Reg. ord. n. 162 del 2025 pubbl. su G.U. del 10/09/2025 n. 37

Ordinanza del Corte d'appello di Lecce  del 30/05/2025

Tra: P. O.

Oggetto:

Processo penale – Impugnazioni – Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per prescrizione – Denunciata previsione, secondo il diritto vivente (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 30 gennaio 2020, n. 13539), che quando è stata ordinata la confisca urbanistica di cui all’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, il giudice di appello (o la Corte di cassazione), nel dichiarare estinto per prescrizione il reato di lottizzazione abusiva di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del medesimo decreto, decide sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato – Violazione del diritto alla presunzione di innocenza, come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU e affermato dal diritto dell'Unione europea.

Norme impugnate:

codice di procedura penale  del  Num.  Art. 578



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 11   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.  Co.  

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  Art. 48   Co.  

direttiva UE  Art.  Co.  

direttiva UE  Art.  Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 162 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 maggio 2025

Ordinanza del 30 maggio 2025  della  Corte  d'appello  di  Lecce  nel
procedimento penale a carico di P. O. e N. D.L.. 
 
Processo penale - Impugnazioni - Decisione  sulla  confisca  in  casi
  particolari nel caso di estinzione del  reato  per  prescrizione  -
  Denunciata  previsione,  secondo  il  diritto  vivente  (Corte   di
  cassazione, sezioni unite penali,  sentenza  30  gennaio  2020,  n.
  13539), che quando e' stata ordinata la confisca urbanistica di cui
  all'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del  2001,  il  giudice  di
  appello (o la Corte di  cassazione),  nel  dichiarare  estinto  per
  prescrizione il reato di lottizzazione abusiva di cui all'art.  44,
  comma 1, lettera c), del medesimo decreto, decide sull'impugnazione
  ai  soli  effetti  della  confisca,   previo   accertamento   della
  responsabilita' dell'imputato. 
- Codice di procedura penale, art. 578-bis. 


(GU n. 37 del 10-09-2025)

 
                    LA CORTE DI APPELLO DI LECCE 
                        Sezione Prima Penale 
 
    Composta dai sigg.: 
      dott. Francesco Ottaviano Presidente; 
      dott. Giuseppe Biondi Consigliere rel.; 
      dott. Francesco Cacucci Consigliere; 
    Letti gli atti del procedimento penale  in  epigrafe  indicato  a
carico di: 
      1) D   L   N   (gia' legale  rappresentante  della  ditta  gia'
proprietaria delle aree e degli immobili di seguito  indicati),  l  ,
ivi residente  alla  via      difeso  di  fiducia  dall'avv.  Michele
Tedesco del Foro di Salerno e dall'avv.  Vito  Epifani  del  Foro  di
Brindisi; 
    2) O P (locatario delle aree e degli immobili nonche' committente
ed esecutore dei lavori), nato a   il   , ivi residente in difeso  di
fiducia dall'avv. Davide De Giuseppe del Foro  di  Brindisi  Imputati
delle contravvenzioni di cui agli arti. 181 del  decreto  legislativo
n. 42/2004, 30, 44-lett. c) e 95 del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001, 81 cpv. e 110 (113) codice penale in  quanto,
con piu'  azioni  ed  omissioni  esecutive  di  un  medesimo  disegno
criminoso nonche' in concorso tra loro (ovvero cooperazione tra loro)
e con le qualita' di cui in rubrica, realizzavano ovvero  cooperavano
a realizzare, in totale assenza di legittimi permessi di costruire  e
autorizzazioni paesaggistiche, ed anche violando le  prescrizioni  di
cui al capo  IV  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001 (preavviso allo sportello unico del  Comune),  un  complesso
intervento edilizio di trasformazione  urbanistica  ed  edilizia  dei
terreni di seguito indicati, mediante la realizzazione di una vera  e
propria struttura  commerciale,  destinata  ad  ospitare  stabilmente
attivita' ricreative (anche per intrattenimento musicale e danzante),
pubblici   spettacoli   ed   eventi   ristorazione   e    parcheggio,
assolutamente incompatibile con la destinazione urbanistica  e  d'uso
dell'area di  intervento  (zona  E  delle  N.T.A.  del  Comune  di  ,
vincolata  paesaggisticamente  prima  dal  P.U.T.T./P.  quale  ambito
territoriale esteso di livello B, e poi dal P. P. T. R. quale  Ambito
Paesaggistico 9/La campagna   ). 
    Commesso in agro  del  Comune  di  localita'  (catasto  foglio  e
porzioni delle particelle per un'area di mq. nonche'  porzioni  delle
particelle per un area di mq.    ) fino al    
 
