Reg. ord. n. 165 del 2025 pubbl. su G.U. del 17/09/2025 n. 38
Ordinanza del Tribunale di Cassino del 14/07/2025
Tra: D. D. L.
Oggetto:
Reati e pene – Cause di non punibilità – Particolare tenuità del fatto – Omessa previsione che l’offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per il delitto di estorsione non aggravata, consumato o tentato, previsto dall’art. 629, primo comma, cod. pen. – Irragionevole disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato di rapina non aggravata di cui all’art. 628, commi primo e secondo, cod. pen. – Violazione dei principi di proporzionalità, di personalità della responsabilità penale nonché della finalità rieducativa della pena.
Norme impugnate:
codice penale
del
Num.
Art. 131
Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 1
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 165 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 luglio 2025
Ordinanza del 14 luglio 2025 del Tribunale di Cassino nel
procedimento penale a carico di D. D.L..
Reati e pene - Cause di non punibilita' - Particolare tenuita' del
fatto - Omessa previsione che l'offesa non possa essere ritenuta di
particolare tenuita' quando si procede per il delitto, consumato o
tentato, previsto dall'art. 629, primo comma, cod. pen.
- Codice penale, art. 131-bis, terzo comma, numero 3.
(GU n. 38 del 17-09-2025)
TRIBUNALE DI CASSINO
Sezione penale
Il giudice monocratico Marco Gioia, nel procedimento penale
indicato in intestazione a carico di D. L. D., difeso di fiducia
dagli avv. Gianluca Bellano e avv. Maddalena Lombardi, imputato, «in
ordine al reato di cui agli articoli 81 del codice penale 56 e 629
del codice penale perche' con piu' azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso con minacce consistite nel trasmettere a ... due
lettere raccomandante con le quali richiedeva il pagamento delle
spese relative alla consulenza tecnica e giuridica effettuata dal
prevenuto sul fucile da caccia tipo doppietta, marca Beretta, calibro
12, nonche' sul relativo munizionamento detenuti dalla p.o., con
particolare riferimento alla stima del valore di mercato dell'arma e
alle modalita' di detenzione delle armi e delle munizioni stabilite
dalla normativa vigente, e altresi' nel prospettare alla p. o. che le
modalita' con le quali la stessa deteneva i predetti compendi non
erano regolari e che in caso di mancata corresponsione dell'importo
richiesto, peraltro non quantificato dal prevenuto, avrebbe
esercitato nei confronti della p. o. un'azione legale, nonostante il
... detenesse regolarmente il fucile da caccia, non fosse in possesso
di cartucce e non avesse mai richiesto alcuna consulenza al
prevenuto, poneva in essere atti idonei diretti in maniera non
equivoca a costringere ... a corrispondergli le spese di consulenza,
in modo da procurarsi un ingiusto profitto con pari danno per la p.
o., non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla propria
volonta'.
In ... il ... e il ... »;
Parte civile: ... , difeso di fiducia dall'avv. Eleonora Raviele;
sentite le parti all'udienza dibattimentale del 7 luglio 2025,
nella pubblica udienza del 14 luglio 2025, alla presenza del pubblico
ministero e delle parti, adotta la seguente ordinanza con cui solleva
questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli
articoli 3 e 27, comma 1 e 3 della Costituzione, dell'art. 131-bis,
comma 3, n. 3, del codice penale, nella parte in cui prevede che
l'offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuita' per il
delitto, consumato o tentato, di cui all'art. 629, comma 1 del codice
penale e non limita, al pari di quanto avviene per il delitto di cui
all'art. 628, comma 3, codice penale, l'esclusione all'ipotesi
aggravata di cui all'art. 629, comma 2, codice penale.
1. Sulla ammissibilita' della questione.
La presente questione di legittimita' costituzionale e' sollevata
del Tribunale di Cassino, in composizione monocratica, giudice Marco
Gioia, nel corso del giudizio penale di primo grado pendente in fase
dibattimentale nei confronti dell'imputato D. D. L. Ricorrono quindi
i requisiti di ammissibilita' della questione indicati dall'art. 23,
legge n. 87 del 1953, poiche' la questione e' sollevata d'ufficio,
dall'autorita' giudiziaria nel corso di un giudizio.
2. Sulla rilevanza della questione.
Il processo in cui viene sollevata la questione ha ad oggetto
un'imputazione per estorsione tentata, in cui all'imputato D. L. e'
contestato di aver formulato, attraverso due lettere inviate alla
persona offesa, la minaccia di un male ingiusto consistente
nell'esercizio di un'azione legale per ottenere compensi per
un'attivita' di consulenza mai prestata e una denuncia per fatti non
veritieri (consistenti nella detenzione non denunciata di munizioni),
qualora la persona offesa non avesse aderito alla pretesa creditoria
dell'imputato.
L'istruttoria ha visto i testi del pubblico ministero (persona
offesa e suoi familiari) confermare la tesi accusatoria, sostenendo
che la minaccia di azioni legali e denunce fosse pretestuosa e
costituisse una ritorsione per le controversie civili intercorse tra
le parti, e l'imputato difendersi sostenendo la spettanza di quanto
richiesto nelle lettere indicate nell'imputazione.
Nella discussione la difesa dell'imputato ha richiesto, in
subordine rispetto alla richiesta di assoluzione, l'applicazione
della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto di
cui all'art. 131-bis del codice penale.
2.1 Si ritiene quindi che la decisione nel presente giudizio
principale coinvolga necessariamente l'applicazione della norma di
cui all'art. 131-bis del codice penale che si assume viziata da
illegittimita' costituzionale.
La causa di non punibilita' in questione, infatti, se non fosse
per l'espressa esclusione di cui all'art. 131-bis, comma 3, n. 3 del
codice penale sarebbe applicabile ai fatti in contestazione.
Il delitto di estorsione tentata prevede infatti un minimo
edittale inferiore ai due anni di pena detentiva previsti per
l'applicabilita' della causa di non punibilita' all'art. 131-bis del
codice penale
Il fatto in contestazione ha prodotto un'offesa che puo' essere
valutata come particolarmente tenue rispetto ai beni giuridici
tutelati e con modalita' di aggressione portatrice di un altrettanto
tenue disvalore di azione, posto che la minaccia di esercitare
un'azione legale non offende beni primari della persona e che la
pretesa era comunque indeterminata sotto il profilo patrimoniale.
Il comportamento dell'autore non puo' essere considerato
abituale, posto che l'imputato e' incensurato, e la contestazione del
fatto come reato continuato (si tratterebbe di due missive di
contenuto asseritamente estorsivo mandate a breve distanza di tempo
l'una dall'altra) non impedirebbe l'applicazione della causa di non
punibilita' (si veda in questo senso, da ultimo, Cass pen.,Sez. U, n.
18891 del 27 gennaio 2022, ... Rv. 283064 - 01, ove si afferma che
«La pluralita' di reati unificati nel vincolo della continuazione non
e' di per se' ostativa alla configurabilita' della causa di
esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto la
quale puo' essere riconosciuta dal giudice all'esito di una
valutazione complessiva della fattispecie concreta, che - salve le
condizioni ostative tassativamente previste dall'art. 131-bis del
codice penale per escludere la particolare tenuita' dell'offesa o per
qualificare il comportamento come abituale - tenga conto di una serie
di indicatori rappresenti, in particolare, dalla natura e dalla
gravita' degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni
giuridici protetti dall'entita' delle disposizioni di legge violate,
dalle finalita' e dalle modalita' esecutive delle condotte, dalle
loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal
periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si
collocano, dall'intensita' del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai
comportamenti successivi ai fatti)».
Ricorrerebbero dunque tutti i presupposti per la applicazione
della causa di non punibilita' in questione, la cui applicazione e'
tuttavia impedita dalla previsione di cui all'art. 131-bis, comma 3,
n. 3 del codice penale.
Dunque, nell'ambito della decisione da adottare nel giudizio
certamente occorre dare applicazione della norma oggetto della
questione di legittimita' costituzionale, la cui applicazione e'
stata peraltro espressamente richiesta dalla difesa nelle sue
conclusioni.
Si tratta di una necessita' di applicazione attuale e non
meramente ipotetica e l'eventuale accoglimento della questione
sollevata, incidendo sull'applicabilita' della causa di non
punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale ai fatti in
contestazione, avrebbe un effetto immediato sull'esito del giudizio
principale.
Si ritiene quindi che la questione sia rilevante e che il
giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata.
3. Sulla non manifesta infondatezza della questione.
Il dubbio di costituzionalita' ha ad oggetto la previsione di cui
all'art. 131-bis, comma 3, n. 3 del codice penale nella parte in cui
esclude l'applicazione della causa di non punibilita' per particolare
tenuita' del fatto al delitto, consumato o tentato, di estorsione di
cui all'art. 629 del codice penale, e non limiti l'esclusione alle
ipotesi di estorsione aggravata di cui all'art. 629, comma 2 del
codice penale. Cio' a differenza di quanto avviene per il contiguo
delitto di rapina, per il quale e' esclusa l'applicabilita' dell'art.
