Reg. ord. n. 148 del 2025 pubbl. su G.U. del 03/09/2025 n. 36

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio  del 13/05/2025

Tra: Rwe Renewables Italia srl  C/ Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri



Oggetto:

Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Norme della Regione autonoma Sardegna – Disposizioni per l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) – Previsione che si applica a tutto il territorio della Regione, ivi comprese le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi – Previsione che è vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee come individuate dagli allegati A, B, C, D, E e dai commi 9 e 11 dell'art. 1 della legge regionale n. 20 del 2024 – Previsione che tale divieto si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, è in corso al momento dell'entrata in vigore della medesima legge regionale – Previsione che non può essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell'entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 2024, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l'attuazione – Previsione che i provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati già emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia – Previsione che sono fatti salvi i provvedimenti aventi ad oggetto impianti che hanno già comportato una modificazione irreversibile dello stato dei luoghi – Previsione che, qualora un progetto di impianto ricada su un areale ricompreso sia nelle aree definite idonee sia nelle aree definite non idonee, prevale il criterio di non idoneità – Interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente all'entrata in vigore della suddetta legge regionale e in esercizio, nelle aree non idonee – Previsione che sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonché, nel caso di impianti eolici, un aumento dell'altezza totale dell'impianto, intesa come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo del comma 6 dell'art. 1 della suddetta legge regionale, ivi compreso il rispetto dell'art. 109 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale – Raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici nel rispetto delle peculiarità storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole – Previsione che i comuni hanno facoltà di proporre un'istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di un'area individuata come non idonea, finalizzata al raggiungimento di un'intesa con la Regione – Previsione che qualora l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente in un'area mineraria dismessa di proprietà regionale o di enti interamente controllati dalla Regione, l'area medesima è trasferita in proprietà ai comuni che ne facciano richiesta ai sensi della legge regionale n. 35 del 1995 – Denunciate disposizioni che contrastano con i principi stabiliti dalla legge statale di riferimento e con le norme fondamentali di riforma economico–sociale che, per espressa previsione statutaria, si impongono anche alle Regioni ad autonomia speciale – Violazione dei principi fondamentali posti dallo stato nella materia di legislazione concorrente della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, applicabili in virtù della c.d. clausola di adeguamento automatico di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – Previsione di un divieto di realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree individuate dalla normativa regionale come non idonee, che confligge con la normativa interposta nonché con il principio di massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili, come dedotto dalla disciplina europea di riferimento – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Incidenza della normativa regionale sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello europeo – Contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – Violazione del principio di proporzionalità, per mancato bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti che comporta il sacrificio di uno di essi in misura eccessiva – Incondizionato sacrificio del principio dello sviluppo sostenibile, lesivo della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi – Lesione del principio di ragionevolezza – Normativa regionale che ha imposto l’indiscriminata applicazione del nuovo regime a tutti gli operatori – Violazione dei principi di uguaglianza, certezza del diritto, del legittimo affidamento nonché del diritto di libertà di iniziativa economica – Lesione dei principi di imparzialità e buon andamento atteso l’impatto della suddetta normativa su procedimenti già definiti che osta a qualsiasi possibilità di realizzare in sede amministrativa l’opportuno bilanciamento degli interessi in gioco – Previsione che consente ai comuni interessati di proporre un’istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all’interno d un’area individuata come non idonea, dando luogo a una conferenza in conferenza di servizi nella quale è prevista l’unanimità ai fini della realizzazione dell’intervento e l’inapplicabilità del silenzio-assenso – Legge regionale che, recando un livello inferiore di tutela rispetto a quello garantito dalla legge statale, viola la competenza legislativa statale esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali – Istituzione di un procedimento diverso anche in aree soggette a tutela culturale o paesaggistica per le quali la normativa statale fissa un procedimento apposito da parte dell’apposita sopraintendenza – Lesione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali .

Norme impugnate:

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20  Art. 1  Co. 2

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20  Art. 1  Co. 5

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20  Art. 1  Co. 7

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20  Art. 1  Co. 8

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20  Art. 3

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20

legge della Regione autonoma Sardegna  del 05/12/2024  Num. 20



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 11   Co.  

Costituzione  Art. 41   Co.  

Costituzione  Art. 97   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Costituzione  Art. 117   Co.

Costituzione  Art. 117   Co.

Costituzione  Art.  Co.

Statuto speciale per la Sardegna  Art.  Co.  

Statuto speciale per la Sardegna  Art.  Co.  

legge costituzionale  Art. 10   Co.  

legge  Art. 29   Co.

legge  Art. 29   Co.

decreto legislativo  Art. 20   Co.

decreto legislativo  Art. 20   Co.

decreto legislativo  Art. 21   Co.  

decreto legislativo  Art. 146   Co.  

decreto ministeriale  Art.    Co.  

Trattato sul funzionamento dell'Unione europea  Art. 11   Co.  

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  Art. 37   Co.  

regolamento UE  Art.    Co.  

regolamento UE  Art.    Co.  

direttiva UE  Art.    Co.  

direttiva UE  Art.    Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 148 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2025

Ordinanza del 13 maggio 2025 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da  Rwe  Renewables  Italia  s.r.l.
contro il Ministero dell'ambiente  e  della  sicurezza  energetica  e
altri. 
 
Energia - Impianti alimentati da  fonti  rinnovabili  -  Norme  della
  Regione autonoma Sardegna - Disposizioni  per  l'individuazione  di
  aree e superfici idonee e non idonee all'installazione di  impianti
  a fonti di energia rinnovabile (FER) - Previsione che si applica  a
  tutto il territorio della  Regione,  ivi  comprese  le  aree  e  le
  superfici sulle quali insistono impianti  a  fonti  rinnovabili  in
  corso di valutazione ambientale  e  autorizzazione,  di  competenza
  regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato
  una modifica irreversibile dello stato dei luoghi - Previsione  che
  e'  vietata  la  realizzazione  degli  impianti   ricadenti   nelle
  rispettive aree non idonee come individuate dagli allegati A, B, C,
  D, E e dai commi 9 e 11 dell'art. 1 della legge regionale n. 20 del
  2024 - Previsione che tale divieto si applica anche agli impianti e
  gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa  e  di  valutazione
  ambientale, di competenza regionale  o  statale,  e'  in  corso  al
  momento dell'entrata in vigore della  medesima  legge  regionale  -
  Previsione  che  non  puo'  essere  dato  corso  alle  istanze   di
  autorizzazione che, pur presentate  prima  dell'entrata  in  vigore
  della legge regionale n. 20 del 2024, risultino  in  contrasto  con
  essa  e  ne  pregiudichino  l'attuazione   -   Previsione   che   i
  provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli  abilitativi  comunque
  denominati gia' emanati, aventi ad oggetto gli  impianti  ricadenti
  nelle aree non idonee, sono privi di  efficacia  -  Previsione  che
  sono fatti salvi i provvedimenti aventi  ad  oggetto  impianti  che
  hanno gia' comportato una modificazione irreversibile  dello  stato
  dei luoghi - Previsione che, qualora un progetto di impianto ricada
  su un areale ricompreso, sia nelle aree definite idonee, sia  nelle
  aree definite non idonee, prevale il criterio di  non  idoneita'  -
  Interventi di rifacimento, integrale  ricostruzione,  potenziamento
  relativi ad impianti realizzati in data antecedente all'entrata  in
  vigore della stessa legge regionale e in esercizio, nelle aree  non
  idonee - Previsione che sono ammessi solo qualora non comportino un
  aumento della superficie  lorda  occupata,  nonche',  nel  caso  di
  impianti eolici,  un  aumento  dell'altezza  totale  dell'impianto,
  intesa come la somma delle altezze dei singoli  aerogeneratori  del
  relativo impianto,  fermo  restando  quanto  previsto  dal  secondo
  periodo del comma 6 dell'art. 1 della suddetta legge regionale, ivi
  compreso il rispetto dell'art. 109 delle norme  di  attuazione  del
  Piano paesaggistico regionale - Raggiungimento degli  obiettivi  di
  transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e  di
  contenimento dei costi energetici nel rispetto  delle  peculiarita'
  storico-culturali,  paesaggistico-ambientali  e  delle   produzioni
  agricole - Previsione che  i  comuni  hanno  facolta'  di  proporre
  un'istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o  di  un
  accumulo FER all'interno di un'area individuata  come  non  idonea,
  finalizzata  al  raggiungimento  di  un'intesa  con  la  Regione  -
  Previsione che qualora l'istanza abbia ad oggetto un  impianto  FER
  ricadente in un'area mineraria dismessa di proprieta'  regionale  o
  di enti interamente controllati dalla Regione, l'area  medesima  e'
  trasferita in proprieta' ai comuni che  ne  facciano  richiesta  ai
  sensi della legge regionale n. 35 del 1995. 
- Legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 (Misure urgenti
  per l'individuazione di  aree  e  superfici  idonee  e  non  idonee
  all'installazione e promozione  di  impianti  a  fonti  di  energia
  rinnovabile  (FER)  e  per  la  semplificazione  dei   procedimenti
  autorizzativi) artt. 1, commi 2, 5, 7, 8; 3 e Allegati A, B,  C,  D
  ed E. 


(GU n. 36 del 03-09-2025)