                               Osserva 
 
    l. Premessa e svolgimento del processo. 
    1.1. Con sentenza del Tribunale di Brindisi in  data  20  ottobre
2021 D L N e O Pierangelo venivano ritenuti responsabili dei reati di
cui agli articoli 30, 44 lettera c) e 95 decreto del Presidente della
Repubblica n. 380/2001, loro ascritti in imputazione, e, ritenuta  la
continuazione criminosa tra le violazioni, venivano  condannati  alla
pena di mesi dieci di arresto e euro 37.500,00 di  ammenda  ciascuno,
oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa per il  solo
O    . Visto l'art. 31 decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001, veniva ordinata la demolizione di tutte le opere  eseguite.
Visto l'art. 44, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica  n.
380/2001 veniva ordinata la  confisca  dell'area  e  delle  opere  in
giudiziale sequestro. 
    I due imputati venivano assolti dal reato  di  cui  all'art.  181
decreto legislativo n. 42/2004 perche' il fatto non sussiste. 
    1.2. Avverso la citata sentenza proponevano tempestivi appelli  i
difensori di fiducia dell'imputato D L N ,  censurando  la  pronuncia
sulla base dei seguenti motivi sintetizzati per quanto di interesse: 
      a. Appello presentato dall'avv. Michele Tedesco. 
      Con  il  primo  motivo  di  appello  si  chiede   l'assoluzione
dell'imputato perche' il fatto non sussiste o perche'  il  fatto  non
costituisce reato, ovvero per non avere commesso il fatto,  anche  ai
sensi dell'art. 530 comma 2 codice di procedura penale. 
      Si chiede, altresi', sentenza  di  non  doversi  procedere  per
intervenuta prescrizione maturata  prima  dell'esercizio  dell'azione
penale.  Sostanzialmente,  si  sostiene  P   estraneita'   ai   fatti
dell'imputato, il quale avrebbe rivestito la carica di amministratore
unico della    data in cui veniva costituita la nuova societa' di cui
era legale rappresentante A   M   . In questa ultima societa' il D  L
non era neppure socio, ne' sarebbe comparso in seguito  alla  fusione
nella societa' . Le  varie  autorizzazioni  di  cui  si  discute  non
sarebbero state mai rilasciate al D   L   ne' in  proprio  ne'  quale
rappresentante delle varie societa'. Sul piano societario, quindi, il
D   L    non potrebbe ritenersi coinvolto nei fatti in contestazione.
Sul  piano  fattuale,  non  pochi  dubbi  emergerebbero   in   ordine
all'individuazione del titolare dell'area e dei beni. In  ogni  caso,
non sarebbe stata affatto realizzata  un'apprezzabile  trasformazione
urbanistica  della  zona,  atteso  che  gli  eventi  di  cui  si   fa
riferimento in  sentenza  non  avrebbero  inciso  sulla  destinazione
agricola della zona. Gli immobili presenti sull'area sarebbero  stati
realizzati in epoca anteriore al    , con  l'unica  eccezione  di  un
muro dotato di archi che sarebbe stato realizzato in epoca successiva
al . In definitiva, il reato  si  sarebbe  estinto  per  prescrizione
anche prima dell'esercizio dell'azione penale. 
      Con il secondo motivo di impugnazione si chiede la revoca della
confisca, che sarebbe stata disposta rispetto ad aree ed immobili  di
proprieta' della societa' completamente estranea al processo. D'altra
parte, il  reato  si  sarebbe  estinto  per  prescrizione  ben  prima
dell'esercizio dell'azione penale. 
      Con  il  terzo  motivo  di  doglianza  si  lamenta  il  gravoso
trattamento  sanzionatorio  in  conseguenza   anche   della   mancata
concessione delle circostanze  attenuanti  generiche.  Si  invoca  il
beneficio  di  cui  all'art.  163  codice  penale  e  si  chiede   la
conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria. 
      b. Appello presentato dall'avv. Vito Epifani. 
      Con  il  primo  motivo  di  appello  si  chiede   l'assoluzione
dell'imputato  per  non  avere  commesso  il  fatto,  sostanzialmente
ricalcando le stesse argomentazioni gia' esposte nell'altro appello. 
      Con il secondo motivo di impugnazione si chiede la revoca della
confisca disposta in palese violazione dell'art. 7 CEDU, evidenziando
anche in questo caso che le aree e i beni confiscati appartengo  alla
societa', che sarebbe estranea al reato. 
    1.3. Proponeva tempestivo appello anche il difensore  di  fiducia
dell'imputato O P. , censurando la pronuncia sulla base dei  seguenti
motivi sintetizzati per quanto di interesse: 
    Con  il  primo  motivo  di  appello   si   chiede   l'assoluzione
dell'imputato perche' il fatto non sussiste, o con altra  formula  di
giustizia, anche ai sensi dell'art. 530 comma 2 codice  di  procedura
penale  La  sentenza  impugnata  si  fonderebbe  solo  sulle   errate
conclusioni cui sarebbe pervenuto il  consulente  tecnico  del  p.m.,
nonostante la loro smentita in sede  dibattimentale.  Piu'  volte  si
sarebbe evidenziata al primo giudice,  da  un  lato,  la  buona  fede
dell'O. P. , che aveva richiesto ed ottenuto dalla citta' di Brindisi
tutti i  permessi  necessari,  dall'altra,  la  sua  estraneita'  con
riguardo ad ogni intervento edilizio  di  trasformazione  urbanistica
dell'area de  qua.  Le  attivita'  svolte  dall'appellante  sarebbero
sempre state a carattere  stagionale,  rispettando  sempre  i  limiti
temporali imposti -il periodo estivo- e le preclusioni  di  carattere
agricolo - la coltivazione  invernale  delle  aree  agricole.  Ma  il
giudice di primo grado, errando, sosteneva piu'  volte  che  l'intera
struttura non avesse il carattere della precarieta' e  stagionalita'.
Il  reato  di  lottizzazione  abusiva  non  potrebbe  trovare   alcun
giuridico  o  fattuale   fondamento.   Il   semplice   e   temporaneo
«schiacciamento del terreno», operato dalle vetture dei  partecipanti
agli  eventi  su  aree  precedentemente  destinate   a   coltivazioni
stagionali,  certamente  non   potrebbe   assurgere   al   ruolo   di
lottizzazione abusiva, in mancanza  anche  di  indicazioni  circa  il
numero delle volte, durante la stagione estiva, in cui questi  eventi
sarebbero stati tenuti. D'altra  parte,  l'O    aveva   sempre  agito
sulla base di autorizzazioni  amministrative,  sicche'  il  reato  di
lottizzazione abusiva non potrebbe configurarsi, essendo previsto che
si configuri in mancanza dell'atto amministrativo, e non in  caso  di
atto amministrativo illegittimo. 
    Con il secondo motivo di impugnazione si chiede di  rideterminare
la pena in termini piu' equi previo riconoscimento delle  circostanze
attenuanti generiche. 
    All'odierna udienza del 30 maggio 2025, presente il solo imputato
D   L   , assente l'imputato Oliva, dopo la discussione delle  parti,
che hanno concluso come da  verbale,  e'  stata  emessa  la  seguente
ordinanza, letta alle parti presenti o da ritenersi tali  e  allegata
al verbale di udienza. 
    2. In punto di rilevanza della questione. 
    2.1. L'applicazione nel caso di specie dell'art. 578-bis  c.p.p.,
oggetto delle censure di incostituzionalita'. 
    Va osservato che i reati per i quali i due  imputati  sono  stati
condannati in primo grado  sono  estinti  per  prescrizione.  Invero,
dalla  data  del  commesso  reato,  individuata  nel  9  agosto  2018
(coincidente con la data di sequestro dell'area e degli immobili,  in
mancanza di elementi da cui desumere la  prosecuzione  dell'attivita'
lottizzatoria), sono decorsi i  cinque  anni,  che  costituiscono  il
termine   massimo   di    prescrizione,    trattandosi    di    reati
contravvenzionali. In mancanza di altri periodi  di  sospensione  del
termine prescrizionale, anche considerando il periodo di  sospensione
di cui all'art. 159, comma 2, n. 1), c.p., nel testo modificato dalla
legge n. 103/2017 (vedi sul punto decisione delle Sezioni Unite  come
da informazione provvisoria dell'udienza del 12  dicembre  2024),  il
termine e' maturato al piu' tardi il 9 febbraio  2025.  Gli  imputati
non hanno rinunciato alla prescrizione. 
    Va ancora detto che, per quanto di rilevanza in  questa  sede,  e
salvo approfondimenti di merito in sede di giudizio, allo  stato  non
emerge con evidenza che il reato risulti consumato in epoca anteriore
al 9 agosto 2018, e, precisamente, prima  dell'esercizio  dell'azione
penale,    circostanza    il    cui    accertamento     comporterebbe
l'impossibilita' di disporre la confisca urbanistica di cui  all'art.
44, comma 2, decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001
(vedi ex plurimis Cassazione pen. sez. III,  26  settembre  2019,  n.
50428).  Al  riguardo,  si  richiama  non  solo  quanto  diffusamente
argomentato dal giudice di  prime  cure  in  tutta  la  sentenza,  ma
soprattutto e, in particolare,  quanto  riportato  a  pag.  35  della
sentenza impugnata. 
    Cio' precisato, con gli appelli, come visto, si  chiede  a  vario
titolo l'assoluzione di entrambi  gli  imputati,  anche  con  formula
dubitativa, e, quindi, anche ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., vuoi
prospettando la loro estraneita' ai fatti, vuoi contestando la stessa
sussistenza della lottizzazione abusiva. 
    Orbene, se l'estinzione dei reati per  prescrizione  comporta  il
venire meno  dell'ordine  di  demolizione  ex  art.  31  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001 (cfr. ex plurimis e da ultimo
Cassazione pen. sez. III, 27 ottobre 2015, n. 50441 e Cassazione pen.
sez. II, 13 febbraio 2025, n. 8616), per  contro,  ai  sensi  proprio
della norma censurata,  come  interpretata  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' (vedi su tutte Cass. pen. sez. un. 30 gennaio  2020,  n.
13539, imp. ), «la confisca  di  cui  all'art.  44  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380  del  2001  puo'  essere  disposta
anche  in  presenza  di  una  causa   estintiva   determinata   dalla
prescrizione del reato purche' sia  stata  accertata  la  sussistenza
della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e  soggettivo,
nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio  e
la piu' ampia partecipazione degli interessati, fermo  restando  che,
una  volta  intervenuta  detta  causa,  il  giudizio  non  puo',   in
applicazione dell'art. 129, comma 1, c.p.p., proseguire al solo  fine
di compiere  il  predetto  accertamento.  In  caso  di  declaratoria,
all'esito del giudizio di impugnazione, di estinzione  del  reato  di
lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di  appello  e  la
Corte di cassazione sono tenuti, in  applicazione  dell'art.  578-bis
c.p.p., a decidere sull'impugnazione agli effetti della  confisca  di
cui all'art. 44 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  380
del 2001». La confisca dei terreni abusivamente lottizzati  e'  delle
opere ivi illegittimamente costruite, gia' disposta in primo grado ai
sensi dell'art. 44, comma 2, decreto del Presidente della  Repubblica
6 giugno 2001 n. 380, ove sia accertata la sussistenza degli elementi
soggettivo e oggettivo del reato, deve essere mantenuta  dal  giudice
dell'impugnazione, in caso di  intervenuta  prescrizione  del  reato,
anche in relazione ai reati commessi prima della  entrata  in  vigore
dell'art. 578-bis c.p.p., avendo  detta  disposizione,  in  relazione
alla confisca in oggetto, natura  esclusivamente  processuale  (Cass.
pen. sez. III, 7 aprile 2022, n. 21910).  In  tema  di  lottizzazione
abusiva,   la   decisione   di   appello   che,    in    accoglimento
dell'impugnazione  del  procuratore  generale,  abbia   disposto   la
