Reg. ord. n. 146 del 2025 pubbl. su G.U. del 27/08/2025 n. 35
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio del 13/05/2025
Tra: Iberdrola Renovables Italia spa C/ Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri
Oggetto:
Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Norme della Regione autonoma Sardegna – Disposizioni per l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) – Previsione che si applica a tutto il territorio della Regione, ivi comprese le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi – Previsione che è vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee come individuate dagli allegati A, B, C, D, E e dai commi 9 e 11 dell'art. 1 della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 – Previsione che tale divieto si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, è in corso al momento dell'entrata in vigore della medesima legge regionale – Previsione che non può essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell'entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 2024, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l'attuazione – Previsione che i provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati già emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia – Previsione che sono fatti salvi i provvedimenti aventi ad oggetto impianti che hanno già comportato una modificazione irreversibile dello stato dei luoghi – Previsione che, qualora un progetto di impianto ricada su un areale ricompreso sia nelle aree definite idonee sia nelle aree definite non idonee, prevale il criterio di non idoneità – Interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente all'entrata in vigore della presente legge e in esercizio, nelle aree non idonee – Previsione che sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonché, nel caso di impianti eolici, un aumento dell'altezza totale dell'impianto, intesa come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo del comma 6 dell'art. 1 della legge regionale n. 20 del 2024, ivi compreso il rispetto dell'art. 109 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale – Raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici nel rispetto delle peculiarità storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole – Previsione che i comuni hanno facoltà di proporre un'istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di un'area individuata come non idonea, finalizzata al raggiungimento di un'intesa con la Regione – Previsione che qualora l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente in un'area mineraria dismessa di proprietà regionale o di enti interamente controllati dalla Regione, l'area medesima è trasferita in proprietà ai comuni che ne facciano richiesta ai sensi della legge regionale n. 35 del 1995 – Denunciate disposizioni che contrastano con i principi stabiliti dalla legge statale di riferimento e con le norme fondamentali di riforma economico–sociale che, per espressa previsione statutaria, si impongono anche alle Regioni ad autonomia speciale – Violazione dei principi fondamentali posti dallo stato nella materia di legislazione concorrente della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, applicabili in virtù della c.d. clausola di adeguamento automatico di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 – Previsione di un divieto di realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree individuate dalla normativa regionale come non idonee, che confligge con la normativa interposta nonché con il principio di massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili, come dedotto dalla disciplina europea di riferimento – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Incidenza della normativa regionale sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello europeo – Contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – Violazione del principio di proporzionalità, per mancato bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti che comporta il sacrificio di uno di essi in misura eccessiva – Incondizionato sacrificio del principio dello sviluppo sostenibile, lesivo della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi – Lesione del principio di ragionevolezza – Normativa regionale che ha imposto l’indiscriminata applicazione del nuovo regime a tutti gli operatori – Violazione dei principi di uguaglianza, certezza del diritto, del legittimo affidamento nonché del diritto di libertà di iniziativa economica – Lesione dei principi di imparzialità e buon andamento atteso l’impatto della suddetta normativa su procedimenti già definiti che osta a qualsiasi possibilità di realizzare in sede amministrativa l’opportuno bilanciamento degli interessi in gioco – Previsione che consente ai comuni interessati di proporre un’istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all’interno d un’area individuata come non idonea, dando luogo a una conferenza in conferenza di servizi nella quale è prevista l’unanimità ai fini della realizzazione dell’intervento e l’inapplicabilità del silenzio-assenso – Legge regionale che, recando un livello inferiore di tutela rispetto a quello garantito dalla legge statale, viola la competenza legislativa statale esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali – Istituzione di un procedimento diverso anche in aree soggette a tutela culturale o paesaggistica per le quali la normativa statale fissa un procedimento apposito da parte dell’apposita sopraintendenza – Lesione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali .
- Legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20, artt. 1, commi, 2, 5, 7, 8; 3, e Allegati A, B, C, D e E.
-Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; Statuto speciale per la Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, artt. 3, 4, [recte: lett. e)]; direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento e del Consiglio dell'11 dicembre 2018; direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023; regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018; regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 2021; Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), art. 11; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), art. 37; decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, art. 20, commi 1 e 7; decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 21 e 146; legge 8 agosto 1990, n. 241, art. 29, commi 2-ter e 2-quater; decreto del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica 21 giugno 2024.
Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al decreto legislativo n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c), incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Previsione che l’art. 20, comma 1-bis primo periodo del decreto legislativo, n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Denunciato divieto il cui impatto è del tutto incerto e si risolve in un severo limite all’individuazione delle zone disponibili per l’installazione degli impianti – Disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Norma che non istituisce nessuna forma di bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, senza considerare una loro possibile utilizzabilità finanche a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – Assenza di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale, che contrasta con la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.
- Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi 1 e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, art. 2, comma 2, primo periodo.
- Costituzione, artt. 3, 9, 11 e 117, primo comma; direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento e del Consiglio dell'11 dicembre 2018; direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023; regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018; regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 2021.
Norme impugnate:
decreto-legge del 15/05/2024 Num. 63 Art. 5 Co. 1
legge del 12/07/2024 Num. 101
decreto legislativo del 25/11/2024 Num. 190 Art. 2 Co. 2
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 2
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 5
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 7
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 1 Co. 8
legge della Regione autonoma Sardegna del 20/12/2024 Num. 20 Art. 3
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 9 Co.
Costituzione Art. 11 Co.
Costituzione Art. 41 Co.
Costituzione Art. 97 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Costituzione Art. 117 Co. 2
Costituzione Art. 117 Co. 2
Costituzione Art. 117 Co. 3
Statuto speciale per la Sardegna Art. 3 Co.
Statuto speciale per la Sardegna Art. 4 Co.
legge costituzionale Art. 10 Co.
legge Art. 29 Co. 2
legge Art. 29 Co. 2
decreto legislativo Art. 20 Co. 1
decreto legislativo Art. 20 Co. 7
decreto legislativo Art. 21 Co.
decreto legislativo Art. 146 Co.
decreto ministeriale Art. Co.
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea Art. 11 Co.
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea Art. 37 Co.
regolamento UE Art. Co.
regolamento UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
Testo dell'ordinanza
N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2025
Ordinanza del 13 maggio 2025 del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Iberdrola Renovables Italia Spa
e Elettricita' Futura - Unione delle imprese elettriche italiane
contro il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e
altri..
Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Norme della
Regione autonoma Sardegna - Disposizioni per l'individuazione di
aree e superfici idonee e non idonee all'installazione di impianti
a fonti di energia rinnovabile (FER) - Previsione che si applica a
tutto il territorio della Regione, ivi comprese le aree e le
superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in
corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza
regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato
una modifica irreversibile dello stato dei luoghi - Previsione che
e' vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle
rispettive aree non idonee come individuate dagli allegati A, B, C,
D, E e dai commi 9 e 11 dell'art. 1 della legge della Regione
Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 - Previsione che tale divieto si
applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura
autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale
o statale, e' in corso al momento dell'entrata in vigore della
medesima legge regionale - Previsione che non puo' essere dato
corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima
dell'entrata in vigore della legge regionale n. 20 del 2024,
risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l'attuazione -
Previsione che i provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli
abilitativi comunque denominati gia' emanati, aventi ad oggetto gli
impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia -
Previsione che sono fatti salvi i provvedimenti aventi ad oggetto
impianti che hanno gia' comportato una modificazione irreversibile
dello stato dei luoghi - Previsione che, qualora un progetto di
impianto ricada su un areale ricompreso, sia nelle aree definite
idonee, sia nelle aree definite non idonee, prevale il criterio di
non idoneita' - Interventi di rifacimento, integrale ricostruzione,
potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente
all'entrata in vigore della stessa legge e in esercizio, nelle aree
non idonee - Previsione che sono ammessi solo qualora non
comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonche', nel
caso di impianti eolici, un aumento dell'altezza totale
dell'impianto, intesa come la somma delle altezze dei singoli
aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto
previsto dal secondo periodo del comma 6 dell'art. 1 della legge
regionale n. 20 del 2024, ivi compreso il rispetto dell'art. 109
delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale -
Raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, di
promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi
energetici nel rispetto delle peculiarita' storico-culturali,
paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole - Previsione
che i comuni hanno facolta' di proporre un'istanza propedeutica
alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno
di un'area individuata come non idonea, finalizzata al
raggiungimento di un'intesa con la Regione - Previsione che qualora
l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente in un'area
mineraria dismessa di proprieta' regionale o di enti interamente
controllati dalla Regione, l'area medesima e' trasferita in
proprieta' ai comuni che ne facciano richiesta ai sensi della legge
regionale n. 35 del 1995.
- Legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 (Misure urgenti
per l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee
all'installazione e promozione di impianti a fonti di energia
rinnovabile (FER) e per la semplificazione dei procedimenti
autorizzativi) artt. 1, commi, 2, 5, 7, 8; 3 e Allegati A, B, C, D
ed E.
Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Modifiche al
decreto legislativo n. 199 del 2021 - Disposizioni finalizzate a
limitare l'uso del suolo agricolo - Previsione che l'installazione
degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone
classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita
esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente
agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o
integrale ricostruzione degli impianti gia' installati, a
condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c),
incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e quelle con
piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonche' le
discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati,
c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell'art.
20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il
primo periodo del comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto
legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano
impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla
costituzione di una comunita' energetica rinnovabile ai sensi
dell'art. 31 del predetto decreto nonche' in caso di progetti
attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di
ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli
investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti
necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR -
Previsione che l'art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto
legislativo, n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell'art. 5
del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica
ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore,
sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative,
comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie
all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli
impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato
rilasciato almeno uno dei titoli medesimi - Disciplina dei regimi
amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili -
Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del
decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica
utilita', indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in
zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel
rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo n. 199 del 2021.
- Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 (Disposizioni urgenti per le
imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonche' per le
imprese di interesse strategico nazionale), convertito, con
modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi 1
e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei
regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti
rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettera
b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo
periodo.
(GU n. 35 del 27-08-2025)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
(Sezione Terza)
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 8725 del 2024, proposto da Iberdrola Renovables
Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Comande', Enzo Puccio,
Serena Caradonna, con domicilio digitale come da PEC da Registri di
Giustizia;
contro Ministero della Cultura, Ministero dell'Ambiente e della
Sicurezza Energetica, Ministero dell'Agricoltura, della Sovranita'
alimentare e delle Foreste, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
nei confronti della Regione Siciliana, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura
Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei
Portoghesi, 12; della Regione Autonoma della Sardegna, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli
avvocati Mattia Pani, Giovanni Parisi, con domicilio digitale come da
PEC da Registri di Giustizia;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Elettricita' Futura - Unione delle Imprese Elettriche
Italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dagli avvocati Cristina Martorana, Andrea
Sticchi Damiani, Pina Lombardi, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia;
per l'annullamento
degli articoli 1, 3 e 7 del decreto ministeriale 21 giugno 2024
recante «Disciplina per l'individuazione di superfici e aree idonee
per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili» adottato dal
Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica di concerto con
il Ministero della Cultura e il Ministero dell'Agricoltura, della
Sovranita' Alimentare e delle Foreste e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 153 del 2
luglio 2024, nonche' i relativi allegati;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;
visti il ricorso e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della
Cultura e di Regione Siciliana e di Ministero dell'Ambiente e della
Sicurezza Energetica e di Ministero dell'Agricoltura della Sovranita'
Alimentare e delle Foreste e di Regione Autonoma della Sardegna;
visti gli articoli 23, comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87, 79,
comma 1, c.p.a., e 295 c.p.c.;
Visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2025 il
dott. Marco Savi e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale.
1. La ricorrente fa parte del gruppo multinazionale Iberdrola,
attivo nel campo della produzione di energia elettrica.
2. In Italia Iberdrola ha presentato diverse iniziative, tra le
quali:
«Piazza Armerina», Regione Siciliana, Agrivoltaico - non
avanzato, potenza 65,67 MW;
«Lentini 1», Regione Siciliana, Agrivoltaico in parte non
avanzato, potenza 60 MW;
«Uta Prangili», Regione Sardegna, Agrivoltaico -non avanzato,
potenza 33,61 MW;
«Benetutti Mercuria, Regione Sardegna, Agrivoltaico -non
avanzato, potenza 37,02 MW;
«Carbonia - Iglesias», Regione Sardegna, Eolico, potenza 66 MW;
«Monreale», Regione Siciliana, Agrivoltaico - non avanzato,
potenza 139,00 MW.
3. Con il presente ricorso Iberdrola sostiene che il decreto
impugnato rechi previsioni idonee a pregiudicarne l'autorizzazione e
ha sollevato a tale riguardo plurimi profili di violazione di legge
ed eccesso di potere. Piu' in particolare, le censure possono cosi'
essere riassunte:
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 3 del
decreto legislativo n. 199/2021 e dell'art. 5, della legge n.