131-bis del codice penale per le sole ipotesi aggravate di cui
all'art. 628, comma 3 del codice penale.
Tale diversita' di trattamento, per le ragioni che si esporranno
di qui a breve, appare irragionevole, stante le analogie di struttura
e disciplina tra le due fattispecie, e ingiustificata sotto il
profilo politico-criminale, precludendo l'individualizzazione della
risposta ordinamentale rispetto a fatti particolarmente tenui e
risolvendosi in questo modo in possibili applicazioni di pene
ingiuste e irragionevoli, in quanto tali inidonee a tendere alla
rieducazione delle persone cui sono applicate.
3.1 La causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del
codice penale per particolare tenuita' del fatto, introdotta con il
decreto legislativo n. 28 del 2015, e' stata riformata con decreto
legislativo n. 150 del 2022 che, da una parte, ne ha esteso la
portata applicativa ampliando i limiti edittali stabiliti al primo
comma e, dall'altra, ha compensato tale estensione inserendo, al
terzo comma, numerose nuove ipotesi di esclusione della sua
applicazione.
L'individuazione delle ipotesi di esclusione dell'applicazione
della causa di non punibilita', secondo quanto puo' leggersi nella
relazione illustrativa del Governo al decreto legislativo n. 150 del
2022, risponde ai due criteri indicati dalla legge delega: «Una prima
direttiva, specifica, mira a evitare che l'ampliamento dell'ambito di
applicazione della causa di non punibilita' interessi i reati
riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla
prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e
la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata
ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77. Una seconda direttiva,
generica, rimette poi al legislatore delegato la valutazione circa
l'opportunita' di «ampliare conseguentemente, se ritenuto opportuno
sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di
coerenza sistematica, il novero delle ipotesi in cui, ai sensi del
secondo comma dell'art. 131-bis del codice penale, l'offesa non puo'
essere ritenuta di particolare tenuita'».
Da quanto si legge nella relazione, il legislatore ha tentato di
bilanciare il generale ampliamento dell'ambito di applicabilita'
dell'istituto «evitando che lo stesso attragga nella sfera della
causa di non punibilita' figure di reato di particolare gravita' o
allarme sociale, rispetto alle quali valutazioni di opportunita',
ancorate a evidenze criminologiche o sistematiche, suggeriscono
l'opportunita' di ulteriori esclusioni in via di eccezione».
Senza ulteriormente approfondire le «evidenze criminologiche o
sistematiche», sempre nella relazione si elencano, tra gli altri:
«[...]
Delitto di rapina aggravata (art. 628, comma 3 del codice
penale). Si tratta della stessa ipotesi per la quale opera il regime
di cui all'art. 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario
(legge n. 354/1975);
Delitto di estorsione (art. 629 del codice penale);
[...]».
3.2 Dunque, mentre l'applicazione della causa di non punibilita'
e' esclusa per il delitto di estorsione (che nella fattispecie
tentata rientrerebbe sotto il profilo sanzionatorio nell'ambito
applicativo tracciato dall'art. 131-bis, comma 1 del codice penale)
tanto nella forma semplice di cui all'art. 629, comma 1 del codice
penale, quanto nella forma aggravata di cui all'art. 629, comma 2 del
codice penale, per il delitto di rapina l'esclusione e' prevista per
le sole ipotesi aggravate di cui all'art. 628, comma 3 del codice
penale.
Occorre premettere che, benche' nella manualistica tradizionale
la rapina e' classificata tra i reati di aggressione unilaterale
contro il patrimonio mentre l'estorsione tra i reati di cooperazione
artificiosa con la vittima, le analogie strutturali e di disciplina
tra le due fattispecie sono tali da rendere irragionevole tale
disparita' di trattamento sotto il profilo dell'applicabilita' della
causa di non punibilita' in questione.
Le due fattispecie, infatti, sono sovrapponibili sotto il profilo
dei beni giuridici tutelati, dovendosi entrambe qualificare come
reati plurioffensivi che offendono i beni del patrimonio e della
liberta' di autodeterminazione della persona offesa.
Sotto il profilo della condotta, entrambe le fattispecie
prevedono, quali elementi alternativi, la violenza o la minaccia
posta in essere dall'autore quale strumento per coartare la volonta'
della vittima e ottenere il vantaggio patrimoniale a suo danno.
Sotto il profilo soggettivo entrambi i reati ricomprendono
nell'oggetto del dolo l'ingiusto profitto per l'autore. Cio' sebbene
la rapina sia reato a dolo specifico, mentre l'estorsione sia reato a
dolo generico che pero' include, quale evento, l'ingiusto profitto
dell'autore. Tale elemento, come tutti gli elementi della fattispecie
oggettiva, deve essere coperto dal coefficiente psicologico richiesto
per la fattispecie.
A riprova della contiguita' tra le due fattispecie tipiche, va
evidenziato che dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diversi
criteri di distinzione tra le stesse. Uno dei primi, ad esempio,
poneva l'accento sull'identificazione del soggetto che consegnava la
cosa mobile: ove questi fosse la vittima, si aveva estorsione, mentre
nei casi in cui l'agente si appropriava della cosa mobile senza una
previa traduzione da parte del soggetto passivo, si configuravano gli
estremi della rapina (c.d. criterio della adprehensio e traditio).
Altri autori sostengono che mentre nell'estorsione e' minacciato
un male futuro (con la conseguenza che alla vittima residuerebbe un
certo margine di autodeterminazione), nella rapina e' prospettato un
male di verificazione pressoche' immediata.
In dottrina e in giurisprudenza si e' affermato il criterio della
tipologia (o intensita') della coazione, secondo cui «La rapina si
differenzia dall'estorsione in virtu' del fatto che in essa il reo
sottrae la cosa esercitando sulla vittima una violenza o una minaccia
diretta e ineludibile, mentre nell'estorsione la coartazione non
determina il totale annullamento della capacita' del soggetto passivo
di determinarsi diversamente» (Sez. 2, n. 15564 dell'8 aprile 2021,
... , Rv. 281102 - 01; nello stesso senso cfr. Sez. 2, sentenza n.
4308 del 17 ottobre 1995 Cc. (dep. 21 gennaio 1996) Rv. 203773,
secondo cui «Per la sussistenza del delitto di estorsione non si
richiede che la volonta' del soggetto passivo, per effetto della
minaccia, sia completamente esclusa, ma che, residuando la
possibilita' di scelta fra l'accettare le richieste dell'agente o
subire il male minacciato, la possibilita' di autodeterminazione sia
condizionata in maniera piu' o meno grave dal timore di subire il
pregiudizio prospettato; se la minaccia, viceversa, si risolvesse in
un costringimento psichico assoluto, cioe' in un annullamento di
qualsiasi possibilita' di scelta, ed il risultato dell'agente fosse
il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe infatti un vero
e proprio "impossessamento" e, conseguentemente, il diverso reato di
rapina»).
Secondo tale criterio prevalente nella giurisprudenza di
legittimita', quindi, nel delitto di rapina si ha un totale
annichilimento della liberta' di autodeterminazione della persona
offesa mentre nella estorsione tale volonta' e' solo compressa ma non
annientata.
Dall'adozione di tale criterio consegue che vi e' una maggiore
intensita' dell'offesa al bene giuridico della liberta' di
autodeterminazione della persona offesa nel reato di rapina, dove la
volonta' e' annientata, che nel reato di estorsione, dove e' solo
compromessa.
Tale conclusione, come meglio si dira' anche in seguito, rende
palese l'irragionevolezza della scelta legislativa di escludere
l'applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art.
131-bis del codice penale per il delitto di estorsione semplice, in
cui il bene della liberta' di autodeterminazione e' solo compresso, e
ammetterlo per il delitto di rapina semplice, in cui la liberta' e'
totalmente annichilita.
3.3 Le analogie tra le due fattispecie non riguardano i soli
profili dell'offesa e della struttura del fatto tipico ma si
estendono ad ulteriori aspetti della disciplina.
In primo luogo, sotto il profilo sanzionatorio, si rileva che la
pena della rapina semplice ha registrato nel corso del tempo un
progressivo inasprimento, che ha interessato principalmente il minimo
edittale della reclusione: originariamente determinato in tre anni,
tale minimo e' stato aumentato a quattro anni dall'art. 1, comma 8,
lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice
penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento
penitenziario), e ulteriormente incrementato a cinque anni dall'art.
6, comma 1, lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche
al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima
difesa).
L'aggravamento del trattamento sanzionatorio ora illustrato per
la rapina e' analogo a quello che ha interessato l'estorsione di cui
all'art. 629, primo comma, codice penale, il cui minimo edittale di
tre anni di reclusione, stabilito originariamente per la forma
semplice del reato, e' stato aumentato a cinque anni (art. 8, comma
1, del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, recante «Istituzione
del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive»,
convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 1992, n. 172).