 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           (Sezione terza) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 10001 del 2024, proposto da Rwe  Renewables  Italia
s.r.l.,  in  persona   del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentata e difesa  dagli  avvocati  Claudio  Vivani,  Elisabetta
Sordini, Simone Abellonio, con domicilio  digitale  come  da  PEC  da
registri di giustizia; 
    Contro Ministero  dell'ambiente  e  della  sicurezza  energetica,
Ministero della cultura, Ministero dell'agricoltura, della sovranita'
alimentare e delle foreste, Presidenza del Consiglio dei ministri, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in  Roma
- via dei Portoghesi n. 12; 
    Conferenza unificata ex art.  8  decreto  legislativo  28  agosto
1997, n. 281, non costituiti in giudizio; 
    Nei confronti della Regione autonoma della Sardegna,  in  persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e  difesa  dagli
avvocati Mattia Pani, Giovanni Parisi, con domicilio digitale come da
PEC da registri di giustizia; 
    delle Regioni  Umbria,  Toscana,  Basilicata,  Campania,  Puglia,
Molise, Emilia-Romagna, non costituite in giudizio; 
    della Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliata in Roma - via dei Portoghesi n. 12; 
    Per l'annullamento: 
        del decreto ministeriale 21 giugno 2024, recante  «Disciplina
per l'individuazione di superfici e aree idonee  per  l'installazione
di impianti a fonti rinnovabili» adottato dal Ministero dell'ambiente
e della sicurezza energetica  di  concerto  con  il  Ministero  della
cultura e il Ministero dell'Agricoltura, della sovranita'  alimentare
e  delle  foreste  e  pubblicato  nella  Gazzetta   Ufficiale   della
Repubblica italiana, Serie generale, n. 153 del 2 luglio 2024; 
        di ogni altro atto presupposto, connesso e/o  consequenziale,
ivi  compresa,  per  quanto  occorrere  possa,  l'Intesa,  ai   sensi
dell'art. 20, comma 1, del decreto legislativo 8  novembre  2021,  n.
199, sullo schema di  decreto  del  Ministro  dell'ambiente  e  della
sicurezza energetica, di concerto con il Ministro della cultura e con
il Ministro dell'agricoltura, della  sovranita'  alimentare  e  delle
foreste, recante «Disciplina per l'individuazione di superfici e aree
idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili»  resa  in
sede di Conferenza unificata ex art. 8  del  decreto  legislativo  28
agosto 1997, n. 281, nella seduta del 7 giugno 2024; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Ministero
dell'ambiente e  della  sicurezza  energetica,  del  Ministero  della
cultura, del Ministero dell'agricoltura, della sovranita'  alimentare
e delle foreste, della Presidenza del Consiglio dei  ministri,  della
Regione autonoma della Sardegna e della Regione Siciliana; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  5  febbraio  2025  il
dott. Marco Savi e uditi per le parti i  difensori  come  specificato
nel verbale; 
    1. La ricorrente e' attiva nello sviluppo,  nella  costruzione  e
nell'esercizio  di  impianti  di  produzione  energetica   da   fonte
rinnovabile eolica, fotovoltaica e agrivoltaica e nella realizzazione
di  impianti  di  accumulo  di  energia  rinnovabile  sul  territorio
italiano e dispone di un patrimonio di diciassette parchi  eolici  in
esercizio, dislocati  in  Sardegna,  Sicilia,  Campania,  Basilicata,
Toscana, Molise, Puglia e Calabria per un  totale  di  circa  500  MW
realizzati. 
    2.  La  societa'  e'  altresi'  titolare  di   diversi   progetti
autorizzati ma la cui realizzazione non e' stata ancora avviata,  tra
i quali: 
        il progetto di parco eolico denominato «Alas» in Sardegna; 
        i progetti di parchi eolici  denominati  «Venusia»  e  «Serra
Giannina» in Basilicata; 
        il progetto denominato «Phobos» in Umbria; 
        i progetti di parchi agrivoltaici denominati «Acquafredda»  e
«Morcone» in Campania; 
        nonche'  numerosi  altri  progetti   ancora   in   corso   di
valutazione ambientale/autorizzazione, tra i  quali  il  progetto  di
parco eolico «Monte Burano» in Umbria, i progetti  di  parchi  eolici
denominati «Rapitala'», «Leo», «Canicatti'», «Leva», e  «Grotte»,  in
Sicilia, i progetti di parchi eolici denominato «Alas 2» e  «Lobadas»
in Sardegna, i progetti di parchi  eolici  denominato  «Cesepiano»  e
«Sant'Elia» in Molise, il progetto di parco eolico  denominato  «Lion
Stone», in Emilia-Romagna, i progetti  di  parchi  eolici  denominati
«Pitigliano»  e  «Sestino»,  in  Toscana,  il   progetto   di   parco
agrivoltaico «Deimos» in Umbria, il progetto  di  parco  agrivoltaico
denominato «Mancius PV» in Toscana, il progetto di parco agrivoltaico
denominato «Florinas» in Sardegna e il progetto di parco fotovoltaico
denominato «Olivola» in Campania. 
    3.  Con  il  presente  ricorso  RWE  ha  impugnato   il   decreto
ministeriale 21 giugno 2024, articolando cinque mezzi di censura: 
        I) violazione dell'art. 20, comma 4, del decreto  legislativo
n. 199/2021. Illegittimita' costituzionale e violazione di  legge  in
relazione agli articoli 24, 41, 76,  77  e  103  della  Costituzione;
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 20, commi 1  e  4,
del decreto legislativo 8 novembre 2021,  n.  199.  Violazione  degli
articoli 7 e 13 nonche' dell'art. 1 del protocollo  aggiuntivo  n.  1
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali e violazione degli articoli 7,  16  e  17
della Carta dei diritti fondamentali  dell'UE:  rinvio  pregiudiziale
alla   Corte   di   giustizia   dell'Unione   europea.   Il   decreto
interministeriale, nel  disporre  che  siano  individuate  con  legge
regionale tanto le aree idonee quanto le aree inidonee, violerebbe il
disposto della fonte primaria, in quanto ai sensi dell'art. 20, comma
4, decreto legislativo n. 199/2021 le regioni potrebbero procedere ad
individuare direttamente con legge solo  ed  esclusivamente  le  aree
idonee.  Il  tutto,  peraltro,  avverrebbe  con   pregiudizio   della
possibilita'  di  tutela  giurisdizionale,  non  essendo   attivabile
avverso  le  leggi  regionali   il   giudizio   amministrativo,   con
conseguente  violazione  degli  articoli  24  e   103   della   Carta
costituzionale, dell'art. 7 della Carta di Nizza e degli articoli 7 e
13  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta'  fondamentali.  D'altra  parte,  l'art.  5
della legge delega n. 53/2021 non prevedrebbe affatto tale meccanismo
di legificazione, con conseguente illegittimita'  dello  stesso  art.
20, comma 1-4, decreto legislativo n. 199/2021 per eccesso di delega; 
        II) violazione dell'art.  17  della  legge  n.  400/1988.  Il
decreto impugnato e' stato concepito e adottato in  termini  di  atto
amministrativo generale. Tuttavia, esso avrebbe natura  regolamentare
e, non essendo stato posto in essere con le formalita'  di  cui  alla
legge n. 400/1988, sarebbe illegittimo; 
        III)  violazione  dell'art.  20,   comma   4,   del   decreto
legislativo  n.  199/2021  sotto  altro  profilo.  Violazione   degli
articoli 24 e 103 della Costituzione. Violazione degli articoli  7  e
13  nonche'  dell'art.  1  del  protocollo  aggiuntivo  n.  1   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. Violazione degli articoli 7,  16  e  17  della
Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Violazione dell'art.  12  del
decreto legislativo n. 387/2003 e delle linee guida nazionali di  cui
al  decreto  ministeriale  10  settembre  2010.  La   «legificazione»
dell'individuazione delle aree inidonee  si  porrebbe  in  violazione
anche dell'intero sistema delineato dal legislatore con l'art. 12 del
decreto legislativo n. 387/2003 e con le linee guida nazionali di cui
al decreto ministeriale 10 settembre 2010, nonche' del  principio  di
massima diffusione delle fonti rinnovabili,  cui  esso  e'  ispirato,
imperniato sull'esigenza di individuare le aree inidonee  sulla  base
di  una  valutazione  in   concreto,   effettuata   nell'ambito   del
procedimento  amministrativo,   operando   un   bilanciamento   degli
interessi strettamente aderente alla specificita' dei luoghi, in modo
da limitare allo stretto indispensabile la sottrazione di porzioni di
territorio all'insediamento degli impianti FER. Disponendo  in  senso
opposto, e dunque parificando i sistemi di individuazione delle  aree
idonee ed inidonee sotto l'egida della «legificazione» regionale, gli
atti    impugnati    avrebbero     stravolto     tutto     l'impianto
logico-sistematico della legislazione vigente; 
        IV) violazione  dell'art.  20,  commi  1  e  8,  del  decreto
legislativo  n.  199/2021.  Eccesso  di  potere  per  genericita'   e
violazione  dei  principi  di  logicita',  di  proporzionalita',   di
adeguatezza dell'azione amministrativa, di certezza del diritto e  di
tutela  dell'affidamento.  Violazione  del   principio   di   massima
diffusione delle fonti rinnovabili. L'art. 7 del  decreto  violerebbe
la lettera e lo spirito della norma primaria, volta alla  definizione
di criteri omogenei per  l'individuazione  delle  aree.  Il  decreto,
infatti, si limiterebbe a riproporre pedissequamente  i  principi  di
legge, che avrebbero invece dovuto essere  concretizzati  dagli  atti
ministeriali. Ne conseguirebbe una  sostanziale  «delega  in  bianco»
alle  regioni,  che  sarebbero  di  fatto  libere  di   procedere   a
individuare le  aree  idonee  sulla  base  di  criteri  dalle  stesse
individuate di volta in volta in totale autonomia, con il solo limite
dei generici principi  gia'  contenuti  nel  decreto  legislativo  n.
199/2021. Illegittima sarebbe anche la previsione che riconosce  alle
regioni la «possibilita' di fare salve le  aree  idonee»  individuate
dal comma 8  dell'art.  20,  decreto  legislativo  n.  199/2021,  che
equivarrebbe  a  consentire  alle  regioni  di  decidere  a   propria
esclusiva discrezione se aree le quali,  fino  ad  oggi,  sono  state
indiscussamente idonee ex lege,  rimangano  tali  o  diventino  «aree
ordinarie» o addirittura «aree non idonee», con impatti devastanti in
termini di affidamento degli investimenti ed  incertezza  del  quadro
giuridico di riferimento, nonche' ulteriore profilo di disomogeneita'
fra le varie discipline regionali. Cio'  sarebbe  altresi'  aggravato
dal  fatto  che  non  e'  stata  neppure  introdotta  una  disciplina
transitoria che provvedesse a chiarire come le eventuali disposizioni
regionali, che dovessero ritenere di non confermare taluna delle aree
idonee  di  cui  al  citato  art.  20,  comma  8,  dovessero  trovare
applicazione   solo    ai    procedimenti    autorizzativi    avviati
successivamente all'entrata in vigore delle leggi  regionali  stesse.
Illegittima sarebbe anche la considerazione  delle  aree  non  idonee
come zone interdette, come si desume dalla circostanza che per essere
non e' stato individuato alcun regime autorizzativo; 
        V) violazione degli  art.  3,  41,  117  della  Costituzione.
Violazione  dell'art.  1  del  protocollo  aggiuntivo   n.   1   alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonche' degli articoli  16
e 17 della Carta dei diritti fondamentali  dell'UE.  Le  disposizioni
del  decreto  determinerebbero  un'irragionevole  compressione  della
liberta' d'iniziativa economica  privata,  anche  in  violazione  del
legittimo affidamento  maturato  in  capo  alla  ricorrente  sia  con
l'avvio  di  procedimenti  in  presenza  di   tutti   i   presupposti
localizzativi, sia con l'ottenimento di validi titoli autorizzatori a
valle dell'esperimento di valutazioni di impatto ambientale che hanno
escluso qualunque concreto pregiudizio ambientale e paesaggistico. Si
assisterebbe anche, in tal modo, a  un'ingerenza  sproporzionata  dei
provvedimenti impugnati sui beni della ricorrente, a  una  violazione
del  pacifico  godimento  dei  beni  stessi  e  alla  sottrazione  di
un'entrata vitale, diritti protetti anche dall'art. 1 del  Protocollo
aggiuntivo n. 1  alla  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo,
nonche' dagli articoli 16 e 17 della Carta dei  diritti  fondamentali
dell'UE (Trattato di Nizza del 7 dicembre 2000) e dall'art. 41  della
Costituzione, che garantisce  la  liberta'  di  iniziativa  economica
privata. Per i medesimi motivi risulterebbe violato l'art. 117, comma
1,  della  Costituzione,  in  riferimento  all'art.   1,   prot.   1,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,   stante   il   difetto   di   ragionevolezza
nell'ingerenza dello Stato nel godimento della proprieta' privata. 
    4. Con la memoria ex  art.  73  c.p.a.  la  parte  ricorrente  ha
evidenziato che la Regione Sardegna ha adottato la legge regionale n.
20/2024, con la quale ha dichiarato «non idonee»  alla  realizzazione
di impianti FER aree pari a oltre il 99% del territorio  regionale  e
ha reso incompatibile con gli impianti eolici  di  grossa  taglia  il
100%  del  medesimo,  disponendo  l'inefficacia   dei   titoli   gia'
rilasciati agli operatori. Tale previsioni  sarebbero  immediatamente
pregiudizievoli per la ricorrente, in quanto le  aree  inidonee,  che
diventano  aree   del   tutto   vietate   agli   impianti   FER,   si
sovrapporrebbero all'intera area oggetto  del  progetto  Alas  -  con
conseguente inefficacia ex lege dell'autorizzazione unica.  Oltre  al
progetto Alas, le norme sarde pregiudicherebbero,  peraltro,  sia  il
rilascio dei titoli  autorizzativi  oggetto  di  procedimenti  ancora
pendenti, relativi ai progetti di parchi eolici denominati «Alas 2» e
«Lobadas»,  sia  il  progetto  di   parco   agrivoltaico   denominato
«Florinas». Tale legge regionale dimostrerebbe che l'applicazione del
decreto impugnato permette alle regioni di rendere «non idoneo»  agli
impianti FER il 99% del territorio regionale, con pregiudizio per  il
conseguimento dell'obiettivo di potenza installata da traguardare  al
2030 imposto dall'art. 2 e dalla Tabella A del  decreto  ministeriale
21 giugno 2024 alla Regione Sardegna in  attuazione  delle  direttive
dell'Unione europea. 
    5. Le amministrazioni intimate si sono costituite in resistenza. 
    6. All'udienza pubblica del 5 febbraio 2025  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    7. Il collegio reputa necessario sospendere il presente  giudizio
onde suscitare il controllo incidentale  di  costituzionalita'  sulle
questioni indicate nel prosieguo. 
    8. Preliminarmente, e' tuttavia opportuno chiarire i  termini  in
cui debba essere declinato, nel regime introdotto dalla disciplina di
cui all'art.  20,  comma  1,  decreto  legislativo  n.  199/2021,  il
concetto di area non idonea all'installazione  di  impianti  FER.  Il
presupposto comune alle censure e' che,  avendo  il  gravato  decreto
ministeriale qualificato le aree non idonee come  aree  incompatibili
con l'installazione di impianti FER, il concetto di «area non idonea»
sarebbe stato completamente stravolto rispetto a quello operante  nel
regime previgente (i.e., a quello delle linee guida). In particolare,
prima dell'adozione del gravato decreto ministeriale  la  conseguenza
correlata al carattere di non idoneita' di un'area  era  circoscritta
al fatto  che  il  soggetto  proponente  non  potesse  accedere  alla
accelerazione  procedimentale  dell'iter  autorizzativo  propedeutico
alla realizzazione ed esercizio  dell'impianto  FER  -  accelerazione
che,  viceversa,  avrebbe  operato   nel   caso   di   localizzazione
dell'impianto in area idonea -. Per  converso,  nessuna  preclusione,
aprioristica  e  assoluta,  alla  realizzazione  di   tali   impianti
risultava discendere dalla loro localizzazione in  aree  non  idonee.
Orbene, secondo la prospettazione della societa' ricorrente,  siccome
con l'adozione del gravato decreto  ministeriale  le  amministrazioni
resistenti avrebbero introdotto una  preclusione  di  tal  guisa,  lo
stesso risulterebbe illegittimo. 
    9. Il collegio ritiene  che  la  tesi  sostenuta  dalla  societa'
ricorrente non possa essere condivisa per le ragioni  di  diritto  di
seguito esposte. 
    10. Come noto, l'art. 12  del  decreto  legislativo  29  dicembre
2003, n. 387, ha introdotto disposizioni per la  razionalizzazione  e
la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. A  tal  fine,  l'art.
12, comma 10, del decreto  legislativo  n.  387/2003  ha  inter  alia
previsto che «In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle
attivita' produttive, di concerto con  il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le  attivita'
culturali, si  approvano  le  linee  guida  per  lo  svolgimento  del
procedimento di cui al comma 3 [la c.d. procedura  di  autorizzazione
unica, n. d.r.]. 
    Tali linee guida sono volte, in  particolare,  ad  assicurare  un
corretto inserimento degli  impianti,  con  specifico  riguardo  agli
impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le
regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non  idonei
alla installazione di specifiche tipologie di impianti». 
    11. Le linee guida indicate dall'art. 12, comma 10,  del  decreto
legislativo n. 387/2003 sono state adottate con decreto del Ministero
dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, e con esse  e'  stato
stabilito che: 
        paragrafo 17: «Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione
alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati  da  fonti
rinnovabili, in attuazione delle disposizioni  delle  presenti  linee
guida, le regioni e  le  province  autonome  possono  procedere  alla
indicazione  di  aree  e  siti  non  idonei  alla  installazione   di
specifiche tipologie di impianti  secondo  le  modalita'  di  cui  al
presente punto e sulla  base  dei  criteri  di  cui  all'Allegato  3.
L'individuazione della  non  idoneita'  dell'area  e'  operata  dalle
regioni attraverso  un'apposita  istruttoria  avente  ad  oggetto  la
ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente,  del
paesaggio, del  patrimonio  storico  e  artistico,  delle  tradizioni
agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che
identificano   obiettivi   di   protezione   non   compatibili    con
l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche  tipologie  e/o
dimensioni di  impianti,  i  quali  determinerebbero,  pertanto,  una
elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede  di
autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da  richiamare  nell'atto
di cui al punto 17.2, dovranno contenere,  in  relazione  a  ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche  tipologie
e/o dimensioni di impianti,  la  descrizione  delle  incompatibilita'
riscontrate  con  gli  obiettivi  di  protezione  individuati   nelle
disposizioni  esaminate  [...].  Le  aree  non  idonee   sono   [...]
individuate dalle regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con
cui  sono  definite  le  misure  e  gli   interventi   necessari   al
raggiungimento  degli  obiettivi  di  burden   sharing   fissati   in
attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione  individua
le aree  non  idonee  tenendo  conto  di  quanto  eventualmente  gia'
previsto dal piano paesaggistico e in  congruenza  con  lo  specifico
obiettivo assegnatole»; 
        allegato 3: «L'individuazione  delle  aree  e  dei  siti  non
idonei mira non gia' a rallentare la  realizzazione  degli  impianti,
bensi' ad  offrire  agli  operatori  un  quadro  certo  e  chiaro  di
riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti. 
        L'individuazione  delle  aree  non   idonee   dovra'   essere
effettuata dalle regioni con propri provvedimenti tenendo  conto  dei
pertinenti strumenti di  pianificazione  ambientale,  territoriale  e
paesaggistica,  secondo  le  modalita'  indicate  al  paragrafo  17»,
nonche' sulla base di principi e criteri,  individuati  dal  medesimo
allegato, in ragione dei quali,  tra  l'altro:  «a)  l'individuazione
delle aree non idonee deve essere basata  esclusivamente  su  criteri
tecnici oggettivi legati ad  aspetti  di  tutela  dell'ambiente,  del
paesaggio  e  del  patrimonio  artistico-culturale,   connessi   alle
caratteristiche  intrinseche  del   territorio   e   del   sito;   b)
l'individuazione delle  aree  e  dei  siti  non  idonei  deve  essere
differenziata con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili e
alle diverse taglie di impianto; [...] d) l'individuazione delle aree
e dei siti non idonei non puo' riguardare porzioni significative  del