53/2021: il decreto impugnato avrebbe mancato di definire i criteri
omogenei per l'individuazione delle aree idonee all'installazione di
impianti FER, essendosi limitato a riprodurre principi di massima
che, a ben vedere, sarebbero esattamente e testualmente quelli
individuati dalla norma delegante (art. 20, comma 3, decreto
legislativo n. 199/2021). Ne deriverebbe il conferimento alle regioni
di una delega sostanzialmente in bianco, in contrasto con
l'insegnamento della Corte Costituzionale, che avrebbe sempre
rivendicato l'importanza della uniformita' della «materia energia»
sul territorio nazionale (motivo I.1);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1, del
decreto legislativo n. 199/2021: il decreto, chiamato a «dettare i
criteri per l'individuazione delle aree idonee all'installazione
della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le
modalita' per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima
porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unita' di
superficie, nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione
di energia elettrica gia' installati e le superfici tecnicamente
disponibili», si sarebbe limitato a prevedere la mera «possibilita'»
di classificare le superfici o le aree come idonee differenziandole
sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto,
con indicazione generica e priva di indirizzi idonei a orientare
l'esercizio della potesta' regionale (motivo I.2);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 8, del
decreto legislativo n. 199/2021: illegittimita' della previsione che
assegna una mera «possibilita'» alle Regioni, in sede di emanazione
delle leggi, di fare salve le aree idonee di cui all'art. 20, comma
8, decreto legislativo n. 199/2021. Tale norma si porrebbe in
contrasto con il dato normativo ed equivarrebbe a consentire alle
Regioni di non tener conto, in sede di normazione, delle aree idonee
individuate al legislatore nazionale, rimettendosi alle Regioni la
potesta' di prevedere che aree che, fino ad oggi, sono state
indiscussamente idonee, ai sensi del comma 8, diventino «aree
ordinarie» o addirittura «aree non idonee», con impatti in termini di
affidamento degli investimenti ed incertezza del quadro giuridico di
riferimento (motivo I.3);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del
decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto legislativo
n. 387/2003, delle linee guida e del principio della massima
diffusione degli impianti FER: l'art. 20, comma 4, decreto
legislativo n. 199/2021 prevedrebbe una competenza regionale, da
esercitare mediante legge, unicamente per la disciplina delle aree
idonee. Il decreto, invece, richiedendo alle regioni di individuare
con legge anche le aree non idonee, si porrebbe in contrasto, oltre
che con tale norma primaria, anche con l'art. 12, comma 10, del
decreto legislativo n. 387/2003 e con le successive linee guida, che
prevedono l'individuazione delle «aree non idonee» all'esito di un
apposito procedimento amministrativo, operando un bilanciamento in
concreto degli interessi strettamente aderenti alla specificita' dei
luoghi, senza poter imporre in via legislativa vincoli generali non
previsti dalla disciplina statale (motivo II.1);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del
decreto legislativo n. 199/2004, dell'art. 12 del decreto legislativo
n. 387/2003, delle linee guida e del principio della massima
diffusione degli impianti FER: nel definire le aree non idonee come
aree «incompatibili con l'installazione di specifiche tipologie di
impianti», il decreto introdurrebbe un vero e proprio divieto di
installazione di impianti FER in dette aree, in contrasto con i
principi dettati dalle linee guida, che pure vengono dalla
disposizione in questione richiamati, in base alle quali
L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve
configurarsi come divieto preliminare» all'installazione degli
impianti (motivo II.2);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi 1, 7 e 8
del decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto
legislativo n. 387/2003, delle linee guida e del principio della
massima diffusione degli impianti FER nonche' del decreto legislativo
n. 42/2004 e dell'art. 117, comma 2, lett. s) della Costituzione: nel
prevedere che «Sono considerate non idonee le superfici e le aree che
sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi
dell'art. 10 e dell'art. 136, comma 1, lettere a) e b) del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», il decreto si porrebbe in
contrasto con la normativa europea e nazionale, nonche' con quella
prevista per i beni soggetti a tutela paesaggistica e culturale,
introducendo un divieto esorbitante e del tutto irragionevole, in
quanto di fatto inibirebbe in tutte le aree vincolate la
realizzazione degli impianti, a prescindere da qualsiasi specifica
valutazione in ordine alle effettive e concrete esigenze di tutela di
ciascun bene vincolato e, correlativamente, da qualsiasi verifica in
ordine alla sussistenza di una effettiva incompatibilita'
dell'intervento con la tutela paesaggistica o culturale da
assicurare. Del pari illegittima sarebbe la previsione secondo cui
«Le regioni possono individuare come non idonee le superfici e le
aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a
tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42», nonche' «stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni
sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della
tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino
a un massimo di 7 chilometri», in quanto assegnerebbe poteri alle
Regioni in contrasto con la competenza statale in materia di
paesaggio e beni culturali, che impone uniformi livelli di tutela in
tutto il territorio nazionale (motivo II.3);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1, decreto
legislativo n. 100/2021: nell'individuare, come aree in cui e'
vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati
a terra, le aree agricole per le quali vige il divieto di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra ai sensi
dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, il
decreto contravverrebbe alla delega, che non avrebbe contemplato la
possibilita' di individuare aree «in cui e' vietata» la installazione
di impianti fotovoltaici a terra, sicche' il decreto ministeriale non
avrebbe potuto essere utilizzato per dare attuazione al citato comma
1-bis (motivo III.1)»;
manifesta irragionevolezza - violazione della Direttiva
2009/28/CE, della Direttiva 2001/77/CE e della Direttiva
2018/2001/UE: la delega di cui all'art. 1, comma 2, lett. d) del
decreto ministeriale impugnato sarebbe assolutamente irragionevole ed
illegittima anche in ragione del fatto che, nel vietare la
collocazione di impianti FTV a terra in aree agricole, non precisa
che da tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici.
Invero, sia gli FTV con moduli a terra che gli agrivoltaici hanno in
comune la collocazione sul suolo di moduli recanti pannelli
fotovoltaici. Tuttavia, la giurisprudenza ne avrebbe evidenziato la
differenza, in quanto nei primi la crescita della vegetazione puo'
ostare con la produzione di energia e quindi e' oggetto di interventi
volti a controllarla o impedirla, mentre, nel caso dell'agrivoltaico,
l'impianto (sia avanzato che base) sarebbe strutturato in modo da
consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola ovvero il
pascolo degli animali, di talche' la superficie del terreno resta
permeabile e quindi raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque
pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione
agricola. La previsione in esame, non operando alcuna distinzione in
merito, introdurrebbe un divieto concreto, indiscriminato e
generalizzato ad ogni tipo di impianto che usa tale tecnologia,
inclusi gli agrivoltaici base o avanzati che siano (motivo III.2).
4. Per l'ipotesi in cui non sia possibile un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021, la ricorrente ha prospettato
l'illegittimita' costituzionale della disposizione per i seguenti
profili:
violazione e falsa applicazione dell'art. 77, comma secondo,
della Costituzione: dalla disamina del «Preambolo» al decreto-legge
agricoltura si evincerebbe che l'iniziativa governativa da cui ha
preso le mosse l'approvazione dell'art. 5, comma 1, del menzionato
decreto-legge, che ha introdotto la norma contestata, e' stata
motivata in ragione della ritenuta straordinaria necessita' e urgenza
di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione
agricola. Tale presupposto, tuttavia, non sarebbe sussistente, in
quanto nel territorio italiano la Superficie Agricola Totale (SAT) e'
pari a 16 milioni di ettari, mentre la Superficie Agricola Utilizzata
(SAU) e' pari a 12,5 milioni di ettari. Inoltre, 4 milioni di ettari
di terreni agricoli sono attualmente abbandonati. Al 2023 sono stati
installati impianti pari a una potenza di 30,3 GW. Di questi, secondo
il GSE, 9,2 GW sono impianti FTV a terra che utilizzano 16.400
ettari, che equivalgono solo allo 0,05% del territorio nazionale
oppure allo 0,13% della SAU. Installare gli 84 GW di cui al Piano
elettrico 2030/REPowerEU richiederebbe fino a 70.000 ettari -
considerando l'ipotesi piu' estensiva secondo cui l'intero obiettivo
fosse perseguito mediante l'utilizzo della sola tecnologia che
utilizza pannelli fotovoltaici collocati a terra e senza considerare
la quota installabile su edifici - che equivalgono allo 0,2% del
territorio italiano ovvero allo 0,4% della SAT. Si tratterebbe di una
porzione marginale di suoli agricoli anche se paragonata ai 4 milioni
di ettari di terreni agricoli abbandonati e ai 12,5 milioni di ettari
di SAU. Sarebbero stati, pertanto, in origine carenti i requisiti di
necessita' e urgenza di cui all'art. 77 della Costituzione che
avrebbero giustificato il ricorso allo strumento eccezionale della
decretazione d'urgenza (motivo IV);
violazione e falsa applicazione degli artt. 117, commi primo e
terzo, della Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla
Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio
dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da
fonti rinnovabili e all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (attuazione della Direttiva 2001/77/CE): la norma
contestata, nel prevedere il divieto di installazione di nuovi
impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare
l'estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in
contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e, in
particolare, con l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli
impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva
2001/77/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della
quale e' stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021. Sotto
altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi
generali dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in
attuazione delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12,
comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli
impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma
1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate
agricole dai vigenti piani urbanistici», e con le linee guida del
2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali
le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non
possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio. Per contro, una norma che
introduce un divieto generalizzato a realizzare una tipologia di
impianto FER su qualsiasi area agricola - a prescindere anche da una
previa indagine in merito alle tecnologie utilizzate, alle specifiche
qualita' del sito agricolo ovvero alle colture ivi condotte - si
porrebbe in conflitto con i summenzionati principi fondamentali di
cui all'art. 117, comma 1, della Costituzione ed all'art. 12, comma
7, del decreto legislativo n. 387/2003, attuativi di direttive
dell'Unione europea e che riflettono anche impegni internazionali
volti a favorire l'energia prodotta da fonti rinnovabili (motivo V);
violazione e falsa applicazione dell'art. 9 della Costituzione
- violazione e falsa applicazione dell'art. 15 della Direttiva (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili -
violazione del principio di proporzionalita' - violazione dell'art.