Dunque, la pena detentiva per le ipotesi di rapina ed estorsione
semplici e' la medesima: da cinque a dieci anni di reclusione. Vi e'
solo una minima differenza sanzionatoria relativa alla pena
pecuniaria della multa, che nella rapina va da 927 a 2.500 euro
mentre nell'estorsione va da 1.000 a 4.000 euro.
Analogamente, sotto il profilo del trattamento penitenziario,
solo per le ipotesi aggravate di rapina (art. 628, comma 3 del codice
penale) ed estorsione (art. 629, comma 2 del codoce penale) e'
prevista la particolare disciplina in tema di benefici penitenziari
di cui all'art. 4-bis, comma 1-ter, legge n. 354/1975, mentre tale
disciplina non si applica alle rispettive ipotesi non aggravate.
3.4 Anche le circostanze aggravanti e attenuanti dei due reati
hanno identica disciplina.
Quanto alle aggravanti, l'art. 629, comma 2 del codice penale,
nell'individuare le circostanze aggravanti speciali del delitto di
estorsione rinvia proprio alle aggravanti previste dall'art. 628,
comma 3 del codice penale, per il delitto di rapina.
Con riferimento alle attenuanti, allo stesso modo, la Corte
costituzionale, con le sentenze additive n. 120 del 15 giugno del
2023 e n. 86 del 16 aprile 2024, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale rispettivamente degli articoli 629 e 628, comma 1 e 2,
codice penale, nella parte in cui non prevedono che la pena da essi
comminata «e' diminuita in misura non eccedente un terzo quando per
la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o circostanze
dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del
pericolo, il fatto risulti di lieve entita'».
3.5 Appare significativo evidenziare che e' la stessa Corte
costituzionale, nella sentenza 86 del 16 aprile 2024 ad evidenziare
l'analogia tra le due fattispecie sotto il profilo dell'attitudine a
ricomprendere nel loro ambito applicativo anche fatti dotati di uno
scarsissimo disvalore sociale, affermando che «la ratio decidendi
della sentenza n. 120 del 2023 (in materia di estorsione n.d.r.) vale
anche per la rapina, come prospettato dal rimettente. Infatti, la
descrizione tipica operata dall'art. 628 del codice penale evidenzia
una latitudine oggettiva e una varieta' di condotte materiali non
meno ampia di quella del delitto di estorsione, poiche', anche nella
rapina, la violenza o minaccia puo' essere di modesta portata e
l'utilita' perseguita, ovvero il danno cagionato, di valore infimo».
Sulla base di considerazioni che sottolineano la comune
latitudine applicativa e la analoga disciplina sanzionatoria, la
Corte costituzionale nella sentenza citata utilizza la disciplina
dell'art. 629 del codice penale, risultante dalla sentenza additiva
n. 120 del 15 giugno del 2023, quale tertium comparationis per
prevedere la circostanza attenuante del fatto di lieve entita' anche
per il reato di rapina.
Anche con la sentenza n. 141 del 2023, la Corte costituzionale,
pronunciandosi su un fatto di incerta sussunzione tra rapina ed
estorsione, ha condotto per i due titoli di reato un discorso
unitario, in tema di bilanciamento tra circostanze, avuto riguardo al
comune elevato minimo edittale di pena detentiva e alla pari
latitudine dello schema legale. L'ampiezza della descrizione tipica
dei delitti in parola, si e' osservato, «fa si' che essi si prestino
ad abbracciare anche condotte di modesto disvalore: non solo con
riferimento all'entita' del danno patrimoniale cagionato alla
vittima, che puo' anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio
a quo) a pochi euro»; «ma anche con riferimento alle modalita' della
condotta, che puo' esaurirsi in forme minimali di violenza» (come,
nel caso di specie, una lieve spinta), ovvero «nella mera
prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di
altro mezzo di coazione, che tuttavia gia' integra la modalita'
alternativa di condotta costituita dalla minaccia». La Corte ha poi
aggiunto «[a]nche rispetto a simili fatti, la disciplina vigente
impone una pena minima di cinque anni di reclusione: una pena che
risulterebbe, pero', manifestamente sproporzionata rispetto alla
gravita' oggettiva dei fatti medesimi - anche in rapporto alle pene
previste per la generalita' dei reati contro la persona -, se
l'ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta
sanzionatoria nei casi meno gravi».
In definitiva, l'orientamento della Corte costituzionale appare
fondato su una comune considerazione delle due fattispecie, proprio
con riferimento alla loro attitudine a ricomprendere, nonostante il
trattamento sanzionatorio particolarmente severo, fatti connotati da
un modesto disvalore d'evento e d'azione, tanto da imporre per
entrambe l'introduzione di «valvole di sicurezza» che permettano al
giudice di adeguare la reazione ordinamentale alla modesta gravita'
del fatto (in questi termini nella sentenza 86 del 16 aprile 2024 la
Corte afferma che «Per l'estorsione come per la rapina, il notevole
innalzamento del minimo edittale - a un livello che rende
sostanzialmente inaccessibile il beneficio della sospensione
condizionale della pena - e' stato realizzato senza introdurre una
«valvola di sicurezza» che permetta al giudice di temperare la
sanzione quando l'offensivita' concreta del fatto di reato non ne
giustifichi una punizione cosi' severa»).
Chiaramente il ragionamento che la Corte costituzionale ha svolto
in relazione ai fatti di «lieve entita'», meritevoli di una pena
mitigata, puo' e deve essere trasposto anche ai fatti di «particolare
tenuita'», non meritevoli affatto di una risposta sanzionatoria
secondo l'ordinamento penale.
3.8 Sulla base delle considerazioni svolte, che hanno evidenziato
l'analoga struttura e disciplina delle fattispecie di rapina ed
estorsione non aggravate e la loro eguale attitudine a ricomprendere
fatti espressivi di un disvalore d'evento e d'azione particolarmente
tenue, si deve concludere per l'irragionevole disparita' di
trattamento della previsione legislativa che consente l'applicazione
della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto
solo per le ipotesi di rapina non aggravata di cui all'art. 628,
comma 1 e 2 del codice penale, e non anche per le ipotesi di
estorsione non aggravata di cui all'art. 629, comma 1 del codice
penale.
Non sussistono infatti ragioni specifiche che valgano a
giustificare l'esclusione della causa di non punibilita' per
particolare tenuita' del fatto per il reato di cui all'art. 629,
primo comma, codice penale, esistendo al contrario i parametri
richiamati che impongono l'estensione della causa di non punibilita'
anche a tale reato.
Tale irragionevole disparita' di trattamento conduce, attraverso
il tradizionale sindacato di ragionevolezza fondato sull'art. 3
Cost., utilizzando come termine di comparazione la disciplina
prevista dall'art. 131-bis, comma 3, n. 3, codice penale per le
fattispecie di cui all'art. 628, comma 1 e 2 del codice penale, alla
incostituzionalita' dell'art. 131-bis, comma 3, n. 3, codice penale,
nella parte in cui prevede che l'offesa non puo' essere ritenuta di
particolare tenuita' quando si procede per il delitto consumato o
tentato previsto dall'art. 629, primo comma, codice penale.
3.9 Oltre che sotto il profilo della ragionevolezza, la
disciplina impugnata risulta contrastante anche con i principi della
personalita' della responsabilita' penale e del finalismo rieducativo
della pena di cui agli articoli 27, comma 1 e 3 Cost.
Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, si e'
chiarito, da un lato, che un trattamento manifestamente
sproporzionato rispetto alla gravita' oggettiva e soggettiva del
fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore,
pregiudica il principio di individualizzazione della pena (sentenza
n. 244 del 2022); «"l'individualizzazione" della pena, in modo da
tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei
singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi
costituzionali» cosi' da rendere «quanto piu' possibile "personale"
la responsabilita' penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27,
primo comma» (sentenza n. 7 del 2022). Dall'altro, che il precetto di
cui al terzo comma dell'art. 27 Cost. vale tanto per il legislatore
quanto per i giudici della cognizione, oltre che per quelli
dell'esecuzione e della sorveglianza, nonche' per le stesse autorita'
penitenziarie: il principio della finalita' rieducativa della pena e'
ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica europea,
in particolare per il suo collegamento con il «principio di
proporzione» fra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte,
ed offesa, dall'altra (tra molte, sentenze n. 179 del 2017 e n. 313
del 1990).
In presenza di una fattispecie tipica connotata, come detto, da
un ambito applicativo amplissimo e variabile, atteso il carattere
multiforme che possono assumere in concreto gli elementi della
«violenza o minaccia», del «danno» e del «profitto ingiusto»,
escludere a priori, pur sussistendone gli ulteriori requisiti
applicativi, la possibilita' per il giudice di qualificare il fatto
come di particolare tenuita' in relazione alle modalita' della
condotta o alla esiguita' del danno o del pericolo, determina la
violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell'art. 27
Cost.