territorio o zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente,  del
paesaggio  e   del   patrimonio   storico-artistico,   ne'   tradursi
nell'identificazione  di  fasce  di  rispetto   di   dimensioni   non
giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela.  La  tutela
di tali interessi e' infatti  salvaguardata  dalle  norme  statali  e
regionali  in  vigore  ed   affidate,   nei   casi   previsti,   alle
amministrazioni centrali  e  periferiche,  alle  regioni,  agli  enti
locali ed alle  autonomie  funzionali  all'uopo  preposte,  che  sono
tenute a  garantirla  all'interno  del  procedimento  unico  e  della
procedura di valutazione dell'impatto ambientale nei  casi  previsti.
L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non  deve,  dunque,
configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di  accelerazione
e semplificazione dell'iter  di  autorizzazione  alla  costruzione  e
all'esercizio, anche in termini di opportunita' localizzative offerte
dalle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio». 
    12. Nel contesto del sistema delineato dall'art.  12,  comma  10,
del decreto  legislativo  n.  387/2003,  come  risulta  dai  pacifici
orientamenti pretori formatisi  in  seno  alla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale, le linee  guida  sono  «poste  a  completamento
della normativa primaria "in settori squisitamente tecnici" (sentenze
n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n.  286  e
n. 86 del 2019, nonche' n. 69 del 2018)  e  connotate  dal  carattere
della inderogabilita' a garanzia di una disciplina "uniforme in tutto
il territorio nazionale (sentenze n.  286 e n. 86 del 2019, n. 69 del
2018)" (sentenza n. 106 del 2020; nello  stesso  senso,  sentenze  n.
221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)»  (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023). 
    13. Va, poi, evidenziato che la Corte costituzionale ha  chiarito
che con le disposizioni normative introdotte dal decreto  legislativo
n. 199/2921 «il legislatore statale ha  inteso  superare  il  sistema
dettato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo  29  dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla
promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e dal  conseguente
decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10  settembre  2010
(linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da  fonti
rinnovabili), contenenti i principi e  i  criteri  di  individuazione
delle aree non idonee. Le regioni,  pertanto,  sono  ora  chiamate  a
individuare le aree "idonee" all'installazione degli impianti,  sulla
scorta dei principi e dei  criteri  stabiliti  con  appositi  decreti
interministeriali, previsti dal comma 1 del  citato  art.  20  [...].
Inoltre, l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non  piu'
in sede amministrativa, come prevedeva la  disciplina  precedente  in
relazione a quelle non idonee, bensi' "con legge" regionale,  secondo
quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello  stesso  art.  20»
(cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 103/2024). 
    14.  Sulla  scorta  di  quanto  chiarito   ed   affermato   negli
orientamenti  giurisprudenziali  teste'  richiamati,   discende   che
nell'applicazione del rinnovato quadro normativo che  ha  interessato
la materia della realizzazione degli impianti FER non possano sic  et
simpliciter essere trasposti, in  maniera  acritica  e  meccanica,  i
principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale  in  relazione
al pregresso assetto normativo e  regolatorio.  Infatti,  laddove  si
aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica - che  e',  poi,  quella
sostanzialmente prospettata dalla societa' ricorrente - si  finirebbe
per obliterare indebitamente il  vigente  contesto  normativo,  avuto
specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito,  l'art.
20, comma  1,  del  decreto  legislativo  n.  199/2021  espressamente
dispone che sia il MASE, di  concerto  con  il  MIC  e  il  MASAF,  a
stabilire con decreto i principi e  i  criteri  omogenei  strumentali
all'individuazione delle aree idonee e non idonee. 
    15. Invero, proprio sulla  scorta  delle  scelte  compiute  dalle
amministrazioni  resistenti  con  l'adozione  del   gravato   decreto
ministeriale - e condivise  con  gli  enti  territoriali  tramite  lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge  come,
contrariamente a quanto  sostenuto  dalla  societa'  ricorrente,  nel
complessivo   nuovo   impianto   normativo   e   regolamentare    sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e  finalita',  la
portata precettiva del concetto di "area non idonea". 
    16.  Infatti,  l'art.  1,  comma  2,  lettera  b),  del   decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ha definito le "superfici e aree  non
idonee" come "aree e siti le cui caratteristiche  sono  incompatibili
con l'installazione di specifiche tipologie di  impianti  secondo  le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato  3  delle  linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo  economico  10
settembre 2010, pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  18  settembre
2010, n. 219 e successive modifiche ed integrazioni". 
    17. A dispetto di quanto asserito  dalla  societa'  ricorrente  -
secondo la  quale  la  definizione  di  area  non  idonea  come  area
incompatibile equivarrebbe alla introduzione di un  divieto  assoluto
alla installazione  di  impianti  FER  -  occorre  ricordare  che  il
paragrafo 17 delle linee guida gia' per il passato specificava che il
processo di ricognizione  delle  aree  non  idonee  dovesse  avvenire
prendendo  in  considerazione  gli  "obiettivi  di   protezione   non
compatibili con l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche
tipologie e/o dimensioni di impianti". 
    18.  Emerge,  quindi,   come   gia'   nel   contesto   previgente
all'adozione del gravato decreto ministeriale le aree non  idonee  si
caratterizzassero   per   essere   aree    incompatibili    con    il
soddisfacimento  degli  obiettivi  di  protezione  che  l'ordinamento
intende perseguire. Tale  forma  di  incompatibilita',  quale  tratto
caratterizzante delle aree  non  idonee,  non  si  traduceva  in  una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di  «una  elevata  probabilita'  di  esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione». 
    19.  L'analisi  diacronica  sinteticamente  svolta  consente   di
affermare che, sotto l'esaminato profilo della «incompatibilita'», la
definizione di «aree non idonee»  contenuta  nell'art.  1,  comma  2,
lettera  b),  del  gravato  decreto  ministeriale  non  possiede   un
carattere innovativo,  risultando  sostanzialmente  invariata,  quoad
effectum, la portata del concetto di  «area  non  idonea»,  per  come
declinato dal decreto ministeriale del 21  giugno  2024,  rispetto  a
quella scaturente dalle linee guida. 
    20. A sostegno di tale conclusione, d'altronde, milita  anche  il
fatto che lo stesso art. 1, comma 2, lettera b), del gravato  decreto
ministeriale  declini  la  dichiarata  incompatibilita'  «secondo  le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato  3  delle  linee
guida».  Ordunque,  benche'  l'ordito  normativo,  con  il   previsto
aggiornamento delle linee guida «A  seguito  dell'entrata  in  vigore
della  disciplina  statale  e  regionale  per   l'individuazione   di
superfici e aree idonee ai  sensi  dell'art.  20»,  presenti  indubbi
elementi di circolarita' che rendono non del tutto  chiaro  il  ruolo
che le medesime linee guida sono  ad  oggi  chiamate  a  svolgere  in
subiecta materia,  e'  preferibile  ritenere  che  il  richiamo  alle
modalita' stabilite dalle linee guida sia da intendersi nel senso che
il legislatore abbia optato per il consolidamento, anche rispetto  al
nuovo  regime,  delle  acquisizioni,  in  termini  di  significato  e
declinazione delle aree non idonee,  gia'  raggiunte  nel  previgente
assetto normativo in  applicazione  delle  previsioni  dettate  dalle
linee guida. 
    21. Tale opzione esegetica puo' essere legittimamente percorsa in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione  conservativa  di
cui all'art. 1367 del codice civile - pacificamente applicabile anche
agli  atti  amministrativi,  come   chiarito   dalla   giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n.  5358  del  4
settembre  2020  e  riferimenti  ivi  citati)  -.  Infatti,  mediante
l'impiego di  tale  legittimo  criterio  interpretativo,  nel  nostro
ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori giuridici
non affetti da  vizi  di  legittimita'  (ut  res  magis  valeat  quam
pereat),  risultando  cio'  confacente,  peraltro,  ai  principi   di
economicita'  ed  efficacia  dell'attivita'  amministrativa   sanciti
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241  (cfr.  Cons.
Stato, sez. III, sentenza n. 3488 del 10 luglio 2015)  e  di  cui  il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione. 
    22. Se e' vero che non puo' essere sottaciuto il fatto che l'art.
3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga che le  regioni
provvedono con legge  alla  individuazione  (anche)  delle  aree  non
idonee  -  e  non  piu'  nell'ambito  di  un  apposito   procedimento
amministrativo, come previsto dalle linee guida - e'  del  pari  vero
che, in disparte gli eventuali  profili  di  illegittimita'  di  tale
scelta, non v'e' alcun indice normativo che  faccia  ritenere  che  a
tale cambiamento  sia  correlata  la  conseguenza  prospettata  dalla
societa' ricorrente. 
    23. Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo
giuridico  di   approvazione   della   classificazione   delle   aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non  risulta  accompagnato  da
alcuna radicale  trasfigurazione  del  significato  che  il  concetto
giuridico  di   «aree   non   idonee»   esprime   nell'ambito   della
pianificazione del  territorio  necessaria  al  raggiungimento  degli
obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili. 
    24. Ad avviso del collegio, l'interpretazione  sin  qui  proposta
trova anche il conforto della giurisprudenza  costituzionale  che  ha
riconosciuto la «necessita' di garantire la "massima diffusione degli
impianti da fonti di energia rinnovabili" (sentenza n. 286 del  2019,
in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n.  216  e  n.  77  del
2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del  2018,  n.  13  del
2014 e n. 44 del 2011) "nel comune intento 'di ridurre  le  emissioni
di gas ad effetto serra' (sentenza n.  275  del  2012;  nello  stesso
senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n.
85  del  2012),  onde  contrastare  il  riscaldamento  globale  e   i
cambiamenti  climatici   (sentenza   n.   77   del   2022)"»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 27/2023). 
    Va, quindi, radicalmente escluso che le «aree non idonee» possano
essere considerate aree del tutto interdette  alla  installazione  di
impianti  FER,  poiche'   opinando   diversamente   potrebbe   essere
seriamente pregiudicato il conseguimento degli  obiettivi  energetici
strumentali al rispetto degli impegni assunti dall'Italia  a  livello
sovranazionale - tenuto anche conto della  particolare  ampiezza  dei
margini di manovra consentiti alle regioni dal  decreto  ministeriale
impugnato -. 
    25. Viceversa, l'interpretazione dell'art. 1,  comma  2,  lettera
b), del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, al quale  il
collegio intende aderire - partendo dall'assunto che il carattere  di
non idoneita' di un'area non precluda in radice la  realizzazione  di
impianti FER - e' atta a porre in rilievo come  l'individuazione  con
legge  regionale  delle  aree  non  idonee   non   esclude   che   le
amministrazioni,    nell'ambito    degli    specifici    procedimenti
amministrativi di valutazione delle istanze  di  autorizzazione  alla
realizzazione  di  impianti  FER,  siano  necessariamente  tenute  ad
apprezzare in concreto l'impatto dei progetti proposti sulle esigenze
di  tutela  ambientale,   paesaggistico-territoriale   e   dei   beni
culturali,  anche  laddove  l'area  interessata  rientri  tra  quelle
classificate come non idonee. 
    26. Nel caso di specie, tuttavia, la suesposta ricostruzione  del
concetto di area non idonea, nel nuovo regime introdotto dal  decreto
ministeriale, e' palesemente smentita dal  tenore  dispositivo  della
legge della Regione autonoma della Sardegna n. 20/2024. 
    27. La predetta legge prevede, infatti, che: 
        «E' vietata la realizzazione degli impianti  ricadenti  nelle
rispettive aree non idonee cosi' come individuate dagli  allegati  A,
B, C, D, E e dai commi 9 e 11. Il divieto di realizzazione si applica
anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa
e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, e' in
corso al momento dell'entrata in vigore  della  presente  legge.  Non
puo' essere dato  corso  alle  istanze  di  autorizzazione  che,  pur
presentate  prima  dell'entrata  in  vigore  della  presente   legge,
risultino in contrasto con essa e ne  pregiudichino  l'attuazione.  I
provvedimenti autorizzatori e tutti  i  titoli  abilitativi  comunque
denominati gia' emanati, aventi ad  oggetto  gli  impianti  ricadenti
nelle aree non idonee, sono privi di efficacia» (art. 1, comma 5); 
        «Qualora  un  progetto  di  impianto  ricada  su  un   areale
ricompreso sia nelle aree definite idonee, di cui all'allegato F, sia
nelle aree definite non idonee, di cui agli allegati A, B, C, D ed E,
prevale il criterio di non idoneita'. Nei casi di cui  al  precedente
periodo, limitatamente agli impianti fotovoltaici e agli impianti  di
accumulo, qualora i  relativi  progetti  di  realizzazione  prevedano
l'installazione  presso  aree  rientranti  nelle  zone   urbanistiche
omogenee D e G, di cui al decreto dell'assessore regionale degli enti
locali,  finanze  e  urbanistica,  20  dicembre   1983,   n.   2266/U
(disciplina dei limiti e dei rapporti  relativi  alla  formazione  di
nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei
comuni della Sardegna), non si applicano le fasce di  tutela  di  cui
alle lettere s), x), w) e bb) dell'allegato A qualora l'area  oggetto
del rispettivo  intervento  sia  infrastrutturata  e  urbanizzata  in
misura uguale o maggiore al 60 per cento. Limitatamente  ai  casi  di
cui al precedente periodo, qualora l'area non sia infrastrutturata  e
urbanizzata ed edificata almeno al 60 per cento, le fasce  di  tutela
di cui al precedente periodo sono ridotte del 70 per  cento.  Qualora
un progetto di  impianto  FER,  ivi  inclusi  gli  accumuli  ad  essi
connessi, sia  finalizzato  all'autoconsumo  o  al  servizio  di  una
comunita' energetica e ricade in  una  delle  condizioni  di  cui  ai
precedenti periodi, prevale il criterio di idoneita'» (art. 1,  comma
7); 
        «Al fine di agevolare il raggiungimento  degli  obiettivi  di
transizione energetica, di promozione delle fonti  rinnovabili  e  di
contenimento dei costi energetici  nel  rispetto  delle  peculiarita'
storico-culturali,  paesaggistico-ambientali   e   delle   produzioni
agricole, i comuni hanno facolta' di proporre un'istanza propedeutica
alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di
un'area individuata come non idonea ai sensi  della  presente  legge.
L'istanza e'  finalizzata  al  raggiungimento  di  un'intesa  con  la
regione. Qualora l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente
in un'area mineraria dismessa  di  proprieta'  regionale  o  di  enti
interamente controllati dalla regione, l'area medesima e'  trasferita
in proprieta' ai comuni che ne  facciano  richiesta  ai  sensi  della
legge  regionale  5  dicembre  1995,  n.  35  (Alienazione  dei  beni
patrimoniali)» (art. 3). 
    28. Dalle richiamate previsioni di desume, pertanto, che: 
        le aree non idonee costituiscono vere e proprie aree  vietate
alla realizzazione degli impianti FER. Oltre che  dal  chiaro  tenore
letterale  dell'art.  1,  comma  5,  cio'  si  desume   anche   dalla
previsione, all'art. 3, di una speciale  procedura  da  attivarsi  su
chiesta dei comuni per la realizzazione di  interventi  in  aree  non
idonee,  peraltro  particolarmente  rigoroso  nella  misura  in   cui
richiede il raggiungimento del consenso unanime di tutti  i  soggetti
interessati; 
        la disciplina  non  soltanto  non  prevede  una  clausola  di
salvaguardia per le iniziative  in  corso,  ma  addirittura  sancisce
l'inefficacia  dei   provvedimenti   autorizzatori   e   dei   titoli
abilitativi gia' emanati in caso di impianti ricadenti  in  aree  non
idonee in base alla legge. D'altra parte,  cio'  costituisce  l'ovvio
risvolto  di  quanto  previsto  dall'art.  1,  comma  2,  laddove  si
stabilisce  che  «La  presente  legge  di  governo  del   territorio,
urbanistica e di tutela del patrimonio paesaggistico,  si  applica  a
tutto il  territorio  della  regione,  ivi  comprese  le  aree  e  le
superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso
di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o
statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una  modifica
irreversibile dello stato dei luoghi», onde  e'  chiaro  che  l'unico
limite  all'operativita'  delle  nuove  previsioni  e'  l'intervenuta
modifica irreversibile dello stato dei luoghi,  come  anche  chiarito
dal successivo comma 5; 
        la  legge  prevede,  altresi',  un  principio   di   assoluta
prevalenza del criterio della non idoneita' su quello  dell'idoneita'
in caso di progetti in zone  promiscue,  salve  le  limitate  deroghe
previste dall'art. 1, comma 7. 
    29.  La  suindicata  disciplina  solleva  consistenti  dubbi   di
compatibilita'  con  i   canoni   costituzionali,   con   particolare
riferimento agli articoli 3, 9, 11, 41, 97, 117  della  Costituzione,
nonche' all'art. 10 della  legge  costituzionale  n.  3/2001  e  agli
articoli 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. 
  Sulla rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
degli articoli 1, comma 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' degli  allegati  A,
B, C, D ed E della legge della Regione  autonoma  della  Sardegna  n.
20/2024 con riferimento agli articoli 3, 9, 41,  11,  97,  117  della
Costituzione, nonche'  all'art.  10  della  legge  costituzionale  n.
3/2001 e agli articoli 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. 
    30. Come gia' rilevato, le aree non idonee come individuate dalla
legge della Regione Sardegna n. 20/2024 si  sovrappongono  all'intera
area oggetto del progetto Alas - con conseguente inefficacia ex  lege
dell'autorizzazione unica. Inoltre, le norme sarde  pregiudicano  sia
il rilascio dei titoli autorizzativi oggetto di  procedimenti  ancora
pendenti, relativi ai progetti di parchi eolici denominati «Alas 2» e
«Lobadas»,  sia  il  progetto  di   parco   agrivoltaico   denominato
«Florinas». Sulla base del combinato disposto dell'art. 1, comma 2, 5
e  7,  i  predetti  progetti  non  potrebbero  essere   ulteriormente
coltivati, in quanto la finanche parziale collocazione  in  area  non
idonea determina, ai sensi del citato  comma  7,  l'applicazione  del
comma 5, secondo cui «E'  vietata  la  realizzazione  degli  impianti
ricadenti nelle rispettive aree non idonee». 
    31. A fronte di tale risultato, la disciplina prevista  dall'art.
7, comma 2, lettera c), del decreto impugnato, laddove  si  limita  a
consentire alle regioni la mera «possibilita' di fare salve  le  aree
idonee di cui all'art. 20, comma 8 del decreto legislativo 8 novembre
2021, n. 199 vigente alla data di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto», rivela tutta la sua  insufficienza,  nonche'  il  contrasto
frontale con il criterio di  delega  di  cui  all'art.  5,  comma  1,
lettera a), n. 1), della legge delega  n.  53/2021,  ai  sensi  della
quale la disciplina di cui al  decreto  ministeriale  avrebbe  dovuto
«prevede misure di salvaguardia delle iniziative di sviluppo in corso
che risultino coerenti con i criteri di localizzazione degli impianti
preesistenti». Nella misura in cui la richiamata possibilita' di fare
salve le aree idonee si e' tradotta, nelle disposizioni regionali  di
attuazione, nell'assenza di un qualsivoglia regime di salvaguardia  e