confisca dei terreni e delle opere abusive, omessa nella sentenza  di
proscioglimento di primo grado per  intervenuta  prescrizione,  senza
motivare adeguatamente sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del
reato, va annullata con rinvio affinche'  sia  colmato  tale  deficit
argomentativo nel decidere, ex art. 578-bis c.p.p., sull'impugnazione
agli effetti della confisca di cui all'art. 44, comma 2, decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n.  380  (Cass.  pen.  sez.
III, 16 settembre 2020, n. 31182). In tema di lottizzazione  abusiva,
il giudice di appello, adito a seguito di decisione emessa  in  primo
grado dichiarativa  dell'estinzione  del  reato  per  prescrizione  e
contestualmente dispositiva della confisca dei  terreni  abusivamente
lottizzati e  delle  opere  su  di  essi  realizzate,  e'  tenuto  ad
accertare, con pieno apprezzamento del merito della regiudicanda,  la
sussistenza degli elementi costitutivi, oggettivi e  soggettivi,  del
reato e i  presupposti  di  proporzionalita'  richiesti  per  imporre
l'indicata misura ablatoria, imponendolo il disposto di cui  all'art.
578-bis c.p.p., applicabile  alla  confisca  prevista  dall'art.  44,
comma 2, decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno  2001,  n.
380, e privandosi,  altrimenti,  il  destinatario  del  provvedimento
ablativo di qualsiasi rimedio impugnativo, a fronte di una  decisione
fortemente incidente sul suo diritto di proprieta' (Cass.  pen.  sez.
III, 19 gennaio 2024, n. 9456). In tema di lottizzazione abusiva,  e'
legittima  la  confisca  disposta  nel  giudizio  di  primo  grado  e
mantenuta  in  grado  di  appello  con  sentenza  di  conferma  della
decisione  che  abbia  accertato  la  sussistenza  del   reato,   pur
dichiarandone la prescrizione, sulla base delle prove dichiarative  o
documentali  finalizzate  all'accertamento  dell'esistenza  dei  suoi
elementi oggettivi e soggettivi, acquisite, nel contraddittorio delle
parti, antecedentemente al maturare della causa  estintiva,  a  nulla
rilevando la dedotta incompletezza  dell'istruttoria  dibattimentale,
per  mancata  assunzione  delle  prove  a  discarico,  posto  che  e'
sufficiente che  vi  sia  la  possibilita',  per  il  giudicante,  di
decidere allo stato degli atti fino  a  quel  momento  acquisiti,  in
ragione del potere di rinuncia all'assunzione  delle  prove  ammesse,
riconosciuto alle  parti,  oltre  che  di  revoca  delle  stesse  per
superfluita', attribuito al giudice e del divieto, vigente  in  grado
di appello, di svolgere attivita' istruttoria  integrativa  ai  sensi
dell'art. 603 codice di procedura penale (Cass.  pen.  sez.  III,  13
novembre 2024, n. 8067/25). 
    Cio' posto, come ha  ricordato  la  stessa  Corte  costituzionale
(vedi sentenza n. 182  del  2021),  il  giudizio  che  si  chiede  di
esprimere al giudice di appello ai sensi dell'art. 518-bis codice  di
procedura penale e' diverso da quello previsto dall'art.  578  codice
di procedura  penale  Si  legge  testualmente:  «anzitutto,  un  tale
giudizio non e' richiesto  dal  tenore  testuale  della  disposizione
censurata (art. 578 codice di procedura penale) che, a differenza  di
quella immediatamente successiva (art. 578-bis  codice  di  procedura
penale), non prevede il «previo  accertamento  della  responsabilita'
dell'imputalo». Il confronto tra l'art. 578 e l'art.  578-bis  codice
di procedura penale e'  rilevante  proprio  al  fine  di  chiarire  l
'ambito  della  cognizione  richiesta  dalla  norma   sospettata   di
illegittimita' costituzionale. L'art. 578-bis concerne  l'ipotesi  in
cui la «coda» di accertamento richiesto al giudice  dell'impugnazione
penale, in seguito alla sopravvenuta causa estintiva del  reato  (per
prescrizione o amnistia), che travolge la condanna emessa  nel  grado
precedente,  concerne  non  gia'  gli   interessi   civili,   ma   la
sussistenza, o meno,  dei  presupposti  di  un  provvedimento  avente
natura punitiva secondo i canoni interpretativi della  giurisprudenza
di Strasburgo. Diversamente dall'art. 578,  infatti,  l'art.  578-bis
presuppone, ai fini della sua applicazione, non gia'  che  nel  grado
precedente sia stata pronunciata condanna risarcitoria o restitutoria
in favore della parte  civile,  bensi'  che  sia  stata  ordinata  la
«confisca in casi  particolari»  di  cui  al  primo  comma  dell'art.
240-bis del codice penale o di  altre  disposizioni  di  legge  o  la
confisca prevista dall'art. 322-ter  del  codice  penale.  In  questo
caso, pur rilevata la causa estintiva del reato, essendo  il  giudice
chiamato a valutare i presupposti della  conferma,  o  meno,  di  una
sanzione  di  carattere  punitivo  ai  sensi  dell'art.  7  CEDU,  la
dichiarazione di responsabilita' dell'imputato  in  ordine  al  reato
ascritto gli non solo e' consentita, ma e' anzi doverosa, poiche' non
si puo' irrogare una pena senza il giudizio sulla sussistenza di  una
responsabilita' personale, sebbene sia sufficiente che tale  giudizio
risulti   nella   «sostanza   dell'«accertamento»   contenuto   nella
motivazione della sentenza, non essendo  necessario  che  assuma,  in
dispositivo, la «forma della pronuncia» di condanna (sentenza  n.  49
del 2015; Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  sentenza  e  altri
contro Italia). Il dettato  dell'art.  578-bis  codice  di  procedura
penale risponde a tale esigenza, imponendo  al  giudice  del  gravame
penale, chiamato a decidere sulla  confisca  dopo  aver  rilevato  la
causa  estintiva   del   reato,   il   «previo   accertamento   della
responsabilita' dell'imputato». 
    Circa la natura  di  «pena»  ai  sensi  dell'art.  7  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali  della confisca urbanistica di cui all'art. 44, comma 2,
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 si richiama Corte
europea dei diritti dell'uomo, grande camera, 28 giugno 2018, e altri
comma Italia (§ 233). 
    2.2. La rilevanza della questione di legittimita' costituzione. 
    Secondo il «diritto vivente», rappresentato dalla  giurisprudenza
di legittimita' nella sua piu' alta espressione (le  Sezioni  Unite),
ma anche secondo la sentenza interpretativa di  rigetto  della  Corte
costituzionale n. 182/2021, affinche' il giudice di appello  confermi
la confisca urbanistica ai sensi dell'art. 44, comma 2,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001, disposta in primo grado, pur
constatando  l'intervenuta  estinzione  del  reato  di  lottizzazione
abusiva per prescrizione, e' necessario che confermi (o  affermi)  la
(sostanziale) responsabilita' penale dell'imputato in ordine al reato
di lottizzazione abusiva, che deve essere accertato in tutti  i  suoi
elementi costitutivi (oggettivi e soggettivi). 
    Non  e'   possibile   limitarsi   ad   una   mera   constatazione
dell'insussistenza  dei  presupposti  per  pronunciare  sentenza   di
assoluzione ai sensi dell'art.  129,  comma  2,  c.p.p.,  ma  occorre
necessariamente  approfondire  tutti  gli  aspetti   della   vicenda,
oggettivi e soggettivi, con  pieno  apprezzamento  nel  merito  della
vicenda (vedi sempre Cassazione pen. sez. un. , 30 gennaio  2020,  n.
13539, imp. Perroni, nonche' Cassazione pen. sez. III,  16  settembre
2020, n. 31182 e Cassazione pen. sez. III, 19 gennaio 2024, n. 9456). 
    A fronte di tale dato normativa, come interpretato  dal  «diritto
vivente», assume rilevanza la questione della  conformita'  dell'art.
578-bis  codice  di  procedura  penale   relativamente   al   diritto
fondamentale al  rispetto  della  presunzione  di  innocenza  di  cui
all'art. 6 comma 2 CEDU, cosi' come  declinato  dalla  giurisprudenza
della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  da  intendersi  come
parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost. nonche',  rispetto
al diritto dell'Unione europea,  e,  in  specie,  in  relazione  agli
articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e art. 48 CDFUE, anche  in
questo caso letti come parametri interposti degli articoli 11  e  117
Cost. 3. In punto di non manifesta infondatezza della questione. 
    3.1. Rispetto all'art. 6. comma 2,  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali 
quale parametro interposto dell'art. 117, comma 1, Cost. 
    La questione appare rilevante alla luce delle affermazioni  della
Corte europea dei diritti dell'uomo in una recente  sentenza  che  ha
riguardato un caso italiano, di applicazione  dei  principi  espressi
dalla Cassazione penale nella nota sentenza (Cass. pen. sez. un. , n.
31617/2015), principi poi sostanzialmente trasfusi nella norma di cui
all'art. 578-bis c.p.p., in questa sede censurata, non a  caso  presa
in esame dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella  descrizione
del quadro giuridico e delle prassi pertinenti nel diritto interno. 
    Si allude alla sentenza Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  I
sez., 19 dicembre 2024, i comma Italia, che puo' ritenersi definitiva
atteso che in data 28 aprile 2025 e' stata rigettata la richiesta  di
rinvio alla grande camera avanzata dal Governo italiano. 
    Nel caso di specie, la Corte alsaziana ha ritenuto violato l'art.
6, comma 2, Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  in un caso in cui era  stata
confermata dalla Corte di Appello la confisca  diretta,  disposta  in
primo grado con sentenza di condanna, benche' il  reato  fosse  stato
dichiarato  estinto  per  prescrizione,  e  cio'  sulla  base   della
constatazione che, per confermare la confisca, i giudici  di  appello
avessero ribadito la penale responsabilita' dell'imputato. 
    E' bene riportare per esteso la  parte  della  motivazione  della
sentenza, come tradotta dal Ministero della  giustizia,  nella  quale
sono  riportati  i  principi  generali  in  tema  di  presunzione  di
innocenza. 
    «121. L'art.  6  §  2  tutela  il  diritto  di  essere  «presunto
innocente fino a quando la  colpevolezza  non  sia  stata  legalmente
accertata». Considerata una garanzia  procedurale  nel  contesto  del
processo  penale,  la  presunzione  di  innocenza  impone   requisiti
relativi, inter alia, all'onere  della  prova,  alle  presunzioni  di
fatto  e  di  diritto,  al  diritto  di  non  autoincriminarsi,  alla
pubblicita' preprocessuale e alle espressioni premature, da parte del
tribunale di  primo  grado  o  di  altri  pubblici  ufficiali,  della
colpevolezza di un imputato (si veda Allen comma Regno 
    Unito [GC], n. 25424/09, §  93,  CEDU  2013).  Nello  svolgimento
delle loro funzioni, i membri di un tribunale non dovrebbero  partire
dall'idea preconcetta che l'imputato abbia commesso il reato  di  cui
e' accusato, e qualsiasi dubbio dovrebbe favorire l'imputato (si veda
Barbera', Messegue' e Jabardo comma Spagna, 6 dicembre  1988,  §  77,
Serie A n. 146). 
    122. Tuttavia, in conformita' alla necessita' di  assicurare  che
il diritto garantito dall'art. 6 § 2 sia  pratico  ed  effettivo,  la
presunzione di innocenza presenta anche un altro aspetto. Il suo fine
generale, in tale secondo aspetto, e' quello di proteggere le persone
che sono state assolte da un'accusa penale, o nei  cui  confronti  e'
stato disposto il non luogo a  procedere,  dall'essere  trattate  dai
pubblici ufficiali e dalle autorita' come se  fossero  effettivamente