Si tratta di una preclusione che non consente al giudice, in
assenza di una ragione che abbia un comprensibile fondamento logico o
politico-criminale, di individualizzare la risposta ordinamentale al
fatto realizzato dall'autore, posto che tale giudizio, se deve
permettere al giudice di applicare una pena attenuata per garantire
la proporzione con il fatto, deve consentire al giudice anche di non
applicare affatto una pena a quei fatti che, per la loro tenuita',
non appaio affatto meritevoli di un pena. Chiaramente muovendosi nel
generale tracciato definito dal legislatore circa i requisiti
generali di applicabilita' della causa di non punibilita' in parola.
Tale preclusione si traduce in un automatismo sanzionatorio privo
di fondamento sia sotto il profilo razionale sia sotto il profilo
empirico-fattuale. Si e' evidenziato infatti che nell'estorsione
semplice la condotta puo' essere realizzata con modalita' portatrici
di un disvalore d'azione particolarmente tenue (si pensi, come nel
caso in esame, alla minaccia che non riguardi beni primari della
persona; o alla violenza consistita in una leggera spinta) e
finalizzata ad ottenere un profitto, con corrispondente danno
particolarmente esiguo (si pensi ad un lucro patrimoniale ammontante
a pochi euro o ancora ad un profitto non direttamente patrimoniale).
Esemplificando ancora, l'esclusione prevista dall'art. 131-bis, comma
3, n. 3 del codice penale impedirebbe al giudice di applicare la
causa di non punibilita' all'estorsione tentata realizzata dal figlio
appena maggiorenne che dia una leggera spinta alla madre per farsi
consegnare le chiavi della macchina per uscire la sera o una modesta
somma di denaro per comprare le sigarette (in questo caso, essendovi
violenza alla persona, non opererebbe nemmeno la causa di non
punibilita' di cui all'art. 649 del codice penale).
Tale rigida preclusione, risolvendosi in un automatismo
sanzionatorio, non puo' che essere ritenuta contrastante con il
«volto costituzionale dell'illecito penale» che impone la
possibilita' di adeguare la risposta ordinamentale al fatto (v., tra
tutte, Corte costituzionale n. 50 del 1980).
La Corte costituzionale ha piu' volte sottolineato come
l'esigenza che «la pena inflitta al singolo condannato non risulti
sproporzionata in relazione alla concreta gravita', oggettiva e
soggettiva, del fatto da lui commessa» debba assicurare «che la pena
appaia una risposta - oltre che non sproporzionata - il piu'
possibile "individualizzata" e dunque calibrata sulla situazione del
singolo condannato, in attuazione del mandato costituzionale di
"personalita'" della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo
comma, Cost.» (Corte costituzionale, sentenza n. 222 del 2018).
Si denuncia quindi l'incostituzionalita' della norma impugnata
anche con riferimento alla violazione del principio di personalita'
della responsabilita' penale di cui all'art. 27, comma 1 della
Costituzione.
3.10 Infine, si rileva che l'applicazione di una pena per un
fatto dotato di scarsissima offensivita' e di altrettanto tenue
disvalore d'azione non puo' che risultare contrastante con la
finalita' rieducativa della pena.
Il sacrificio del bene inviolabile della liberta' personale,
secondo il nostro ordinamento costituzionale, deve avvenire a fronte
di fatti concretamente offensivi di beni giuridici di rango
proporzionato al bene sacrificato. Quando tale sacrificio, invece,
avviene a fronte di fatti dotati di un'offensivita' e di un disvalore
d'azione cosi' tenue da non apparire meritevole di pena, la sanzione
non potra' che essere percepita come ingiusta e sproporzionata dal
suo destinatario, precludendo in questo modo all'origine
quell'adesione al trattamento sanzionatorio indispensabile per
raggiungere l'effetto rieducativo (In questi termini, la Corte
costituzionale ha affermato che «una pena palesemente sproporzionata
- e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato -
vanifica, gia' a livello di comminatoria legislativa astratta, la
finalita' rieducativa» (sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del 1993).
L'applicazione di una sanzione penale a simili fatti potrebbe
rispondere, al piu', a logiche di mera deterrenza che si
risolverebbero in una strumentalizzazione del singolo per fini di
politica criminale, in modo incompatibile con le finalita' che il
nostro ordinamento assegna alla pena.
Cosi', la previsione dell'art. 131-bis, comma 3, n. 3, codice
penale che esclude l'applicabilita' della causa di non punibilita'
del fatto al delitto di estorsione non aggravata di cui all'art. 629,
comma 1 del codice penale, imponendo in questo modo l'applicazione di
una pena a fatti espressivi di un disvalore cosi' tenue da non
meritare una risposta sanzionatoria, si traduce in una norma che
consente l'applicazione di una pena che non puo' perseguire una
finalita' rieducativa, in questo modo contrastando con il principio
di cui all'art. 27, comma 3, Cost.
3.11 I principi di portata generale di cui agli articoli 3 (sia
sotto il profilo della ragionevolezza sia sotto il profilo della
proporzionalita'), 27, comma 1 e 3 Cost. devono orientare l'intero
sistema penale e hanno trovato applicazione da parte della Corte
costituzionale, in misura crescente negli ultimi decenni, sia in
materia di cornici sanzionatorie (v. tra gli altri sentenze n. 218
del 1974, 26 del 1979, 176 del 1976, 50 del 1980, 103 del 1982, 49
del 1989 e 409 del 1989, 168 del 1994, 341 del 1994, nonche' da
ultimo, con un significativo passo in avanti verso uno scrutinio di
ragionevolezza intrinseco o un'applicazione del principio di
proporzionalita' in senso cardinale sentenze n. 236 del 2016 n. 40
del 2019), di circostanze aggravanti (249 del 2010), di circostanze
attenuanti (n. 68 del 2012, 120 del 2023 e 86 2024), di bilanciamento
tra circostanze (sentenze n. 251 del 2012, n. 105 del 2014, n. 106
del 2014 e n. 207 del 2017, n. 73 del 2020) e da ultimo anche in
materia di cause di non punibilita' (sentenza 156 del 2020).
In particolare, occorre soffermarsi sulla sentenza da ultimo
citata che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.
131-bis del codice penale nella sua precedente formulazione per il
contrasto con l'art. 3 Cost. in ragione della mancata estensione
della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto ai
delitti (tra i quali la ricettazione «di particolare tenuita'» ai
sensi dell'art. 648, secondo comma, codice penale, oggetto del
procedimento a quo) per i quali non sia previsto alcun minimo
edittale e sia dunque applicabile, in forza della previsione generale
di cui all'art. 23 del codice penale, il minimo di soli quindici
giorni di reclusione, ancorche' il massimo edittale fosse superiore
alla soglia di cinque anni entro la quale era concedibile la causa di
non punibilita'.
Tale sentenza, che ha dichiarato assorbiti - ma non infondati - i
possibili profili di incostituzionalita' della previsione per
violazione degli articoli 27, comma 1 e 3 Cost., e' significativa ai
fini della presente decisione poiche' applica il giudizio di
ragionevolezza estrinseca (o di «proporzionalita' ordinale», secondo
l'espressione recentemente utilizzata dalla dottrina piu' autorevole
e aggiornata) ad una causa di esclusione della punibilita'.
Da una parte, la sentenza citata ribadisce l'orientamento della
giurisprudenza costituzionale, secondo cui «le cause di non
punibilita' costituiscono altrettante deroghe a norme penali
generali, sicche' la loro estensione comporta strutturalmente un
giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e
confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale
e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria, giudizio che
appartiene primariamente al legislatore (ex multis, sentenze n. 140
del 2009 e n. 8 del 1996) [...] Muovendo da tale premessa, questa
Corte, nella sentenza n. 207 del 2017, ha rilevato che la scelta del
legislatore in ordine all'estensione della causa di non punibilita'
di cui all'art. 131-bis del codice penale e' sindacabile soltanto per
"manifesta irragionevolezza"».
Dall'altra, pero', la Corte evidenzia che il fondamento della
causa di esclusione in questione risieda nei principi di extrema
ratio dell'intervento penale e del finalismo rieducativo della pena.
Si ritiene che i principi penalistici fondamentali previsti dalla
Costituzione debbano orientare tutte le forme di esercizio della
politica criminale di uno Stato di diritto: sia le norme
incriminatrici che disciplinano il trattamento sanzionatorio sia le
norme che escludono la punibilita'. La preclusione dell'applicazione
di una causa di non punibilita' a fattispecie che ricomprendono nel
loro spettro applicativo fatti espressivi di un scarsissimo disvalore
sociale non solo compromette la ragionevolezza intrinseca del sistema
penale (introducendo una disparita' di trattamento irragionevole
rispetto a fatti analoghi in cui la causa di non punibilita' e'
applicabile), ma determina anche una violazione del principio di
personalita' della responsabilita' penale, impedendo
l'individualizzazione della risposta ordinamentale, e della finalita'
rieducativa della pena, imponendo l'applicazione della sanzione
penale a fatti non meritevoli di pena a causa della particolare
tenuita' del loro disvalore d'evento e d'azione.
