano (sempre che la linea di trasmissione della  cittadinanza
non sia interrotta da un volontario atto di  revoca;  circostanza  da
escludersi nel caso oggi in discussione),  senza  che  assuma  alcuna
rilevanza la circostanza che gli ascendenti del ricorrente abbiano, o
meno, esercitato il loro diritto al  riconoscimento  «formale»  della
cittadinanza. In altri termini, lo status di cittadino e'  parte  del
patrimonio giuridico della persona, e viene acquisito alla nascita  a
titolo  originario:  tale  diritto,  imprescrittibile,  puo'   essere
oggetto di  accertamento  giudiziale  in  qualsiasi  momento,  ma  il
mancato accertamento giudiziale del diritto soggettivo non fa  venire
meno l'esistenza del diritto (in questo  senso,  si  richiama  quanto
affermato dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  nella  sentenza  a
Sezioni unite n. 29459 del 13 novembre 2019: in quel caso la  Suprema
Corte,  chiamata  a  pronunciarsi  sull'applicabilita'  delle   norme
restrittive in materia  di  protezione  umanitaria  introdotte  dalla
novella del 2020, ne aveva escluso l'applicazione retroattiva - cioe'
alle  domande  presentate  precedentemente   all'introduzione   della
menzionata  novella  -  osservando   che   «il   principio   generale
d'irretroattivita', che non gode di  copertura  costituzionale  nella
materia in questione, ... e' pur  sempre  stabilito,  salvo  deroghe,
dall'art. 11 delle preleggi. Esso, di la' da distinzioni, di  rilievo
eminentemente descrittivo, tra  retroattivita'  in  senso  proprio  e
retroattivita' in senso improprio,  e'  volto  a  tutelare  non  gia'
fatti,  bensi'  diritti:  quel  che  il  divieto  di   retroattivita'
garantisce e' il divieto di modificazione della  rilevanza  giuridica
dei fatti che gia' si siano compiutamente  verificati  (nel  caso  di
fattispecie istantanea) o di una fattispecie  non  ancora  esauritasi
(nel  caso  di  fattispecie   durevole   non   completata   all'epoca
dell'abrogazione»). 
    Una volta chiarito che, nel caso di  specie,  i  ricorrenti  sono
nati cittadini italiani, deve  conseguentemente  concludersi  che  la
normativa di cui  al  decreto-legge  n.  36/2025  introduce  -  nella
sostanza - una fattispecie di «revoca implicita» della  cittadinanza.
E, inoltre, si tratta di una ipotesi di «revoca  retroattiva»,  nella
misura in cui le nuove norme si applicano a  tutti  i  casi  che  non
siano pendenti alle  23,59  del  27  marzo  2025  (giorno  precedente
all'entrata in vigore del decreto-legge n. 36/2025). 
    Cio' posto, si deve rilevare la  sussistenza  di  seri  dubbi  in
ordine alla compatibilita' del menzionato art. 3-bis  della  legge  5
febbraio  1992  n.  91,  introdotto  dall'art.  1,   comma   1,   del
decreto-legge 28 marzo 2025,  n.  36,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 23 maggio 2025, n. 74,  coi  parametri  desumibili  dagli
articoli 2, 3, 22 e 117, comma 1, della Costituzione. 
I. - Sulla violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione 
    Innanzitutto, deve essere contestata la violazione degli articoli
2 e 3 della Costituzione (violazione del principio d'eguaglianza). 
    In  questa  prospettiva,  rileva  l'assoluta  arbitrarieta'   del
trattamento tra coloro che avevano presentato una domanda  giudiziale
prima del 28 marzo 2025 e coloro che la hanno presentata dopo,  senza
che la diversita' nella normativa applicabile  sia  in  qualche  modo
legata ad alcun ulteriore elemento oggettivo rilevante. 
    A tal proposito, la  giurisprudenza  costituzionale  ha  ricavato
dagli articoli 2 e 3 della Costituzione l'esistenza  di  un  generale
principio di ragionevolezza delle norme,  che  devono  rispettare  un
altrettanto  generale  principio  di  «affidamento  nella   sicurezza
giuridica». Tali principi sono stati per lo piu' affermati in materia
previdenziale,  dove  piu'  spesso  si  sono  registrati   interventi
normativi che - per far fronte a contingenti esigenze di  bilancio  -
hanno tentato di incidere su rapporti pensionistici gia' in corso  di
erogazione.  Da  qui  la  definizione  dottrinale  secondo   cui   il
legislatore ordinario, in materia pensionistica, si trovi  di  fronte
al limite costituzionale invalicabile dei cc.dd. «diritti quesiti». 