11 del TFUE-violazione dell'art. 41 della Costituzione: la scelta di
introdurre un generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti
FTV con moduli a terra su aree urbanisticamente campite come
«agricole» risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la
diffusione delle fonti rinnovabili in modo da incidere sugli
obiettivi di tutela dell'ambiente perseguiti. Sul punto, l'art. 15
della direttiva 2018/2001 prevede che «Gli Stati membri prendono in
particolare le misure appropriate per assicurare che: b) le norme in
materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze
siano oggettive, trasparenti e proporzionate ...». La norma censurata
sarebbe tutt'altro che una forma di esercizio "proporzionato» della
potesta' legislativa. La norma, inoltre, violerebbe il principio di
integrazione delle tutele riconosciuto, sia a livello europeo (art.
11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del decreto legislativo n.
152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo
sottintende) - in virtu' del quale le esigenze di tutela
dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e
nell'attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in
particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Se il
principio di proporzionalita' rappresenta il criterio alla stregua
del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori
costituzionali all'interno di un quadro argomentativo razionale, il
principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La
tutela dell'ambiente e del paesaggio (nello specifico dell'ambiente e
del contesto agricolo) non potrebbero essere visti quali valori
contrapposti rispetto alla diffusione delle fonti rinnovabili, sia
sotto il profilo della tutela dell'ambiente che sotto quello della
tutela dell'iniziativa economica privata. Lo stesso art. 9 della
Costituzione sancisce che la tutela dei valori ambientali deve essere
perseguita «anche nell'interesse delle future generazioni». Al
contrario, la disposizione in esame muoverebbe dall'assunto di un
aprioristico conflitto tra la conservazione delle aree agricole e la
autorizzazione di impianti per la produzione di energia mediante
collocazione di pannelli fotovoltaici a terra, come se le descritte
finalita' non fossero tra loro contemperabili mediante la
introduzione di parametri di valutazione idonei a stabilire, caso per
caso, quando e dove consentire o meno la collocazione di impianti che
utilizzano la tecnologia fotovoltaica a terra (inclusi gli
agrivoltaici base o avanzati) in area agricola (motivo VI).
5. L'Associazione Elettricita' futura e' intervenuta ad
adiuvandum, argomentando a sostegno delle censure formulate dalla
parte ricorrente avverso il decreto ministeriale.
6. Si e' costituita la Regione Sardegna, rilevando in primo luogo
la carenza di un interesse concreto e attuale alla base della
doglianza circa la genericita' dei criteri di individuazione delle
aree, non essendovi certezza che l'esercizio da parte delle regioni
della suddetta delega porra' effettivamente «nel nulla» gli impianti
per i quali la Societa' ha gia' avviato l'iter
progettuale/realizzativo.
7. I parametri declinati dall'art. 7 del decreto, in ogni caso,
non sarebbero affatto generici, ma soprattutto sarebbero funzionali
perseguimento del vero obiettivo sotteso al medesimo decreto e al
presupposto decreto legislativo N. 199/2021, ossia l'attuazione delle
direttive dell'Unione Europea che impongono il raggiungimento da
parte dell'Italia di una determinata soglia di produzione di energia
da fonti rinnovabili. Ciascuna regione, infatti, si deve attenere
alla «traiettoria di conseguimento dell'obiettivo di potenza
complessiva da traguardare al 2030» (art. 2, comma 1, decreto
ministeriale) di cui alla Tabella A del decreto ministeriale cosi' da
garantire la primaria esigenza del rispetto degli obblighi
eurounionali. Assicurato tale obiettivo, sarebbe piu' che legittimo
che le stesse regioni dispongano di ampia autonomia nella mappatura
delle aree idonee e non idonee, a tutela degli interessi pubblici
afferenti, in particolare, alla tutela dell'ambiente e del paesaggio,
all'utilizzo del territorio e all'agricoltura.
8. Infondata sarebbe anche la censura con la quale si sostiene
che il decreto non dovrebbe occuparsi delle aree non idonee, in
quanto il decreto legislativo n. 199/2021 prevede che con decreto
ministeriale debbano essere «stabiliti principi e criteri omogenei
per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non
idonee».
9. Per cio' che attiene invece alla fonte con la quale le regioni
opereranno tale «mappatura», il fatto che l'individuazione con legge
e' prevista esplicitamente solo per le aree idonee (art. 20, comma 4,
decreto legislativo n. 199/2021) non significherebbe necessariamente
che con legge non possano essere identificate anche quelle non
idonee.
10. In ordine invece all'asserita violazione da parte del decreto
ministeriale del principio di massima diffusione degli impianti FER,
il decreto definirebbe il percorso da seguire per il conseguimento
dell'obiettivo imposto dall'Unione europea di produzione di energia
da fonti rinnovabili. Risulterebbe, pertanto, correttamente
bilanciata l'ulteriore, ma non recessiva, esigenza di tutela dei beni
culturali e paesaggistici come enucleata dal comma 3 dell'art. 7 del
decreto ministeriale, che fissa i criteri concernenti la non
idoneita' proprio delle aree di interesse culturale e paesaggistico;
cio' in linea con la delega concessa dall'art. 20, comma 3, del
decreto legislativo n. 199/2021 (secondo il quale occorre tener conto
anche delle esigenze di 6 tutela del patrimonio culturale e
paesaggistico e delle aree agricole e forestali).
11. Con memoria depositata il 30 dicembre 2024 la ricorrente ha
evidenziato come la legge della Regione Autonoma della Sardegna n.
20/2024 integri la «plastica» dimostrazione del fatto che la
disciplina delineata dal decreto ministeriale, laddove detta regole
generiche ovvero che deviano dal tenore della delega di cui al
decreto legislativo n. 199/2021. La Sardegna, infatti, avrebbe
classificato la quasi totalita' del proprio territorio come «area non
idonea» all'installazione di impianti FER, includendo in tale
classificazione anche le aree che risultavano essere idonee ai sensi
dell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n. 199/2021. Inoltre,
la dedotta illegittimita' della mancanza di un regime transitorio
dettato dal decreto ministeriale impugnato avrebbe consentito alla
Regione Sardegna di prevedere che il divieto di realizzazione si
applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura
autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o
statale, e' in corso al momento dell'entrata in vigore della presente
legge, nonche' l'inefficacia dei provvedimenti autorizzatori e di
tutti i titoli abilitativi comunque denominati gia' emanati, aventi
ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee. I disegni di
legge in discussione in altre Regioni andrebbero, peraltro, in
analoga direzione.
12. Con apposita produzione documentale in data 23 dicembre 2024
la ricorrente ha specificamente dedotto in ordine all'impatto che la
legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024 produce sui
progetti indicati al punto 2 della presente ordinanza, evidenziando,
in particolare, che le iniziative «Benetutti», «Carbonia-Iglesias» e
«Prangili», risulterebbero situati in tutto o in parte in area non
idonea. Ne conseguirebbe, nonostante le gia' avviate procedure
amministrative per la valutazione di impatto ambientale e
l'autorizzazione dei progetti, la preclusione al loro ulteriore
sviluppo, in mancanza di criteri di salvezza delle iniziative gia' in
corso e tenuto conto del fatto che, in base alla suddetta legge, «E'
vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive
aree non idonee».
13. All'udienza pubblica del 5 febbraio 2025 la causa e' stata
trattenuta in decisione.
14. Il Collegio reputa necessario sospendere il presente giudizio
onde suscitare il controllo incidentale di costituzionalita' sulle
questioni indicate nel prosieguo.
