Reg. ord. n. 165 del 2025 pubbl. su G.U. del 17/09/2025 n. 38

Ordinanza del Tribunale di Cassino  del 14/07/2025

Tra: D. D. L.

Oggetto:

Reati e pene – Cause di non punibilità – Particolare tenuità del fatto – Omessa previsione che l’offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per il delitto di estorsione non aggravata, consumato o tentato, previsto dall’art. 629, primo comma, cod. pen. – Irragionevole disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato di rapina non aggravata di cui all’art. 628, commi primo e secondo, cod. pen. – Violazione dei principi di proporzionalità, di personalità della responsabilità penale nonché della finalità rieducativa della pena.

Norme impugnate:

codice penale  del  Num.  Art. 131  Co. 3



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 27   Co.

Costituzione  Art. 27   Co.




Testo dell'ordinanza

                        N. 165 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 luglio 2025

Ordinanza  del  14  luglio  2025  del  Tribunale   di   Cassino   nel
procedimento penale a carico di D. D.L.. 
 
Reati e pene - Cause di non punibilita' -  Particolare  tenuita'  del
  fatto - Omessa previsione che l'offesa non possa essere ritenuta di
  particolare tenuita' quando si procede per il delitto, consumato  o
  tentato, previsto dall'art. 629, primo comma, cod. pen. 
- Codice penale, art. 131-bis, terzo comma, numero 3. 


(GU n. 38 del 17-09-2025)