addirittura nell'inefficacia ex lege dei  titoli  gia'  concessi,  la
violazione del criterio di delega di cui all'art. 5, comma 1, lettera
a),  n.  1),  della  legge  n.  53/2021  ha   assunto   una   portata
immediatamente lesiva, trattandosi  di  previsione  di  un  «un  atto
generale [che] incide senz'altro  [...]  sui  comportamenti  e  sulle
scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17 marzo 2022, n. 1937). 
    32.  L'eventuale  annullamento  del  decreto  sul  punto  sarebbe
peraltro, allo stato e in presenza delle  disposizioni  recate  dalla
legge regionale n. 20/2024, priva  di  ogni  utilita'  per  la  parte
ricorrente.  Essa,  infatti,  non  potrebbe  comunque   ulteriormente
coltivare  i  progetti  sopra  citati,  in   quanto   la   disciplina
legislativa  regionale  costituirebbe  a  tal  riguardo  un  ostacolo
assoluto. 
    33.  Laddove,  invece,   le   disposizioni   menzionate   fossero
dichiarate costituzionalmente illegittime, l'annullamento del decreto
determinerebbe,  medio  tempore,  l'applicazione   della   disciplina
previgente,   che    consentirebbe    la    prosecuzione    dell'iter
autorizzatorio e, sul piano conformativo, l'obbligo per le  autorita'
ministeriali di predisporre una nuova e piu' confacente disciplina di
salvaguardia per le iniziative in corso. 
    34. Deriva da quanto sopra l'indiscutibile rilevanza, ai fini del
presente giudizio, delle questioni di  costituzionalita'  di  seguito
sollevate. 
  Sulla non manifesta infondatezza delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale degli articoli 1, comma 2, 5, 7  e  8,  e  3,  nonche'
degli allegati A, B, C, D ed E della  legge  della  Regione  autonoma
della Sardegna n. 20/2024 con riferimento agli articoli 3, 9, 11, 41,
97,  117  della  Costituzione,  nonche'  all'art.  10   della   legge
costituzionale  n.  3/2001  e  agli  articoli  3  e  4  della   legge
costituzionale n. 3/1948 
    35.  La  disciplina  statutaria  assegna  alla  Regione  autonoma
Sardegna  la  competenza  primaria  in   materia   di   «edilizia   e
urbanistica» (art. 3, lettera f), nonche'  la  correlata  «competenza
paesaggistica» ai sensi dell'art. 6 del decreto del Presidente  della
Repubblica n.  480  del  1975.  L'art.  4,  lettera  e),  prevede  la
competenza  concorrente  nella  materia  «produzione,   trasporto   e
distribuzione nazionale dell'energia elettrica», da  esercitarsi  nel
limite dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato. 
    36. La legge regionale n. 20/2024 costituisce «legge  di  Governo
del territorio, urbanistica e di tutela del patrimonio paesaggistico»
(art. 1, comma 2). Tuttavia, nella misura in cui essa ha  ad  oggetto
precipuo «l'individuazione di aree e superfici idonee  e  non  idonee
all'installazione  e  promozione  di  impianti  a  fonti  di  energia
rinnovabile (FER)», e' da  ritenersi  che  afferisca  prevalentemente
alla competenza statutaria in materia di «produzione e  distribuzione
dell'energia elettrica» (art. 4, lettera e), dello statuto speciale). 
    37. Peraltro, pur al cospetto di un intreccio di competenze, esse
-  quella  primaria  di  tutela  del  paesaggio  e  di  edilizia   ed
urbanistica e quella concorrente in materia di  energia  elettrica  -
devono comunque esercitarsi «In  armonia  con  la  Costituzione  e  i
principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e  col  rispetto
degli obblighi internazionali e degli  interessi  nazionali,  nonche'
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica»,   oltreche',   per   quanto   riguarda   la   competenza
concorrente, nel limite «dei principi  stabiliti  dalle  leggi  dello
Stato», ai sensi dei medesimi articoli 3 e 4 dello statuto. 
    38. Nel  caso  in  esame,  le  disposizioni  di  cui  alla  legge
regionale n. 20/2024 contrastano con i principi stabiliti dalla legge
statale e dalle norme fondamentali di riforma economico - sociale che
si impongono anche alle regione ad autonomia speciale per  l'espressa
previsione statutaria. 
    39.  Occorre  al  riguardo  previamente  richiamare   il   quadro
normativo unionale. 
    40. L'art. 3, par. 5, TUE, stabilisce che «Nelle relazioni con il
resto  del  mondo  l'Unione  afferma  e  promuove  i  suoi  valori  e
interessi, contribuendo alla protezione dei  suoi  cittadini»  A  tal
fine essa «Contribuisce [...] allo sviluppo sostenibile della Terra». 
    41. L'art. 6, par. 1, Trattato sull'Unione  europea  precisa  che
«L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea  del  7  dicembre
2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo,  che  ha  lo  stesso
valore giuridico dei trattati». Ai sensi dell'art.  37  della  Carta,
«Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento  della
sua qualita' devono essere integrati nelle  politiche  dell'Unione  e
garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile». 
    42. L'art. 11 del Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea
esprime la medesima esigenza sancendo che «Le esigenze  connesse  con
la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella  definizione  e
nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in  particolare
nella  prospettiva  di  promuovere  lo  sviluppo  sostenibile»  (c.d.
principio di integrazione). 
    43. Secondo l'art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea, «La politica dell'Unione in materia ambientale  contribuisce
a perseguire i seguenti obiettivi: 
        salvaguardia,   tutela   e   miglioramento   della   qualita'
dell'ambiente; 
        protezione della salute umana; 
        utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; 
        promozione sul piano internazionale  di  misure  destinate  a
risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale  e,
in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 
    2. La politica  dell'Unione  in  materia  ambientale  mira  a  un
elevato livello di  tutela,  tenendo  conto  della  diversita'  delle
situazioni nelle varie  regioni  dell'Unione.  Essa  e'  fondata  sui
principi della precauzione e dell'azione  preventiva,  sul  principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte,  dei  danni  causati
all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga"». 
    44. Ai sensi dell'art. 192, par. 1,  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione  europea,  «Il  Parlamento  europeo   e   il   Consiglio,
deliberando secondo  la  procedura  legislativa  ordinaria  e  previa
consultazione del comitato economico e sociale e del  comitato  delle
regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere  intraprese
dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'art. 191». 
    45. L'art. 194 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
stabilisce, a sua volta, che «Nel  quadro  dell'instaurazione  o  del
funzionamento del mercato interno e tenendo  conto  dell'esigenza  di
preservare e  migliorare  l'ambiente,  la  politica  dell'Unione  nel
settore dell'energia e' intesa, in uno spirito  di  solidarieta'  tra
stati  membri,  a   [...]   promuovere   il   risparmio   energetico,
l'efficienza  energetica  e  lo   sviluppo   di   energie   nuove   e
rinnovabili». 
    46. Protezione dell'ambiente  e  promozione  delle  c.d.  energie
rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti.  Come
si ricava dalla giurisprudenza della Corte  di  giustizia,  l'uso  di
fonti di energia rinnovabili per la  produzione  di  elettricita'  e'
utile alla tutela dell'ambiente in quanto contribuisce alla riduzione
delle  emissioni  di  gas  a  effetto  serra  che  compaiono  tra  le
principali cause dei cambiamenti climatici che l'Unione europea  e  i
suoi stati membri si sono impegnati a contrastare. L'incremento della
quota di rinnovabili costituisce, in particolare, uno degli  elementi
portanti del pacchetto di misure richieste per ridurre tali emissioni
e conformarsi al protocollo di Kyoto, alla convenzione  quadro  delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nonche' agli  altri  impegni
assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle
emissioni dei gas a effetto serra. 
    Cio', peraltro, e' funzionale anche alla tutela  della  salute  e
della vita delle persone e degli animali, nonche' alla  preservazione
dei vegetali (cfr. le sentenze 1 luglio 2014, C-573/12, 78 ss., e  13
marzo 2001, C-379/98, 73 ss.). 
    47. La Corte di giustizia ha peraltro precisato  che  l'art.  191
del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea  si  limita  a
definire gli obiettivi generali dell'Unione  in  materia  ambientale,
mentre l'art. 192 del Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea
affida al Parlamento europeo e al Consiglio  dell'Unione  europea  il
compito di decidere le azioni da avviare al fine  del  raggiungimento
di detti obiettivi. Di  conseguenza,  l'art.  191  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea non puo' essere invocato in  quanto
tale dai privati al fine di escludere l'applicazione di una normativa
nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale
quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata  in
base all'art. 192 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
viceversa, l'art. 191  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea  assume  rilevanza  allorquando  esso  trovi  attuazione  nel
diritto derivato (cfr. CGUE, sentenza  4  marzo  2015,  C-534/13,  39
ss.). 
    48. Disposizioni sulla promozione dell'energia elettrica da fonti
energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175  TCE  (ora
192 TFUE), sono state introdotte gia' con la direttiva 2001/77/CE del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  del  27  settembre  2001   e,
successivamente, con la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 23 aprile 2009. 
    49. Con la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e  del
Consiglio dell'11 dicembre 2018 si e' proceduto alla rifusione e alla
modifica delle disposizioni contenute nella direttiva 2009/28/CE. Nel
dettare la relativa disciplina e'  stato  considerato,  tra  l'altro,
che: 
        «[...] 
         (2) Ai sensi dell'art. 194, paragrafo 1,  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione  delle  forme
di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della
politica energetica dell'Unione. 
        Tale obiettivo e' perseguito  dalla  presente  direttiva.  Il
maggiore ricorso  all'energia  da  fonti  rinnovabili  o  all'energia
rinnovabile costituisce una parte importante del pacchetto di  misure
necessarie per ridurre le emissioni di gas  a  effetto  serra  e  per
rispettare gli impegni dell'Unione nel quadro dell'accordo di  Parigi
del 2015 sui cambiamenti climatici, a seguito  della  21ª  Conferenza
delle  parti  della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni  Unite   sui
cambiamenti climatici ("accordo di  Parigi"),  e  il  quadro  per  le
politiche dell'energia  e  del  clima  all'orizzonte  2030,  compreso
l'obiettivo vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni di  almeno
il 40% rispetto ai  livelli  del  1990  entro  il  2030.  L'obiettivo
vincolante in materia di energie rinnovabili  a  livello  dell'Unione
per il 2030 e i contributi  degli  stati  membri  a  tale  obiettivo,
comprese le quote di riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi
nazionali  generali  per  il  2020,  figurano  tra  gli  elementi  di
importanza fondamentale  per  la  politica  energetica  e  ambientale
dell'Unione [...]. 
        (3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo'
svolgere  una  funzione  indispensabile  anche  nel   promuovere   la
sicurezza  degli   approvvigionamenti   energetici,   nel   garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione,  oltre  alla  leadership  tecnologica  e
industriale, offrendo nel contempo  vantaggi  ambientali,  sociali  e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di  lavoro  e  sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita'  demografica  o  soggetti  a  parziale
deindustrializzazione. 
        (4) In particolare, la riduzione del  consumo  energetico,  i
maggiori  progressi  tecnologici,  gli  incentivi  all'uso   e   alla
diffusione  dei  trasporti  pubblici,   il   ricorso   a   tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo  di  energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del  riscaldamento  e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle  misure  di  efficienza  energetica  per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua  dipendenza
energetica. 
        (5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro  normativo
per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti  rinnovabili  che
fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota  di  energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel  settore  dei  trasporti  da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del  22
gennaio 2014, intitolata "Quadro per le politiche dell'energia e  del
clima per il periodo dal 2020 al 2030" ha definito un quadro  per  le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del  clima  e
ha promosso un'intesa comune sulle  modalita'  per  sviluppare  dette
politiche dopo il 2020. La Commissione  ha  proposto  come  obiettivo
dell'Unione una quota di energie  rinnovabili  consumate  nell'Unione
pari ad almeno il  27  %  entro  il  2030.  Tale  proposta  e'  stata
sostenuta dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre
2014, le quali indicano che gli stati membri dovrebbero poter fissare
i  propri  obiettivi  nazionali  piu'  ambiziosi,  per  realizzare  i
contributi all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi  pianificati
e andare oltre. 
        (6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del  5  febbraio
2014,  "Un  quadro  per  le  politiche  dell'energia  e   del   clima
all'orizzonte 2030", e del 23  giugno  2016,  "I  progressi  compiuti
nell'ambito  delle  energie  rinnovabili",  si  e'  spinto  oltre  la
proposta  della  Commissione  o   le   conclusioni   del   Consiglio,
sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e  delle  recenti
riduzioni del costo delle  tecnologie  rinnovabili,  era  auspicabile
essere molto piu' ambiziosi. 
        [...] 
        (8)  Appare  pertanto  opportuno   stabilire   un   obiettivo
vincolante dell'Unione in relazione alla quota di  energia  da  fonti
rinnovabili pari almeno al 32 %.  Inoltre,  la  Commissione  dovrebbe
valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo  alla  luce
di sostanziali  riduzioni  del  costo  della  produzione  di  energia
rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore  della
decarbonizzazione o in caso di  un  significativo  calo  del  consumo
energetico nell'unione. Gli stati membri dovrebbero stabilire il loro
contributo  al  conseguimento  di  tale  obiettivo  nell'ambito   dei
rispettivi piani nazionali integrati per  l'energia  e  il  clima  in
applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE)
2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio. 
        [...] 
        (10) Al fine di garantire  il  consolidamento  dei  risultati
conseguiti  ai  sensi  della  direttiva  2009/28/CE,  gli   obiettivi
nazionali  stabiliti  per  il  2020   dovrebbero   rappresentare   il
contributo minimo degli stati membri al nuovo quadro per il 2030. 
        In nessun caso le quote nazionali delle  energie  rinnovabili
dovrebbero scendere al di sotto di tali contributi. [...]. 
        (11) Gli stati membri dovrebbero  adottare  ulteriori  misure
qualora la quota di energie  rinnovabili  a  livello  di  Unione  non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di  almeno  il  32%  di  energie  rinnovabili.  Come  stabilito   nel
regolamento (UE)  2018/1999,  se,  nel  valutare  i  piani  nazionali
integrati in materia di energia e  clima,  ravvisa  un  insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure  a  livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo.  Se,  nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate  sull'energia  e
il clima, la Commissione ravvisa  progressi  insufficienti  verso  la
realizzazione degli obiettivi, gli stati membri dovrebbero  applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare  tale
lacuna». 
    50. Le richiamate  rationes  hanno  condotto  a  introdurre,  tra
l'altro, un obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il  2030
(art. 3), per cui «Gli stati membri provvedono collettivamente a  far
si' che la quota di energia da fonti rinnovabili nel  consumo  finale
lordo di energia dell'Unione nel 2030 sia  almeno  pari  al  32%.  La
Commissione valuta tale obiettivo al fine  di  presentare,  entro  il
2023, una  proposta  legislativa  intesa  a  rialzarlo  nel  caso  di
ulteriori sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia
rinnovabile,  se  risulta  necessario  per  rispettare  gli   impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o  se  il
rialzo  e'  giustificato  da  un  significativo  calo   del   consumo
energetico nell'Unione», con la  precisazione  che  «Se,  sulla  base
della valutazione delle proposte dei piani  nazionali  integrati  per
l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'art. 9 del regolamento
(UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che  i  contributi  nazionali
degli stati membri sono insufficienti per conseguire  collettivamente
l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la Commissione  segue
la procedura di cui agli articoli 9 e 31 di tale regolamento». 
    51. Il regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 30 giugno 2021, adottato in  forza  dell'art.  192  del
TFUE, ha istituito un quadro per il conseguimento  della  neutralita'
climatica, nel presupposto che: 
        «(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici
richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per
il clima da parte dell'Unione e degli stati membri.  L'Unione  si  e'
impegnata a potenziare gli  sforzi  per  far  fronte  ai  cambiamenti
climatici  e  a  dare  attuazione  all'accordo  di  Parigi   adottato
nell'ambito  della  Convenzione  quadro  delle  Nazioni   Unite   sui
cambiamenti  climatici  ("accordo  di  Parigi"),  guidata  dai   suoi
principi  e  sulla  base  delle  migliori   conoscenze   scientifiche
disponibili, nel contesto dell'obiettivo  a  lungo  termine  relativo
alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi. 
        [...] 
        (4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale  per
contribuire alla trasformazione economica e sociale,  alla  creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile  e  al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile  delle  Nazioni
Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in  modo  efficiente  in  termini  di  costi
l'obiettivo  a  lungo  termine  relativo  alla  temperatura  di   cui
all'accordo di Parigi. 
        [...] 
        (9) L'azione per il clima dell'Unione e  degli  stati  membri
mira  a  tutelare  le  persone  e  il  pianeta,  il   benessere,   la
prosperita',   l'economia,   la   salute,   i   sistemi   alimentari,
l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro  la  minaccia
dei  cambiamenti  climatici,  nel  contesto  dell'Agenda  2030  delle
Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e nel  perseguimento  degli
obiettivi dell'accordo di Parigi;  mira  inoltre  a  massimizzare  la
prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza  e
ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In
quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli stati  membri  dovrebbero
essere guidate dal principio di  precauzione  e  dal  principio  "chi
inquina paga", istituiti dal Trattato sul  funzionamento  dell'Unione
europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza
energetica al primo posto e del principio del "non nuocere" del Green
Deal europeo. 
        [...] 
        (11) Vista l'importanza della produzione  e  del  consumo  di
energia per il livello di  emissioni  di  gas  a  effetto  serra,  e'
indispensabile realizzare la transizione verso un sistema  energetico
sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato  sulla  diffusione
delle energie rinnovabili, su un  mercato  interno  dell'energia  ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel  contempo  la  poverta'  energetica.  Anche   la   trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e  lo  sviluppo  sono