    Si ritiene  tuttavia  che  il  principio  di  «affidamento  nella
sicurezza giuridica» e la tutela dei «diritti  quesiti»  abbiano  una
portata piu' ampia, non limitabile alla sola materia previdenziale. 
    L'affidamento nella sicurezza giuridica  costituisce  infatti  un
principio immanente nell'ordinamento costituzionale,  alla  base  del
«patto sociale»  su  cui  si  fonda  l'ordinamento  repubblicano.  Un
legislatore ordinario svincolato dal rispetto dei «diritti  quesiti»,
infatti, potrebbe aggredire non solo consolidati diritti  in  materia
pensionistica  o  di  cittadinanza,  ma   qualsiasi   altro   diritto
costituzionalmente tutelato (quali, a mero  diritto  di  esempio,  il
diritto di proprieta' o il diritto al risparmio). 
    Tra le numerose pronunce della  Corte  costituzionale  che  hanno
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una normativa ordinaria
che incideva retroattivamente su diritti gia' acquisiti al patrimonio
giuridico della persona (in questo senso, cfr.  Corte  costituzionale
n. 169 del 2022) si  richiama  il  passaggio  argomentativo  centrale
della sentenza n. 69 del 2014, laddove si legge testualmente: 
        «A  tal  riguardo,   questa   Corte   ha   ulteriormente,   e
reiteratamente, precisato come l'efficacia  retroattiva  della  legge
trovi, in particolare, un limite nel "principio dell'affidamento  dei
consociati nella certezza  dell'ordinamento  giuridico",  il  mancato
rispetto del quale si risolve  in  irragionevolezza  e  comporta,  di
conseguenza, l'illegittimita' della norma  retroattiva  (sentenze  n.
170 e n. 103 del 2013, n. 271 e n. 71 del 2011, n. 236 e n.  206  del
2009, per tutte). 
        E, in linea con tale indirizzo, ha anche sottolineato come il
principio  dell'affidamento  trovi  applicazione  anche  in   materia
processuale e risulti violato a fronte di soluzioni interpretative, o
comunque retroattive, adottate  dal  legislatore  rispetto  a  quelle
affermatesi nella prassi (sentenze n. 525  del  2000  e  n.  111  del
1998). 
        Con ancor piu' puntuale riguardo a  disposizioni  processuali
sui termini dell'azione, questa Corte ha  poi  comunque  escluso  che
l'istituto della decadenza  tolleri,  per  sua  natura,  applicazioni
retroattive, "non potendo logicamente  configurarsi  una  ipotesi  di
estinzione del diritto [...]  per  mancato  esercizio  da  parte  del
titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il
quale il diritto [...] debba essere esercitato" (sentenza n. 191  del
2005)» (cosi' testualmente Corte Costituzionale, sentenza n.  69  del
2014). 
    Ad avviso del giudice rimettente, tali  principi  devono  trovare
applicazione nel caso di  specie,  dovendosi  tenere  a  mente  -  in
particolare - del «grado di consolidamento»  particolarmente  elevato
della giurisprudenza in materia di cittadinanza iure  sanguinis,  che
consta di  un  innumerevole  di  numero  di  pronunce  che  (in  casi
sovrapponibili a quello di specie) avevano pacificamente riconosciuto
il diritto alla cittadinanza. Sul punto,  si  rimanda  alla  sentenza
della Corte costituzionale n. 70 del 2024, nella parte in cui afferma
che «va considerato  il  grado  di  consolidamento  della  situazione
soggettiva    originariamente    riconosciuta    e    poi    travolta
dall'intervento retroattivo (sentenze n. 89  del  2018,  n.  250  del
2017, n. 108 del 2016, n. 216 e n. 56 del 2015)». 
    Un   ulteriore   argomento   nel   senso   dell'arbitrarieta'   e
dell'irragionevolezza del meccanismo introdotto dal decreto-legge  n.
36/2025 (id est, revoca implicita della  cittadinanza  con  efficacia
retroattiva e senza alcuna previsione di diritto intertemporale) puo'
essere tratto dall'esperienza comparata di sistemi giuridici affini. 