15. Preliminarmente, e' tuttavia opportuno chiarire i termini in
cui debba essere declinato, nel regime introdotto dalla disciplina di
cui all'art. 20, comma 1, decreto legislativo n. 199/2021, il
concetto di area non idonea all'installazione di impianti FER. Tale
esigenza, invero, risulta intrinsecamente correlata con il tenore
delle censure ricorsuali, in particolare quelle articolate con il
secondo motivo di ricorso, con le quali, come esposto in narrativa,
la societa' ricorrente ha in sostanza contestato:
l'indebita contemplazione, nell'ambito della disciplina posta
dal decreto ministeriale, della materia delle aree non idonee;
la configurazione delle aree non idonee quali aree
incompatibili e, quindi, sostanzialmente preclusive rispetto
all'installazione di impianti FER;
la genericita' dei criteri posti dal decreto ministeriale a
fini di indirizzo della successiva attivita' regionale;
l'abnorme estensione del perimetro di possibile individuazione
delle aree non idonee;
l'individuazione delle aree non idonee con legge regionale, e
non piu' in sede procedimentale;
la mancanza di una disciplina di salvaguardia per le iniziative
gia' avviate.
16. Il presupposto comune alle censure e' che, avendo il gravato
decreto ministeriale qualificato le aree non idonee come aree
incompatibili con l'installazione di impianti FER, il concetto di
«area non idonea» sarebbe stato completamente stravolto rispetto a
quello operante nel regime previgente (i.e., a quello delle linee
guida). In particolare, prima dell'adozione del gravato decreto
ministeriale la conseguenza correlata al carattere di non idoneita'
di un'area era circoscritta al fatto che il soggetto proponente non
potesse accedere alla accelerazione procedimentale dell'iter
autorizzativo propedeutico alla realizzazione ed esercizio
dell'impianto FER - accelerazione che, viceversa, avrebbe operato nel
caso di localizzazione dell'impianto in area idonea -. Per converso,
nessuna preclusione, aprioristica e assoluta, alla realizzazione di
tali impianti risultava discendere dalla loro localizzazione in aree
non idonee. Orbene, secondo la prospettazione della societa'
ricorrente, siccome con l'adozione del gravato decreto ministeriale
le amministrazioni resistenti avrebbero introdotto una preclusione di
tal guisa, lo stesso risulterebbe illegittimo.
17. Il Collegio ritiene che la tesi sostenuta dalla societa'
ricorrente non possa essere condivisa per le ragioni di diritto di
seguito esposte.
18. Come noto, l'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387, ha introdotto disposizioni per la razionalizzazione e
la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. A tal fine, l'art.
12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003 ha inter alia
previsto che "In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle
attivita' produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attivita'
culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del
procedimento di cui al comma 3 [la c.d. procedura di autorizzazione
unica, n.d.r.]. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad
assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali
linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e
siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di
impianti».
19. Le linee guida indicate dall'art. 12, comma 10, del decreto
legislativo n. 387/2003 sono state adottate con decreto del Ministero
dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, e con esse e' stato
stabilito che:
paragrafo 17: «Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione
alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee
guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla
indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di impianti secondo le modalita' di cui al
presente punto e sulla base dei criteri di cui all'allegato 3.
L'individuazione della non idoneita' dell'area e' operata dalle
Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la
ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del
paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni
agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che
identificano obiettivi di protezione non compatibili con
l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una
elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di
autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da richiamare nell'atto
di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie
e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilita'
riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle
disposizioni esaminate [...]. Le aree non idonee sono [...]
individuate dalle Regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con
cui sono definite le misure e gli interventi necessari al
raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati in
attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione individua
le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente gia'
previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico
obiettivo assegnatole»;
allegato 3: «L'individuazione delle aree e dei siti non idonei
mira non gia' a rallentare la realizzazione degli impianti, bensi' ad
offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e
orientamento per la localizzazione dei progetti. L'individuazione
delle aree non idonee dovra' essere effettuata dalle Regioni con
propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti di
pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, secondo le
modalita' indicate al paragrafo 17», nonche' sulla base di principi e
criteri, individuati dal medesimo allegato, in ragione dei quali, tra
l'altro: «a) l'individuazione delle aree non idonee deve essere
basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi legati ad aspetti
di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
artistico-culturale, connessi alle caratteristiche intrinseche del
territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti non
idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse
fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto; [...] d)
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a
tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate,
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
Regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'Impatto Ambientale nei
casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non
deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di
accelerazione e semplificazione dell'iter di autorizzazione alla
costruzione e all'esercizio, anche in termini di opportunita'
localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni
del territorio».
20. Nel contesto del sistema delineato dall'art. 12, comma 10,
del decreto legislativo n. 387/2003, come risulta dai pacifici
orientamenti pretori formatisi in seno alla giurisprudenza della
Corte costituzionale, le linee guida sono «poste a completamento
della normativa primaria «in settori squisitamente tecnici» (sentenze
n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 e
n. 86 del 2019, nonche' n. 69 del 2018) e connotate dal carattere
della inderogabilita' a garanzia di una disciplina «uniforme in tutto
il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del
2018)» (sentenza n. 106 del 2020; nello stesso senso, sentenze n.
221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)» (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023).
21. Va, poi, evidenziato che la Corte costituzionale ha chiarito
che con le disposizioni normative introdotte dal decreto legislativo
n. 199/2921 «il legislatore statale ha inteso superare il sistema
dettato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla
promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e dal conseguente
decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010
(Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione
delle aree non idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a
individuare le aree «idonee» all'installazione degli impianti, sulla
scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti
interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20 [...].
Inoltre, l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non piu'
in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in
relazione a quelle non idonee, bensi' «con legge» regionale, secondo
quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20»
(cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 103/2024).
22. Sulla scorta di quanto chiarito ed affermato negli
orientamenti giurisprudenziali teste' richiamati, discende che
nell'applicazione del rinnovato quadro normativo che ha interessato
la materia della realizzazione degli impianti FER non possano sic et
simpliciter essere trasposti, in maniera acritica e meccanica, i
principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione
al pregresso assetto normativo e regolatorio. Infatti, laddove si
aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica - che e', poi, quella
sostanzialmente prospettata dalla societa' ricorrente - si finirebbe
per obliterare indebitamente il vigente contesto normativo, avuto
specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito, l'art.
20, comma 1, del decreto legislativo n. 199/2021 espressamente
dispone che sia il MASE, di concerto con il MIC e il MASAF, a
stabilire con decreto i principi e i criteri omogenei strumentali
all'individuazione delle aree idonee e non idonee.
23. Invero, proprio sulla scorta delle scelte compiute dalle
amministrazioni resistenti con l'adozione del gravato decreto
ministeriale, e condivise con gli enti territoriali tramite lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge come,
contrariamente a quanto sostenuto dalla societa' ricorrente, nel
complessivo nuovo impianto normativo e regolamentare sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e finalita', la
portata precettiva del concetto di «area non idonea».
24. Infatti, l'art. 1, comma 2, lett. b), del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree non
idonee» come «aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili
con l'installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10
settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 settembre
2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni».
25. A dispetto di quanto asserito dalla societa' ricorrente -
secondo la quale la definizione di area non idonea come area
incompatibile equivarrebbe alla introduzione di un divieto assoluto
alla installazione di impianti FER - occorre ricordare che il
paragrafo 17 delle Linee guida gia' per il passato specificava che il
processo di ricognizione delle aree non idonee dovesse avvenire
prendendo in considerazione gli «obiettivi di protezione non
compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche
tipologie e/o dimensioni di impianti».