fattori  importanti  per  conseguire  l'obiettivo  della  neutralita'
climatica. 
        [...] 
        (20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro  il  2050,
un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici  dai  pozzi  dei  gas  a
effetto  serra  di  tutti  i  settori  economici  e,  ove  opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito.  Tale  obiettivo  dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...] 
        [...] 
        (25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti  nell'intero  spettro  delle  politiche  e   uno   sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e  della  societa',  come
evidenziato nel Green  Deal  europeo.  Il  Consiglio  europeo,  nelle
conclusioni  del  12  dicembre  2019,  ha  dichiarato  che  tutte  le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono  essere  coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo  della  neutralita'  climatica  e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti. 
        [...] 
        (36) Al fine di garantire che l'Unione  e  gli  stati  membri
restino  sulla  buona  strada  per   conseguire   l'obiettivo   della
neutralita' climatica e  registrino  progressi  nell'adattamento,  e'
opportuno  che  la  Commissione  valuti  periodicamente  i  progressi
compiuti,  sulla  base  delle  informazioni  di   cui   al   presente
regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma
del regolamento (UE) 2018/1999. [...] Nel caso  in  cui  i  progressi
collettivi compiuti dagli stati membri rispetto  all'obiettivo  della
neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che  le
misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita'
climatica o inadeguate per migliorare la  capacita'  di  adattamento,
rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la  Commissione
dovrebbe adottare le misure  necessarie  conformemente  ai  trattati.
[...] 
    52. Il  regolamento  ha  quindi  sancito  (art.  1)  «l'obiettivo
vincolante della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050,  in
vista dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'art.  2,  paragrafo  1,  lettera  a),  dell'accordo  di  Parigi»,
precisando  che,  onde  conseguire  tale  obiettivo,  «il   traguardo
vincolante dell'Unione in materia di clima per il  2030  consiste  in
una riduzione interna netta delle emissioni di gas  a  effetto  serra
(emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55 % rispetto ai
livelli del 1990 entro il 2030» (art. 4). 
    53.  Ai  sensi  dell'art.  5  del  regolamento,  «Le  istituzioni
competenti dell'Unione e gli  stati  membri  assicurano  il  costante
progresso nel  miglioramento  della  capacita'  di  adattamento,  nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7  dell'accordo  di
Parigi»,  garantendo  inoltre  che  «le  politiche  in   materia   di
adattamento nell'Unione e  negli  stati  membri  siano  coerenti,  si
sostengano reciprocamente, comportino  benefici  collaterali  per  le
politiche  settoriali   e   si   adoperino   per   integrare   meglio
l'adattamento  ai  cambiamenti  climatici  in  tutti  i  settori   di
intervento, comprese le  pertinenti  politiche  e  azioni  in  ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione». A tal  fine,  «Gli  Stati  membri  adottano  e  attuano
strategie e piani  nazionali  di  adattamento,  tenendo  conto  della
strategia dell'Unione sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...]
e fondati su analisi rigorose in materia di cambiamenti  climatici  e
di vulnerabilita', sulle valutazioni dei progressi compiuti  e  sugli
indicatori, e  basandosi  sulle  migliori  e  piu'  recenti  evidenze
scientifiche  disponibili.  Nelle   loro   strategie   nazionali   di
adattamento,  gli  stati  membri  tengono  conto  della   particolare
vulnerabilita' dei pertinenti settori, tra cui l'agricoltura,  e  dei
sistemi idrici e alimentari nonche'  della  sicurezza  alimentare,  e
promuovono soluzioni basate sulla natura e l'adattamento basato sugli
ecosistemi. Gli stati membri aggiornano periodicamente le strategie e
includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono
tenuti  a  presentare  a  norma  dell'art.  19,  paragrafo   1,   del
regolamento (UE) 2018/1999». 
    54. La direttiva (UE) 2023/2413  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio  del  18  ottobre  2023   ha   introdotto,   tra   l'altro,
disposizioni volte a  modificare  la  direttiva  (UE)  2018/2001,  il
regolamento (UE) 2018/1999 e la  direttiva  n.  98/70/CE  per  quanto
riguarda   la   promozione   dell'energia   da   fonti   rinnovabili,
evidenziando che: 
        "[...] 
        (2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel
conseguimento di tali  obiettivi,  dato  che  il  settore  energetico
contribuisce attualmente per oltre il 75% alle  emissioni  totali  di
gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni  di  gas  a
effetto serra, le energie rinnovabili possono  anche  contribuire  ad
affrontare sfide ambientali come la perdita  di  biodiversita',  e  a
ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione
della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo «Un percorso  verso
un pianeta piu' sano  per  tutti  -  Piano  d'azione  dell'UE:  Verso
l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo». 
        La transizione verde verso un'economia basata  sulle  energie
da fonti rinnovabili contribuira' a conseguire  gli  obiettivi  della
decisione (UE) 2022/591 del Parlamento europeo e del  Consiglio,  che
mira altresi'  a  proteggere,  ripristinare  e  migliorare  lo  stato
dell'ambiente, mediante, tra l'altro, l'interruzione  e  l'inversione
del processo di perdita di biodiversita'. [...]. 
        (4)   Il   contesto   generale   determinato   dall'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia  di
COVID-19  ha   provocato   un'impennata   dei   prezzi   dell'energia
nell'intera  Unione,  evidenziando  in  tal  modo  la  necessita'  di
accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso  delle  energie
da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a
lungo termine di un sistema energetico indipendente dai paesi  terzi,
l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione  della  transizione
verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione  delle
emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili
fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i  cittadini  e
le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia. 
        (5) Il piano REPowerEU stabilito  nella  comunicazione  della
Commissione del 18 maggio 2022 («piano  REPowerEU»)  mira  a  rendere
l'Unione indipendente dai combustibili fossili russi  ben  prima  del
2030. Tale  comunicazione  prevede  l'anticipazione  delle  capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio  di  diffusione  di  tale
energia e capacita' supplementari di  energia  da  fonti  rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i  colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o  anticipare  gli  obiettivi
fissati per l'aumento della quota  di  energia  rinnovabile  nel  mix
energetico. [...] Al di la' di tale livello obbligatorio,  gli  stati
membri   dovrebbero   adoperarsi   per   conseguire   collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione del 45  %  di  energia  da  fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU. 
        (6)  [...]  E'  auspicabile  che  gli  stati  membri  possano
combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di  conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze  nazionali  e
della  struttura  delle  loro  forniture  energetiche.  Al  fine   di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato  obiettivo  generale  vincolante  dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari  di  decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili  che
gli stati membri decidono di perseguire. 
        [...] 
        (25) Gli stati membri dovrebbero sostenere  una  piu'  rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile  effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie  rinnovabili
e per le relative  infrastrutture,  in  coordinamento  con  gli  enti
locali e regionali. Gli stati membri dovrebbero individuare  le  zone
terrestri, le superfici, le zone  sotterranee,  le  acque  interne  e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per  le  relative  infrastrutture  al  fine  di
apportare almeno  i  rispettivi  contributi  nazionali  all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti  rinnovabili  per
il 2030  di  cui  all'art.  3,  paragrafo  1,  della  direttiva  (UE)
2018/2001  e  a  sostegno  del  conseguimento  dell'obiettivo   della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in  conformita'  del
regolamento  (UE)  2021/1119.  [...].  Gli  stati  membri  dovrebbero
garantire  che  le  zone  in  questione  riflettano   le   rispettive
traiettorie stimate e la  potenza  totale  installata  pianificata  e
dovrebbero individuare le zone  specifiche  per  i  diversi  tipi  di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile  stabilite  nei  loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. 
        [...]. 
        (26) Gli stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme
di  tali  aree,  specifiche  zone  terrestri  (comprese  superfici  e
sottosuperfici)  e  marine  o  delle  acque  interne  come  zone   di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in  materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi  di  tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di  energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare  un  impatto  ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per  le
energie rinnovabili, gli stati  membri  dovrebbero  evitare  le  zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli stati membri dovrebbero  poter  designare
zone di accelerazione specificamente per le energie  rinnovabili  per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di  energia  rinnovabile  e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti  rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli stati  membri  dovrebbero  designare  tali  zone  di
accelerazione per le  energie  rinnovabili  per  almeno  un  tipo  di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei  requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono  zone  di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi'  facendo,  gli  stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni  combinate
di tali zone siano  sostanziali  e  contribuiscano  al  conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001. 
        (27) L'uso polivalente dello  spazio  per  la  produzione  di
energia rinnovabile e per  altre  attivita'  terrestri,  delle  acque
interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del  suolo,  delle
acque  interne  e  del  mare.  In  tale  contesto  la  pianificazione
territoriale  rappresenta  uno  strumento  indispensabile   con   cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle  acque  interne  e  del  mare.  Gli  stati  membri   dovrebbero
esplorare,  consentire  e  favorire  l'uso  polivalente  delle   zone
individuate a seguito delle  misure  di  pianificazione  territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli stati membri  agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare,  purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra  di  loro  e  possano
coesistere. 
        [...] 
        (36) In considerazione  della  necessita'  di  accelerare  la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione  delle
zone  di  accelerazione  per  le  energie  rinnovabili  non  dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di  progetti  di  energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione.  Questi
progetti  dovrebbero   continuare   a   sottostare   all'obbligo   di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere  soggetti  alle  procedure  di  rilascio  delle
autorizzazioni  applicabili  ai  progetti  in  materia   di   energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le  energie
rinnovabili.  Per  accelerare  le   procedure   di   rilascio   delle
autorizzazioni nella misura necessaria a  conseguire  l'obiettivo  di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE)  2018/2001,  anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori  dalle  zone  di  accelerazione  per  le  energie   rinnovabili
dovrebbero   essere   semplificate   e   razionalizzate    attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per  tutte  le  fasi  della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese  le  valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto. 
    55.  In  ragione  delle  considerazioni  sopra   richiamate,   la
direttiva ha introdotto, tra  l'altro,  disposizioni  in  materia  di
mappatura  delle  zone  necessarie   per   i   contributi   nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile  per  il
2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonche' di
procedure   amministrative   per   il   rilascio    delle    relative
autorizzazioni. 
    56. Il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento  europeo  e  del
Consiglio dell'11 dicembre 2018, adottato sulla base  degli  articoli
192 e 194 del TFUE, stabilisce la necessaria base legislativa per una
governance  dell'Unione  dell'energia  e  dell'azione  per  il  clima
affidabile,  inclusiva,  efficace  sotto  il   profilo   dei   costi,
trasparente e  prevedibile  che  garantisca  il  conseguimento  degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino  al  2030  dell'Unione
dell'energia,  in  linea  con  l'accordo  di  Parigi  del  2015   sui
cambiamenti climatici derivante dalla 21ª Conferenza delle parti alla
Convenzione quadro delle Nazioni  Unite  sui  cambiamenti  climatici,
attraverso  sforzi  complementari,  coerenti  e  ambiziosi  da  parte
dell'Unione  e  degli  stati  membri,   limitando   la   complessita'
amministrativa. 
    57. Nel configurare tale  meccanismo  e'  stato  considerato,  in
particolare, che: 
        (2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque dimensioni:
la   sicurezza   energetica;   il   mercato   interno   dell'energia;
l'efficienza  energetica;  il  processo  di   decarbonizzazione;   la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'. 
        (3)  L'obiettivo  di  un'Unione  dell'energia  resiliente   e
articolata intorno a una  politica  ambiziosa  per  il  clima  e'  di
fornire ai consumatori  dell'UE  -  comprese  famiglie  e  imprese  -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e  di
promuovere la ricerca e l'innovazione  attraendo  investimenti;  cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico  europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, in particolare  promuovendo  l'efficienza  energetica  e  i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia  rinnovabile
[...]. 
        [...] 
        (7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno  il
40% delle emissioni di gas a  effetto  serra  nel  sistema  economico
entro il 2030, rispetto ai livelli del  1990,  e'  stato  formalmente
approvato in occasione del Consiglio «Ambiente»  del  6  marzo  2015,
quale  contributo   previsto   determinato   a   livello   nazionale,
dell'Unione e dei suoi stati membri all'accordo di Parigi.  L'accordo
di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed e'
entrato in vigore il 4 novembre 2016; 
        sostituisce l'approccio adottato nell'ambito  del  protocollo
di Kyoto del 1997, che e' stato  approvato  dall'Unione  mediante  la
decisione 2002/358/CE del Consiglio (7) e  che  non  sara'  prorogato
dopo il 2020. E'  opportuno  aggiornare  di  conseguenza  il  sistema
dell'Unione per il monitoraggio e la comunicazione delle emissioni  e
degli assorbimenti di gas a effetto serra. 
        (8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di  ambizione
globale  relativo  alla  mitigazione  dei  cambiamenti  climatici   e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con  l'obiettivo  di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di  sotto
di 2 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali  e  di  continuare  ad
adoperarsi per limitare tale  aumento  della  temperatura  a  1,5  °C
rispetto ai livelli preindustriali. 
        [...] 
        (12) Nelle conclusioni del 23  e  del  24  ottobre  2014,  il
Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare  un  sistema  di
governance affidabile, trasparente,  privo  di  oneri  amministrativi
superflui e con una sufficiente flessibilita' per  gli  stati  membri
per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della  liberta'  degli  stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...] 
        [...] 
        (18) Il principale obiettivo  del  meccanismo  di  governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento  degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi  del
quadro 2030 per il clima e l'energia,  nei  settori  della  riduzione
delle emissioni dei gas a  effetto  serra,  delle  fonti  di  energia
rinnovabili e dell'efficienza  energetica.  Tali  obiettivi  derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e  dalla  necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere  l'utilizzazione  accorta  e   razionale   delle   risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno  di  questi  obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere  considerato  secondario  rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di  energia
e  di  clima.  Gli  stati  membri  devono  poter  scegliere  in  modo
flessibile le  politiche  che  meglio  si  adattano  alle  preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche'  tale  flessibilita'  sia
compatibile    con    l'ulteriore    integrazione    del     mercato,
l'intensificazione  della   concorrenza,   il   conseguimento   degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il  passaggio  graduale  a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio. 
        [...] 
        (36) Gli stati membri dovrebbero elaborare strategie a  lungo
termine con una prospettiva di almeno trent'anni per  contribuire  al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai  sensi  dell'UNFCCC  e
all'accordo di Parigi, nel contesto  dell'obiettivo  dell'accordo  di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C  rispetto  ai  livelli  preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine  delle  emissioni  di  gas  a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in  tutti  i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione [...]. 
        (56)  Se  l'ambizione  dei  piani  nazionali  integrati   per
l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti,  fosse  insufficiente
per  il  raggiungimento  collettivo   degli   obiettivi   dell'Unione
dell'energia  e,  nel  primo   periodo,   in   particolare   per   il
raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile
e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a
livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo  di
tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali  «divari  di
ambizione»). Qualora i progressi dell'Unione verso tali  obiettivi  e
traguardi fossero insufficienti a garantirne  il  raggiungimento,  la
Commissione dovrebbe, oltre  a  formulare  raccomandazioni,  proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per  garantire
il  raggiungimento  di  detti  obiettivi,  colmando  cosi'  eventuali
«divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero  altresi'  tenere
conto degli sforzi  pregressi  dagli  stati  membri  per  raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una  quota  di  energia  da  fonti  rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante  oppure  realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per  il
2020 o nell'attuazione del loro contributo  all'obiettivo  vincolante
dell'Unione di almeno il 32% di  energia  rinnovabile  nel  2030.  In
materia di energia rinnovabile, le  misure  possono  includere  anche
contributi finanziari volontari degli stati membri indirizzati  a  un
meccanismo  di  finanziamento  dell'energia  rinnovabile  nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire  ai  progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione,  offrendo  cosi'  agli  stati  membri  la  possibilita'  di