 
                        TRIBUNALE DI CASSINO 
 
 
                           Sezione penale 
 
    Il giudice  monocratico  Marco  Gioia,  nel  procedimento  penale
indicato in intestazione a carico di D.  L.  D.,  difeso  di  fiducia
dagli avv. Gianluca Bellano e avv. Maddalena Lombardi, imputato,  «in
ordine al reato di cui agli articoli 81 del codice penale  56  e  629
del codice penale perche' con piu' azioni esecutive  di  un  medesimo
disegno criminoso con minacce consistite nel trasmettere  a  ...  due
lettere raccomandante con le  quali  richiedeva  il  pagamento  delle
spese relative alla consulenza tecnica  e  giuridica  effettuata  dal
prevenuto sul fucile da caccia tipo doppietta, marca Beretta, calibro
12, nonche' sul relativo  munizionamento  detenuti  dalla  p.o.,  con
particolare riferimento alla stima del valore di mercato dell'arma  e
alle modalita' di detenzione delle armi e delle  munizioni  stabilite
dalla normativa vigente, e altresi' nel prospettare alla p. o. che le
modalita' con le quali la stessa deteneva  i  predetti  compendi  non
erano regolari e che in caso di mancata  corresponsione  dell'importo
richiesto,  peraltro  non   quantificato   dal   prevenuto,   avrebbe
esercitato nei confronti della p. o. un'azione legale, nonostante  il
... detenesse regolarmente il fucile da caccia, non fosse in possesso
di  cartucce  e  non  avesse  mai  richiesto  alcuna  consulenza   al
prevenuto, poneva in  essere  atti  idonei  diretti  in  maniera  non
equivoca a costringere ... a corrispondergli le spese di  consulenza,
in modo da procurarsi un ingiusto profitto con pari danno per  la  p.
o., non riuscendo nell'intento per cause indipendenti  dalla  propria
volonta'. 
    In ... il ... e il ... »; 
    Parte civile: ... , difeso di fiducia dall'avv. Eleonora Raviele; 
    sentite le parti all'udienza dibattimentale del  7  luglio  2025,
nella pubblica udienza del 14 luglio 2025, alla presenza del pubblico
ministero e delle parti, adotta la seguente ordinanza con cui solleva
questione  di  legittimita'  costituzionale,  per  violazione   degli
articoli 3 e 27, comma 1 e 3 della Costituzione,  dell'art.  131-bis,
comma 3, n. 3, del codice penale, nella  parte  in  cui  prevede  che
l'offesa non possa essere ritenuta di  particolare  tenuita'  per  il
delitto, consumato o tentato, di cui all'art. 629, comma 1 del codice
penale e non limita, al pari di quanto avviene per il delitto di  cui
all'art.  628,  comma  3,  codice  penale,  l'esclusione  all'ipotesi
aggravata di cui all'art. 629, comma 2, codice penale. 
1. Sulla ammissibilita' della questione. 
    La presente questione di legittimita' costituzionale e' sollevata
del Tribunale di Cassino, in composizione monocratica, giudice  Marco
Gioia, nel corso del giudizio penale di primo grado pendente in  fase
dibattimentale nei confronti dell'imputato D. D. L. Ricorrono  quindi
i requisiti di ammissibilita' della questione indicati dall'art.  23,
legge n. 87 del 1953, poiche' la questione  e'  sollevata  d'ufficio,
dall'autorita' giudiziaria nel corso di un giudizio. 
2. Sulla rilevanza della questione. 
    Il processo in cui viene sollevata la  questione  ha  ad  oggetto
un'imputazione per estorsione tentata, in cui all'imputato D.  L.  e'
contestato di aver formulato, attraverso  due  lettere  inviate  alla
persona  offesa,  la  minaccia  di  un  male   ingiusto   consistente
nell'esercizio  di  un'azione  legale  per  ottenere   compensi   per
un'attivita' di consulenza mai prestata e una denuncia per fatti  non
veritieri (consistenti nella detenzione non denunciata di munizioni),
qualora la persona offesa non avesse aderito alla pretesa  creditoria
dell'imputato. 
    L'istruttoria ha visto i testi del  pubblico  ministero  (persona
offesa e suoi familiari) confermare la tesi  accusatoria,  sostenendo
che la minaccia di  azioni  legali  e  denunce  fosse  pretestuosa  e
costituisse una ritorsione per le controversie civili intercorse  tra
le parti, e l'imputato difendersi sostenendo la spettanza  di  quanto
richiesto nelle lettere indicate nell'imputazione. 
    Nella  discussione  la  difesa  dell'imputato  ha  richiesto,  in
subordine rispetto  alla  richiesta  di  assoluzione,  l'applicazione
della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto  di
cui all'art. 131-bis del codice penale. 
    2.1 Si ritiene quindi che  la  decisione  nel  presente  giudizio
principale coinvolga necessariamente l'applicazione  della  norma  di
cui all'art. 131-bis del codice  penale  che  si  assume  viziata  da
illegittimita' costituzionale. 
    La causa di non punibilita' in questione, infatti, se  non  fosse
per l'espressa esclusione di cui all'art. 131-bis, comma 3, n. 3  del
codice penale sarebbe applicabile ai fatti in contestazione. 
    Il delitto  di  estorsione  tentata  prevede  infatti  un  minimo
edittale inferiore  ai  due  anni  di  pena  detentiva  previsti  per
l'applicabilita' della causa di non punibilita' all'art. 131-bis  del
codice penale 
    Il fatto in contestazione ha prodotto un'offesa che  puo'  essere
valutata  come  particolarmente  tenue  rispetto  ai  beni  giuridici
tutelati e con modalita' di aggressione portatrice di un  altrettanto
tenue disvalore di  azione,  posto  che  la  minaccia  di  esercitare
un'azione legale non offende beni primari  della  persona  e  che  la
pretesa era comunque indeterminata sotto il profilo patrimoniale. 
    Il  comportamento  dell'autore  non   puo'   essere   considerato
abituale, posto che l'imputato e' incensurato, e la contestazione del
fatto come  reato  continuato  (si  tratterebbe  di  due  missive  di
contenuto asseritamente estorsivo mandate a breve distanza  di  tempo