    Particolarmente  significativo  e'   il   caso   dell'ordinamento
tedesco.  La  disciplina   legislativa   federale   in   materia   di
cittadinanza  e'   contenuta   principalmente   nella   legge   sulla
cittadinanza (Staatsangehörigkeitsgesetz - StAG) del 22  luglio  1913
che, nel corso degli anni, ha subito varie riforme. Ai fini  che  qui
interessano, occorre prendere in considerazione  la  riforma  che  e'
stata attuata con legge del 15 luglio 1999, entrata in vigore  il  1°
gennaio 2000,  che  ha  introdotto  quale  ulteriore  condizione  per
l'acquisizione della cittadinanza tedesca il principio del  luogo  di
nascita (ius soli o Geburtsortsprinzip), in aggiunta al principio  di
filiazione  (ius   sanguinis   o   Abstammungsprinzip).   In   questa
prospettiva, l'art. 4(4) StAG stabilisce che «la cittadinanza tedesca
non viene acquisita secondo il comma 1 alla nascita all'estero, se il
genitore tedesco e' nato  all'estero  dopo  il  31  dicembre  1999  e
risiede abitualmente li', a meno che il bambino non risulti  apolide.
...». 
    Cio' significa che il legislatore  tedesco  del  1999  ha  voluto
rendere applicabile  la  nuova  (e  piu'  restrittiva)  normativa  in
materia di cittadinanza soltanto ai nati dopo  il  1°  gennaio  2000,
senza cioe' prevedere alcuna applicazione retroattiva (e  in  peius).
Tale esperienza comparatistica costituisce - ad  avviso  del  giudice
rimettente - una dimostrazione ulteriore dell'insostenibilita'  della
scelta normativa del decreto-legge  n.  36/2025,  che  disapplica  la
normativa in materia di  acquisto  della  cittadinanza  italiana  per
nascita in vigore sin dal 1912  con  decreto-legge  avente  efficacia
immediata ed effetto retroattivo. 
II. - Sulla violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione. 
    L'irragionevolezza di una normativa  che  limita  il  diritto  di
cittadinanza gia' acquisito al patrimonio  giuridico  del  cittadino,
senza  che  egli  vi  abbia  rinunciato  o  abbia  commesso  un  atto
«colpevole» in contrasto con il suo status (come nei casi di cui agli
articoli 10-bis e 12 legge n. 91/1992),  contrasta  non  solo  con  i
menzionati principi di ragionevolezza e affidamento ricavabili  dagli
articoli 2  e  3  della  Costituzione,  ma  anche  con  gli  obblighi
internazionali assunti dall'Italia ai sensi dell'art. 117,  comma  1,
della Costituzione. 
    Sulla   giustiziabilita'    della    violazione    del    diritto
internazionale  pattizio  dinanzi  alla  Corte   costituzionale,   si
richiama quel consolidato orientamento giurisprudenziale che trova la
sua sintesi nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007. Secondo il  giudice
delle leggi, «in occasione di  ogni  questione  nascente  da  pretesi
contrasti tra norme interposte e norme legislative  interne,  occorre
verificare congiuntamente la conformita' a Costituzione di entrambe e
precisamente  la  compatibilita'  della  norma  interposta   con   la
Costituzione e la legittimita' della norma  censurata  rispetto  alla
stessa  norma  interposta».  In  particolare,  con  riferimento  alla
necessita'   di   sollevare   un   incidente   di   costituzionalita'
ogniqualvolta la norma interna si ponga in insanabile  contrasto  con
la norma pattizia, la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che  «al
giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo  conforme
alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali  cio'  sia
permesso dai testi delle  norme.  Qualora  cio'  non  sia  possibile,
ovvero  dubiti  della  compatibilita'  della  norma  interna  con  la
disposizione convenzionale «interposta», egli deve  investire  questa
Corte  della  relativa  questione  di   legittimita'   costituzionale
rispetto al  parametro  dell'art.  117,  primo  comma»  (cosi'  Corte
costituzionale n. 349 del 2007). 