contribuire al  conseguimento  dell'obiettivo  dell'Unione  al  minor
costo possibile. 
        Gli obiettivi degli stati membri in  materia  di  rinnovabili
per il 2020 dovrebbero servire come  quota  base  di  riferimento  di
energia rinnovabile a partire dal 2021 e dovrebbero essere  mantenuti
per tutto il periodo. In materia di efficienza energetica, le  misure
aggiuntive possono mirare soprattutto a  migliorare  l'efficienza  di
prodotti, edifici e trasporti. 
        (57) Gli obiettivi nazionali degli stati membri in materia di
energia  rinnovabile  per  il  2020,  di  cui  all'allegato  I  della
direttiva (UE) 2018/2001 del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza  per  la  loro  traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che  uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo,  una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente  parte  della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo,  la  quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo  di  energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento. 
        (58) Se uno Stato  membro  non  mantiene  la  quota  base  di
riferimento  misurata  in  un  periodo  di  un  anno,  esso  dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il  divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora  abbia  effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato  conforme  ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal  momento
in cui il divario in questione si e' verificato,  sia  ai  sensi  del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]». 
    58. Il meccanismo di governance  si  e'  tradotto,  tra  l'altro,
nelle seguenti previsioni (come  aggiornate  con  la  direttiva  (UE)
2023/2413): 
        «Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e
successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica  alla
Commissione un piano nazionale integrato per  l'energia  e  il  clima
[...]» (art. 3): 
        «Ciascuno Stato membro  definisce  nel  suo  piano  nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi,  traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato  I,
sezione A, punto 2: 
          a) dimensione "decarbonizzazione": 
[...] 
2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile: 
al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota
di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art.  3,  paragrafo  1,
della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo  in  termini  di  quota
dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo  lordo
di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo  segue
una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria  indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18%  dell'aumento
totale della quota di energia da fonti  rinnovabili  tra  l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e  il
suo contributo all'obiettivo 2030.  Entro  il  2025,  la  traiettoria
indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad  almeno  il  43%
dell'aumento totale della quota di energia da fonti  rinnovabili  tra
l'obiettivo nazionale vincolante  per  il  2020  dello  Stato  membro
interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la
traiettoria indicativa raggiunge un  punto  di  riferimento  pari  ad
almeno il 65% dell'aumento totale della quota  di  energia  da  fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per  il  2020  dello
Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. 
Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve  raggiungere  almeno  il
contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato  membro  prevede
di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per il 2020, la
sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello che si aspetta di
raggiungere. Le traiettorie indicative degli stati membri,  nel  loro
insieme,  concorrono  al  raggiungimento  dei  punti  di  riferimento
dell'Unione  nel  2022,  2025  e  2027  e  all'obiettivo   vincolante
dell'Unione per la quota di energia rinnovabile per il  2030  di  cui
all'art.  3,   paragrafo   1,   della   direttiva   (UE)   2018/2001.
Indipendentemente dal  suo  contributo  all'obiettivo  dell'Unione  e
dalla sua traiettoria indicativa ai fini  del  presente  regolamento,
uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu' ambiziosi  per
finalita' di politica nazionale» (art. 4); 
«Nel proprio contributo  alla  propria  quota  di  energia  da  fonti
rinnovabili  nel  consumo  finale  lordo  di  energia  del   2030   e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'art. 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro  tiene
conto degli elementi seguenti: 
a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001; 
b)  misure  adottate  per  conseguire  il  traguardo  di   efficienza
energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE; 
c) altre misure esistenti volte a  promuovere  l'energia  rinnovabile
nello Stato membro e, ove pertinente, a livello di Unione; 
d)  l'obiettivo  nazionale  vincolante  2020  di  energia  da   fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all'allegato I
della direttiva (EU) 2018/2001; 
e)  le  circostanze  pertinenti   che   incidono   sulla   diffusione
dell'energia rinnovabile, quali: 
i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione; 
ii) le condizioni economiche e il potenziale,  compreso  il  PIL  pro
capite; 
iii) il potenziale  per  una  diffusione  delle  energie  rinnovabili
efficace sul piano dei costi; 
iv) i vincoli geografici,  ambientali  e  naturali,  compresi  quelli
delle zone e regioni non interconnesse; 
v) il livello di interconnessione elettrica tra gli stati membri; 
vi)  altre  circostanze  pertinenti,  in   particolare   gli   sforzi
pregressi. 
        [...] 
        2. Gli stati membri assicurano collettivamente che  la  somma
dei rispettivi contributi  ammonti  almeno  all'obiettivo  vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il  2030
di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001» (art.
5); 
        «Se  nel  settore  dell'energia  rinnovabile,  in  base  alla
valutazione di cui all'articolo 29, paragrafi 1 e 2,  la  Commissione
conclude che uno  o  piu'  punti  di  riferimento  della  traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027,  di  cui  all'art.  29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli stati membri che nel 2022,
2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei  rispettivi  punti  di
riferimento nazionali  di  cui  all'art.  4,  lettera  a),  punto  2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un  anno  dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a  colmare  il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali: 
          a)  misure  nazionali  volte  ad  aumentare  la  diffusione
dell'energia rinnovabile; 
          b)  l'adeguamento  della  quota   di   energia   da   fonti
rinnovabili nel settore del riscaldamento  e  raffreddamento  di  cui
all'art. 23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001; 
          c)  l'adeguamento  della  quota   di   energia   da   fonti
rinnovabili nel settore dei trasporti di cui all'art.  25,  paragrafo
1, della direttiva (UE) 2018/2001; 
          d) un pagamento finanziario  volontario  al  meccanismo  di
finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile  istituito  a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia  da
fonti  rinnovabili  gestiti  direttamente  o   indirettamente   dalla
Commissione, come indicato all'art. 33; 
          e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla
direttiva (UE) 2018/2001» (art. 32). 
    59. La legge 22 aprile  2021,  n.  53,  ha  dettato  «Principi  e
criteri direttivi per l'attuazione della  direttiva  (UE)  2018/2001,
sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», demando
al Governo, tra l'altro: 
        la previsione, previa intesa con la Conferenza unificata,  su
proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto  con  il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e  del  mare  e
con il Ministero per i  beni  e  le  attivita'  culturali  e  per  il
turismo, al fine del concreto raggiungimento degli obiettivi indicati
nel Piano nazionale integrato per l'energia e il  clima  (PNIEC),  di
una disciplina per l'individuazione  delle  superfici  e  delle  aree
idonee  e  non  idonee  per  l'installazione  di  impianti  a   fonti
rinnovabili nel rispetto delle  esigenze  di  tutela  del  patrimonio
culturale e del paesaggio, delle aree  agricole  e  forestali,  della
qualita' dell'aria e  dei  corpi  idrici,  nonche'  delle  specifiche
competenze dei Ministeri per i beni e le attivita' culturali e per il
turismo,  delle  politiche  agricole   alimentari   e   forestali   e
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando
l'utilizzo di  superfici  di  strutture  edificate,  quali  capannoni
industriali e parcheggi, e aree non  utilizzabili  per  altri  scopi,
compatibilmente con le  caratteristiche  e  le  disponibilita'  delle
risorse rinnovabili, delle infrastrutture di  rete  e  della  domanda
elettrica, nonche' tenendo in considerazione  la  dislocazione  della
domanda, gli eventuali vincoli di rete e il  potenziale  di  sviluppo
della rete stessa, a tal fine osservando i seguenti indirizzi: 
          1) definizione dei criteri  per  l'individuazione  di  aree
idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili  aventi  una
potenza complessiva almeno pari a quella individuata come  necessaria
dal PNIEC per il raggiungimento degli  obiettivi  di  sviluppo  delle
fonti rinnovabili, con indicazione di criteri per la ripartizione fra
regioni e province autonome e previsione di  misure  di  salvaguardia
delle iniziative di sviluppo in corso che risultino  coerenti  con  i
criteri di localizzazione degli impianti preesistenti; 
          2)  previsione  di  un  termine  di   sei   mesi   per   la
realizzazione del processo  programmatorio  di  individuazione  delle
aree; 
    b) di assicurare il rispetto dei  principi  della  minimizzazione
degli impatti sull'ambiente, sul territorio e  sul  paesaggio,  fermo
restando  il  vincolo   del   raggiungimento   degli   obiettivi   di
decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto  della  sostenibilita'  dei
costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo. 
    60. Il decreto legislativo n.  199/2021  costituisce  «Attuazione
della  direttiva  (UE)  2018/2001  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio,  dell'11  dicembre   2018,   sulla   promozione   dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili» e si pone (art. 1) «l'obiettivo di
accelerare il percorso di crescita  sostenibile  del  Paese,  recando
disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in  coerenza
con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico
al 2030 e di completa  decarbonizzazione  al  2050»,  definendo  «gli
strumenti, i meccanismi, gli incentivi  e  il  quadro  istituzionale,
finanziario  e  giuridico,  necessari  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi di incremento della quota di energia da  fonti  rinnovabili
al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel  rispetto
dei criteri fissati dalla legge  22  aprile  2021,  n.  53»,  recando
«disposizioni  necessarie  all'attuazione  delle  misure  del   Piano
nazionale di ripresa e resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia
di energia da fonti rinnovabili,  conformemente  al  Piano  nazionale
integrato per l'energia e il clima (di seguito anche: PNIEC), con  la
finalita' di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati,
gia'  orientati  all'aggiornamento  degli  obiettivi   nazionali   da
stabilire ai sensi del regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si
prevede, per l'Unione europea, un obiettivo vincolante  di  riduzione
delle emissioni di gas a effetto  serra  di  almeno  il  55  percento
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030». 
    61. L'art. 20 del decreto ha, in particolare, previsto che: 
        con  uno  o  piu'  decreti  del  Ministro  della  transizione
ecologica di concerto con il Ministro della cultura,  e  il  Ministro
delle politiche agricole, alimentari e forestali,  previa  intesa  in
sede di Conferenza  unificata,  sono  stabiliti  principi  e  criteri
omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree  idonee  e
non idonee all'installazione di impianti a fonti  rinnovabili  aventi
una  potenza  complessiva  almeno  pari  a  quella  individuata  come
necessaria  dal  PNIEC  per  il  raggiungimento  degli  obiettivi  di
sviluppo delle fonti rinnovabili, tenuto conto delle aree  idonee  ai
sensi del comma 8; 
        in via prioritaria, con i  suddetti  decreti  si  provvede  a
dettare  i   criteri   per   l'individuazione   delle   aree   idonee
all'installazione della potenza eolica e  fotovoltaica  indicata  nel
PNIEC, stabilendo le modalita' per minimizzare  il  relativo  impatto
ambientale e la massima porzione di  suolo  occupabile  dai  suddetti
impianti per unita' di superficie, nonche'  dagli  impianti  a  fonti
rinnovabili di produzione di energia elettrica gia' installati  e  le
superfici  tecnicamente  disponibili,  e  altresi'  a   indicare   le
modalita' per individuare  superfici,  aree  industriali  dismesse  e
altre aree compromesse, aree  abbandonate  e  marginali  idonee  alla
installazione di impianti a fonti rinnovabili; 
        i decreti stabiliscono anche la  ripartizione  della  potenza
installata fra regioni e province  autonome,  prevedendo  sistemi  di
monitoraggio sul corretto adempimento degli impegni assunti e criteri
per il trasferimento statistico fra le medesime  regioni  e  province
autonome; 
        nel dettare la disciplina delle aree idonee  si  tiene  conto
delle esigenze di tutela del patrimonio culturale  e  del  paesaggio,
delle aree agricole e forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi
idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate,
quali  capannoni  industriali  e  parcheggi,  nonche'   di   aree   a
destinazione industriale, artigianale, per  servizi  e  logistica,  e
verificando l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi
incluse le superfici agricole non utilizzabili,  compatibilmente  con
le caratteristiche e le  disponibilita'  delle  risorse  rinnovabili,
delle infrastrutture di  rete  e  della  domanda  elettrica,  nonche'
tenendo  in  considerazione  la  dislocazione  della   domanda,   gli
eventuali vincoli di rete e il  potenziale  di  sviluppo  della  rete
stessa; 
        conformemente ai principi e criteri stabiliti dai decreti  di
cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla  data  di  entrata  in
vigore dei medesimi decreti, le regioni individuano con legge le aree
idonee; 
        in sede di individuazione delle superfici e delle aree idonee
per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili sono rispettati i
principi  della  minimizzazione  degli  impatti  sull'ambiente,   sul
territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio, fermo  restando
il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al
2030 e tenendo conto della  sostenibilita'  dei  costi  correlati  al
raggiungimento di tale obiettivo; 
        nelle more dell'individuazione delle aree idonee, non possono
essere  disposte  moratorie  ovvero  sospensioni  dei   termini   dei
procedimenti di autorizzazione; 
        le aree non incluse tra le aree  idonee  non  possono  essere
dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione  di
energia rinnovabile, in sede di  pianificazione  territoriale  ovvero
nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione  della  sola  mancata
inclusione nel novero delle aree idonee; 
        in attesa della  disciplina  di  cui  ai  menzionati  decreti
attuativi, le aree idonee  sono  individuate  ex  lege  dal  medesimo
decreto legislativo. 
    62. Come precedentemente rilevato (cfr. i punti da 15 a 29  della
presente ordinanza), il decreto ministeriale 21 giugno  2024  non  ha
innovato il concetto di area non idonea contenuto nelle  linee  guida
di cui al decreto ministeriale 10 settembre  2010.  Queste,  infatti,
continuano a configurarsi come aree con «obiettivi di protezione  non
compatibili con l'insediamento  [...]  di  specifiche  tipologie  e/o
dimensioni di impianti». Detta  incompatibilita',  tuttavia,  non  si
traduce  in  una  preclusione  assoluta,  bensi'  in   «una   elevata
probabilita'  di  esito  negativo  delle  valutazioni,  in  sede   di
autorizzazione», che dovra' comunque risultare all'esito di specifica
istruttoria. Ne consegue che,  sotto  tale  profilo,  la  definizione
contenuta nel decreto impugnato non innova in alcun modo il  concetto
di area non idonea quale gia' enucleato dalle linee guida. 
    63. In contrasto con tali indicazioni, l'art. 1, comma  5,  della
legge regionale Sardegna n. 20/2024 stabilisce  che  «E'  vietata  la
realizzazione degli impianti  ricadenti  nelle  rispettive  aree  non
idonee cosi' come individuate dagli allegati A, B,  C,  D,  E  e  dai
commi 9 e 11». Tale previsione si pone in violazione  degli  articoli
117, primo  e  terzo  comma  della  Costituzione  in  relazione  agli
articoli 20 del decreto legislativo n.  199/2021,  alle  disposizioni
del decreto ministeriale 21 giugno  2024,  nonche'  al  principio  di
massima diffusione degli impianti da  fonti  di  energia  rinnovabile
come  emergente   dalla   disciplina   unionale   sopra   richiamata.
L'inadeguatezza di una determinata area o di un determinato  sito  ad
ospitare impianti da fonti rinnovabili, infatti, non puo' derivare da
una  qualificazione  aprioristica,  generale  ed  astratta,  ma  puo'
soltanto conseguire all'esito di un procedimento  amministrativo  che
consenta una valutazione in concreto delle inattitudini del luogo, in
ragione delle relative specificita'. 
    64. L'impatto di un divieto di  tale  portata  e',  inoltre,  del
tutto incerto e, in  ogni  caso,  si  risolve  in  un  severo  limite
all'individuazione delle zone disponibili per  l'installazione  degli
impianti che, a termini dell'art. 15-ter, par.  1,  secondo  periodo,
della direttiva  (UE)  2018/2001,  devono  essere  commisurate  «alle
traiettorie stimate e  alla  potenza  totale  installata  pianificata
delle tecnologie per  le  energie  rinnovabili  stabilite  nei  piani
nazionali per l'energia e il clima presentati a norma degli  articoli
3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999». 
    65. A questo riguardo, occorre infatti rilevare che le previsioni
dell'art. 1, comma 5, lette in combinato disposto  con  gli  allegati
alla legge, prevedono una sterminata casistica di aree  vietate,  con
un elenco di quarantacinque pagine, definite peraltro sulla  base  di
astratte esigenze di protezione non specificamente riferite a  luoghi
concreti, ricomprendendo non solo le aree  e  i  beni  specificamente
tutelati,  ma  sostanzialmente  la  maggior  parte   del   territorio
regionale (cfr. ad  es.  riferimenti  agli  «Ulteriori  elementi  con
valenza storico - culturale, di natura archeologica, architettonica e
identitaria,  quali  beni  potenziali  non   ricompresi   nel   piano
paesaggistico  vigente  al  momento  dell'entrata  in  vigore   della
presente legge, ed aree circostanti che distano meno di 3 chilometri,
in linea d'aria» - allegato A, lettera bb), allegato B,  lettera  y),
allegato C, lettera bb), allegato D, lettera aa), allegato  E,  lett.
bb)). Come dedotto dalla parte ricorrente,  non  smentita  sul  punto
dalle parti intimate,  la  rete  dei  divieti  previsti  dalla  legge
regionale comprende circa il 98% del territorio regionale. 
    66.  Peraltro,  in  forza  dell'art.  32  del  regolamento   (UE)
2018/1999, se la  Commissione  conclude  che  uno  o  piu'  punti  di
riferimento della traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e
2027 non sono stati raggiunti, gli stati membri che nel 2022, 2025  e
2027 sono al  di  sotto  di  uno  o  piu'  dei  rispettivi  punti  di
riferimento nazionali possono essere tenuti  all'adozione  di  misure
supplementari, ivi incluso un  pagamento  finanziario  volontario  al
meccanismo di finanziamento  dell'Unione  per  l'energia  rinnovabile
istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di