colpevoli del reato di cui sono state  accusate.  In  tali  casi,  la
presunzione di innocenza ha  gia'  operato,  mediante  l'applicazione
durante  il  processo  dei  vari  requisiti  inerenti  alla  garanzia
procedurale che esso offre, di impedire che  sia  inflitta  un'iniqua
condanna penale.  Senza  una  protezione  che  assicuri  il  rispetto
dell'assoluzione o della  decisione  di  non  luogo  a  procedere  in
qualsiasi  altro  procedimento,  le  garanzie  di  un  equo  processo
previste dall'art. 6 § 2 potrebbero rischiare di diventare teoriche e
illusorie (si veda Allen, sopra citata, § 94). Benche' tali  principi
siano stati enunciati in relazione  a  dichiarazioni  effettuate  nel
contesto di successivi procedimenti, essi sono stati applicati  anche
alle dichiarazioni contenute nella  stessa  decisione  che  pronuncia
l'assoluzione o dispone il non luogo a procedere (si vedano  Pasquini
comma San Marino (n. 2), n. 23349117, §§ 48-49 e 55, 20 ottobre 2020;
e  altri,  sopra  citata,  §§  314  e  317;  e  Cleve  c.   Germania,
n. 48144/09, §§53 e 56, 15 gennaio 2015). 
    123. Nella recente causa Nealon e Hallam c.  Regno  Unito  ([GC],
nn. 32483/19 e 35049/19, §§ 168-169, 11 giugno  2024),  la  Corte  ha
chiarito che - a prescindere dal fatto che il procedimento penale  in
questione si sia concluso con un'assoluzione o con  un  non  luogo  a
procedere - le decisioni (e  la  loro  motivazione)  pronunciate  dai
tribunali interni o da altre autorita'  nei  successivi  procedimenti
(considerate nell'insieme e adottate nel contesto dell'esercizio  che
essi sono tenuti a svolgere in base al diritto interno)  violerebbero
il secondo aspetto dell'art. 6 § 2 della Convenzione se equivalessero
all'attribuzione della responsabilita' penale al ricorrente. Inoltre,
la Corte ha chiarito che la protezione offerta  dal  secondo  aspetto
dell'art.  6  §  2  non  dovrebbe  essere  interpretata  in  modo  da
precludere ai tribunali nazionali nei successivi procedimenti  -  nei
quali essi eserciterebbero una  funzione  differente  da  quella  del
giudice penale,  in  conformita'  alle  pertinenti  disposizioni  del
diritto  interno  -  di  occuparsi  dei  medesimi  fatti  decisi  nei
precedenti  procedimenti  penali,  purche'   nel   farlo   essi   non
attribuiscano all'interessato la responsabilita' penale. 
    124. La  Corte  ribadisce  che  una  decisione  giudiziaria  puo'
rispecchiare l'opinione che il  ricorrente  sia  colpevole  anche  in
assenza  di  una  formale  constatazione   della   colpevolezza;   e'
sufficiente che vi  sia  qualche  ragionamento  che  indichi  che  il
tribunale  considera  l'imputato  colpevole  (si  vedano  Böhmer   c.
Germania, n. 37568197, §54, 3 ottobre 2002; Baars c. Paesi Bassi,  n.
44320/98, § 26, 28 ottobre 2003; e Cleve, sopra citata, §53). 
    125. La Corte ribadisce  inoltre  che  nei  casi  concernenti  il
rispetto della presunzione di  innocenza,  il  linguaggio  utilizzato
dalla  persona  responsabile  della  decisione  sara'  di  importanza
cruciale nel valutare la compatibilita' della decisione e  della  sua
motivazione con l 'art. 6 § 2 (si raffronti Allen,  sopra  citata,  §
126 con ulteriori rinvii). Si deve tenere  conto,  a  tale  riguardo,
della natura e del contesto del particolare procedimento in cui  sono
state  effettuate  le  dichiarazioni  contestate.   La   Corte   deve
determinare il vero senso  delle  dichiarazioni  contestate,  tenendo
conto delle particolari circostanze in cui sono state effettuate  (si
raffronti Petyo Petkov c. Bulgaria, n.  32130/03,  §  90,  7  gennaio
2010). A seconda delle circostanze, anche l  'uso  di  un  linguaggio
infelice puo' quindi non essere ritenuto in violazione dell'art. 6  §
2 (si raffrontino Englert c. Germania, 25 agosto 1987, §§  39  e  41,
Serie A n. 123; Allen, sopra citata§ 126; e Cleve,  sopra  citata  §§
54-55). 
    126.  Si  puo'   evincere   dall'esame   di   cui   sopra   della
giurisprudenza della Corte che, nell'esaminare la conformita' di  una
dichiarazione o di una decisione all'art. 6 § 2, e'  decisivo  tenere
conto della natura e del contesto del procedimento nel quale e' stata
effettuata la dichiarazione o e' stata adottata la decisione (si veda
Bikas c. Germania, n. 76607/13, § 47, 25 gennaio 2018).» 
    Applicati questi principi, che,  e'  bene  dire  fin  da  subito,
costituiscono diritto consolidato europeo, al caso sottoposto al  suo
esame, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha cosi' motivato: 
      «127. La Corte osserva  che,  nel  caso  di  specie,  il  primo
ricorrente non ha lamentato alcuno  specifico  linguaggio  utilizzato
nelle  sentenze  dei  tribunali  interni.   Ha   sostenuto   che   il
provvedimento di confisca,  che  era  stato  basato  sul  sostanziale
accertamento della responsabilita' penale, comportava necessariamente
la constatazione della colpevolezza del primo ricorrente - nonostante
fosse stato disposto il non luogo a procedere. 
    128. Nel caso di specie, i tribunali interni  hanno  disposto  la
confisca dei beni del ricorrente nonostante fosse stato  disposto  il
non luogo  a  procedere  e,  pertanto,  in  assenza  di  una  formale
condanna. 
    129. A tale riguardo,  la  Corte  e'  consapevole  del  crescente
ricorso - sia ai  sensi  dell'ordinamento  giuridico  interno  che  a
livello internazionale - a  forme  di  confisca  non  basate  su  una
condanna (si vedano i paragrafi 41-43 e 47-48 supra),  in  base  alle
quali i giudici possono essere chiamati a  disporre  la  confisca  di
beni di origine illecita anche in assenza di  una  condanna.  A  tale
riguardo, la Corte ritiene che  la  protezione  offerta  dal  secondo
aspetto dell'art. 6 § 2 non dovrebbe essere interpretata in  modo  da
precludere ai tribunali nazionali di  occuparsi  degli  stessi  fatti
decisi nei procedimenti penali al  fine  di  disporre  una  forma  di
confisca non basata su una  condanna,  purche'  nel  farlo  essi  non
attribuiscano all'interessato la  responsabilita'  penale  (si  veda,
mutatis mutandis, Nealon e Hallam, sopra citata, § 169). 
    130. La Corte esaminera' pertanto se,  nel  caso  di  specie,  le
sentenze dei tribunali  interni  abbiano  comportato  un'attribuzione
della responsabilita' penale al ricorrente.  A  tale  riguardo,  essa
terra' conto sia del linguaggio che della motivazione delle decisioni
interne, nonche' del contesto circostante. 
    131. La Corte osserva che e' un requisito  formale  che  per  una
confisca  ai  sensi  dell'art.  322-ter  del  CP  debba  esservi  una
«condanna» (si veda il paragrafo 21 supra). Secondo l'interpretazione
seguita dai tribunali interni nella causa in  esame,  tale  requisito
sara' soddisfatto anche in caso di estinzione del reato in questione,
purche' il ricorrente sia stato  considerato  responsabile  in  primo
grado e tale sentenza  sia  rimasta  successivamente  inalterata  nel
merito (si vedano i paragrafi 34-35 supra). 
    132. Conseguentemente, in relazione al caso di specie la Corte di
appello  di  Salerno  ha  osservato  che  il  ricorrente  era   stato
condannato in  primo  grado  e  che,  in  appello,  tale  considerata
compatibile con i requisiti dell'art. 7 della Convenzione (ibid.,  §§
258-62),  cio'  non  ha  pregiudicato   la   successiva   valutazione
dell'eventuale violazione dell'art. 6 § 2 della Convenzione (ibid. §§
317-18). 
    140. Alla  luce  delle  summenzionate  considerazioni,  la  Corte
ritiene che l'attribuzione  della  responsabilita'  penale  al  primo
ricorrente nonostante fosse stato disposto il non luogo  a  procedere
abbia violato il suo diritto di essere presunto innocente.» 
    Dunque,  facendo  applicazione  di  principi  consolidati   nella
giurisprudenza europea (a  tale  punto  consolidati  che,  nonostante
opinioni dissenzienti espresse da alcuni  giudici,  fra  i  quali  il
giudice di nazionalita' italiana, la richiesta del  Governo  italiano
di rimettere la questione alla grande camera e' stata  rigettata)  la
Corte dei diritti umani ha ribadito un concetto chiaro, e cioe'  che,
quando un procedimento penale si chiude con sentenza di assoluzione o
di estinzione  del  reato  per  prescrizione,  affinche'  il  diritto
fondamentale ad  essere  presunto  innocente  non  venga  violato  e'
necessario che le persone che sono state assolte da un'accusa penale,
o nei confronti delle  quali  e'  stato  interrotto  un  procedimento
penale, non siano trattate dai pubblici ufficiali e  dalle  autorita'
come se fossero di fatto colpevoli del reato contestato. 
    Sicche', quando un procedimento penale, da un lato,  si  conclude
in appello con sentenza dichiarativa dell'estinzione  del  reato  per
prescrizione,  ma  dall'altra   attribuisce   allo   stesso   giudice
dell'appello penale, che si e' pronunciato  sull'imputazione  penale,
anche di decidere su, ad esempio, il risarcimento  del  danno  dovuto
alla vittima (vedi Corte europea dei diritti  dell'uomo,  20  ottobre
2020, Pasquini c. San Marino), ovvero, sulla confisca  diretta  (vedi
Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. l,  19  dicembre  2024,  c.
Italia), ovvero ancora sulla stessa confisca urbanistica (vedi  Corte
EDU, grande camera, 28 giugno 2018,    e altri), cio'  facendo  sulla
base dello stesso fascicolo processuale, esistendo un  nesso  tra  le
due determinazioni, risulta  pienamente  operativa  la  garanzia  del
processo equo di cui all'art. 6, comma 2, CEDU. 
    Cio' che e' in gioco, una volta terminato il procedimento penale,
e' anche la reputazione della persona e il modo  in  cui  essa  viene
percepita dal pubblico. In una certa misura,  la  protezione  offerta
dall'art. 6, comma 2, CEDU a questo riguardo  puo'  sovrapporsi  alla
protezione offerta dall'art. 8 CEDU (vedi ancora  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, grande camera, 28 giugno 2018, e altri c.  Italia,
§ 314). 
    Con riguardo  a  dichiarazioni  successive  alla  cessazione  del
procedimento penale non con  sentenza  di  assoluzione,  ma  comunque
senza che l'imputato sia stato precedentemente  dimostrato  colpevole
secondo la legge, risulta violata la presunzione di innocenza se  una
decisione  giudiziaria  che  lo  riguarda  riflette  un'opinione   di
colpevolezza (nel senso che «imputare la responsabilita' penale a una
persona equivale a esprimere un'opinione secondo  cui  la  stessa  e'
colpevole secondo lo standard penale della commissione di  un  reato,
suggerendo cosi' che il procedimento  penale  avrebbe  dovuto  essere
definito diversamente»: Corte EDU, grande  camera,  11  giugno  2024,
Nealon e Hallam c. Regno Unito, § 168). Peraltro, aggiunge sempre  la
Corte, la sua giurisprudenza non distingue  tra  i  casi  in  cui  le
accuse vengono  sospese  perche'  cadute  in  prescrizione  prima  di
qualsiasi accertamento penale e quelli in cui vengono sospese per  lo
stesso motivo dopo una prima constatazione di colpevolezza. 
    Pertanto, afferma la Corte, le constatazioni  di  prima  istanza,
che non sono definitive, non possono condizionare  le  determinazioni
successive (Corte EDU, la gia' citata Pasquini c. San Marino, § 63). 
    In buona sostanza, la Corte europea  dei  diritti  dell'uomo  non
esclude affatto che, dopo la conclusione di un  processo  penale  con
sentenza di assoluzione o di estinzione del reato  per  prescrizione,