3.12 Per le ragioni appena esposte si ritiene che l'esclusione
della applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art.
131-bis del codice penale al delitto di estorsione non aggravata di
cui all'art. 629, comma 1 del codice penale contrasti con il
principio di ragionevolezza, con riferimento all'irragionevole
disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato di
rapina non aggravata di cui agli articoli 628, comma 1 e 2 del codice
penale, e con il principio di proporzione di cui all'art. 3 della
Costituzione, nonche' con i principi di personalita' della
responsabilita' penale di cui all'art. 27, comma 1 Cost. e con la
finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 Cost.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, legge costituzionale
n. 1/1948 e 23 e ss. legge n. 87/1953;
Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art.
131-bis, comma 3, n. 3), del codice penale nella parte in cui prevede
che l'offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuita' quando
si procede per il delitto, consumato o tentato, previsto dall'art.
629, primo comma, del codice penale, per violazione degli articoli 3,
27, comma 1 e 3, della Costituzione.
Sospende il giudizio in corso, con conseguente sospensione del
termine di prescrizione, fino alla definizione del giudizio
incidentale davanti alla Corte costituzionale;
Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale;
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e per la
comunicazione ai Presidenti del Senato della Repubblica e della
Camera dei deputati.
Cassino, 14 luglio 2025
Il giudice: Gioia
Oggetto:
Reati e pene – Cause di non punibilità – Particolare tenuità del fatto – Omessa previsione che l’offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per il delitto di estorsione non aggravata, consumato o tentato, previsto dall’art. 629, primo comma, cod. pen. – Irragionevole disparità di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato di rapina non aggravata di cui all’art. 628, commi primo e secondo, cod. pen. – Violazione dei principi di proporzionalità, di personalità della responsabilità penale nonché della finalità rieducativa della pena.
Norme impugnate:
codice penale del Num. Art. 131 Co. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 1
Costituzione Art. 27 Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 165 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 luglio 2025 Ordinanza del 14 luglio 2025 del Tribunale di Cassino nel procedimento penale a carico di D. D.L.. Reati e pene - Cause di non punibilita' - Particolare tenuita' del fatto - Omessa previsione che l'offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per il delitto, consumato o tentato, previsto dall'art. 629, primo comma, cod. pen. - Codice penale, art. 131-bis, terzo comma, numero 3. (GU n. 38 del 17-09-2025) TRIBUNALE DI CASSINO Sezione penale Il giudice monocratico Marco Gioia, nel procedimento penale indicato in intestazione a carico di D. L. D., difeso di fiducia dagli avv. Gianluca Bellano e avv. Maddalena Lombardi, imputato, «in ordine al reato di cui agli articoli 81 del codice penale 56 e 629 del codice penale perche' con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso con minacce consistite nel trasmettere a ... due lettere raccomandante con le quali richiedeva il pagamento delle spese relative alla consulenza tecnica e giuridica effettuata dal prevenuto sul fucile da caccia tipo doppietta, marca Beretta, calibro 12, nonche' sul relativo munizionamento detenuti dalla p.o., con particolare riferimento alla stima del valore di mercato dell'arma e alle modalita' di detenzione delle armi e delle munizioni stabilite dalla normativa vigente, e altresi' nel prospettare alla p. o. che le modalita' con le quali la stessa deteneva i predetti compendi non erano regolari e che in caso di mancata corresponsione dell'importo richiesto, peraltro non quantificato dal prevenuto, avrebbe esercitato nei confronti della p. o. un'azione legale, nonostante il ... detenesse regolarmente il fucile da caccia, non fosse in possesso di cartucce e non avesse mai richiesto alcuna consulenza al prevenuto, poneva in essere atti idonei diretti in maniera non equivoca a costringere ... a corrispondergli le spese di consulenza, in modo da procurarsi un ingiusto profitto con pari danno per la p. o., non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla propria volonta'. In ... il ... e il ... »; Parte civile: ... , difeso di fiducia dall'avv. Eleonora Raviele; sentite le parti all'udienza dibattimentale del 7 luglio 2025, nella pubblica udienza del 14 luglio 2025, alla presenza del pubblico ministero e delle parti, adotta la seguente ordinanza con cui solleva questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli articoli 3 e 27, comma 1 e 3 della Costituzione, dell'art. 131-bis, comma 3, n. 3, del codice penale, nella parte in cui prevede che l'offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuita' per il delitto, consumato o tentato, di cui all'art. 629, comma 1 del codice penale e non limita, al pari di quanto avviene per il delitto di cui all'art. 628, comma 3, codice penale, l'esclusione all'ipotesi aggravata di cui all'art. 629, comma 2, codice penale. 1. Sulla ammissibilita' della questione. La presente questione di legittimita' costituzionale e' sollevata del Tribunale di Cassino, in composizione monocratica, giudice Marco Gioia, nel corso del giudizio penale di primo grado pendente in fase dibattimentale nei confronti dell'imputato D. D. L. Ricorrono quindi i requisiti di ammissibilita' della questione indicati dall'art. 23, legge n. 87 del 1953, poiche' la questione e' sollevata d'ufficio, dall'autorita' giudiziaria nel corso di un giudizio. 2. Sulla rilevanza della questione. Il processo in cui viene sollevata la questione ha ad oggetto un'imputazione per estorsione tentata, in cui all'imputato D. L. e' contestato di aver formulato, attraverso due lettere inviate alla persona offesa, la minaccia di un male ingiusto consistente nell'esercizio di un'azione legale per ottenere compensi per un'attivita' di consulenza mai prestata e una denuncia per fatti non veritieri (consistenti nella detenzione non denunciata di munizioni), qualora la persona offesa non avesse aderito alla pretesa creditoria dell'imputato. L'istruttoria ha visto i testi del pubblico ministero (persona offesa e suoi familiari) confermare la tesi accusatoria, sostenendo che la minaccia di azioni legali e denunce fosse pretestuosa e costituisse una ritorsione per le controversie civili intercorse tra le parti, e l'imputato difendersi sostenendo la spettanza di quanto richiesto nelle lettere indicate nell'imputazione. Nella discussione la difesa dell'imputato ha richiesto, in subordine rispetto alla richiesta di assoluzione, l'applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto di cui all'art. 131-bis del codice penale. 2.1 Si ritiene quindi che la decisione nel presente giudizio principale coinvolga necessariamente l'applicazione della norma di cui all'art. 131-bis del codice penale che si assume viziata da illegittimita' costituzionale. La causa di non punibilita' in questione, infatti, se non fosse per l'espressa esclusione di cui all'art. 131-bis, comma 3, n. 3 del codice penale sarebbe applicabile ai fatti in contestazione. Il delitto di estorsione tentata prevede infatti un minimo edittale inferiore ai due anni di pena detentiva previsti per l'applicabilita' della causa di non punibilita' all'art. 131-bis del codice penale Il fatto in contestazione ha prodotto un'offesa che puo' essere valutata come particolarmente tenue rispetto ai beni giuridici tutelati e con modalita' di aggressione portatrice di un altrettanto tenue disvalore di azione, posto che la minaccia di esercitare un'azione legale non offende beni primari della persona e che la pretesa era comunque indeterminata sotto il profilo patrimoniale. Il comportamento dell'autore non puo' essere considerato abituale, posto che l'imputato e' incensurato, e la contestazione del fatto come reato continuato (si tratterebbe di due missive di contenuto asseritamente estorsivo mandate a breve distanza di tempo l'una dall'altra) non impedirebbe l'applicazione della causa di non punibilita' (si veda in questo senso, da ultimo, Cass pen.,Sez. U, n. 18891 del 27 gennaio 2022, ... Rv. 283064 - 01, ove si afferma che «La pluralita' di reati unificati nel vincolo della continuazione non e' di per se' ostativa alla configurabilita' della causa di esclusione della punibilita' per particolare tenuita' del fatto la quale puo' essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che - salve le condizioni ostative tassativamente previste dall'art. 131-bis del codice penale per escludere la particolare tenuita' dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale - tenga conto di una serie di indicatori rappresenti, in particolare, dalla natura e dalla gravita' degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti dall'entita' delle disposizioni di legge violate, dalle finalita' e dalle modalita' esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensita' del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti)». Ricorrerebbero dunque tutti i presupposti per la applicazione della causa di non punibilita' in questione, la cui applicazione e' tuttavia impedita dalla previsione di cui all'art. 131-bis, comma 3, n. 3 del codice penale. Dunque, nell'ambito della decisione da adottare nel giudizio certamente occorre dare applicazione della norma oggetto della questione di legittimita' costituzionale, la cui applicazione e' stata peraltro espressamente richiesta dalla difesa nelle sue conclusioni. Si tratta di una necessita' di applicazione attuale e non meramente ipotetica e l'eventuale accoglimento