l'una dall'altra) non impedirebbe l'applicazione della causa  di  non
punibilita' (si veda in questo senso, da ultimo, Cass pen.,Sez. U, n.
18891 del 27 gennaio 2022, ... Rv. 283064 - 01, ove  si  afferma  che
«La pluralita' di reati unificati nel vincolo della continuazione non
e'  di  per  se'  ostativa  alla  configurabilita'  della  causa   di
esclusione della punibilita' per particolare tenuita'  del  fatto  la
quale  puo'  essere  riconosciuta  dal  giudice  all'esito   di   una
valutazione complessiva della fattispecie concreta,  che -  salve  le
condizioni ostative tassativamente  previste  dall'art.  131-bis  del
codice penale per escludere la particolare tenuita' dell'offesa o per
qualificare il comportamento come abituale - tenga conto di una serie
di indicatori rappresenti,  in  particolare,  dalla  natura  e  dalla
gravita' degli illeciti in continuazione, dalla  tipologia  dei  beni
giuridici protetti dall'entita' delle disposizioni di legge  violate,
dalle finalita' e dalle modalita'  esecutive  delle  condotte,  dalle
loro motivazioni e  dalle  conseguenze  che  ne  sono  derivate,  dal
periodo di tempo e dal contesto  in  cui  le  diverse  violazioni  si
collocano, dall'intensita' del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai
comportamenti successivi ai fatti)». 
    Ricorrerebbero dunque tutti i  presupposti  per  la  applicazione
della causa di non punibilita' in questione, la cui  applicazione  e'
tuttavia impedita dalla previsione di cui all'art. 131-bis, comma  3,
n. 3 del codice penale. 
    Dunque, nell'ambito della  decisione  da  adottare  nel  giudizio
certamente  occorre  dare  applicazione  della  norma  oggetto  della
questione di legittimita'  costituzionale,  la  cui  applicazione  e'
stata  peraltro  espressamente  richiesta  dalla  difesa  nelle   sue
conclusioni. 
    Si tratta  di  una  necessita'  di  applicazione  attuale  e  non
meramente  ipotetica  e  l'eventuale  accoglimento  della   questione
sollevata,  incidendo  sull'applicabilita'   della   causa   di   non
punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice  penale  ai  fatti  in
contestazione, avrebbe un effetto immediato sull'esito  del  giudizio
principale. 
    Si ritiene quindi  che  la  questione  sia  rilevante  e  che  il
giudizio  non   possa   essere   definito   indipendentemente   dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata. 
3. Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    Il dubbio di costituzionalita' ha ad oggetto la previsione di cui
all'art. 131-bis, comma 3, n. 3 del codice penale nella parte in  cui
esclude l'applicazione della causa di non punibilita' per particolare
tenuita' del fatto al delitto, consumato o tentato, di estorsione  di
cui all'art. 629 del codice penale, e non  limiti  l'esclusione  alle
ipotesi di estorsione aggravata di cui  all'art.  629,  comma  2  del
codice penale. Cio' a differenza di quanto avviene  per  il  contiguo
delitto di rapina, per il quale e' esclusa l'applicabilita' dell'art.
131-bis del codice penale  per  le  sole  ipotesi  aggravate  di  cui
all'art. 628, comma 3 del codice penale. 
    Tale diversita' di trattamento, per le ragioni che si  esporranno
di qui a breve, appare irragionevole, stante le analogie di struttura
e disciplina tra  le  due  fattispecie,  e  ingiustificata  sotto  il
profilo politico-criminale, precludendo  l'individualizzazione  della
risposta ordinamentale  rispetto  a  fatti  particolarmente  tenui  e
risolvendosi  in  questo  modo  in  possibili  applicazioni  di  pene
ingiuste e irragionevoli, in quanto  tali  inidonee  a  tendere  alla
rieducazione delle persone cui sono applicate. 
    3.1 La causa di non  punibilita'  di  cui  all'art.  131-bis  del
codice penale per particolare tenuita' del fatto, introdotta  con  il
decreto legislativo n. 28 del 2015, e' stata  riformata  con  decreto
legislativo n. 150 del 2022 che,  da  una  parte,  ne  ha  esteso  la
portata applicativa ampliando i limiti edittali  stabiliti  al  primo
comma e, dall'altra, ha  compensato  tale  estensione  inserendo,  al
terzo  comma,  numerose  nuove  ipotesi  di  esclusione   della   sua
applicazione. 
    L'individuazione delle ipotesi  di  esclusione  dell'applicazione
della causa di non punibilita', secondo quanto  puo'  leggersi  nella
relazione illustrativa del Governo al decreto legislativo n. 150  del
2022, risponde ai due criteri indicati dalla legge delega: «Una prima
direttiva, specifica, mira a evitare che l'ampliamento dell'ambito di
applicazione  della  causa  di  non  punibilita'  interessi  i  reati
riconducibili  alla  Convenzione   del   Consiglio   d'Europa   sulla
prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e
la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011,  ratificata
ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77.  Una  seconda  direttiva,
generica, rimette poi al legislatore delegato  la  valutazione  circa
l'opportunita' di «ampliare conseguentemente, se  ritenuto  opportuno
sulla base di  evidenze  empirico-criminologiche  o  per  ragioni  di
coerenza sistematica, il novero delle ipotesi in cui,  ai  sensi  del
secondo comma dell'art. 131-bis del codice penale, l'offesa non  puo'
essere ritenuta di particolare tenuita'». 
    Da quanto si legge nella relazione, il legislatore ha tentato  di
bilanciare il  generale  ampliamento  dell'ambito  di  applicabilita'
dell'istituto «evitando che lo  stesso  attragga  nella  sfera  della
causa di non punibilita' figure di reato di  particolare  gravita'  o
allarme sociale, rispetto alle  quali  valutazioni  di  opportunita',
ancorate  a  evidenze  criminologiche  o  sistematiche,  suggeriscono
l'opportunita' di ulteriori esclusioni in via di eccezione». 