possa essere accertato il diritto della vittima o del danneggiato dal
reato al risarcimento del danno, ovvero  possa  essere  disposta  una
confisca, nello stesso procedimento e ad opera dello  stesso  giudice
che si e' pronunciato sull'imputazione penale (assolvendo  l'imputato
o dichiarando estinto per prescrizione il  reato),  ovvero  in  altro
distinto procedimento riguardante, pero', gli stessi fatti. Cio'  che
conta, al fine di tutelare la presunzione  di  innocenza  del  (gia')
imputato, e' che il giudice che si pronuncera' sul  risarcimento  del
danno o sulla confisca, sia che si tratti dello stesso giudice che si
e'  pronunciato  sull'imputazione  penale  nell'ambito  del  medesimo
procedimento, ovvero altro giudice (o altra  pubblica  autorita')  in
diverso procedimento, non affermino in alcun modo che il risarcimento
del danno o la  confisca  siano  conseguenza  della  ritenuta  penale
responsabilita' dell'imputato (questo approccio riflette il fatto che
a livello nazionale i giudici possono essere tenuti, al di fuori  del
contesto di un'accusa penale, a giudicare  in  casi  derivanti  dagli
stessi fatti di una precedente accusa penale che non ha portato a una
condanna. La tutela offerta dall'art. 6 § 2 nel suo  secondo  aspetto
non dovrebbe essere interpretata in modo  da  impedire  ai  tribunali
nazionali,  in  procedimenti  successivi  -  in  cui  esercitano  una
funzione diversa da quella del giudice penale,  in  conformita'  alle
pertinenti disposizioni del diritto  interno  -  di  occuparsi  degli
stessi fatti decisi nel precedente procedimento penale, a  condizione
che cosi' facendo non imputino responsabilita'  penale  alla  persona
interessata. Una persona che e' stata assolta o nei cui confronti  e'
stato  interrotto  un  procedimento  penale  rimarra'  soggetta  alla
normale applicazione delle norme nazionali in materia di prova  e  di
standard probatorio al di fuori dei processi penali»:  Corte  europea
dei diritti dell'uomo, grande camera, 11 giugno 2024, Nealon e Hallam
c. Regno Unito, § 169). 
    Come  emerge  dalla  sentenza  della  grande  camera  nel   caso,
l'attribuzione della natura di «pena» ai sensi dell'art. 7 della CEDU
alla  confisca  urbanistica  comporta  l'applicabilita'   di   questa
disposizione anche in assenza di  un  procedimento  penale  ai  sensi
dell'art.  6  CEDU.  Tuttavia,  sostiene  la  Corte   europea,   come
sottolineato dalla Corte Costituzionale  nella  sentenza  n.  49/2015
(vedi punto 6.1. del Considerato in diritto),  cio'  non  esclude  la
possibilita' per le autorita' nazionali di  imporre  «pene»  mediante
procedure diverse dai  procedimenti  penali  nel  senso  del  diritto
nazionale (vedi § 233). L'art. 7 CEDU esige  che  la  confisca  fosse
prevedibile per l'imputato e che non fosse imposta in mancanza di  un
nesso intellettuale che  denotasse  un  elemento  di  responsabilita'
nella  sua  condotta  (§   245).   In   cio'   e'   l'essenza   della
responsabilita' «penale» richiesta dalla  CEDU  per  applica,  e  una
«pena» ai sensi dell'art. 7 CEDU. Tuttavia, osserva sempre  la  Corte
dei diritti umani, se da un lato e' chiaro che  la  dichiarazione  di
responsabilita' penale richiesta e' spesso contenuta in una  sentenza
penale che condanna formalmente l'imputato, in  ogni  caso  cio'  non
costituisce una norma imperativa,  purche'  ci  si  assicuri  che  la
dichiarazione di responsabilita' penale rispetti  le  tutele  di  cui
all'art. 7 CEDU e derivi da un procedimento che soddisfi le  esigenze
dell'art. 6 CEDU (§251). Ne  consegue,  altresi',  che,  riguardo  al
carattere autonomo dell' interpretazione  dell'art.  7  CEDU  fornita
dalla Corte, la conformita' a detta norma non comporta che  qualsiasi
controversia  importante  debba   essere   necessariamente   trattata
nell'ambito del procedimento  penale  in  senso  stretto.  In  questo
senso, l'applicabilita' di questa norma non ha l'effetto  di  imporre
la «criminalizzazione», da parte degli Stati, di procedure che questi
ultimi, nell'esercizio  del  loro  potere  discrezionale,  non  fanno
rientrare nel diritto penale in senso stretto. In proposito, la Corte
rammenta che ha piu' volte considerato che il  rispetto  dell'art.  6
CEDU non esclude che, in un procedimento  di  natura  amministrativa,
una «pena» sia imposta in primo luogo da un'autorita'  amministrativa
(§§ 252 e  253).  Avendo,  pertanto,  escluso  la  necessita'  di  un
procedimento penale (§ 254), la Corte conseguenzialmente esclude  che
sia necessario, per disporre la  confisca  urbanistica,  una  formale
sentenza di condanna, a condizione che i Tribunali agiscano nel pieno
rispetto dei diritti della  difesa  sanciti  dall'art.  6  CEDU.  Per
questo motivo la Corte ritiene che,  qualora  i  Tribunali  investiti
constatino  che  sussistono  tutti  gli   elementi   del   reato   di
lottizzazione abusiva, pur pervenendo a un  non  luogo  a  procedere,
soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza,
costituiscono una condanna nel senso dell'art. 7 CEDU, che, pertanto,
non viene violato (§ 260). Tuttavia, se non viene  violato  l'art.  7
CEDU, si ha violazione dell'art. 6, comma  2,  CEDU,  come  la  Corte
constatava con riguardo al ricorrente G   , che era stato assolto  in
appello dal reato di lottizzazione abusiva, ma poi  la  sentenza  era
stata annullata senza rinvio dalla Cassazione, che  aveva  dichiarato
l'estinzione del reato per prescrizione, dopo avere ritenuto  provata
la   penale   responsabilita'   dell'   imputato,   con   conseguente
applicazione della confisca ( § § da 311 a 317).  Nella  sentenza  c.
Italia, il Governo aveva fatto notare alla Corte questo  aspetto,  ma
la Corte ha escluso che vi fosse contraddizione tra la  constatazione
della violazione dell'art. 6, comma 2, CEDU nel caso al suo  esame  e
la sentenza pronunciata nella causa e altri e cio'  poiche'  in  tale
causa, mentre una confisca  basata  sulla  sostanziale  constatazione
della  responsabilita'  e'  stata  considerata  compatibile   con   i
requisiti dell'art. 7 della Convenzione, cio' non aveva  pregiudicato
la successiva  valutazione  dell'eventuale  violazione  dell'art.  6,
comma 2, della Convenzione (vedi § 139). 
    Nell'opinione dissenziente  del  giudice  Pinto  de  Albuquerque,
allegata alla sentenza Corte EDU, grande camera, 28 giugno 2018,    e
altri  c.  Italia,  il  giudice  dissenziente  aveva   fatto   notare
l'apparente contraddizione in cui sembrava essere  incorsa  la  Corte
europea, che, da un lato, con riferimento al  ricorrente  G  ,  aveva
negato  la  violazione  dell'art.  7  CEDU,  ma,  dall'altra,   aveva
riconosciuto la violazione dell'art. 6, comma 2, CEDU. Aveva concluso
testualmente il giudice: «in ogni caso, in fin dei conti, la confisca
urbanistica senza condanna non e' salva in quanto contravviene sempre
la presunzione di innocenza,  come  riconosce  la  Grande  Camera  in
maniera quasi unanime» (§ 63: vedi  traduzione  del  Ministero  della
Giustizia). 
    La successiva giurisprudenza della  Corte  di  Strasburgo,  nella
sostanza  da'  ragione  alla  previsione   del   giudice   Pinto   de
Albuquerque. 
    In definitiva, la confisca urbanistica, in quanto «pena» ai sensi
della CEDU, puo' essere anche disposta all'esito di  un  procedimento
che non ha la natura di «procedimento penale» ai  sensi  dell'art.  6
CED e  del  diritto  interno.  Purche'  siano  rispettati  i  diritti
previsti dall'art. 6 CEDU, in primis, il diritto al  contraddittorio,
e purche' vengano accertati tutti gli  elementi  che  necessariamente
devono comporre la fattispecie di lottizzazione abusiva  (quindi,  la
prevedibilita'  e  la  riferibilita'  oggettiva  e  soggettiva  della
fattispecie  al  soggetto  che  patisce  la  «pena»),   la   confisca
urbanistica puo' essere disposta anche sulla base di un provvedimento
che non ha la natura «formale» di sentenza di  condanna,  e  cio'  e'
pienamente conforme all'art. 7 CEDU.  Tuttavia,  se  la  confisca  in
questione viene disposta nell'ambito di un procedimento penale che si
chiude con sentenza di assoluzione  o  di  estinzione  del  reato  di
lottizzazione abusiva per prescrizione, sul presupposto  (necessario,
per quanto su esposto, per potere  disporre  la  confisca  in  esame,
considerata   «pena»   ai   sensi   della   CEDU)   della    ritenuta
responsabilita' penale dell'imputato, cio' viola l'art. 6,  comma  2,
CEDU. 
    Nel nostro ordinamento, sulla base dell'art. 578-bis c.p.p., come
interpretato dal «diritto vivente» su esposto, per potere  confermare
la statuizione di confisca in appello  malgrado  la  declaratoria  di
estinzione del reato di lottizzazione abusiva  per  prescrizione,  e'
necessario  affermare  o   confermare   la   penale   responsabilita'
dell'imputato, ma cio' si scontra inevitabilmente con l'art. 6, comma
2,   CEDU.    Non    e'    possibile    promuovere    interpretazioni
costituzionalmente   e   convenzionalmente   conformi   della   norma
censurata,  cosi'  come  prospettato   dalla   Corte   costituzionale
nell'analoga questione sollevata con riguardo all'art. 578 codice  di
procedura penale (vedi Corte costituzionale n. 182/2021).  Invero  e'
la  stessa  Corte  delle  leggi  che,  distinguendo   nettamente   il
presupposto alla base della pronuncia ex art. 578 codice di procedura
penale da quello alla base della pronuncia ai sensi dell'art. 578-bis
c.p.p., ha chiarito che l'art.  518-bis  c.p.p.  richiede  il  previo
accertamento  della  responsabilita'  dell'imputato  che,   dovendosi
confermare il provvedimento  di  confisca,  che,  come  nel  caso  di
specie, ha natura di «pena» ai sensi dell'art. 7 CEDU, non  puo'  che
essere  la  responsabilita'   penale,   cioe'   una   responsabilita'
accertata, in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive, al  di
la' di ogni ragionevole dubbio. 
    D'altra parte, come chiarito dalla Cassazione nella  gia'  citata
sentenza  a  Sezioni  Unite  13539/2020,  imp.  (vedi  §   7.5.   del
Considerato in diritto), a proposito dell'impossibilita' di  disporre
confisca in  presenza  di  una  maturata  estinzione  del  reato  per
prescrizione senza che sia stato accertato, in tutti i suoi elementi,
oggettivi e soggettivi, il  reato  di  lottizzazione  abusiva,  «alla
conclusione nel senso qui adottato  deve  condurre  infine  anche  la
natura  della  confisca/ottizzatoria,  ostantemente  qualificata   da
questa Corte come sanzione  amministrativo,  sia  pure  irrogata  dal
giudice penale, alla stessa stregua dell'ordine di demolizione di cui
all'art. 31, comma 9, decreto del Presidente della Repubblica n.  380
del 2001. E' proprio  tale  natura,  infatti,  a  far  escludere  che
l'impossibilita' di operare in sede penale la confisca,  perche'  non
sia stato possibile accertare il fatto, impedisca all'amministrazione
di  adottare  i  provvedimenti  sanziona/ori  previsti  dall'art.  30
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, come infatti
gia' affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 5857 del 6  ottobre  2010,
dep. 2011,   , Rv. 249517). Ne' puo' trascurarsi la circostanza  che,
all'interno del sistema delle sanzioni amministrative  previsto,  per
la  lottizzazione,  dall'art.  30,  commi   7   e   8,   l'intervento
sanzionatorio del giudice penale attuato tramite la  confisca  e'  di
ordine meramente residua/e (Sez. 3, n. 47280 del 12 settembre 2019,  