    Con specifico riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 1,
della Costituzione  in  relazione  a  norme  di  diritto  dell'Unione
europea - in quanto tali giustiziabili anche mediante la proposizione
di un rinvio pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia  ex  art.  267
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea -  si  rileva  che  la
giurisprudenza costituzionale italiana si e'  ormai  consolidata  nel
senso  della   c.d.   alternativita'   dei   rimedi.   Si   richiama,
sull'argomento, la recente sentenza della Corte costituzionale  n.  7
del 2025, che ha cosi'  efficacemente  ricostruito  i  termini  della
questione: 
        «La Sezione rimettente si e'  dunque  trovata  di  fronte  al
bivio se decidere  direttamente  sulla  contrarieta'  dell'art.  2641
del codice  civile   all'art.   49,   paragrafo   3,   CDFUE   -   e,
conseguentemente, confermare o annullare la statuizione  della  Corte
d'appello in proposito -, previo eventuale rinvio pregiudiziale  alla
Corte di giustizia (come suggerito dallo stesso procuratore  generale
ricorrente); ovvero se investire questa Corte della valutazione sulla
legittimita' costituzionale del medesimo art. 2641 del codice civile,
alla stregua tanto dei parametri nazionali  sui  quali  si  fonda  il
principio di proporzionalita' della pena, quanto  dello  stesso  art.
49, paragrafo 3, CDFUE (oltre che dell'art. 17 CDFUE,  che  tutela  a
livello unionale il diritto di  proprieta'),  per  il  tramite  degli
articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione. 
        2.2.2. - La decisione della Sezione rimettente  di  procedere
in questo secondo senso e' conforme ai principi  ormai  ripetutamente
enunciati  dalla  giurisprudenza  costituzionale  (a  partire   dalla
sentenza n. 269 del 2017, punto 5.2. del Considerato in diritto)  per
l'ipotesi in cui il giudice rilevi una incompatibilita' tra una legge
nazionale e una  norma  di  diritto  dell'Unione  dotata  di  effetto
diretto. 
        Ove la questione abbia altresi'  «un  "tono  costituzionale",
per il nesso con interessi  o  principi  di  rilievo  costituzionale»
(sentenza n. 181 del 2024, punto 6.3. del Considerato in diritto), il
giudice  italiano  ha  sempre  -   accanto   alla   possibilita'   di
disapplicare, nel caso concreto, la legge nazionale, previo eventuale
rinvio pregiudiziale alla  Corte  di  giustizia  in  caso  di  dubbio
sull'interpretazione  o  sulla  validita'   della   norma   rilevante
dell'Unione - l'ulteriore possibilita' di sollecitare l'intervento di
questa  Corte,  affinche'  rimuova  la   legge   nazionale   ritenuta
incompatibile  con  il  diritto  dell'Unione  (nello  stesso   senso,
recentemente, sentenza n. 1 del 2025, punto 3.1. del  Considerato  in
diritto). 
        Le due possibilita' - configuranti  un  "concorso  di  rimedi
giurisdizionali [che] arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti
fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione»  (sentenza
n. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato in diritto) -  si  fondano
entrambe sul principio del primato del diritto  dell'Unione,  la  cui
tutela puo'  essere  assicurata,  in  modo  "sempre  piu'  integrato"
(sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato  in  diritto),
sia da ciascun giudice attraverso il  rimedio  della  disapplicazione
della legge nazionale incompatibile nel caso concreto, sia da  questa
Corte  attraverso   la   dichiarazione   della   sua   illegittimita'
costituzionale per contrasto con la norma unionale. 
        Quest'ultimo rimedio, come gia' sottolineato  nella  sentenza
n. 20 del 2019, ha - anzi - particolare rilievo proprio nella materia
della tutela dei diritti fondamentali,  dove  e'  essenziale  che  le
corti costituzionali e supreme nazionali possano "contribuire, per la
propria parte, a rendere effettiva la possibilita',  di  cui  ragiona
l'art.  6  del  Trattato  sull'Unione  europea  (TUE)  [...]  che   i
corrispondenti diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo,  e
in particolare dalla CDFUE, siano  interpretati  in  armonia  con  le
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate  anche
dall'art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come  fonti  rilevanti"
(punto 2.3. del Considerato in diritto). 
        Al giudice comune spetta, dunque, il compito  di  individuare
il rimedio di volta in volta piu' appropriato». 
    II-1.  Tanto  premesso,  si  rileva  innanzitutto  la  violazione
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione agli articoli
9  del  Trattato  sull'Unione  europea  e   20   del   Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea, che  istituiscono  e  regolano  la
cittadinanza  europea  come  status  che  si  aggiunge  a  quello  di
cittadino di uno Stato membro. 