    Senza ulteriormente approfondire le  «evidenze  criminologiche  o
sistematiche», sempre nella relazione si elencano, tra gli altri: 
        «[...] 
        Delitto di rapina aggravata (art. 628,  comma  3  del  codice
penale). Si tratta della stessa ipotesi per la quale opera il  regime
di cui all'art.  4-bis  della  legge  sull'ordinamento  penitenziario
(legge n. 354/1975); 
        Delitto di estorsione (art. 629 del codice penale); 
        [...]». 
    3.2 Dunque, mentre l'applicazione della causa di non  punibilita'
e' esclusa per  il  delitto  di  estorsione  (che  nella  fattispecie
tentata  rientrerebbe  sotto  il  profilo  sanzionatorio  nell'ambito
applicativo tracciato dall'art. 131-bis, comma 1 del  codice  penale)
tanto nella forma semplice di cui all'art. 629, comma  1  del  codice
penale, quanto nella forma aggravata di cui all'art. 629, comma 2 del
codice penale, per il delitto di rapina l'esclusione e' prevista  per
le sole ipotesi aggravate di cui all'art. 628,  comma  3  del  codice
penale. 
    Occorre premettere che, benche' nella  manualistica  tradizionale
la rapina e' classificata tra  i  reati  di  aggressione  unilaterale
contro il patrimonio mentre l'estorsione tra i reati di  cooperazione
artificiosa con la vittima, le analogie strutturali e  di  disciplina
tra le due  fattispecie  sono  tali  da  rendere  irragionevole  tale
disparita' di trattamento sotto il profilo dell'applicabilita'  della
causa di non punibilita' in questione. 
    Le due fattispecie, infatti, sono sovrapponibili sotto il profilo
dei beni giuridici  tutelati,  dovendosi  entrambe  qualificare  come
reati plurioffensivi che offendono i  beni  del  patrimonio  e  della
liberta' di autodeterminazione della persona offesa. 
    Sotto  il  profilo  della  condotta,  entrambe   le   fattispecie
prevedono, quali elementi alternativi,  la  violenza  o  la  minaccia
posta in essere dall'autore quale strumento per coartare la  volonta'
della vittima e ottenere il vantaggio patrimoniale a suo danno. 
    Sotto  il  profilo  soggettivo  entrambi  i  reati  ricomprendono
nell'oggetto del dolo l'ingiusto profitto per l'autore. Cio'  sebbene
la rapina sia reato a dolo specifico, mentre l'estorsione sia reato a
dolo generico che pero' include, quale  evento,  l'ingiusto  profitto
dell'autore. Tale elemento, come tutti gli elementi della fattispecie
oggettiva, deve essere coperto dal coefficiente psicologico richiesto
per la fattispecie. 
    A riprova della contiguita' tra le due  fattispecie  tipiche,  va
evidenziato che dottrina e  giurisprudenza  hanno  elaborato  diversi
criteri di distinzione tra le stesse.  Uno  dei  primi,  ad  esempio,
poneva l'accento sull'identificazione del soggetto che consegnava  la
cosa mobile: ove questi fosse la vittima, si aveva estorsione, mentre
nei casi in cui l'agente si appropriava della cosa mobile  senza  una
previa traduzione da parte del soggetto passivo, si configuravano gli
estremi della rapina (c.d. criterio della adprehensio e traditio). 
    Altri autori sostengono che mentre nell'estorsione e'  minacciato
un male futuro (con la conseguenza che alla vittima  residuerebbe  un
certo margine di autodeterminazione), nella rapina e' prospettato  un
male di verificazione pressoche' immediata. 
    In dottrina e in giurisprudenza si e' affermato il criterio della
tipologia (o intensita') della coazione, secondo cui  «La  rapina  si
differenzia dall'estorsione in virtu' del fatto che in  essa  il  reo
sottrae la cosa esercitando sulla vittima una violenza o una minaccia
diretta e ineludibile,  mentre  nell'estorsione  la  coartazione  non
determina il totale annullamento della capacita' del soggetto passivo
di determinarsi diversamente» (Sez. 2, n. 15564 dell'8  aprile  2021,
... , Rv. 281102 - 01; nello stesso senso cfr. Sez.  2,  sentenza  n.
4308 del 17 ottobre 1995 Cc.  (dep.  21  gennaio  1996)  Rv.  203773,
secondo cui «Per la sussistenza del  delitto  di  estorsione  non  si
richiede che la volonta' del  soggetto  passivo,  per  effetto  della
minaccia,  sia  completamente  esclusa,   ma   che,   residuando   la
possibilita' di scelta fra l'accettare  le  richieste  dell'agente  o
subire il male minacciato, la possibilita' di autodeterminazione  sia
condizionata in maniera piu' o meno grave dal  timore  di  subire  il
pregiudizio prospettato; se la minaccia, viceversa, si risolvesse  in
un costringimento psichico assoluto,  cioe'  in  un  annullamento  di
qualsiasi possibilita' di scelta, ed il risultato  dell'agente  fosse
il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe infatti un vero
e proprio "impossessamento" e, conseguentemente, il diverso reato  di
rapina»). 
    Secondo  tale  criterio  prevalente   nella   giurisprudenza   di
legittimita',  quindi,  nel  delitto  di  rapina  si  ha  un   totale
annichilimento della liberta'  di  autodeterminazione  della  persona
offesa mentre nella estorsione tale volonta' e' solo compressa ma non
annientata. 
    Dall'adozione di tale criterio consegue che vi  e'  una  maggiore
intensita'  dell'offesa  al  bene   giuridico   della   liberta'   di
autodeterminazione della persona offesa nel reato di rapina, dove  la
volonta' e' annientata, che nel reato di  estorsione,  dove  e'  solo
compromessa. 
    Tale conclusione, come meglio si dira' anche  in  seguito,  rende
palese  l'irragionevolezza  della  scelta  legislativa  di  escludere
l'applicabilita' della causa  di  non  punibilita'  di  cui  all'art.
131-bis del codice penale per il delitto di estorsione  semplice,  in
cui il bene della liberta' di autodeterminazione e' solo compresso, e
ammetterlo per il delitto di rapina semplice, in cui la  liberta'  e'
totalmente annichilita. 