26. Emerge, quindi, come gia' nel contesto previgente
all'adozione del gravato decreto ministeriale le aree non idonee si
caratterizzassero per essere aree incompatibili con il
soddisfacimento degli obiettivi di protezione che l'ordinamento
intende perseguire. Tale forma di incompatibilita', quale tratto
caratterizzante delle aree non idonee, non si traduceva in una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di «una elevata probabilita' di esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione».
27. L'analisi diacronica sinteticamente svolta consente di
affermare che, sotto l'esaminato profilo della «incompatibilita'», la
definizione di «aree non idonee» contenuta nell'art. 1, comma 2,
lett. b), del gravato decreto ministeriale non possiede un carattere
innovativo, risultando sostanzialmente invariata, quoad effectum, la
portata del concetto di «area non idonea», per come declinato dal
decreto ministeriale del 21 giugno 2024, rispetto a quella scaturente
dalle Linee guida.
28. A sostegno di tale conclusione, d'altronde, milita anche il
fatto che lo stesso art. 1, comma 2, lett. b), del gravato decreto
ministeriale declini la dichiarata incompatibilita' «secondo le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle Linee
guida». Ordunque, benche' l'ordito normativo, con il previsto
aggiornamento delle Linee guida «A seguito dell'entrata in vigore
della disciplina statale e regionale per l'individuazione di
superfici e aree idonee ai sensi dell'art. 20», presenti indubbi
elementi di circolarita' che rendono non del tutto chiaro il ruolo
che le medesime Linee Guida sono ad oggi chiamate a svolgere in
subiecta materia, e' preferibile ritenere che il richiamo alle
modalita' stabilite dalle Linee Guida sia da intendersi nel senso che
il legislatore abbia optato per il consolidamento, anche rispetto al
nuovo regime, delle acquisizioni, in termini di significato e
declinazione delle aree non idonee, gia' raggiunte nel previgente
assetto normativo in applicazione delle previsioni dettate dalle
Linee guida.
29. Tale opzione esegetica puo' essere legittimamente percorsa in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione conservativa di
cui all'art. 1367 del codice civile - pacificamente applicabile anche
agli atti amministrativi, come chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5358 del 4
settembre 2020 e riferimenti ivi citati) -. Infatti, mediante
l'impiego di tale legittimo criterio interpretativo, nel nostro
ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori giuridici
non affetti da vizi di legittimita' (ut res magis valeat quam
pereat), risultando cio' confacente, peraltro, ai principi di
economicita' ed efficacia dell'attivita' amministrativa sanciti
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons.
Stato, sez. III, sentenza n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione.
30. Se e' vero che non puo' essere sottaciuto il fatto che l'art.
3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga che le Regioni
provvedono con legge alla individuazione (anche) delle aree non
idonee - e non piu' nell'ambito di un apposito procedimento
amministrativo, come previsto dalle Linee Guida - e' del pari vero
che, in disparte gli eventuali profili di illegittimita' di tale
scelta, non v'e' alcun indice normativo che faccia ritenere che a
tale cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata dalla
societa' ricorrente.
31. Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo
giuridico di approvazione della classificazione delle aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non risulta accompagnato da
alcuna radicale trasfigurazione del significato che il concetto
giuridico di «aree non idonee» esprime nell'ambito della
pianificazione del territorio necessaria al raggiungimento degli
obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili.
32. Ad avviso del Collegio, l'interpretazione sin qui proposta
trova anche il conforto della giurisprudenza costituzionale che ha
riconosciuto la «necessita' di garantire la «massima diffusione degli
impianti da fonti di energia rinnovabili» (sentenza n. 286 del 2019,
in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n. 216 e n. 77 del
2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del
2014 e n. 44 del 2011) «nel comune intento di ridurre le emissioni di
gas ad effetto serra' (sentenza n. 275 del 2012; nello stesso senso,
sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del
2012), onde contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti
climatici (sentenza n. 77 del 2022)» (Corte costituzionale, sentenza
n. 27/2023).
33. Va, quindi, radicalmente escluso che le «aree non idonee»
possano essere considerate aree del tutto interdette alla
installazione di impianti FER, poiche' opinando diversamente potrebbe
essere seriamente pregiudicato il conseguimento degli obiettivi
energetici strumentali al rispetto degli impegni assunti dall'Italia
a livello sovranazionale - tenuto anche conto della particolare
ampiezza dei margini di manovra consentiti alle Regioni dal decreto
ministeriale impugnato.
34. Viceversa, l'interpretazione dell'art. 1, comma 2, lett. b),
del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, al quale il
Collegio intende aderire - partendo dall'assunto che il carattere di
non idoneita' di un'area non precluda in radice la realizzazione di
impianti FER - e' atta a porre in rilievo come l'individuazione con
legge regionale delle aree non idonee non esclude che le
amministrazioni, nell'ambito degli specifici procedimenti
amministrativi di valutazione delle istanze di autorizzazione alla
realizzazione di impianti FER, siano necessariamente tenute ad
apprezzare in concreto l'impatto dei progetti proposti sulle esigenze
di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni
culturali, anche laddove l'area interessata rientri tra quelle
classificate come non idonee.
35. Nel caso di specie, tuttavia, la suesposta ricostruzione del
concetto di area non idonea, nel nuovo regime introdotto dal decreto
ministeriale, e' palesemente smentita dal tenore dispositivo della
legge della Regione Autonoma della Sardegna n. 20/2024.
36. La predetta legge prevede, infatti, che:
«E' vietata la realizzazione degli impianti ricadenti nelle
rispettive aree non idonee cosi' come individuate dagli allegati A,
B, C, D, E e dai commi 9 e 11. Il divieto di realizzazione si applica
anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa
e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, e' in
corso al momento dell'entrata in vigore della presente legge. Non
puo' essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur
presentate prima dell'entrata in vigore della presente legge,
risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l'attuazione. I
provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque
denominati gia' emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti
nelle aree non idonee, sono privi di efficacia» (art. 1, comma 5);
«Qualora un progetto di impianto ricada su un areale ricompreso
sia nelle aree definite idonee, di cui all'allegato F, sia nelle aree
definite non idonee, di cui agli allegati A, B, C, D ed E, prevale il
criterio di non idoneita'. Nei casi di cui al precedente periodo,
limitatamente agli impianti fotovoltaici e agli impianti di accumulo,
qualora i relativi progetti di realizzazione prevedano
l'installazione presso aree rientranti nelle zone urbanistiche
omogenee D e G, di cui al decreto dell'Assessore regionale degli enti
locali, finanze e urbanistica, 20 dicembre 1983, n. 2266/U
(Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di
nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei
comuni della Sardegna), non si applicano le fasce di tutela di cui
alle lettere s), x), w) e bb) dell'allegato A qualora l'area oggetto
del rispettivo intervento sia infrastrutturata e urbanizzata in
misura uguale o maggiore al 60 per cento. Limitatamente ai casi di
cui al precedente periodo, qualora l'area non sia infrastrutturata e
urbanizzata ed edificata almeno al 60 per cento, le fasce di tutela
di cui al precedente periodo sono ridotte del 70 per cento. Qualora
un progetto di impianto FER, ivi inclusi gli accumuli ad essi
connessi, sia finalizzato all'autoconsumo o al servizio di una
comunita' energetica e ricade in una delle condizioni di cui ai
precedenti periodi, prevale il criterio di idoneita'» (art. 1, comma
7);
«Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di
transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di
contenimento dei costi energetici nel rispetto delle peculiarita'
storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni
agricole, i comuni hanno facolta' di proporre un'istanza propedeutica
alla realizzazione di un impianto o di un accumulo FER all'interno di
un'area individuata come non idonea ai sensi della presente legge.