    Tale censura e'  ammissibile  in  ragione  del  riflesso  che  la
cittadinanza italiana produce circa la titolarita' della cittadinanza
europea. Essa e' altresi'  rilevante,  in  quanto  la  situazione  di
perdita della cittadinanza italiana introdotta dal  decreto-legge  n.
36/2025 indubitabilmente incide su norme di diritto  dell'Unione  che
hanno  efficacia  diretta  nel  nostro  ordinamento,  non   potendosi
altrimenti  qualificare  le  norme  dei  Trattati  istitutive   della
cittadinanza europea («E' cittadino  dell'Unione  chiunque  abbia  la
cittadinanza di uno Stato membro», art.  9  TUE;  «E'  istituita  una
cittadinanza dell'Unione. E' cittadino dell'Unione chiunque abbia  la
cittadinanza  di  uno  Stato  membro»,  art.  20  del  Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea). 
    Si osserva in proposito che la CGUE, nella sentenza  5  settembre
2023, C-689/21, causa X c. Udlændinge -  og  Integrationsministeriet,
e' stata chiamata a pronunciarsi su una normativa danese che,  per  i
cittadini danesi nati all'estero, prescriveva la  perdita  ipso  iure
della cittadinanza al  compimento  dei  ventidue  anni,  qualora  non
sussistesse un legame effettivo con la Danimarca; in  quel  caso,  la
Corte ha testualmente  affermato  che  «la  situazione  di  cittadini
dell'Unione che [...] possiedono la cittadinanza  di  un  solo  Stato
membro e che, con la perdita di tale cittadinanza, si ritrovano senza
lo status conferito  dall'art.  20  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea e i diritti a  esso  correlati  ricade,  per  sua
natura e per le conseguenze che  produce,  nella  sfera  del  diritto
dell'Unione.  Pertanto,  nell'esercizio  della  loro  competenza   in
materia di  cittadinanza,  gli  Stati  membri  devono  rispettare  il
diritto   dell'Unione   e,   in   particolare,   il   principio    di
proporzionalita' [sentenze del  2  marzo  2010,  Rottmann,  C-135/08,
EU:C:2010:104, punti 42 e 45;  del  12  marzo  2019,  Tjebbes  e  a.,
C-221/17, EU:C:2019:189, punto  32,  nonche'  del  18  gennaio  2022,
Wiener Landesregierung (Revoca di una garanzia di  naturalizzazione),
C-118/20, EU:C:2022:34, punto 51]». 
    In  particolare,  la  Corte  di  giustizia  ha  avuto   modo   di
sottolineare che «la perdita ipso  iure  della  cittadinanza  di  uno
Stato   membro   sarebbe   incompatibile   con   il   principio    di
proporzionalita' se le norme nazionali pertinenti non  consentissero,
in nessun momento, un esame individuale delle conseguenze determinate
da tale perdita, per gli interessati, sotto il  profilo  del  diritto
dell'Unione».  Con  la  citata  sentenza,  in  conformita'  alla  sua
giurisprudenza anteriore (cfr.  sentenza  12  marzo  2019,  C-221/17,
Tjebbes, punto 41, nonche', piu' di recente, sentenza 25 aprile 2024,
C-684/22, S.O. c. Stadt Duisburg, punto 43),  la  Corte  ha  altresi'
chiaramente stabilito che lo Stato deve garantire la possibilita'  di
presentare una richiesta di conservazione o recupero  ex  tunc  della
cittadinanza  entro  termini  ragionevoli,  che  possono  iniziare  a
decorrere  solo  dopo  che  ogni  individuo  -  destinatario  di  una
possibile   decadenza   -   sia   stato   specificamente    avvertito
dell'imminenza di  tale  evento,  concedendogli  la  possibilita'  di
formulare  una  richiesta  diretta   ad   impedire   il   verificarsi
dell'evento estintivo (CGUE, sentenza  5  settembre  2023,  C-689/21,
punti 50-52). 