della questione sollevata, incidendo sull'applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale ai fatti in contestazione, avrebbe un effetto immediato sull'esito del giudizio principale. Si ritiene quindi che la questione sia rilevante e che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata. 3. Sulla non manifesta infondatezza della questione. Il dubbio di costituzionalita' ha ad oggetto la previsione di cui all'art. 131-bis, comma 3, n. 3 del codice penale nella parte in cui esclude l'applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto al delitto, consumato o tentato, di estorsione di cui all'art. 629 del codice penale, e non limiti l'esclusione alle ipotesi di estorsione aggravata di cui all'art. 629, comma 2 del codice penale. Cio' a differenza di quanto avviene per il contiguo delitto di rapina, per il quale e' esclusa l'applicabilita' dell'art. 131-bis del codice penale per le sole ipotesi aggravate di cui all'art. 628, comma 3 del codice penale. Tale diversita' di trattamento, per le ragioni che si esporranno di qui a breve, appare irragionevole, stante le analogie di struttura e disciplina tra le due fattispecie, e ingiustificata sotto il profilo politico-criminale, precludendo l'individualizzazione della risposta ordinamentale rispetto a fatti particolarmente tenui e risolvendosi in questo modo in possibili applicazioni di pene ingiuste e irragionevoli, in quanto tali inidonee a tendere alla rieducazione delle persone cui sono applicate. 3.1 La causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale per particolare tenuita' del fatto, introdotta con il decreto legislativo n. 28 del 2015, e' stata riformata con decreto legislativo n. 150 del 2022 che, da una parte, ne ha esteso la portata applicativa ampliando i limiti edittali stabiliti al primo comma e, dall'altra, ha compensato tale estensione inserendo, al terzo comma, numerose nuove ipotesi di esclusione della sua applicazione. L'individuazione delle ipotesi di esclusione dell'applicazione della causa di non punibilita', secondo quanto puo' leggersi nella relazione illustrativa del Governo al decreto legislativo n. 150 del 2022, risponde ai due criteri indicati dalla legge delega: «Una prima direttiva, specifica, mira a evitare che l'ampliamento dell'ambito di applicazione della causa di non punibilita' interessi i reati riconducibili alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77. Una seconda direttiva, generica, rimette poi al legislatore delegato la valutazione circa l'opportunita' di «ampliare conseguentemente, se ritenuto opportuno sulla base di evidenze empirico-criminologiche o per ragioni di coerenza sistematica, il novero delle ipotesi in cui, ai sensi del secondo comma dell'art. 131-bis del codice penale, l'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita'». Da quanto si legge nella relazione, il legislatore ha tentato di bilanciare il generale ampliamento dell'ambito di applicabilita' dell'istituto «evitando che lo stesso attragga nella sfera della causa di non punibilita' figure di reato di particolare gravita' o allarme sociale, rispetto alle quali valutazioni di opportunita', ancorate a evidenze criminologiche o sistematiche, suggeriscono l'opportunita' di ulteriori esclusioni in via di eccezione». Senza ulteriormente approfondire le «evidenze criminologiche o sistematiche», sempre nella relazione si elencano, tra gli altri: «[...] Delitto di rapina aggravata (art. 628, comma 3 del codice penale). Si tratta della stessa ipotesi per la quale opera il regime di cui all'art. 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario (legge n. 354/1975); Delitto di estorsione (art. 629 del codice penale); [...]». 3.2 Dunque, mentre l'applicazione della causa di non punibilita' e' esclusa per il delitto di estorsione (che nella fattispecie tentata rientrerebbe sotto il profilo sanzionatorio nell'ambito applicativo tracciato dall'art. 131-bis, comma 1 del codice penale) tanto nella forma semplice di cui all'art. 629, comma 1 del codice penale, quanto nella forma aggravata di cui all'art. 629, comma 2 del codice penale, per il delitto di rapina l'esclusione e' prevista per le sole ipotesi aggravate di cui all'art. 628, comma 3 del codice penale. Occorre premettere che, benche' nella manualistica tradizionale la rapina e' classificata tra i reati di aggressione unilaterale contro il patrimonio mentre l'estorsione tra i reati di cooperazione artificiosa con la vittima, le analogie strutturali e di disciplina tra le due fattispecie sono tali da rendere irragionevole tale disparita' di trattamento sotto il profilo dell'applicabilita' della causa di non punibilita' in questione. Le due fattispecie, infatti, sono sovrapponibili sotto il profilo dei beni giuridici tutelati, dovendosi entrambe qualificare come reati plurioffensivi che offendono i beni del patrimonio e della liberta' di autodeterminazione della persona offesa. Sotto il profilo della condotta, entrambe le fattispecie prevedono, quali elementi alternativi, la violenza o la minaccia posta in essere dall'autore quale strumento per coartare la volonta' della vittima e ottenere il vantaggio patrimoniale a suo danno. Sotto il profilo soggettivo entrambi i reati ricomprendono nell'oggetto del dolo l'ingiusto profitto per l'autore. Cio' sebbene la rapina sia reato a dolo specifico, mentre l'estorsione sia reato a dolo generico che pero' include, quale evento, l'ingiusto profitto dell'autore. Tale elemento, come tutti gli elementi della fattispecie oggettiva, deve essere coperto dal coefficiente psicologico richiesto per la fattispecie. A riprova della contiguita' tra le due fattispecie tipiche, va evidenziato che dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diversi criteri di distinzione tra le stesse. Uno dei primi, ad esempio, poneva l'accento sull'identificazione del soggetto che consegnava la cosa mobile: ove questi fosse la vittima, si aveva estorsione, mentre nei casi in cui l'agente si appropriava della cosa mobile senza una previa traduzione da parte del soggetto passivo, si configuravano gli estremi della rapina (c.d. criterio della adprehensio e traditio). Altri autori sostengono che mentre nell'estorsione e' minacciato un male futuro (con la conseguenza che alla vittima residuerebbe un certo margine di autodeterminazione), nella rapina e' prospettato un male di verificazione pressoche' immediata. In dottrina e in giurisprudenza si e' affermato il criterio della tipologia (o intensita') della coazione, secondo cui «La rapina si differenzia dall'estorsione in virtu' del fatto che in essa il reo sottrae la cosa esercitando sulla vittima una violenza o una minaccia diretta e ineludibile, mentre nell'estorsione la coartazione non determina il totale annullamento della capacita' del soggetto passivo di determinarsi diversamente» (Sez. 2, n. 15564 dell'8 aprile 2021, ... , Rv. 281102 - 01; nello stesso senso cfr. Sez. 2, sentenza n. 4308 del 17 ottobre 1995 Cc. (dep. 21 gennaio 1996) Rv. 203773, secondo cui «Per la sussistenza del delitto di estorsione non si richiede che la volonta' del soggetto passivo, per effetto della minaccia, sia completamente esclusa, ma che, residuando la possibilita' di scelta fra l'accettare le richieste dell'agente o subire il male minacciato, la possibilita' di autodeterminazione sia condizionata in maniera piu' o meno grave dal timore di subire il pregiudizio prospettato; se la minaccia, viceversa, si risolvesse in un costringimento psichico assoluto, cioe' in un annullamento di qualsiasi possibilita' di scelta, ed il risultato dell'agente fosse il conseguimento di un bene mobile, si configurerebbe infatti un vero e proprio "impossessamento" e, conseguentemente, il diverso reato di rapina»). Secondo tale criterio prevalente nella giurisprudenza di legittimita', quindi, nel delitto di rapina si ha un totale annichilimento della liberta' di autodeterminazione della persona offesa mentre nella estorsione tale volonta' e' solo compressa ma non annientata. Dall'adozione di tale criterio consegue che vi e' una maggiore intensita' dell'offesa al bene giuridico della liberta' di autodeterminazione della persona offesa nel reato di rapina, dove la volonta' e' annientata, che nel reato di estorsione, dove e' solo compromessa. Tale conclusione, come meglio si dira' anche in seguito, rende palese l'irragionevolezza della scelta legislativa di escludere l'applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale per il delitto di estorsione semplice, in cui il bene della liberta' di autodeterminazione e' solo compresso, e ammetterlo per il delitto di rapina semplice, in cui la liberta' e' totalmente annichilita. 3.3 Le analogie tra le due fattispecie non riguardano i soli profili dell'offesa e della struttura del fatto tipico ma si estendono ad ulteriori aspetti della disciplina. In primo luogo, sotto il profilo sanzionatorio, si rileva che la pena della rapina semplice ha registrato nel corso del tempo un progressivo inasprimento, che ha interessato principalmente il minimo edittale della reclusione: originariamente determinato in tre anni, tale minimo e' stato aumentato a quattro anni dall'art. 1, comma 8, lettera a), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), e ulteriormente incrementato a cinque anni dall'art. 6, comma 1, lettera a), della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa). L'aggravamento del trattamento sanzionatorio ora illustrato per la rapina e' analogo a quello che ha interessato l'estorsione di cui all'art. 629, primo comma, codice penale, il cui minimo edittale di tre anni di reclusione, stabilito originariamente per la forma semplice del reato, e' stato aumentato a cinque anni (art. 8, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, recante «Istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive», convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 1992, n. 172). Dunque, la pena detentiva per le ipotesi di rapina ed estorsione semplici e' la medesima: da cinque a dieci anni di reclusione. Vi e' solo una minima differenza sanzionatoria relativa alla pena pecuniaria della multa, che nella rapina va da 927 a 2.500 euro mentre nell'estorsione va da 1.000 a 4.000 euro. Analogamente, sotto il profilo del trattamento penitenziario, solo per le ipotesi aggravate di rapina (art. 628, comma 3 del codice penale) ed estorsione (art. 629, comma 2 del codoce penale) e' prevista la particolare disciplina in tema di benefici penitenziari di cui all'art. 4-bis, comma 1-ter, legge n. 354/1975, mentre tale disciplina non si applica alle rispettive ipotesi non aggravate. 