; Sez. 3, n. 47094 del 12 settembre 2019, ; Sez. 3, n. 31282, del  27
marzo 2019, ; Sez. 3 n. 8350 del 23 gennaio 2019,    , Rv. 275756)  e
non interferisce,  quindi,  ne'  si  sovrappone  all'autonomo  potere
principalmente attribuito all'autorita' amministrativa  dall'art.  30
decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001  (Sez.  3  n.
8350 del 23 gennaio 2019,   .), Deve, del resto, escludersi  che,  in
tema di provvedimenti sanzionatori che conseguono all'accertamento di
una  lottizzazione  abusiva,  possa  desumersi  dalla  disciplina  in
materia l'esistenza di una sorta di pregiudizio/e penale,  ovvero  di
previa verifica della sussistenza della responsabilita' penale di cui
all'art. 44, comma 1 ,  lettera  c),  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001 come del resto piu' volte affermato  dalla
giurisprudenza amministrativa (cosi, Cons. Stato, Sez. 6, n. 2082 del
3 aprile 2018; negli stessi termini, Cons. Stato, Sez. 6, n. 1888 del
26 marzo 2018; Cons. Stato, Sez. 6, n. 1878 del 23 marzo  2018;  cfr.
Tribunale amministrativo regionale Toscana, Sez. 3, n.  1643  del  19
dicembre 2018; Tribunale amministrativo regionale Toscana, n. 509 del
30 marzo 2015; Tribunale amministrativo regionale  Toscana,  Sez.  3,
Sent. n. 893 del 29 maggio 2014). Sicche', ai fini del  provvedimento
di acquisizione in  via  amministrativa  del  terreno  al  patrimonio
disponibile del Comune e' irrilevante che possa venire a mancare  una
pronuncia di confisca in sede penale. Resta, dunque,  in  definitiva,
confermato che neppure le ragioni di effettiva tutela  dell'interesse
collettivo alla  «corretta  pianificazione  territoriale»  potrebbero
rappresentare motivo di deroga all'applicabilita', nella specie,  del
principio dell'art. 129, comma 1, codice  di  procedura  penale,  non
potendo  oltretutto  situazioni  patologiche  come  l'inerzia   della
pubblica amministrazione fungere  da  criterio  interpretativo  delle
norme penali (cosi' Sez. 3, n. 6396 del 7 novembre 2006, , dep. 2007,
Rv. 236076). » 
    Anche la Corte costituzionale ha riconosciuto al  giudice  penale
un ruolo tendenzialmente suppletivo rispetto al ruolo principale  che
la legge attribuisce ai Comuni ai sensi dell'art. 30, commi  7  e  8,
decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001  (Vedi  Corte
costituzionale n. 146/2021 punti 3.4.2.  e  5.2.  del Considerato  in
diritto). 
    In definitiva, a fronte della tutela del diritto alla presunzione
di   innocenza,   l'eventuale    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 518-bis codice di procedura penale non  puo'
essere «superata» o «accantonata» sulla base di ragioni di  effettiva
tutela  dell'interesse  collettivo  alla   «corretta   pianificazione
territoriale», in quanto si tratta di ragioni che potrebbero  trovare
piena tutela in sede amministrativa,  sempre  che  si  prescinda  dai
riferimenti, anche «nominalistici», alla penale  responsabilita'  del
gia' imputato, cioe' di quel soggetto che ha beneficiato nel processo
penale per il reato di lottizzazione abusiva di un'assoluzione  o  di
una declaratoria di non doversi procedere per  estinzione  del  reato
per prescrizione. 
    3.2. Rispetto al diritto dell'Unione europea e segnatamente  agli
artt. 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e all'art. 48 della Carta dei
diritti  fondamentali  dell'U.E.  quali  parametri  interposti  degli
articoli 11 e 117, comma 1, Cost. 
    E' necessario esaminare la questione anche sul piano del  diritto
dell'Unione europea, perche', come  a  breve  si  vedra',  in  questo
ambito  e'  stata  recentemente  emanata  la  direttiva  2024/UE/1260
riguardante il recupero e la  confisca  dei  beni,  che  contiene  la
previsione, in parte innovativa, di  fattispecie  di  confisca  senza
condanna,  e  cio'  potrebbe  indurre  a  ritenere  che  il   diritto
eurounitario, che pure dispone di uno strumento giuridico ad  hoc  di
tutela della presunzione di innocenza,  potrebbe  prevedere  principi
diversi da quelli affermati in  ambito  convenzionale  nella  materia
delle confische. 
    In particolare, deve osservarsi che l'Unione europea  ha  emanato
da tempo, ai sensi dell'art. 82 § 2 lettera b)  TFUE,  una  specifica
direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti  della  presunzione  di
innocenza (la direttiva del Parlamento e  del  Consiglio  2016/UE/343
del 9 marzo 2016, entrata in vigore il 1° aprile 2016, con obbligo di
recepimento fino al 1° aprile 2018; la direttiva  e'  stata  recepita
nel nostro ordinamento con decreto legislativo n. 188/2021). 
    Nel dettaglio, l'art. 3, rubricato  «Presunzione  di  innocenza»,
stabilisce che gli  Stati  Membri  assicurano  che  agli  indagati  e
imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino  a  quando
non ne sia stata legalmente  provata  la  colpevolezza.  All'art.  4,
rubricato «Riferimenti in pubblico alla colpevolezza», si afferma che
gli Stati Membri adottano le  misure  necessarie  per  garantite che,
fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata
legalmente  provata,  le  dichiarazioni   pubbliche   rilasciate   da
autorita' pubbliche e le  decisioni  giudiziarie  diverse  da  quelle
sulla colpevolezza non presentino la  persona  come  colpevole.  Cio'
lascia  impregiudicati  gli  atti  della  pubblica  accusa  volti   a
dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato  e  le  decisioni
preliminari di natura procedurale adottate da autorita' giudiziarie o
da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su  indizi  di
reita'. 
    Il Considerando 11 chiarisce  che  la  direttiva  si  applica  ai
procedimenti penali nell'accezione  data  dall'interpretazione  della
Corte di Giustizia UE, fatta salva la giurisprudenza della Corte EDU.
Il Considerando 16 della direttiva chiarisce che  la  presunzione  di
innocenza sarebbe violata se dichiarazioni  pubbliche  rilasciate  da
autorita' pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da  quelle  sulla
colpevolezza presentassero l'indagato o imputato come colpevole  fino
a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente  provata.  Tali
dichiarazioni o decisioni  giudiziarie  non  dovrebbero  rispecchiare
l'idea  che  una  persona  sia  colpevole.  Cio'  dovrebbe   lasciare
impregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare
la colpevolezza dell'indagato o imputato, come l'imputazione, nonche'
le decisioni giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono effetti
di una pena sospesa, purche' siano rispettati i diritti della difesa. 
    Dovrebbero,  altresi',  restare   impregiudicate   le   decisioni
preliminari di natura procedurale, adottate da autorita'  giudiziarie
o da altre autorita' competenti e fondate sul sospetto o su indizi di
reita', quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purche'
non  presentino  l'indagato  o  imputato  come  colpevole.  Prima  di
prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l'autorita'
competente potrebbe prima dover verificare che vi  siano  sufficienti
prove a carico dell'indagato  o  imputato  tali  da  giustificare  la
decisione e la decisione potrebbe contenere  un  riferimento  a  tali
elementi.  Il  Considerando  17  della  direttiva  precisa  che   per
«dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorita' pubbliche»  dovrebbe
intendersi  qualsiasi  dichiarazione   riconducibile   a   un   reato
proveniente da un'autorita' coinvolta nel procedimento penale che  ha
ad oggetto tale reato, quali le autorita' giudiziarie, di  polizia  e
altre autorita' preposte all'applicazione della legge, o da  un'altra
autorita' pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo
restando che cio'  lascia  impregiudicato  il  diritto  nazionale  in
materia di immunita'. Ai sensi dell'art. 13 della  direttiva  nessuna
disposizione  della  stessa  puo'  essere  interpretata  in  modo  da
limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali  garantiti
dalla carta  dei  diritti  fondamentali  UE,  dalla  CEDU,  da  altre
pertinenti disposizioni di diritto internazionale o  dal  diritto  di
qualsiasi Stato membro che assicurino un livello di  protezione  piu'
elevato. 
    Come ha definitivamente chiarito la Corte di Giustizia  UE  (vedi
Corte di Giustizia UE, I Sez., 13  giugno  2019,  causa  C-646/17,  ,
punti da 29 a 37), le direttive emanate ai sensi dell'art. 82,  §  2,
comma  l,  TFUE,  si  applicano  a  qualunque  procedimento   penale,
indipendentemente  dal  fatto  che  abbia  o  meno   una   dimensione
transnazionale, nel senso di avere ad oggetto materie  penali  aventi
dimensione  transnazionale.  Di  conseguenza,  devono  essere  tenute
presenti in qualsiasi procedimento penale. Cio' comporta, come logico
corollario, l'applicazione della Carta dei diritti  fondamentali  UE,
ai sensi dell'art. 51, § l, della medesima,  che  stabilisce  che  le
disposizioni   della   Carta   si   applicano   agli   Stati   Membri
esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione europea (Corte
di Giustizia UE, 26 febbraio 2013, causa C-617/10, Akerberg Fransson,
punto 17). Pertanto, nell'attuazione del diritto dell'Unione  europea
non si puo' prescindere dall'art. 48 della CDFUE, e, siccome la Carta
e' equiparata ai Trattati (art. 6, § l, TUE) e ne ha lo stesso valore
giuridico, ne consegue che trattasi di diritto  primario  dell'Unione
europea. 
    Dunque, tutti i principi espressi dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo  con  riguardo  alla  presunzione  di   innocenza   sancita
dall'art. 6, comma 2, CEDU, possono ritenersi pienamente  viventi  ed
operanti anche in ambito UE attraverso la citata direttiva  e  l'art.
48 della CDFUE (tenuto conto  che  il  diritto  alla  presunzione  di
innocenza in esso sancito, conformemente all'art.  52,  paragrafo  3,
della CDFUE, ha significato e portata identici  allo  stesso  diritto
garantito  dalla  CEDU),   con   la   conseguente   possibilita'   di
disapplicare le norme interne che dovessero porsi in contrasto con le
norme dell'Unione europea aventi efficacia diretta. 
    Peraltro,  trattandosi  di  questione   che   coinvolge   diritti
fondamentali che godono tutela sia in ambito  UE  che  interno  (vedi
art.  27  Cost.),  la  relativa  questione  puo'  essere   sottoposta
all'attenzione anche  della  Corte  costituzionale,  ai  sensi  degli
articoli  Il  e  117,  comma  l,  Cost.,  come  chiarito   da   Corte
costituzionale sentenze nn. 269/2017, 20/2019, 63/2019 e, da  ultimo,
n. 181/2024 e n. 7/2025. 
    Secondo la Corte di Giustizia UE (vedi Corte di Giustizia UE,  II
Sez., 5 settembre  2019,  causa  C-377118,  Ah  e  altri),  ai  sensi
dell'art. 4, § l, prima frase, della direttiva 2016/UE/343, gli Stati
membri sono tenuti ad adottare le  misure  necessarie  per  garantire
che, segnatamente, le decisioni giudiziarie diverse da  quelle  sulla
colpevolezza non presentino un indagato o un imputato come  colpevole
fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. 
    Secondo  il  Considerando  16  tali  dichiarazioni  o   decisioni
giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l'idea che  una  persona  sia
colpevole. Nonostante l'art. 4, § l,  della  citata  direttiva  lasci
agli Stati membri un margine di discrezionalita' per l'adozione delle