    3.3 Le analogie tra le due  fattispecie  non  riguardano  i  soli
profili  dell'offesa  e  della  struttura  del  fatto  tipico  ma  si
estendono ad ulteriori aspetti della disciplina. 
    In primo luogo, sotto il profilo sanzionatorio, si rileva che  la
pena della rapina semplice ha  registrato  nel  corso  del  tempo  un
progressivo inasprimento, che ha interessato principalmente il minimo
edittale della reclusione: originariamente determinato in  tre  anni,
tale minimo e' stato aumentato a quattro anni dall'art. 1,  comma  8,
lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche  al  codice
penale,   al   codice   di   procedura   penale   e   all'ordinamento
penitenziario), e ulteriormente incrementato a cinque anni  dall'art.
6, comma 1, lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36  (Modifiche
al codice  penale  e  altre  disposizioni  in  materia  di  legittima
difesa). 
    L'aggravamento del trattamento sanzionatorio ora  illustrato  per
la rapina e' analogo a quello che ha interessato l'estorsione di  cui
all'art. 629, primo comma, codice penale, il cui minimo  edittale  di
tre anni  di  reclusione,  stabilito  originariamente  per  la  forma
semplice del reato, e' stato aumentato a cinque anni (art.  8,  comma
1, del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419,  recante  «Istituzione
del Fondo  di  sostegno  per  le  vittime  di  richieste  estorsive»,
convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 1992, n. 172). 
    Dunque, la pena detentiva per le ipotesi di rapina ed  estorsione
semplici e' la medesima: da cinque a dieci anni di reclusione. Vi  e'
solo  una  minima  differenza  sanzionatoria   relativa   alla   pena
pecuniaria della multa, che nella rapina  va  da  927  a  2.500  euro
mentre nell'estorsione va da 1.000 a 4.000 euro. 
    Analogamente, sotto il  profilo  del  trattamento  penitenziario,
solo per le ipotesi aggravate di rapina (art. 628, comma 3 del codice
penale) ed estorsione (art.  629,  comma  2  del  codoce  penale)  e'
prevista la particolare disciplina in tema di  benefici  penitenziari
di cui all'art. 4-bis, comma 1-ter, legge n.  354/1975,  mentre  tale
disciplina non si applica alle rispettive ipotesi non aggravate. 
    3.4 Anche le circostanze aggravanti e attenuanti  dei  due  reati
hanno identica disciplina. 
    Quanto alle aggravanti, l'art. 629, comma 2  del  codice  penale,
nell'individuare le circostanze aggravanti speciali  del  delitto  di
estorsione rinvia proprio alle  aggravanti  previste  dall'art.  628,
comma 3 del codice penale, per il delitto di rapina. 
    Con riferimento alle  attenuanti,  allo  stesso  modo,  la  Corte
costituzionale, con le sentenze additive n. 120  del  15  giugno  del
2023 e n. 86 del  16  aprile  2024,  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale rispettivamente degli articoli 629 e 628, comma 1 e 2,
codice penale, nella parte in cui non prevedono che la pena  da  essi
comminata «e' diminuita in misura non eccedente un terzo  quando  per
la  natura,  la  specie,  i  mezzi,  le   modalita'   o   circostanze
dell'azione, ovvero per la  particolare  tenuita'  del  danno  o  del
pericolo, il fatto risulti di lieve entita'». 
    3.5 Appare significativo  evidenziare  che  e'  la  stessa  Corte
costituzionale, nella sentenza 86 del 16 aprile 2024  ad  evidenziare
l'analogia tra le due fattispecie sotto il profilo dell'attitudine  a
ricomprendere nel loro ambito applicativo anche fatti dotati  di  uno
scarsissimo disvalore sociale, affermando  che  «la  ratio  decidendi
della sentenza n. 120 del 2023 (in materia di estorsione n.d.r.) vale
anche per la rapina, come prospettato  dal  rimettente.  Infatti,  la
descrizione tipica operata dall'art. 628 del codice penale  evidenzia
una latitudine oggettiva e una varieta'  di  condotte  materiali  non
meno ampia di quella del delitto di estorsione, poiche', anche  nella
rapina, la violenza o minaccia  puo'  essere  di  modesta  portata  e
l'utilita' perseguita, ovvero il danno cagionato, di valore infimo». 
    Sulla  base  di  considerazioni  che   sottolineano   la   comune
latitudine applicativa e  la  analoga  disciplina  sanzionatoria,  la
Corte costituzionale nella sentenza  citata  utilizza  la  disciplina
dell'art. 629 del codice penale, risultante dalla  sentenza  additiva
n. 120 del 15  giugno  del  2023,  quale  tertium  comparationis  per
prevedere la circostanza attenuante del fatto di lieve entita'  anche
per il reato di rapina. 
    Anche con la sentenza n. 141 del 2023, la  Corte  costituzionale,
pronunciandosi su un fatto  di  incerta  sussunzione  tra  rapina  ed
estorsione, ha condotto  per  i  due  titoli  di  reato  un  discorso
unitario, in tema di bilanciamento tra circostanze, avuto riguardo al
comune  elevato  minimo  edittale  di  pena  detentiva  e  alla  pari
latitudine dello schema legale. L'ampiezza della  descrizione  tipica
dei delitti in parola, si e' osservato, «fa si' che essi si  prestino
ad abbracciare anche condotte di  modesto  disvalore:  non  solo  con
riferimento  all'entita'  del  danno  patrimoniale   cagionato   alla
vittima, che puo' anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio
a quo) a pochi euro»; «ma anche con riferimento alle modalita'  della
condotta, che puo' esaurirsi in forme minimali  di  violenza»  (come,
nel  caso  di  specie,  una  lieve  spinta),   ovvero   «nella   mera
prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di  armi  o  di
altro mezzo di coazione,  che  tuttavia  gia'  integra  la  modalita'
alternativa di condotta costituita dalla minaccia». La Corte  ha  poi
aggiunto «[a]nche rispetto a  simili  fatti,  la  disciplina  vigente
impone una pena minima di cinque anni di  reclusione:  una  pena  che