3.4 Anche le circostanze aggravanti e attenuanti dei due reati hanno identica disciplina. Quanto alle aggravanti, l'art. 629, comma 2 del codice penale, nell'individuare le circostanze aggravanti speciali del delitto di estorsione rinvia proprio alle aggravanti previste dall'art. 628, comma 3 del codice penale, per il delitto di rapina. Con riferimento alle attenuanti, allo stesso modo, la Corte costituzionale, con le sentenze additive n. 120 del 15 giugno del 2023 e n. 86 del 16 aprile 2024, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale rispettivamente degli articoli 629 e 628, comma 1 e 2, codice penale, nella parte in cui non prevedono che la pena da essi comminata «e' diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalita' o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuita' del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entita'». 3.5 Appare significativo evidenziare che e' la stessa Corte costituzionale, nella sentenza 86 del 16 aprile 2024 ad evidenziare l'analogia tra le due fattispecie sotto il profilo dell'attitudine a ricomprendere nel loro ambito applicativo anche fatti dotati di uno scarsissimo disvalore sociale, affermando che «la ratio decidendi della sentenza n. 120 del 2023 (in materia di estorsione n.d.r.) vale anche per la rapina, come prospettato dal rimettente. Infatti, la descrizione tipica operata dall'art. 628 del codice penale evidenzia una latitudine oggettiva e una varieta' di condotte materiali non meno ampia di quella del delitto di estorsione, poiche', anche nella rapina, la violenza o minaccia puo' essere di modesta portata e l'utilita' perseguita, ovvero il danno cagionato, di valore infimo». Sulla base di considerazioni che sottolineano la comune latitudine applicativa e la analoga disciplina sanzionatoria, la Corte costituzionale nella sentenza citata utilizza la disciplina dell'art. 629 del codice penale, risultante dalla sentenza additiva n. 120 del 15 giugno del 2023, quale tertium comparationis per prevedere la circostanza attenuante del fatto di lieve entita' anche per il reato di rapina. Anche con la sentenza n. 141 del 2023, la Corte costituzionale, pronunciandosi su un fatto di incerta sussunzione tra rapina ed estorsione, ha condotto per i due titoli di reato un discorso unitario, in tema di bilanciamento tra circostanze, avuto riguardo al comune elevato minimo edittale di pena detentiva e alla pari latitudine dello schema legale. L'ampiezza della descrizione tipica dei delitti in parola, si e' osservato, «fa si' che essi si prestino ad abbracciare anche condotte di modesto disvalore: non solo con riferimento all'entita' del danno patrimoniale cagionato alla vittima, che puo' anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio a quo) a pochi euro»; «ma anche con riferimento alle modalita' della condotta, che puo' esaurirsi in forme minimali di violenza» (come, nel caso di specie, una lieve spinta), ovvero «nella mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione, che tuttavia gia' integra la modalita' alternativa di condotta costituita dalla minaccia». La Corte ha poi aggiunto «[a]nche rispetto a simili fatti, la disciplina vigente impone una pena minima di cinque anni di reclusione: una pena che risulterebbe, pero', manifestamente sproporzionata rispetto alla gravita' oggettiva dei fatti medesimi - anche in rapporto alle pene previste per la generalita' dei reati contro la persona -, se l'ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi». In definitiva, l'orientamento della Corte costituzionale appare fondato su una comune considerazione delle due fattispecie, proprio con riferimento alla loro attitudine a ricomprendere, nonostante il trattamento sanzionatorio particolarmente severo, fatti connotati da un modesto disvalore d'evento e d'azione, tanto da imporre per entrambe l'introduzione di «valvole di sicurezza» che permettano al giudice di adeguare la reazione ordinamentale alla modesta gravita' del fatto (in questi termini nella sentenza 86 del 16 aprile 2024 la Corte afferma che «Per l'estorsione come per la rapina, il notevole innalzamento del minimo edittale - a un livello che rende sostanzialmente inaccessibile il beneficio della sospensione condizionale della pena - e' stato realizzato senza introdurre una «valvola di sicurezza» che permetta al giudice di temperare la sanzione quando l'offensivita' concreta del fatto di reato non ne giustifichi una punizione cosi' severa»). Chiaramente il ragionamento che la Corte costituzionale ha svolto in relazione ai fatti di «lieve entita'», meritevoli di una pena mitigata, puo' e deve essere trasposto anche ai fatti di «particolare tenuita'», non meritevoli affatto di una risposta sanzionatoria secondo l'ordinamento penale. 3.8 Sulla base delle considerazioni svolte, che hanno evidenziato l'analoga struttura e disciplina delle fattispecie di rapina ed estorsione non aggravate e la loro eguale attitudine a ricomprendere fatti espressivi di un disvalore d'evento e d'azione particolarmente tenue, si deve concludere per l'irragionevole disparita' di trattamento della previsione legislativa che consente l'applicazione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto solo per le ipotesi di rapina non aggravata di cui all'art. 628, comma 1 e 2 del codice penale, e non anche per le ipotesi di estorsione non aggravata di cui all'art. 629, comma 1 del codice penale. Non sussistono infatti ragioni specifiche che valgano a giustificare l'esclusione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto per il reato di cui all'art. 629, primo comma, codice penale, esistendo al contrario i parametri richiamati che impongono l'estensione della causa di non punibilita' anche a tale reato. Tale irragionevole disparita' di trattamento conduce, attraverso il tradizionale sindacato di ragionevolezza fondato sull'art. 3 Cost., utilizzando come termine di comparazione la disciplina prevista dall'art. 131-bis, comma 3, n. 3, codice penale per le fattispecie di cui all'art. 628, comma 1 e 2 del codice penale, alla incostituzionalita' dell'art. 131-bis, comma 3, n. 3, codice penale, nella parte in cui prevede che l'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per il delitto consumato o tentato previsto dall'art. 629, primo comma, codice penale. 3.9 Oltre che sotto il profilo della ragionevolezza, la disciplina impugnata risulta contrastante anche con i principi della personalita' della responsabilita' penale e del finalismo rieducativo della pena di cui agli articoli 27, comma 1 e 3 Cost. Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, si e' chiarito, da un lato, che un trattamento manifestamente sproporzionato rispetto alla gravita' oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, pregiudica il principio di individualizzazione della pena (sentenza n. 244 del 2022); «"l'individualizzazione" della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali» cosi' da rendere «quanto piu' possibile "personale" la responsabilita' penale, nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo comma» (sentenza n. 7 del 2022). Dall'altro, che il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost. vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione, oltre che per quelli dell'esecuzione e della sorveglianza, nonche' per le stesse autorita' penitenziarie: il principio della finalita' rieducativa della pena e' ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica europea, in particolare per il suo collegamento con il «principio di proporzione» fra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, ed offesa, dall'altra (tra molte, sentenze n. 179 del 2017 e n. 313 del 1990). In presenza di una fattispecie tipica connotata, come detto, da un ambito applicativo amplissimo e variabile, atteso il carattere multiforme che possono assumere in concreto gli elementi della «violenza o minaccia», del «danno» e del «profitto ingiusto», escludere a priori, pur sussistendone gli ulteriori requisiti applicativi, la possibilita' per il giudice di qualificare il fatto come di particolare tenuita' in relazione alle modalita' della condotta o alla esiguita' del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell'art. 27 Cost. Si tratta di una preclusione che non consente al giudice, in assenza di una ragione che abbia un comprensibile fondamento logico o politico-criminale, di individualizzare la risposta ordinamentale al fatto realizzato dall'autore, posto che tale giudizio, se deve permettere al giudice di applicare una pena attenuata per garantire la proporzione con il fatto, deve consentire al giudice anche di non applicare affatto una pena a quei fatti che, per la loro tenuita', non appaio affatto meritevoli di un pena. Chiaramente muovendosi nel generale tracciato definito dal legislatore circa i requisiti generali di applicabilita' della causa di non punibilita' in parola. Tale preclusione si traduce in un automatismo sanzionatorio privo di fondamento sia sotto il profilo razionale sia sotto il profilo