L'istanza e' finalizzata al raggiungimento di un'intesa con la
Regione. Qualora l'istanza abbia ad oggetto un impianto FER ricadente
in un'area mineraria dismessa di proprieta' regionale o di enti
interamente controllati dalla Regione, l'area medesima e' trasferita
in proprieta' ai comuni che ne facciano richiesta ai sensi della
legge regionale 5 dicembre 1995, n. 35 (Alienazione dei beni
patrimoniali)» (art. 3).
37. Dalle richiamate previsioni di desume, pertanto, che:
le aree non idonee costituiscono vere e proprie aree vietate
alla realizzazione degli impianti FER. Oltre che dal chiaro tenore
letterale dell'art. 1, comma 5, cio' si desume anche dalla
previsione, all'art. 3, di una speciale procedura da attivarsi su
chiesta dei comuni per la realizzazione di interventi in aree non
idonee, peraltro particolarmente rigoroso nella misura in cui
richiede il raggiungimento del consenso unanime di tutti i soggetti
interessati;
la disciplina non soltanto non prevede una clausola di
salvaguardia per le iniziative in corso, ma addirittura sancisce
l'inefficacia dei provvedimenti autorizzatori e dei titoli
abilitativi gia' emanati in caso di impianti ricadenti in aree non
idonee in base alla legge. D'altra parte, cio' costituisce l'ovvio
risvolto di quanto previsto dall'art. 1, comma 2, laddove si
stabilisce che «La presente legge di governo del territorio,
urbanistica e di tutela del patrimonio paesaggistico, si applica a
tutto il territorio della Regione, ivi comprese le aree e le
superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso
di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o
statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica
irreversibile dello stato dei luoghi», onde e' chiaro che l'unico
limite all'operativita' delle nuove previsioni e' l'intervenuta
modifica irreversibile dello stato dei luoghi, come anche chiarito
dal successivo comma 5;
la legge prevede, altresi', un principio di assoluta prevalenza
del criterio della non idoneita' su quello dell'idoneita' in caso di
progetti in zone promiscue, salve le limitate deroghe previste
dall'art. 1, comma 7.
38. La suindicata disciplina solleva consistenti dubbi di
compatibilita' con i canoni costituzionali, con particolare
riferimento agli artt. 3, 9, 11, 41, 97, 117 della Costituzione,
nonche' all'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 e agli artt.
3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948.
39. Occorre aggiungere che la ricorrente ha anche addotto di
avere in corso di sviluppo un progetto agrivoltaico non avanzato per
il quale non sono state ancora avviate le pratiche autorizzatorie e
abilitative e che risulta, pertanto, inciso dalle previsioni
dell'art. 5 del decreto legge 15 maggio 2024, n. 63, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2024, n. 101.
40. Tale norma ha introdotto il comma 1-bis all'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, il quale stabilisce che
«L'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti,
e' consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a),
limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento,
potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti gia'
installati, a condizione che non comportino incremento dell'area
occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e
quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate,
nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero
ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8
del presente art.. Il primo periodo non si applica nel caso di
progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra finalizzati alla costituzione di una comunita' energetica
rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del presente decreto nonche' in
caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del
Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), approvato con
decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato
con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del Piano
nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui
all'art. 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con
modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti
necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR».
41. Il successivo comma 2 ha previsto che tale disciplina non si
applichi «ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del
presente decreto [16 maggio 2024], sia stata avviata almeno una delle
procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale,
necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e
l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia
stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi».
42. Il decreto impugnato prevede, all'art. 1, comma 2, che le
Regioni individuino sul rispettivo territorio, tra l'altro, le «aree
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra», definite come «le aree agricole per le quali vige
il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a
terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8
novembre 2021, n. 199».
43. Tale previsione costituisce senz'altro strumento di
attuazione, per quanto del tutto vincolato nel contenuto, della norma
primaria. Va rilevato, infatti, che il comma 1-bis dell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021 definisce il perimetro delle aree
agricole in cui e' consentita l'installazione di impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra facendo riferimento alla
classificazione delle aree idonee come prevista dal comma 8 del
medesimo art. 20 nelle more dell'adozione della disciplina di cui al
comma 1. In tale contesto, il decreto ministeriale ribadisce che il
divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro
regolatorio e vincola la potesta' legislativa regionale: ai sensi
dell'art. 3, comma 1, infatti, le Regioni sono chiamate a individuare
con legge, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore
del decreto, le aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche
quelle in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra.
44. Il decreto impugnato costituisce anche l'unico atto
amministrativo che interviene nel processo di implementazione del
divieto, atteso che:
esso e' stabilito direttamente dalla legge statale;
secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale;
le aree cosi' individuate non sono «non idonee», ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti.
45. La ricorrente ha contestato che la disciplina rimessa alla
determinazione ministeriale concernente l'adozione di principi e
criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree
idonee e non idonee consentisse anche l'individuazione di aree «in
cui e' vietata» la installazione di impianti fotovoltaici a terra.
46. Tuttavia, occorre ritenere che per effetto della
sopravvenienza normativa costituita dal disposto dell'art. 5
del decreto-legge n. 63/2024, il decreto di cui al comma 1 dell'art.
20 del decreto legislativo n. 199/2021 non avrebbe potuto che
prendere atto dei divieti cosi' introdotti e ribadire, anche nel
contesto della disciplina da esso posta, le relative preclusioni. Nel
momento in cui il legislatore ha inteso vietare ulteriori interventi
concernenti impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra nelle
aree classificate agricole, tale rinnovata valutazione si e'
inevitabilmente sovrapposta alle previgenti direttive normative in
materia di individuazione delle aree idonee, sicche' ai fini della
relativa implementazione non era necessaria alcuna espressa e
specifica delega, potendone l'Autorita' amministrativa soltanto
prendere atto.
47. Con una seconda censura la ricorrente contesta l'art. 1,
comma 2, lett. d), del decreto nella parte in cui non precisa che da
tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici.
Tuttavia, l'ambito di applicazione del divieto posto dall'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024 e' definito direttamente dalla norma
primaria e la relativa individuazione appartiene all'attivita' di
interpretazione degli enunciati normativi: la mancata, ulteriore
specificazione del medesimo da parte di un atto applicativo non
integra, pertanto, sotto alcun profilo un vizio di legittimita' di
quest'ultimo.
48. Per l'ipotesi in cui non sia possibile procedere a
un'interpretazione conforme a Costituzione, la ricorrente ha
sollevato talune eccezioni di costituzionalita' della disciplina. Il
Collegio ritiene, al riguardo, che un'interpretazione della norma
satisfattiva dell'interesse di parte ricorrente non sia possibile.
49. L'ambito del regime preclusivo introdotto dalla norma va
ricostruito a partire dal «significato proprio delle parole secondo
la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (art. 12,
comma 1, disp. prel. c.c.).
50. L'oggetto della previsione normativa riguarda specificamente
l'installazione degli impianti fotovoltaici «con moduli collocati a
terra [...] in zone classificate agricole» e si colloca in funzione
servente rispetto alla dichiarata «straordinaria necessita' e urgenza
di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione
agricola».
51. Dalle richiamate coordinate normative si ricava, pertanto,
che l'oggetto del divieto riguarda gli impianti fotovoltaici
caratterizzati da una ben determinata caratteristica - i.e.
l'installazione dei moduli a terra - in quanto ritenuta dal
legislatore incompatibile con l'utilizzo del suolo per l'agricoltura
e, quindi, con la finalita' di contrastare il fenomeno del consumo
del suolo a vocazione agricola.