    Per le ragioni gia' ampiamente esposte, deve  dunque  concludersi
che la normativa italiana introdotta  dal  decreto-legge  n.  36/2025
viola le norme dei Trattati istitutive  della  cittadinanza  europea,
comportando - di fatto - la perdita della  cittadinanza  italiana  in
danno di soggetti che (al di la' del dato meramente  formale  di  non
avere ancora avviato un procedimento giurisdizionale o amministrativo
di  riconoscimento  del  loro   diritto)   erano   pacificamente   da
considerarsi cittadini italiani per  nascita,  senza  che  sia  stato
previsto alcun meccanicismo di diritto intertemporale che consentisse
loro la conservazione della cittadinanza  entro  termini  ragionevoli
(ad esempio, prevedendo una «finestra temporale» entro la quale poter
presentare una domanda amministrativa o giudiziale di  riconoscimento
della cittadinanza). 
    II-2. Si ravvisa inoltre una violazione dell'art. 117,  comma  1,
della  Costituzione  in  relazione  all'art.  15,  comma   2,   della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre  1948,
ai sensi del quale «nessun individuo  potra'  essere  arbitrariamente
privato  della  sua  cittadinanza,  ne'   del   diritto   di   mutare
cittadinanza»: nella specie, si deduce  appunto  l'arbitrarieta'  dei
criteri di  «revoca  implicita»  introdotti  dall'art.  1,  comma  1,
lettera a) e b), decreto-legge n. 36/2025, nella parte in  cui  fanno
retroagire la «revoca» (id est, l'impossibilita'  di  far  valere  in
giudizio  il  proprio  diritto  originario  al  riconoscimento  della
cittadinanza italiana) alle ore 23,59 del giorno precedente l'entrata
in vigore del medesimo decreto-legge. 
    Sul punto, si segnala la differenza  sostanziale  che  intercorre
tra l'art. 15, comma 2, della Dichiarazione  universale  dei  diritti
dell'uomo e l'art. 22 della  Costituzione:  la  norma  internazionale
adopera infatti l'avverbio «arbitrariamente», la  cui  estensione  e'
lessicalmente e strutturalmente piu' ampia rispetto  all'inciso  «per
motivi  politici»  fatto  proprio  dalla   normativa   costituzionale
italiana.  Se  per  «motivi  politici»   devono   intendersi   motivi
«essenzialmente politici»  (si  pensi  al  caso  della  revoca  della
cittadinanza in danno di una minoranza etnica o degli appartenenti  a
un dato  movimento  politico,  filosofico,  religioso  o  culturale),
l'avverbio «arbitrariamente» contempla invece  qualsiasi  ipotesi  di
privazione di cittadinanza che - al  di  la'  delle  sue  motivazioni
«politiche» o «comuni» -  risulti  essere  ingiusta,  ingiustificata,
irragionevole; vale a dire, arbitraria. 
    Nel caso dell'art. 3-bis cit., per tutte le ragioni  diffusamente
esposte retro al paragrafo I, deve dunque ritenersi  che  la  perdita
indiscriminata e retroattiva della cittadina attuata nei confronti di
tutti i cittadini italiani nati all'estero, in ragione del solo fatto
di non avere manifestato (per via  amministrativa  o  giudiziale)  la
propria volonta' di avvalersi del  proprio  diritto  di  cittadinanza
(giova rimarcarlo ancora, ad essi attribuito fin dalla  nascita  iure
sanguinis e in un momento storico in cui l'affidamento sul  perdurare
dell'assetto normativo e giurisprudenziale consolidato in materia  di
cittadinanza  era  massimo)  costituisca  un'ipotesi  di   privazione
arbitraria  della  cittadinanza,  con  conseguente   violazione   del
precetto dell'art. 15, comma 2, della  Dichiarazione  universale  dei
diritti dell'uomo, tutelato nel nostro  ordinamento  per  il  tramite
dell'art. 117, comma 1, della Costituzione  come  interpretato  dalla
giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenze n.
348 e n. 349 del 2007, cit.). 
    II-3. Infine, si ritiene che l'art. 3-bis della legge n.  91/1992
violi l'art. 117, comma 1,  della  Costituzione  anche  in  relazione
all'art.  3,  comma  2,  del  Quarto  protocollo   addizionale   alla
Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,  ai  sensi  del  quale
«nessuno puo' essere privato del diritto di  entrare  nel  territorio
dello Stato di cui e' cittadino»: nella specie, ci si  troverebbe  al
cospetto di soggetti titolari sin dalla  nascita  della  cittadinanza
italiana (cioe' di un  diritto  di  soggettivo),  che  si  vedrebbero
privati del loro diritto di entrare nel territorio  italiano  per  il
sol fatto di non avere chiesto (in via amministrativa  o  giudiziale)
il riconoscimento del proprio diritto entro le ore 23,59  del  giorno
precedente l'entrata in vigore del decreto-legge n. 36/2025. 