empirico-fattuale. Si e' evidenziato infatti che nell'estorsione semplice la condotta puo' essere realizzata con modalita' portatrici di un disvalore d'azione particolarmente tenue (si pensi, come nel caso in esame, alla minaccia che non riguardi beni primari della persona; o alla violenza consistita in una leggera spinta) e finalizzata ad ottenere un profitto, con corrispondente danno particolarmente esiguo (si pensi ad un lucro patrimoniale ammontante a pochi euro o ancora ad un profitto non direttamente patrimoniale). Esemplificando ancora, l'esclusione prevista dall'art. 131-bis, comma 3, n. 3 del codice penale impedirebbe al giudice di applicare la causa di non punibilita' all'estorsione tentata realizzata dal figlio appena maggiorenne che dia una leggera spinta alla madre per farsi consegnare le chiavi della macchina per uscire la sera o una modesta somma di denaro per comprare le sigarette (in questo caso, essendovi violenza alla persona, non opererebbe nemmeno la causa di non punibilita' di cui all'art. 649 del codice penale). Tale rigida preclusione, risolvendosi in un automatismo sanzionatorio, non puo' che essere ritenuta contrastante con il «volto costituzionale dell'illecito penale» che impone la possibilita' di adeguare la risposta ordinamentale al fatto (v., tra tutte, Corte costituzionale n. 50 del 1980). La Corte costituzionale ha piu' volte sottolineato come l'esigenza che «la pena inflitta al singolo condannato non risulti sproporzionata in relazione alla concreta gravita', oggettiva e soggettiva, del fatto da lui commessa» debba assicurare «che la pena appaia una risposta - oltre che non sproporzionata - il piu' possibile "individualizzata" e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato, in attuazione del mandato costituzionale di "personalita'" della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma, Cost.» (Corte costituzionale, sentenza n. 222 del 2018). Si denuncia quindi l'incostituzionalita' della norma impugnata anche con riferimento alla violazione del principio di personalita' della responsabilita' penale di cui all'art. 27, comma 1 della Costituzione. 3.10 Infine, si rileva che l'applicazione di una pena per un fatto dotato di scarsissima offensivita' e di altrettanto tenue disvalore d'azione non puo' che risultare contrastante con la finalita' rieducativa della pena. Il sacrificio del bene inviolabile della liberta' personale, secondo il nostro ordinamento costituzionale, deve avvenire a fronte di fatti concretamente offensivi di beni giuridici di rango proporzionato al bene sacrificato. Quando tale sacrificio, invece, avviene a fronte di fatti dotati di un'offensivita' e di un disvalore d'azione cosi' tenue da non apparire meritevole di pena, la sanzione non potra' che essere percepita come ingiusta e sproporzionata dal suo destinatario, precludendo in questo modo all'origine quell'adesione al trattamento sanzionatorio indispensabile per raggiungere l'effetto rieducativo (In questi termini, la Corte costituzionale ha affermato che «una pena palesemente sproporzionata - e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato - vanifica, gia' a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalita' rieducativa» (sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del 1993). L'applicazione di una sanzione penale a simili fatti potrebbe rispondere, al piu', a logiche di mera deterrenza che si risolverebbero in una strumentalizzazione del singolo per fini di politica criminale, in modo incompatibile con le finalita' che il nostro ordinamento assegna alla pena. Cosi', la previsione dell'art. 131-bis, comma 3, n. 3, codice penale che esclude l'applicabilita' della causa di non punibilita' del fatto al delitto di estorsione non aggravata di cui all'art. 629, comma 1 del codice penale, imponendo in questo modo l'applicazione di una pena a fatti espressivi di un disvalore cosi' tenue da non meritare una risposta sanzionatoria, si traduce in una norma che consente l'applicazione di una pena che non puo' perseguire una finalita' rieducativa, in questo modo contrastando con il principio di cui all'art. 27, comma 3, Cost. 3.11 I principi di portata generale di cui agli articoli 3 (sia sotto il profilo della ragionevolezza sia sotto il profilo della proporzionalita'), 27, comma 1 e 3 Cost. devono orientare l'intero sistema penale e hanno trovato applicazione da parte della Corte costituzionale, in misura crescente negli ultimi decenni, sia in materia di cornici sanzionatorie (v. tra gli altri sentenze n. 218 del 1974, 26 del 1979, 176 del 1976, 50 del 1980, 103 del 1982, 49 del 1989 e 409 del 1989, 168 del 1994, 341 del 1994, nonche' da ultimo, con un significativo passo in avanti verso uno scrutinio di ragionevolezza intrinseco o un'applicazione del principio di proporzionalita' in senso cardinale sentenze n. 236 del 2016 n. 40 del 2019), di circostanze aggravanti (249 del 2010), di circostanze attenuanti (n. 68 del 2012, 120 del 2023 e 86 2024), di bilanciamento tra circostanze (sentenze n. 251 del 2012, n. 105 del 2014, n. 106 del 2014 e n. 207 del 2017, n. 73 del 2020) e da ultimo anche in materia di cause di non punibilita' (sentenza 156 del 2020). In particolare, occorre soffermarsi sulla sentenza da ultimo citata che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice penale nella sua precedente formulazione per il contrasto con l'art. 3 Cost. in ragione della mancata estensione della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto ai delitti (tra i quali la ricettazione «di particolare tenuita'» ai sensi dell'art. 648, secondo comma, codice penale, oggetto del procedimento a quo) per i quali non sia previsto alcun minimo edittale e sia dunque applicabile, in forza della previsione generale di cui all'art. 23 del codice penale, il minimo di soli quindici giorni di reclusione, ancorche' il massimo edittale fosse superiore alla soglia di cinque anni entro la quale era concedibile la causa di non punibilita'. Tale sentenza, che ha dichiarato assorbiti - ma non infondati - i possibili profili di incostituzionalita' della previsione per violazione degli articoli 27, comma 1 e 3 Cost., e' significativa ai fini della presente decisione poiche' applica il giudizio di ragionevolezza estrinseca (o di «proporzionalita' ordinale», secondo l'espressione recentemente utilizzata dalla dottrina piu' autorevole e aggiornata) ad una causa di esclusione della punibilita'. Da una parte, la sentenza citata ribadisce l'orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui «le cause di non punibilita' costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, sicche' la loro estensione comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria, giudizio che appartiene primariamente al legislatore (ex multis, sentenze n. 140 del 2009 e n. 8 del 1996) [...] Muovendo da tale premessa, questa Corte, nella sentenza n. 207 del 2017, ha rilevato che la scelta del legislatore in ordine all'estensione della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale e' sindacabile soltanto per "manifesta irragionevolezza"». Dall'altra, pero', la Corte evidenzia che il fondamento della causa di esclusione in questione risieda nei principi di extrema ratio dell'intervento penale e del finalismo rieducativo della pena. Si ritiene che i principi penalistici fondamentali previsti dalla Costituzione debbano orientare tutte le forme di esercizio della politica criminale di uno Stato di diritto: sia le norme incriminatrici che disciplinano il trattamento sanzionatorio sia le norme che escludono la punibilita'. La preclusione dell'applicazione di una causa di non punibilita' a fattispecie che ricomprendono nel loro spettro applicativo fatti espressivi di un scarsissimo disvalore sociale non solo compromette la ragionevolezza intrinseca del sistema penale (introducendo una disparita' di trattamento irragionevole rispetto a fatti analoghi in cui la causa di non punibilita' e' applicabile), ma determina anche una violazione del principio di personalita' della responsabilita' penale, impedendo l'individualizzazione della risposta ordinamentale, e della finalita' rieducativa della pena, imponendo l'applicazione della sanzione penale a fatti non meritevoli di pena a causa della particolare tenuita' del loro disvalore d'evento e d'azione. 3.12 Per le ragioni appena esposte si ritiene che l'esclusione della applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale al delitto di estorsione non aggravata di cui all'art. 629, comma 1 del codice penale contrasti con il principio di ragionevolezza, con riferimento all'irragionevole disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per il reato di rapina non aggravata di cui agli articoli 628, comma 1 e 2 del codice penale, e con il principio di proporzione di cui all'art. 3 della Costituzione, nonche' con i principi di personalita' della responsabilita' penale di cui all'art. 27, comma 1 Cost. e con la finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 Cost. P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, legge costituzionale n. 1/1948 e 23 e ss. legge n. 87/1953; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis, comma 3, n. 3), del codice penale nella parte in cui prevede che l'offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuita' quando si procede per il delitto, consumato o tentato, previsto dall'art. 629, primo comma, del codice penale, per violazione degli articoli 3, 27, comma 1 e 3, della Costituzione. Sospende il giudizio in corso, con conseguente sospensione del termine di prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale davanti alla Corte costituzionale; Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e per la comunicazione ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cassino, 14 luglio 2025 Il giudice: Gioia