risulterebbe,  pero',  manifestamente  sproporzionata  rispetto  alla
gravita' oggettiva dei fatti medesimi - anche in rapporto  alle  pene
previste per la  generalita'  dei  reati  contro  la  persona  -,  se
l'ordinamento non prevedesse meccanismi  per  attenuare  la  risposta
sanzionatoria nei casi meno gravi». 
    In definitiva, l'orientamento della Corte  costituzionale  appare
fondato su una comune considerazione delle due  fattispecie,  proprio
con riferimento alla loro attitudine a ricomprendere,  nonostante  il
trattamento sanzionatorio particolarmente severo, fatti connotati  da
un modesto disvalore  d'evento  e  d'azione,  tanto  da  imporre  per
entrambe l'introduzione di «valvole di sicurezza» che  permettano  al
giudice di adeguare la reazione ordinamentale alla  modesta  gravita'
del fatto (in questi termini nella sentenza 86 del 16 aprile 2024  la
Corte afferma che «Per l'estorsione come per la rapina,  il  notevole
innalzamento  del  minimo  edittale -  a   un   livello   che   rende
sostanzialmente  inaccessibile   il   beneficio   della   sospensione
condizionale della pena - e' stato realizzato  senza  introdurre  una
«valvola di sicurezza»  che  permetta  al  giudice  di  temperare  la
sanzione quando l'offensivita' concreta del fatto  di  reato  non  ne
giustifichi una punizione cosi' severa»). 
    Chiaramente il ragionamento che la Corte costituzionale ha svolto
in relazione ai fatti di «lieve  entita'»,  meritevoli  di  una  pena
mitigata, puo' e deve essere trasposto anche ai fatti di «particolare
tenuita'», non  meritevoli  affatto  di  una  risposta  sanzionatoria
secondo l'ordinamento penale. 
    3.8 Sulla base delle considerazioni svolte, che hanno evidenziato
l'analoga struttura e  disciplina  delle  fattispecie  di  rapina  ed
estorsione non aggravate e la loro eguale attitudine a  ricomprendere
fatti espressivi di un disvalore d'evento e d'azione  particolarmente
tenue,  si  deve  concludere  per   l'irragionevole   disparita'   di
trattamento della previsione legislativa che consente  l'applicazione
della causa di non punibilita' per  particolare  tenuita'  del  fatto
solo per le ipotesi di rapina non  aggravata  di  cui  all'art.  628,
comma 1 e 2 del  codice  penale,  e  non  anche  per  le  ipotesi  di
estorsione non aggravata di cui all'art.  629,  comma  1  del  codice
penale. 
    Non  sussistono  infatti  ragioni  specifiche   che   valgano   a
giustificare  l'esclusione  della  causa  di  non   punibilita'   per
particolare tenuita' del fatto per il  reato  di  cui  all'art.  629,
primo comma,  codice  penale,  esistendo  al  contrario  i  parametri
richiamati che impongono l'estensione della causa di non  punibilita'
anche a tale reato. 
    Tale irragionevole disparita' di trattamento conduce,  attraverso
il tradizionale  sindacato  di  ragionevolezza  fondato  sull'art.  3
Cost.,  utilizzando  come  termine  di  comparazione  la   disciplina
prevista dall'art. 131-bis, comma 3,  n.  3,  codice  penale  per  le
fattispecie di cui all'art. 628, comma 1 e 2 del codice penale,  alla
incostituzionalita' dell'art. 131-bis, comma 3, n. 3, codice  penale,
nella parte in cui prevede che l'offesa non puo' essere  ritenuta  di
particolare tenuita' quando si procede per  il  delitto  consumato  o
tentato previsto dall'art. 629, primo comma, codice penale. 
    3.9  Oltre  che  sotto  il  profilo  della   ragionevolezza,   la
disciplina impugnata risulta contrastante anche con i principi  della
personalita' della responsabilita' penale e del finalismo rieducativo
della pena di cui agli articoli 27, comma 1 e 3 Cost. 
    Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti,  si  e'
chiarito,   da   un   lato,   che   un   trattamento   manifestamente
sproporzionato rispetto alla  gravita'  oggettiva  e  soggettiva  del
fatto, e comunque incapace di adeguarsi al  suo  concreto  disvalore,
pregiudica il principio di individualizzazione della  pena  (sentenza
n. 244 del 2022); «"l'individualizzazione" della  pena,  in  modo  da
tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche  esigenze  dei
singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi
costituzionali» cosi' da rendere «quanto piu'  possibile  "personale"
la responsabilita' penale, nella prospettiva  segnata  dall'art.  27,
primo comma» (sentenza n. 7 del 2022). Dall'altro, che il precetto di
cui al terzo comma dell'art. 27 Cost. vale tanto per  il  legislatore
quanto  per  i  giudici  della  cognizione,  oltre  che  per   quelli
dell'esecuzione e della sorveglianza, nonche' per le stesse autorita'
penitenziarie: il principio della finalita' rieducativa della pena e'
ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica  europea,
in  particolare  per  il  suo  collegamento  con  il  «principio   di
proporzione» fra qualita' e quantita' della sanzione, da  una  parte,
ed offesa, dall'altra (tra molte, sentenze n. 179 del 2017 e  n.  313
del 1990). 
    In presenza di una fattispecie tipica connotata, come  detto,  da
un ambito applicativo amplissimo e  variabile,  atteso  il  carattere
multiforme che  possono  assumere  in  concreto  gli  elementi  della
«violenza  o  minaccia»,  del  «danno»  e  del  «profitto  ingiusto»,
escludere  a  priori,  pur  sussistendone  gli  ulteriori   requisiti
applicativi, la possibilita' per il giudice di qualificare  il  fatto
come di  particolare  tenuita'  in  relazione  alle  modalita'  della
condotta o alla esiguita' del danno  o  del  pericolo,  determina  la
violazione, ad un tempo, del primo e del  terzo  comma  dell'art.  27
Cost. 
    Si tratta di una preclusione che  non  consente  al  giudice,  in
assenza di una ragione che abbia un comprensibile fondamento logico o