III - Conclusioni 
    Deve dunque concludersi che la normativa ordinaria introdotta dal
decreto-legge n. 36/2025  sia  costituzionalmente  illegittima  nella
misura in cui fa retroagire gli effetti limitativi  dello  status  di
cittadinanza ad un momento  anteriore  all'entrata  in  vigore  della
legge stessa. 
    In  altri  termini,  e'  costituzionalmente  illegittimo  che  il
legislatore ordinario stabilisca all'art. 3bis legge n. 91/1992 che -
«in deroga» alla normativa applicabile - «e'  considerato  non  avere
mai acquistato la cittadinanza italiana chi e' nato all'estero  anche
prima della data di entrata in vigore del presente articolo ed e'  in
possesso di altra cittadinanza», limitando alle successive lettere da
a) a d) il diritto all'accertamento della cittadinanza italiana  «per
nascita» al rispetto di determinate condizioni inserite ex  novo  dal
medesimo decreto-legge n. 36/2025. 
    Si dubita cioe' che sia costituzionalmente  legittimo  -  per  le
ragioni dette e secondo i parametri di cui agli articoli 2, 3 e  117,
comma 1, della Costituzione - far retroagire le  limitazioni  ad  uno
status di cittadino che e' gia' stato acquisito a  titolo  originario
dalla persona nata all'estero discendente di cittadino  italiano,  in
ossequio alla normativa in vigore sino al 27 marzo 2025. 
    La scelta legislativa introdotta dall'art. 3-bis legge n. 91/1992
e',  come  detto,  assimilabile  a  una  «revoca   implicita»;   tale
constatazione  avrebbe  (quantomeno)  imposto  la  previsione  di  un
ragionevole  termine  per  la  presentazione  di   una   domanda   di
riconoscimento della cittadinanza italiana (a mero titolo di esempio,
«entro un anno dall'entrata in vigore del  presente  decreto-legge»),
cosi' «agganciando»  la  perdita  della  cittadinanza  italiana  alla
mancata tempestiva  presentazione  della  domanda  (amministrativa  o
giudiziale) di riconoscimento della  medesima  cittadinanza.  L'avere
previsto una  limitazione  retroattiva  del  diritto  a  chiedere  il
riconoscimento della cittadinanza italiana, in capo a soggetti che in
applicazione   della   normativa   previgente   erano   pacificamente
considerati cittadini italiani a titolo originario dalla nascita (pur
se nati all'estero e in possesso di altra cittadinanza),  costituisce
dunque - ad avviso di questo Tribunale -  una  violazione  dei  sopra
richiamati principi di ragionevolezza e affidamento  nella  sicurezza
giuridica in violazione degli articoli 2, 3 e  117,  comma  1,  della
Costituzione. 
    La disposizione di cui all'art.  3-bis  della  legge  5  febbraio
1992, n. 91, introdotta dal  decreto-legge  28  marzo  2025,  n.  36,
presenta dunque profili di possibile incompatibilita' con i parametri
sopra richiamati nella parte in cui  stabilisce  al  comma  1,  primo
periodo,  l'applicabilita'  della  nuova  normativa  a  chi  e'  nato
all'estero «anche prima della data di entrata in vigore del  presente
articolo», nonche' con riferimento alle  condizioni  introdotte  alle
lettere a), a-bis) e b), in quanto in tal modo  introduce  un'ipotesi
di revoca automatica  e  con  effetto  immediato  della  cittadinanza
italiana per tutti quei soggetti nati all'estero  e  in  possesso  di
altra cittadinanza che non rispettino le  caratteristiche  soggettive
introdotte dal medesimo decreto-legge all'art. 1,  lettere  c)  e  d)
(sussistenza   del   c.d.   genuine   link).   In   altri    termini,
l'incostituzionalita' parziale dell'art. 3-bis cit. deriva dal  fatto
che sarebbe stato possibile prevedere  una  normativa  intertemporale
tale consentire alle persone interessate (cioe'  agli  italiani  nati
all'estero, in possesso di altra cittadinanza e privi di un  «genuine
link» con l'Italia) di essere debitamente informate  delle  modifiche
normative intervenute, onde  poter  presentare  -  entro  un  termine
ragionevole  -  la   domanda   (amministrativa   o   giudiziale)   di
riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis. 