energia da fonti rinnovabili gestiti  direttamente  o  indirettamente
dalla Commissione. La sottrazione indiscriminata di larga  parte  del
territorio di una regione alla possibilita'  di  installare  impianti
FER  potrebbe,  pertanto,  implicare  l'obbligo  di  adottare  misure
supplementari,  con  impatti  anche  sulle  finanze  pubbliche,   ove
ostacoli il raggiungimento degli obiettivi. 
    67. Nella misura in cui puo' ostacolare il  raggiungimento  degli
obiettivi di potenza  installata  delle  tecnologie  per  le  energie
rinnovabili, il divieto in  questione  si  pone  anche  in  posizione
critica  rispetto  alla  strategia  di  adattamento  ai   cambiamenti
climatici  dell'Unione.  Come  precedentemente  ricordato,  ai  sensi
dell'art.  5  del  regolamento  (UE)   2021/1119,   «Le   istituzioni
competenti dell'Unione e gli  stati  membri  assicurano  il  costante
progresso nel  miglioramento  della  capacita'  di  adattamento,  nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7  dell'accordo  di
Parigi». 
    Essi, inoltre, «garantiscono [...] che le politiche in materia di
adattamento nell'Unione e  negli  stati  membri  siano  coerenti,  si
sostengano reciprocamente, comportino  benefici  collaterali  per  le
politiche  settoriali   e   si   adoperino   per   integrare   meglio
l'adattamento  ai  cambiamenti  climatici  in  tutti  i  settori   di
intervento, comprese le  pertinenti  politiche  e  azioni  in  ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione». 
    68. Come precisato dalla Commissione europea nella  comunicazione
COM(2021)82 final sulla nuova strategia dell'UE per l'adattamento  ai
cambiamenti climatici,  «Il  Green  Deal  europeo,  la  strategia  di
crescita  dell'UE  per  un  futuro   sostenibile,   si   basa   sulla
consapevolezza che la trasformazione verde e' un'opportunita'  e  che
la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l'UE  ha  mostrato  la
propria  leadership  per   scongiurare   lo   scenario   peggiore   -
impegnandosi a raggiungere la neutralita' climatica - e prepararsi al
meglio - puntando ad azioni di  adattamento  piu'  ambiziose  che  si
fondano sulla strategia dell'UE di adattamento del 2013. La visione a
lungo termine prevede che nel 2050 l'UE sara' una societa' resiliente
ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti
dei cambiamenti climatici. Cio' significa che entro il 2050, anno  in
cui l'Unione aspira  ad  aver  raggiunto  la  neutralita'  climatica,
avremo rafforzato la capacita' di adattamento e ridotto al minimo  la
vulnerabilita' agli effetti dei cambiamenti climatici, in  linea  con
l'accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima». Il
raggiungimento dei target  di  potenza  installata  delle  tecnologie
rinnovabili  costituisce,  all'evidenza,  un  elemento  centrale  per
conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica,
che potrebbe essere posto seriamente a  rischio  da  una  disciplina,
come quella censurata, che vieta  in  assoluto  la  realizzazione  di
impianti FER in aree non idonee. 
    69. Il divieto sembra  anche  contrastare  con  il  principio  di
integrazione di  cui  all'art.  11  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea e all'art. 37 della Carta di Nizza,  secondo  cui
«Le esigenze connesse  con  la  tutela  dell'ambiente  devono  essere
integrate nella  definizione  e  nell'attuazione  delle  politiche  e
azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo
sviluppo sostenibile». L'integrazione ambientale in tutti  i  settori
politici pertinenti (agricoltura, energia, pesca, trasporti, ecc.) e'
funzionale a  ridurre  le  pressioni  sull'ambiente  derivanti  dalle
politiche e dalle attivita' di altri settori e  per  raggiungere  gli
obiettivi ambientali e climatici. La  previsione  in  generale  delle
aree  non  idonee  come  zone  vietate  solleva  sul  punto  notevoli
perplessita', in quanto non  istituisce  alcuna  forma  di  possibile
bilanciamento  tra  i  valori  in  gioco,  sancendo  un'indefettibile
prevalenza dell'interesse alla conservazione dello stato dei  luoghi,
in contrasto con l'obiettivo del decreto stesso di  promuovere  l'uso
dell'energia da fonti rinnovabili. 
    70. Da quanto precede risulta anche che la  disciplina  censurata
confligge con il principio di proporzionalita', con violazione  anche
dell'art. 3 della Costituzione come la Corte  di  giustizia  ha  piu'
volte ribadito, «il principio di  proporzionalita'  e'  un  principio
generale del diritto comunitario che dev'essere rispettato tanto  dal
legislatore  comunitario  quanto  dai  legislatori  e   dai   giudici
nazionali» (sentenza 11 giugno 2009, C-170/08, 41). Il  sindacato  di
proporzionalita' costituisce, inoltre, un aspetto  del  controllo  di
ragionevolezza   delle   leggi    condotto    dalla    giurisprudenza
costituzionale, onde verificare che il bilanciamento degli  interessi
costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato  con  modalita'
tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in
misura  eccessiva   e   pertanto   incompatibile   con   il   dettato
costituzionale. Come la stessa Corte  ha  precisato,  «Tale  giudizio
deve    svolgersi    "attraverso    ponderazioni    relative     alla
proporzionalita'  dei  mezzi  prescelti  dal  legislatore  nella  sua
insindacabile discrezionalita' rispetto alle  esigenze  obiettive  da
soddisfare o alle finalita'  che  intende  perseguire,  tenuto  conto
delle circostanze  e  delle  limitazioni  concretamente  sussistenti"
(sentenza n. 1130 del 1988). Il test di  proporzionalita'  utilizzato
da questa Corte come  da  molte  delle  giurisdizioni  costituzionali
europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza,  ed  essenziale
strumento  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  per  il
controllo giurisdizionale di legittimita' degli  atti  dell'Unione  e
degli stati membri, richiede di  valutare  se  la  norma  oggetto  di
scrutinio, con la misura e le modalita'  di  applicazione  stabilite,
sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi  legittimamente
perseguiti, in quanto, tra piu' misure appropriate, prescriva  quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti  obiettivi»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 1 del 2014). 
    71.  Inoltre,  ai  sensi  dell'art.  9  della   Costituzione   la
Repubblica tutela  l'ambiente,  la  biodiversita'  e  gli  ecosistemi
«anche   nell'interesse   delle   future   generazioni»,   con   cio'
incorporando il principio di  sviluppo  sostenibile  nell'ambito  dei
principi   fondamentali   in   materia    di    tutela    ambientale.
L'incondizionato sacrificio  di  tale  principio,  quale  sotteso  al
divieto  in  esame,  contrasta,  pertanto,   con   l'art.   3   della
Costituzione, nonche' con  l'art.  9  citato  e  con  la  consolidata
giurisprudenza  costituzionale   secondo   cui   «Tutti   i   diritti
fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano  in  rapporto  di
integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di
essi che abbia la prevalenza assoluta sugli  altri.  La  tutela  deve
essere sempre "sistemica e non frazionata in una serie di  norme  non
coordinate ed in potenziale conflitto tra loro" (sentenza n. 264  del
2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata  espansione
di uno dei diritti, che  diverrebbe  "tiranno"  nei  confronti  delle
altre  situazioni  giuridiche   costituzionalmente   riconosciute   e
protette [...]. La Costituzione italiana, come le altre  Costituzioni
democratiche e  pluraliste  contemporanee,  richiede  un  continuo  e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali,  senza
pretese di assolutezza  per  nessuno  di  essi.  [...]  Il  punto  di
equilibrio, proprio perche' dinamico e non  prefissato  in  anticipo,
deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle  norme
e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo  criteri  di
proporzionalita' e di  ragionevolezza,  tali  da  non  consentire  un
sacrificio  del  loro  nucleo  essenziale»   (Corte   costituzionale,
sentenza n. 85 del 2013). 
    72. Peraltro, lo stesso decreto ministeriale prescrive,  all'art.
7, comma 3, alle regioni che, «nell'applicazione del  presente  comma
deve essere contemperata la necessita' di  tutela  dei  beni  con  la
garanzia di raggiungimento degli obiettivi  di  cui  alla  Tabella  A
dell'art. 2 del presente decreto». Sul punto, occorre ricordare  che,
anche  prima  dell'entrata  in  vigore  del  decreto  legislativo  n.
199/2021, l'orientamento della giurisprudenza costituzionale era  nel
senso di ritenere illegittime norme regionali volte a sancire, in via
generale e astratta, la non idoneita' di intere aree di territorio  o
a imporre, in  maniera  generalizzata  ed  aprioristica,  limitazioni
(Corte  costituzionale,  sentenza  n.  69  del  2018).  Per  costante
giurisprudenza  della  Corte,  infatti,  le  regioni  e  le  province
autonome sono tenute a rispettare i principi fondamentali contemplati
dal legislatore statale (ex multis, sentenze n. 11 del 2022,  n.  177
del 2021 e n. 106 del 2020) e, nel  caso  di  specie,  racchiusi  nel
citato decreto legislativo n. 199 del  2021  e  nella  disciplina  di
attuazione (quale il decreto ministeriale aree idonee). 
    73. I divieti posti dalla  Regione  Sardegna,  e  in  particolare
l'art. 1, comma 2, 5, 7 e 8 e i relativi allegati A, B, C,  D  ed  E,
violano pertanto i principi  fondamentali  posti  dallo  Stato  nella
materia  di  legislazione  concorrente   «produzione,   trasporto   e
distribuzione nazionale dell'energia», di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, della Costituzione, espressi dal decreto  legislativo  n.  199
del  2021,  nonche'  dal  decreto  ministeriale  21  giugno  2024   e
contrastano con gli articoli 3, 9,  11  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, in quanto incidono sul raggiungimento  degli  obiettivi
di decarbonizzazione fissati a livello europeo. 
    74. L'art. 1, inoltre, precisa che le disposizioni della legge si
applicano a tutto il territorio regionale, ivi inclusi le aree  e  le
superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso
di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o
statale ovvero autorizzati che non abbiano determinato  una  modifica
irreversibile dello stato dei luoghi. Non solo. La legge  addirittura
incide  sui  titoli  autorizzatori  e  abilitativi  gia'  rilasciati,
comminandone l'inefficacia, mentre  in  relazione  ai  progetti  gia'
realizzati prevede (al comma 8), che «Gli interventi di  rifacimento,
integrale  ricostruzione,  potenziamento  [...]  sono  ammessi   solo
qualora non comportino un aumento della  superficie  lorda  occupata,
nonche', nel caso di impianti eolici, un aumento dell'altezza  totale
dell'impianto». Ne deriva la violazione dei principi di  uguaglianza,
certezza del diritto e del legittimo affidamento, nonche' il  diritto
di  liberta'  di  iniziativa  economica  di  cui  all'art.  41  della
Costituzione.  Il  legislatore   regionale,   infatti,   ha   imposto
l'indiscriminata applicazione del nuovo regime a tutti gli operatori,
senza differenziare la posizione  di  coloro  che  non  hanno  ancora
presentato alcun progetto, che lo hanno sviluppato e gia'  sottoposto
alla valutazione dell'autorita' amministrativa sostenendo i  relativi
costi  di  progettazione  ovvero  che  abbiano   gia'   ottenuto   le
autorizzazioni e iniziato a sostenere i costi  di  realizzazione.  In
relazione  ai  progetti  gia'  realizzati,  inoltre,  la   disciplina
regionale da' luogo a un regolamento del tutto irrazionale, in cui le
aree interessate dal progetto gia' realizzato e quelle contermini  si
trasformano, di fatto, in aree vietate ratione personae: il  soggetto
gia'  titolare  di  un  impianto,  infatti,  verrebbe  privato  della
possibilita'  di  apportare  modifiche  a  detto  impianto   che   ne
determinino in qualunque modo  l'aumento  della  superficie  occupata
ovvero dell'altezza totale  (per  gli  impianti  eolici),  senza  che
assumano alcuna rilevanza la qualificazione  dell'area  (idonea,  non
idonea, ordinaria) e l'entita' delle modifiche,  con  violazione  dei
principi  di  uguaglianza,   di   ragionevolezza   e   di   legittimo
affidamento. 
    75. Al riguardo, occorre ricordare che secondo la  giurisprudenza
costituzionale  il  valore  del  legittimo  affidamento,  che   trova
copertura costituzionale nell'art. 3 della Costituzione, non  esclude
che il legislatore possa  adottare  disposizioni  che  modificano  in
senso  sfavorevole  agli  interessati  la  disciplina   di   rapporti
giuridici, anche se l'oggetto di questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti. Cio' puo' avvenire, tuttavia, a condizione  «che
tali disposizioni  non  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello Stato  di  diritto»  (ex
plurimis, sentenze n. 216 e n. 56 del 2015, n. 219 del 2014,  n.  154
del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012 e n. 302 del 2010;
ordinanza n. 31 del 2011). Nel caso di  specie,  invece,  la  Regione
Sardegna  ha  emanato  una  legge  che   contravviene   ai   principi
fondamentali  della   materia,   quali   derivanti   dagli   obblighi
rinvenienti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e  dalla
relativa normativa  statale  di  attuazione,  senza  preoccuparsi  di
operare alcun bilanciamento con tutti i valori  in  gioco,  recedendo
soltanto di fronte all'impossibilita' di  fatto  di  ripristinare  lo
status quo. 
    76. Da quanto sopra discende anche la violazione dei principi  di
imparzialita'  e  buon  andamento  dell'amministrazione,   e   quindi
dell'art. 97 della Costituzione. Oltre all'irragionevole impatto  che
la suddetta normativa determina su procedimenti gia'  definiti,  essa
osta, infatti, a qualsivoglia possibilita'  di  realizzare,  in  sede
amministrativa, il piu' opportuno bilanciamento  degli  interessi  in
gioco. A tale riguardo, non e' secondario  osservare  che,  ai  sensi
dell'art. 20, comma 7, decreto legislativo n. 199/2021, «Le aree  non
incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate  non  idonee
all'installazione di impianti di produzione di  energia  rinnovabile,
in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di  singoli
procedimenti, in ragione della sola  mancata  inclusione  nel  novero
delle aree idonee». Il riferimento specifico alla valutazione operata
«in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli
procedimenti» attesta che la riserva di  procedimento  amministrativo
per la dichiarazione di non idoneita', oltre che prevista dalle linee
guida, e' sancita a livello di normazione primaria anche  nel  regime
di cui ai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 20,  comma
1, del decreto, con conseguente  impossibilita'  per  le  regioni  di
impedire  che  tale  valutazioni  si  compia  mediante  il   divieto,
stabilito in via generale e astratta per  legge,  di  realizzare  gli
impianti nelle aree non idonee. 
    77. Non soccorre, al riguardo, la  peculiare  procedura  prevista
dall'art.  3  della  legge  che  consente,  su  istanza  dei   comuni
interessati, di proporre un'istanza propedeutica  alla  realizzazione
di  un  impianto  o  di  un  accumulo  FER  all'interno  di   un'area
individuata come non idonea. Tale istanza, che gia' sotto il  profilo
della previsione dell'esclusiva  competenza  propositiva  del  comune
suscita perplessita' per la commistione tra  profili  di  valutazione
politica e amministrativa, da' luogo a una procedura, da svolgersi in
sede di Conferenza di servizi, in cui e' pero' prevista  l'unanimita'
ai fini  della  realizzazione  dell'intervento  e  l'inapplicabilita'
dell'istituto  del   silenzio-assenso,   dipartendosi   all'ordinario
funzionamento  della  Conferenza   dei   servizi   e   del   silenzio
significativo  di  cui  alla  disciplina  statale  sul   procedimento
amministrativo, fonte che rappresenta la norma interposta, dalla  cui
violazione discende  il  contrasto  con  l'art  117,  secondo  comma,
lettera m),  che  attribuisce  alla  Stato  la  potesta'  legislativa
esclusiva in determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale. Al  riguardo,  occorre  ricordare  che
l'art. 29,  comma  2-ter  della  legge  n.  241/1990  stabilisce  che
«Attengono [...] ai  livelli  essenziali  delle  prestazioni  di  cui
all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),  della  Costituzione  le
disposizioni della presente legge  concernenti  la  presentazione  di
istanze, segnalazioni e comunicazioni, la segnalazione certificata di
inizio attivita' e il silenzio assenso e la  Conferenza  di  servizi,
salva  la  possibilita'  di  individuare,  con  intese  in  sede   di
Conferenza unificata di cui all'art. 8  del  decreto  legislativo  28
agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni,  casi  ulteriori  in
cui tali disposizioni non si applicano», mentre ai  sensi  del  comma
2-quater  «Le  regioni  e  gli  enti  locali,  nel   disciplinare   i
procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire
garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle  disposizioni
attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni  di  cui  ai  commi
2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela», con
obbligo per le regioni a statuto speciale e le provincie autonome  di
adeguare la propria legislazione a tali previsioni. 
    78. Non c'e' dubbio che la legge regionale sarda rechi un livello
inferiore di tutela rispetto  a  quello  garantito  dalla  disciplina
statale,  imponendo   l'unanimita'   dei   consensi   ed   escludendo
l'operativita' del silenzio-assenso. 
    79. Sotto altro profilo, occorre anche ricordare che, secondo  un
indirizzo consolidato del  giudice  costituzionale,  «"[s]petta  alla
legislazione  statale  determinare  presupposti   e   caratteristiche
dell'autorizzazione paesaggistica, delle eventuali esenzioni e  delle
semplificazioni della procedura, in ragione della  diversa  incidenza
delle opere sul valore intangibile dell'ambiente»  (sentenza  n.  246
del 2017). Si e', inoltre, affermato che «la  legislazione  regionale
non puo' prevedere una procedura per  l'autorizzazione  paesaggistica
diversa da quella dettata dalla legislazione  statale,  perche'  alle
regioni  non  e'  consentito  introdurre  deroghe  agli  istituti  di
protezione ambientale che dettano una disciplina  uniforme,  valevole
su  tutto  il  territorio  nazionale,  nel  cui  ambito  deve  essere
annoverata l'autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 189 del 2016;
nello stesso senso, sentenze n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101
del 2010 e n. 232  del  2008)»  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.
74/2021). 
    80. La procedura  prevista  dall'art.  3  della  legge  regionale
Sardegna n. 20/2024, istituendo un procedimento diverso anche in aree
sottoposte a  tutela  culturale  o  paesaggistica  per  le  quali  la
normativa statale (articoli  21  e  146  del  testo  unico  dei  beni
culturali) fissa, per esigenze  di  uniformita'  di  trattamento,  un
procedimento autorizzatorio apposito da  parte  della  soprintendenza
competente, si pone anche in  contrasto  con  l'art.  117,  comma  2,
lettera  s),  della  Costituzione,  che   assegna   alla   competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato   la   materia   della   «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». 
    81. Peraltro, la predetta disciplina e' in ogni caso  un  diretto
portato dell'illegittimo  divieto  generalizzato  di  realizzare  gli
impianti in aree non idonee  e  non  puo',  pertanto,  sfuggire  alle
medesime censure suesposte. 
    82.  Per  tutto  quanto  sopra,   va   sollevata   questione   di
legittimita' costituzionale degli articoli 1, comma 2, 5, 7 e 8, e 3,
nonche' dei relativi allegati A, B, C, D  ed  E,  della  legge  della
Regione autonoma della Sardegna  n.  20/2024,  per  violazione  degli
articoli 3, 9, 11, 41, 97 e 117, comma 1, 2, lettera m) e  s),  e  3,
della Costituzione, anche in relazione  ai  principi  espressi  dalla
direttiva (UE) 2018/2001  e  dal  regolamento  (UE)  2018/1999,  come
modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413,  nonche'  dal  regolamento
(UE) 2021/1119, e altresi' dell'art. 10 della legge costituzionale n.
3/2001 e degli articoli 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948. 