politico-criminale, di individualizzare la risposta ordinamentale  al
fatto realizzato  dall'autore,  posto  che  tale  giudizio,  se  deve
permettere al giudice di applicare una pena attenuata  per  garantire
la proporzione con il fatto, deve consentire al giudice anche di  non
applicare affatto una pena a quei fatti che, per  la  loro  tenuita',
non appaio affatto meritevoli di un pena. Chiaramente muovendosi  nel
generale  tracciato  definito  dal  legislatore  circa  i   requisiti
generali di applicabilita' della causa di non punibilita' in parola. 
    Tale preclusione si traduce in un automatismo sanzionatorio privo
di fondamento sia sotto il profilo razionale  sia  sotto  il  profilo
empirico-fattuale. Si  e'  evidenziato  infatti  che  nell'estorsione
semplice la condotta puo' essere realizzata con modalita'  portatrici
di un disvalore d'azione particolarmente tenue (si  pensi,  come  nel
caso in esame, alla minaccia che  non  riguardi  beni  primari  della
persona;  o  alla  violenza  consistita  in  una  leggera  spinta)  e
finalizzata  ad  ottenere  un  profitto,  con  corrispondente   danno
particolarmente esiguo (si pensi ad un lucro patrimoniale  ammontante
a pochi euro o ancora ad un profitto non direttamente  patrimoniale).
Esemplificando ancora, l'esclusione prevista dall'art. 131-bis, comma
3, n. 3 del codice penale impedirebbe  al  giudice  di  applicare  la
causa di non punibilita' all'estorsione tentata realizzata dal figlio
appena maggiorenne che dia una leggera spinta alla  madre  per  farsi
consegnare le chiavi della macchina per uscire la sera o una  modesta
somma di denaro per comprare le sigarette (in questo caso,  essendovi
violenza alla  persona,  non  opererebbe  nemmeno  la  causa  di  non
punibilita' di cui all'art. 649 del codice penale). 
    Tale  rigida  preclusione,   risolvendosi   in   un   automatismo
sanzionatorio, non puo'  che  essere  ritenuta  contrastante  con  il
«volto   costituzionale   dell'illecito   penale»   che   impone   la
possibilita' di adeguare la risposta ordinamentale al fatto (v.,  tra
tutte, Corte costituzionale n. 50 del 1980). 
    La  Corte  costituzionale  ha  piu'   volte   sottolineato   come
l'esigenza che «la pena inflitta al singolo  condannato  non  risulti
sproporzionata in  relazione  alla  concreta  gravita',  oggettiva  e
soggettiva, del fatto da lui commessa» debba assicurare «che la  pena
appaia  una  risposta -  oltre  che  non  sproporzionata -  il   piu'
possibile "individualizzata" e dunque calibrata sulla situazione  del
singolo condannato,  in  attuazione  del  mandato  costituzionale  di
"personalita'" della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo
comma, Cost.» (Corte costituzionale, sentenza n. 222 del 2018). 
    Si denuncia quindi l'incostituzionalita'  della  norma  impugnata
anche con riferimento alla violazione del principio  di  personalita'
della responsabilita' penale  di  cui  all'art.  27,  comma  1  della
Costituzione. 
    3.10 Infine, si rileva che l'applicazione  di  una  pena  per  un
fatto dotato di  scarsissima  offensivita'  e  di  altrettanto  tenue
disvalore  d'azione  non  puo'  che  risultare  contrastante  con  la
finalita' rieducativa della pena. 
    Il sacrificio del  bene  inviolabile  della  liberta'  personale,
secondo il nostro ordinamento costituzionale, deve avvenire a  fronte
di  fatti  concretamente  offensivi  di  beni  giuridici   di   rango
proporzionato al bene sacrificato. Quando  tale  sacrificio,  invece,
avviene a fronte di fatti dotati di un'offensivita' e di un disvalore
d'azione cosi' tenue da non apparire meritevole di pena, la  sanzione
non potra' che essere percepita come ingiusta  e  sproporzionata  dal
suo   destinatario,   precludendo   in   questo   modo    all'origine
quell'adesione  al  trattamento  sanzionatorio   indispensabile   per
raggiungere  l'effetto  rieducativo  (In  questi  termini,  la  Corte
costituzionale ha affermato che «una pena palesemente  sproporzionata
- e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato -
vanifica, gia' a livello di  comminatoria  legislativa  astratta,  la
finalita' rieducativa» (sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del  1993).
L'applicazione  di  una  sanzione  penale  a  simili  fatti  potrebbe
rispondere,  al  piu',  a  logiche  di   mera   deterrenza   che   si
risolverebbero in una strumentalizzazione del  singolo  per  fini  di
politica criminale, in modo incompatibile con  le  finalita'  che  il
nostro ordinamento assegna alla pena. 
    Cosi', la previsione dell'art. 131-bis, comma  3,  n.  3,  codice
penale che esclude l'applicabilita' della causa  di  non  punibilita'
del fatto al delitto di estorsione non aggravata di cui all'art. 629,
comma 1 del codice penale, imponendo in questo modo l'applicazione di
una pena a fatti espressivi  di  un  disvalore  cosi'  tenue  da  non
meritare una risposta sanzionatoria, si  traduce  in  una  norma  che
consente l'applicazione di una  pena  che  non  puo'  perseguire  una
finalita' rieducativa, in questo modo contrastando con  il  principio
di cui all'art. 27, comma 3, Cost. 
    3.11 I principi di portata generale di cui agli articoli  3  (sia
sotto il profilo della ragionevolezza  sia  sotto  il  profilo  della
proporzionalita'), 27, comma 1 e 3 Cost.  devono  orientare  l'intero
sistema penale e hanno trovato  applicazione  da  parte  della  Corte
costituzionale, in misura crescente  negli  ultimi  decenni,  sia  in
materia di cornici sanzionatorie (v. tra gli altri  sentenze  n.  218
del 1974, 26 del 1979, 176 del 1976, 50 del 1980, 103  del  1982,  49
del 1989 e 409 del 1989, 168 del  1994,  341  del  1994,  nonche'  da
ultimo, con un significativo passo in avanti verso uno  scrutinio  di