    La dichiarazione di parziale incostituzionalita' dell'art.  3-bis
legge n. 91/1992 nei termini sopra prospettati consentirebbe  inoltre
di  conservare  l'effetto  utile  della  riforma  legislativa  -  che
persegue l'intento di dare concreta attuazione nel nostro ordinamento
al principio internazionale del «legame effettivo» (o «genuine link»,
ribadito da ultimo dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella
sentenza del 29 aprile 2025, causa C-181/23)  -  eliminando  le  sole
conseguenze pregiudizievoli derivanti  dall'applicazione  retroattiva
(cioe' a tutte le persone gia' nate) della nuova normativa. Attesa la
natura derogatoria dell'art. 3-bis legge  n.  91/1992,  infatti,  una
volta  eliminati   i   periodi   che   espressamente   ne   prevedono
l'applicazione  retroattiva,  resterebbe   un'unica   interpretazione
costituzionalmente orientata della  nuova  normativa  in  materia  di
cittadinanza:  quella  dell'applicabilita'   dell'art.   3-bis   cit.
soltanto alle persone nate successivamente all'entrata in vigore  del
decreto-legge  n.  36/2025,  valendo  -  in  assenza  di  un'espressa
previsione di retroattivita' - la regola generale di cui all'art.  11
delle preleggi, alla stregua della quale «la legge  non  dispone  che
per l'avvenire». 
    In questa prospettiva, la  dichiarazione  di  incostituzionalita'
parziale dell'art. 3-bis cit. potrebbe anche essere  accompagnata  da
un   intervento   di   tipo   manipolativo-additivo    della    Corte
costituzionale,  con  previsione  di   un   meccanismo   di   diritto
intertemporale che garantisca la possibilita'  (a  tutte  le  persone
gia' nate alla  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto-legge  n.
36/2025)  di  presentare  una   domanda   di   riconoscimento   della
cittadinanza entro termini ragionevoli, in applicazione dei  principi
affermati dalla Corte di giustizia UE  nella  menzionata  sentenza  5
settembre 2023, C-689/21. 
    Per  tutte  le  ragioni  che  precedono,  non  e'  manifestamente
infondata la questione di incostituzionalita'  all'art.  3-bis  della
legge 5 febbraio  1992,  n.  91  (Nuove  norme  sulla  cittadinanza),
introdotto dal decreto-legge  28  marzo  2025,  n.  36  (Disposizioni
urgenti in materia di cittadinanza), limitatamente alle parole «anche
prima della data di entrata in vigore del presente articolo»  e  alle
condizioni di  cui  lettere  a),  a-bis)  e  b),  in  riferimento  ai
parametri di cui agli articoli 2, 3 e 117 della  Costituzione,  avuto
riguardo  per  quest'ultimo  ai  principi  derivati  dall'ordinamento
internazionale  e,  in  particolare,   dall'art.   9   del   Trattato
sull'Unione Europea, dall'art.  20  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea,  dall'art.  15,  comma  2,  della  Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 e dell'art.  3,
comma 2, del Quarto protocollo addizionale alla  Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale
n. 1/1948 e 23 legge n. 87 del 1953, ritenuta la rilevanza e  la  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 3-bis - limitatamente alle parole «anche prima  della  data
di entrata  in  vigore  del  presente  articolo»  e  alle  condizioni
previste alle lettere a), a-bis) e b) - della legge 5 febbraio  1992,
n. 91, introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36,  convertito
con modificazioni dalla legge 23 maggio 2025, n. 74,  in  riferimento
agli articoli 2, 3 e 117, comma 1, della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione ai principi derivati dall'ordinamento internazionale  e,
in  particolare,  dall'art.  9  del  Trattato  sull'Unione   europea,
dall'art. 20 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,
dall'art. 15, comma 2, della  Dichiarazione  universale  dei  diritti
dell'uomo del 10 dicembre 1948 e dell'art. 3,  comma  2,  del  Quarto
protocollo  addizionale  alla   Convenzione   europea   dei   diritti
dell'uomo; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la
sospensione del giudizio; 
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti  e  al
Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti  del
Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. 
        Torino, il 25 giugno 2025 
 
                       Il giudice: Alessandria