misure necessarie ai sensi di detta disposizione, resta il fatto che,
come si evince dal Considerando 48 di tale direttiva, il  livello  di
tutela previsto dagli Stati membri non dovrebbe mai essere  inferiore
alle norme della  Carta  o  della  CEDU,  segnatamente  quelle  sulla
presunzione di innocenza. A tale riguardo, sottolinea  la  Corte  del
Lussemburgo (vedi punto 41), occorre rilevare che la  presunzione  di
innocenza e' sancita dall'art. 48 della CDFUE, il quale, come risulta
dalle spiegazioni relative a quest'ultima,  corrisponde  all'art.  6,
commi 2 e 3, CEDU. Ne consegue che, conformemente all'art. 52,  §  3,
della  Carta,  ai   fini   dell'interpretazione   dell'art.   48   di
quest'ultima occorre prendere in considerazione l'art. 6, commi  2  e
3, CEDU, quale soglia di protezione minima. Sicche',  in  assenza  di
indicazioni   precise   nella   direttiva   2016/UE/343    e    nella
giurisprudenza  relativa  all'art.  48  della  CDFUE  su  come  debba
stabilirsi se una persona sia presentata o meno come colpevole in una
decisione giudiziaria, ai fini dell'interpretazione dell'art. 4, § l,
della direttiva 2016/UE/343  occorre  ispirarsi  alla  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo relativa all'art. 6,  comma
2, CEDU (punto 42: nel caso di  specie  la  Corte  di  Giustizia  UE,
proprio rifacendosi ad un precedente nella Corte europea dei  diritti
dell'uomo, riteneva che  l'art.  4  della  direttiva  dovesse  essere
interpretato nel senso che non ostasse a che  un  accordo  nel  quale
l'imputato  riconosce  la  propria  colpevolezza  in  cambio  di  una
riduzione di  pena,  e  che  deve  essere  approvato  da  un  giudice
nazionale,  menzioni  espressamente  quali  coautori  del  reato  non
soltanto  tale  imputato  ma  anche  altre  persone  imputate  in  un
procedimento separato, che procede ordinariamente, a  condizione,  da
un lato, che tale menzione sia necessaria per la qualificazione della
responsabilita' giuridica dell'imputato che  ha  concluso  l'accordo,
dall'altro, che il medesimo  accordo  indichi  chiaramente  che  tali
altre persone sono imputate in un procedimento penale distinto e  che
la loro colpevolezza non e'  stata  legalmente  accertata;  in  altra
sentenza- Corte di Giustizia UE, I Sez.,  19  settembre  2018,  causa
C-310/18 PPU, Milev -, la Corte ha affermato che l'art. 4, § l, della
direttiva 2016/UE/343 deve essere letto alla  luce  del  Considerando
16, secondo il quale il rispetto della presunzione di  innocenza  non
pregiudica  le  decisioni  riguardanti,  ad  esempio,   la   custodia
cautelare,  purche'  non  presentino  l'indagato  o   imputato   come
colpevole. Ai sensi dello stesso Considerando, prima di prendere  una
decisione preliminare di natura procedurale,  l'autorita'  competente
potrebbe anzitutto dovere verificare che vi siano sufficienti prove a
carico dell'indagato o imputato tali da giustificare la  decisione  e
quest'ultima potrebbe contenere un riferimento a  tali  elementi.  Da
quanto precede risulta che, nell'ambito dei procedimenti  penali,  la
direttiva in questione e, in particolare, i suoi articoli 3 e 4, § l,
non  ostano  all'adozione  di   decisioni   preliminari   di   natura
procedurale, come una decisione di mantenere una misura  di  custodia
cautelare adottata da un'autorita' giudiziaria, fondate sul  sospetto
o su indizi di reita',  purche'  tali  decisioni  non  presentino  la
persona detenuta come colpevole). 
    Alla luce di cio', si dubita della conformita' anche  al  diritto
dell'Unione europea dell'art. 518-bis c.p.p., come  interpretato  dal
«diritto vivente». 
    Quanto  alla  possibilita'  di  prendere  in  esame  la   recente
direttiva 2024/UE/1260 riguardante il  recupero  e  la  confisca  dei
beni, si osserva brevemente quanto segue. 
    La direttiva in questione,  pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale
dell'Unione europa in data 2 maggio 2024, entrata  in  vigore  il  22
maggio 2024, dovra' essere recepita entro il  23  novembre  2026.  Si
tratta di una direttiva che  sostituira'  altri  strumenti  normativi
dell'Unione europea, quali l'azione comune 98/699/GAI del  Consiglio,
la decisione quadro 2001/500/GAI del Consiglio, la  decisione  quadro
2005/212/GAI del Consiglio, la decisione 2007/845/GAI e, soprattutto,
la direttiva 2014/42/UE (art. 36  direttiva  2024/UE/1260).  Come  e'
noto, anche se la direttiva non e' stata ancora  attuata  in  Italia,
nella pendenza del termine di attuazione gli Stati membri destinatari
della stessa devono astenersi dall'adottare disposizioni che  possano
compromettere gravemente la realizzazione  del  risultato  prescritto
dalla diretti va medesima (cfr. Corte di Giustizia CE, 4 luglio 2006,
Causa C-212/04, Adeneler, § 121; Corte di Giustizia CE,  22  novembre
2005, Causa C-144/14,  Mangold,  §  67).  Ne  consegue  che,  ove  il
sollecitato intervento, teso al  ripristino  della  costituzionalita'
violata, si ponesse  gravemente  in  contrasto  con  le  norme  della
direttiva tanto da compromettere la realizzazione del suo  risultato,
si potrebbe porre un problema  in  ordine  al  rispetto  del  diritto
dell'Unione europea. 
    La direttiva consente all'art. 15 la «confisca non  basata  sulla
condanna» nei seguenti casi: 
      l. Gli Stati membri adottano le  misure  necessarie  per  poter
procedere, alle condizioni enunciate  al  paragrafo  2  del  presente
articolo, alla confisca di beni strumentali, proventi o beni  di  cui
all'art. 12, o di  proventi  o  beni  trasferiti  a  terzi  ai  sensi
dell'art. 13, nei casi  in  cui  un  procedimento  penale  sia  stato
avviato ma non sia stato possibile farlo proseguire a causa di una  o
piu' delle circostanze seguenti: 
        a) malattia dell'indagato o imputato; 
        b) fuga dell'indagato o imputato; 
        c) decesso dell'indagato o imputato; 
        d) i termini  di  prescrizione  per  il  reato  in  questione
stabiliti dal diritto nazionale sono inferiori a quindici anni e sono
scaduti dopo l'avvio del procedimento penale. 
    2. La confisca in assenza di una condanna ai sensi  del  presente
articolo e' limitata ai casi in cui, in mancanza delle circostanze di
cui al paragrafo l, il procedimento penale pertinente avrebbe  potuto
portare a una condanna penale  perlomeno  per  i  reati  che  possono
produrre,  direttamente  o  indirettamente,  un  vantaggio  economico
considerevole, e se l'organo giurisdizionale  nazionale  e'  convinto
che i beni strumentali, i proventi o i beni  da  confiscare  derivino
dal reato in questione  o  siano  ad  esso  connessi  direttamente  o
indirettamente. 
    Tuttavia, innanzitutto l'ambito di applicazione  della  direttiva
concerne una serie di reati indicati nell'art. 2, fra i quali  (senza
la necessita' che gli elementi  inerenti  alla  commissione  di  tali
reati  si  collochino  nell'ambito  di  piu'  Stati  membri,  essendo
sufficiente che si collochino all'interno di un unico  Stato  membro:
vedi Corte di Giustizia UE, III Sez., 21 ottobre 2021, cause C-845/19
e C-863/19, D.R., T.S., a proposito dell'ambito di applicazione della
direttiva 2014/42/UE) non rientra e comunque non e' riconducibile  la
lottizzazione  abusiva.  Sicche',  va  esclusa  la  possibilita'   di
applicazione della predetta direttiva nell'ambito di un  procedimento
penale avente ad oggetto il reato  di  cui  all'art.  44  lettera  C)
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (vedi  sul  punto
Corte Cost. n. 7 del 2025 punto 2.3. del Considerato in diritto). 
    In ogni caso, qualora si ritenesse applicabile  la  direttiva  in
questione anche ad un procedimento penale come quello in  esame,  non
va dimenticato che la direttiva deve essere interpretata  assicurando
il rispetto dei diritti fondamentali  riconosciuti  dalla  CDFUE,  e,
segnatamente, dei diritti riconosciuti dagli articoli 47 e  48  della
Carta, fra i quali spicca il diritto alla  presunzione  di  innocenza
(vedi Considerando 46 della direttiva). Inoltre, la direttiva  lascia
espressamente impregiudicate altre direttive, fra le quali vi  e'  la
direttiva 343/2016/UE, che tutela la presunzione di  innocenza  (vedi
Considerando 51 della direttiva). 
    Orbene, come e' noto, ai sensi dell'art. 52, §  3,  della  CDFUE,
laddove la Carta contenga diritti corrispondenti a  quelli  garantiti
dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi  sono  uguali  a
quelli conferiti dalla suddetta convenzione, salva  la  possibilita',
per il diritto dell'Unione europea, di una protezione piu' estesa. 
    E' evidente, pertanto, che il  citato  art.  15  della  direttiva
2024/UE/1260 non potra' essere interpretato in  modo  da  contrastare
con il  diritto  fondamentale  alla  presunzione  di  innocenza  come
tutelato dall'art. 6, comma 2, CEDU e dall'art. 48 CDFUE, cosi'  come
interpretato proprio alla luce  della  CEDU  e  della  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Non a caso la Corte dei diritti umani, proprio nella  sentenza  _
c. Italia, ha precisato che, pur consapevole del crescente ricorso  -
sia  ai  sensi  dell'ordinamento  giuridico  interno  che  a  livello
internazionale - a forme di confisca non basate su una condanna  (fra
le quali la  Corte  ha  esaminato  proprio  quelle  introdotte  dalla
direttiva 2024/UE/1260: vedi § 48 della sentenza), in base alle quali
i giudici possono essere chiamati a disporre la confisca di  beni  di
origine illecita anche  in  assenza  di  una  condanna,  tuttavia  ha
ritenuto che la protezione offerta dal secondo  aspetto  dell'art.  6
comma 2 CEDU non dovrebbe essere interpretata in modo  da  precludere
ai Tribunali nazionali di occuparsi degli  stessi  fatti  decisi  nei
procedimenti penali al fine di disporre una  forma  di  confisca  non
basata su una condanna, purche'  nel  farlo  essi  non  attribuiscano
all'interessato la responsabilita' penale (vedi § 129). 
    In  conclusione,   va   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 518-bis c.p.p. per violazione  dell'art.  6,
comma 2, CEDU, quale parametro interposto  dell'art.  117,  comma  l,
Cost., e degli articoli 3 e 4 della direttiva 2016/UE/343 e dell'art.
48 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea,  quali
parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma 1,  Cost.,  nella
parte in cui prevede che, secondo il «diritto  vivente»  (Cass.  pen.
sez. un. 30 gennaio 2020, n. 13539),  quando  e'  stata  ordinata  la
confisca urbanistica  di  cui  all'art.  44,  comma  2,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001, il giudice di appello (o  la
Corte  di  cassazione),  nel   dichiarare   estinto   il   reato   di
lottizzazione abusiva di cui  all'art.  44  lettera  c)  decreto  del
Presidente della Repubblica  n.  380/2001  per  prescrizione,  decide
sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento
della responsabilita' dell'imputato. 
    In caso di accoglimento della questione, il giudice di Appello (o
la  Corte  di  cassazione)  dovrebbe  limitarsi   a   constatare   la
sopravvenuta  causa  estintiva  ai  sensi  dell'art.  129  codice  di
procedura penale e a revocare la disposta confisca, ferma restando la
possibilita' da parte della competente  Autorita'  amministrativa  di
agire ai sensi dell'art. 30 decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 380/2001, nel rispetto dell'art. 6 comma 2 CEDU. 