ragionevolezza  intrinseco  o  un'applicazione   del   principio   di
proporzionalita' in senso cardinale sentenze n. 236 del  2016  n.  40
del 2019), di circostanze aggravanti (249 del 2010),  di  circostanze
attenuanti (n. 68 del 2012, 120 del 2023 e 86 2024), di bilanciamento
tra circostanze (sentenze n. 251 del 2012, n. 105 del  2014,  n.  106
del 2014 e n. 207 del 2017, n. 73 del 2020)  e  da  ultimo  anche  in
materia di cause di non punibilita' (sentenza 156 del 2020). 
    In particolare, occorre  soffermarsi  sulla  sentenza  da  ultimo
citata che ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
131-bis del codice penale nella sua precedente  formulazione  per  il
contrasto con l'art. 3 Cost.  in  ragione  della  mancata  estensione
della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto  ai
delitti (tra i quali la ricettazione  «di  particolare  tenuita'»  ai
sensi dell'art.  648,  secondo  comma,  codice  penale,  oggetto  del
procedimento a quo)  per  i  quali  non  sia  previsto  alcun  minimo
edittale e sia dunque applicabile, in forza della previsione generale
di cui all'art. 23 del codice penale,  il  minimo  di  soli  quindici
giorni di reclusione, ancorche' il massimo edittale  fosse  superiore
alla soglia di cinque anni entro la quale era concedibile la causa di
non punibilita'. 
    Tale sentenza, che ha dichiarato assorbiti - ma non infondati - i
possibili  profili  di  incostituzionalita'  della   previsione   per
violazione degli articoli 27, comma 1 e 3 Cost., e' significativa  ai
fini  della  presente  decisione  poiche'  applica  il  giudizio   di
ragionevolezza estrinseca (o di «proporzionalita' ordinale»,  secondo
l'espressione recentemente utilizzata dalla dottrina piu'  autorevole
e aggiornata) ad una causa di esclusione della punibilita'. 
    Da una parte, la sentenza citata ribadisce  l'orientamento  della
giurisprudenza  costituzionale,  secondo  cui  «le   cause   di   non
punibilita'  costituiscono  altrettante  deroghe   a   norme   penali
generali, sicche' la  loro  estensione  comporta  strutturalmente  un
giudizio di ponderazione a soluzione aperta  tra  ragioni  diverse  e
confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma  generale
e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria, giudizio  che
appartiene primariamente al legislatore (ex multis, sentenze  n.  140
del 2009 e n. 8 del 1996) [...] Muovendo  da  tale  premessa,  questa
Corte, nella sentenza n. 207 del 2017, ha rilevato che la scelta  del
legislatore in ordine all'estensione della causa di  non  punibilita'
di cui all'art. 131-bis del codice penale e' sindacabile soltanto per
"manifesta irragionevolezza"». 
    Dall'altra, pero', la Corte evidenzia  che  il  fondamento  della
causa di esclusione in questione  risieda  nei  principi  di  extrema
ratio dell'intervento penale e del finalismo rieducativo della pena. 
    Si ritiene che i principi penalistici fondamentali previsti dalla
Costituzione debbano orientare tutte  le  forme  di  esercizio  della
politica  criminale  di  uno  Stato  di   diritto:   sia   le   norme
incriminatrici che disciplinano il trattamento sanzionatorio  sia  le
norme che escludono la punibilita'. La preclusione  dell'applicazione
di una causa di non punibilita' a fattispecie che  ricomprendono  nel
loro spettro applicativo fatti espressivi di un scarsissimo disvalore
sociale non solo compromette la ragionevolezza intrinseca del sistema
penale (introducendo  una  disparita'  di  trattamento  irragionevole
rispetto a fatti analoghi in cui  la  causa  di  non  punibilita'  e'
applicabile), ma determina anche  una  violazione  del  principio  di
personalita'     della     responsabilita'     penale,      impedendo
l'individualizzazione della risposta ordinamentale, e della finalita'
rieducativa  della  pena,  imponendo  l'applicazione  della  sanzione
penale a fatti non meritevoli  di  pena  a  causa  della  particolare
tenuita' del loro disvalore d'evento e d'azione. 
    3.12 Per le ragioni appena esposte si  ritiene  che  l'esclusione
della applicabilita' della causa di non punibilita' di  cui  all'art.
131-bis del codice penale al delitto di estorsione non  aggravata  di
cui all'art.  629,  comma  1  del  codice  penale  contrasti  con  il
principio  di  ragionevolezza,  con   riferimento   all'irragionevole
disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato  di
rapina non aggravata di cui agli articoli 628, comma 1 e 2 del codice
penale, e con il principio di proporzione di  cui  all'art.  3  della
Costituzione,  nonche'  con  i   principi   di   personalita'   della
responsabilita' penale di cui all'art. 27, comma 1  Cost.  e  con  la
finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 Cost. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione,  legge  costituzionale
n. 1/1948 e 23 e ss. legge n. 87/1953; 
    Solleva  questione  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
131-bis, comma 3, n. 3), del codice penale nella parte in cui prevede
che l'offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuita' quando
si procede per il delitto, consumato o  tentato,  previsto  dall'art.
629, primo comma, del codice penale, per violazione degli articoli 3,
27, comma 1 e 3, della Costituzione. 
    Sospende il giudizio in corso, con  conseguente  sospensione  del
termine  di  prescrizione,  fino  alla   definizione   del   giudizio
incidentale davanti alla Corte costituzionale; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale; 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  per   la
comunicazione ai Presidenti  del  Senato  della  Repubblica  e  della
Camera dei deputati. 
        Cassino, 14 luglio 2025 
 
                          Il giudice: Gioia