 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  (Sezione
terza) cosi' dispone: 
        a) dichiara rilevanti e  non  manifestamente  infondate,  nei
termini  espressi  in  motivazione,  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale degli articoli 1, comma 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche'  dei
relativi allegati A, B, C, D ed E, della legge della Regione autonoma
della Sardegna n. 20/2024, per violazione degli articoli  3,  9,  11,
41, 97 e 117, comma 1, 2, lettera m) e s), e 3,  della  Costituzione,
anche  in  relazione  ai  principi  espressi  dalla  direttiva   (UE)
2018/2001 e dal regolamento (UE)  2018/1999,  come  modificati  dalla
direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal regolamento (UE)  2021/1119,  e
altresi' dell'art. 10 della legge costituzionale n.  3/2001  e  degli
articoli 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948; 
        b) sospende il giudizio  per  le  determinazioni  conseguenti
alla definizione dell'incidente  di  costituzionalita'  e,  ai  sensi
dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,   dispone   la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        c) dispone la comunicazione  della  presente  ordinanza  alle
parti in causa, nonche' la  sua  notificazione  al  Presidente  della
Regione  autonoma  della  Sardegna  e  al  Presidente  del  Consiglio
regionale sardo; 
        d) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito  del  giudizio
incidentale promosso con la presente ordinanza. 
    Cosi' deciso in Roma nella  Camera  di  consiglio  del  giorno  5
febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati: 
        Elena Stanizzi, Presidente; 
        Luca Biffaro, referendario; 
        Marco Savi, referendario, estensore. 
 
                       Il Presidente: Stanizzi 
 
 
                                                    L'estensore: Savi