 
                               P. Q. M. 
 
    La Corte visto l'art. 23  della  legge  n.  87/1953  solleva,  di
ufficio,  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in  relazione
all'art. 6, comma 2, CEDU, quale parametro interposto dell'art.  117,
comma l, Cost., in relazione agli articoli  3  e  4  della  direttiva
2016/UE/343 e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E.,
quali parametri interposti degli articoli 11 e 117, comma  l,  Cost.,
con riferimento all'art. 518-bis c.p.p., nella parte in cui,  secondo
il «diritto vivente» (Cass. pen. sez. un. 30 gennaio 2020, n. 13539),
quando e' stata ordinata la confisca urbanistica di cui all'art.  44,
comma 2, decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001,  il
giudice di appello (o la Corte di cassazione), nel dichiarare estinto
il reato di lottizzazione abusiva  di  cui  all'art.  44  lettera  c)
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 per prescrizione,
decide sull'impugnazione  ai  soli  effetti  della  confisca,  previo
accertamento della responsabilita' dell'imputato. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e la sospensione del presente giudizio. 
    Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata  al   sig.
Presidente del Consiglio dei Ministri,  nonche'  comunicata  al  sig.
Presidente della Camera  dei  deputati  ed  al  sig.  Presidente  del
Senato. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
      Cosi' deciso in Lecce all'esito della Camera di  consiglio  del
30 maggio 2025. 
 
                      Il Presidente: Ottaviano 
 
 
                                          Il Consigliere est.: Biondi