52. Le Linee guida MITE del 2022 in materia di impianti
agrivoltaici individuano come segue i requisiti che tali impianti
debbono possedere per rispondere alla finalita' per cui sono
realizzati:
«Requisito A: Il sistema e' progettato e realizzato in modo da
adottare una configurazione spaziale ed opportune scelte
tecnologiche, tali da consentire l'integrazione fra attivita'
agricola e produzione elettrica e valorizzare il potenziale
produttivo di entrambi i sottosistemi;
Requisito B: Il sistema agrivoltaico e' esercito, nel corso
della vita tecnica, in maniera da garantire la produzione sinergica
di energia elettrica e prodotti agricoli e non compromettere la
continuita' dell'attivita' agricola e pastorale;
Requisito C: L'impianto agrivoltaico adotta soluzioni integrate
innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare le
prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che
agricoli;
Requisito D: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un sistema di
monitoraggio che consenta di verificare l'impatto sulle colture, il
risparmio idrico, la produttivita' agricola per le diverse tipologie
di colture e la continuita' delle attivita' delle aziende agricole
interessate;
Requisito E: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un sistema di
monitoraggio che, oltre a rispettare il requisito D, consenta di
verificare il recupero della fertilita' del suolo, il microclima, la
resilienza ai cambiamenti climatici».
53. Le medesime linee guida chiariscono, poi, che «Il rispetto
dei requisiti A, B e' necessario per definire un impianto
fotovoltaico realizzato in area agricola come «agrivoltaico». Per
tali impianti dovrebbe inoltre previsto il rispetto del requisito
D.2», mentre il rispetto «dei requisiti A, B, C e D e' necessario per
soddisfare la definizione di «impianto agrivoltaico avanzato» e, in
conformita' a quanto stabilito dall'art. 65, comma 1-quater e
1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, classificare
l'impianto come meritevole dell'accesso agli incentivi statali a
valere sulle tariffe elettriche».
54. Dalla classificazione tipologica degli impianti agrivoltaici
contenuta nelle linee guida risulta, pertanto, che soltanto per gli
impianti agrivoltaici di tipo avanzato e' senz'altro soddisfatto il
requisito C, consistente nell'utilizzo di moduli elevati da terra. Il
suddetto utilizzo, secondo le linee guida, puo' assumere una delle
due seguenti configurazioni:
«l'altezza minima dei moduli e' studiata in modo da consentire
la continuita' delle attivita' agricole (o zootecniche) anche sotto
ai moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella quale
esiste un doppio uso del suolo, ed una integrazione massima tra
l'impianto agrivoltaico e la coltura, e cioe' i moduli fotovoltaici
svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si puo' esplicare
nella prestazione di protezione della coltura (da eccessivo
soleggiamento, grandine, etc.) compiuta dai moduli fotovoltaici. In
questa condizione la superficie occupata dalle colture e quella del
sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi
dell'impianto che poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in
zone circoscritte del suolo»;
«i moduli fotovoltaici sono disposti in posizione verticale
[...]. L'altezza minima dei moduli da terra non incide
significativamente sulle possibilita' di coltivazione (se non per
l'ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma puo' influenzare
il grado di connessione dell'area, e cioe' il possibile passaggio
degli animali, con implicazioni sull'uso dell'area per attivita'
legate alla zootecnia. Per contro, l'integrazione tra l'impianto
agrivoltaico e la coltura si puo' esplicare nella protezione della
coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che operano come barriere
frangivento».
55. In considerazione del tenore letterale e della finalita'
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, e' possibile ritenere che
il divieto ivi previsto non si applichi agli impianti agrivoltaici di
tipo avanzato, in quanto in relazione ai suddetti impianti, non
realizzandosi l'installazione di moduli collocati a terra, non si
verifica la sottrazione di suolo agricolo nei termini che la norma
intende contrastare.
56. Tale conclusione e' peraltro confermata dallo stesso
orientamento assunto in sede ministeriale nell'interpretazione della
norma censurata (si veda la risposta del Ministro dell'agricoltura,
della sovranita' alimentare e delle foreste all'interrogazione
parlamentare n. 3-01225, laddove e' stato precisato che «Sara' [...]
possibile installare pannelli sospesi, il cosiddetto agrivoltaico
avanzato, sotto il quale si puo' coltivare e portare a termine tutti
i progetti legati al PNRR» - cfr. il resoconto della seduta n. 297
del 22 maggio 2024 presso la Camera dei Deputati), oltre che dalle
attivita' in corso di implementazione delle misure introdotte dal
decreto impugnato (cfr. il disegno di legge della Regione Puglia n.
222/2024, depositato agli atti, che all'art. 8, comma 4, stabilisce
che «nel caso di utilizzo della tecnologia fotovoltaica, nelle zone
classificate agricole dai piani urbanistici possono essere realizzati
esclusivamente impianti agrivoltaici di natura sperimentale»).
57. Se puo' residuare un margine di incertezza in ordine agli
impianti che, in quanto rispondenti ai requisiti di cui alle lettere
a), b) e c) delle linee guida, ma non a tutti quelli richiesti dalla
lett. d), non sono qualificabili come impianti agrivoltaici avanzati,
sebbene utilizzino moduli sollevati da terra, cio' che rileva in
questa sede e' che parte la ricorrente ha allegato, in ordine a uno
dei progetti cui ha fatto riferimento per corroborare il proprio
interesse all'impugnativa (progetto «Monreale»), che da un lato esso
soddisfa i solo requisiti di cui alle lettere A), B) e D.2 delle
linee guida e, dall'altro, non rientra nella norma di salvaguardia
prevista dall'art. 5, comma 2, del decreto-legge n. 63/2024, in
quanto per detto impianto non sono state avviate le procedure
amministrative di autorizzazione e abilitazione.
58. Tipologie di impianti come quelle di cui ai richiamati
progetti rientrano senz'altro nel divieto previsto dalla norma. In
primo luogo, infatti, essi si caratterizzano per l'installazione dei
moduli a terra; in secondo luogo, essi in ogni caso determinano il
consumo di suolo a vocazione agricola, sia pure in misura piu'
limitata rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici. Soltanto nel
caso degli impianti con moduli sollevati da terra, infatti, «la
superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico
coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell'impianto che
poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in zone circoscritte
del suolo» (cfr. le linee guida, pag. 24).
59. Un'interpretazione diversa, quale quella volta a escludere
qualsivoglia tipologia di impianto agrivoltaico dall'applicazione del
divieto, sfiderebbe, oltre al dato letterale della norma, anche le
sue finalita' e si porrebbe in inammissibile contrasto con i
tradizionali e inderogabili criteri di ermeneutica giuridica.
60. Al riguardo, non si puo' fare a meno di osservare che:
«la lettera della norma costituisce il limite cui deve
arrestarsi anche l'interpretazione costituzionalmente orientata
dovendo, infatti, essere sollevato l'incidente di costituzionalita'
ogni qual volta l'opzione ermeneutica supposta conforme a
Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma
stessa» (Cass., S.U., 1° giugno 2021, n. 15177). Nel caso di specie,
non c'e' dubbio che gli impianti agrivoltaici di tipo tradizionale,
in quanto si risolvano nell'installazione di pannelli collocati a
terra, rientrino nella previsione che vieta, per l'appunto,
l'installazione di impianti «con moduli collocati a terra»;
-l'ampiezza del divieto introdotto con l'art. 5 del decreto-legge n.
63/2024, che si risolve nella preclusione assoluta di realizzare
impianti con moduli collocati a terra sull'intero territorio
nazionale, induce a ritenere che l'obiettivo perseguito dal
legislatore fosse quello di contrastare la sia pur minima riduzione
del territorio a vocazione agricola per l'effetto dell'installazione
di impianti fotovoltaici. Un'interpretazione che escludesse tutte le
tipologie di impianti agrivoltaici dall'ambito di applicazione della
norma in questione, anche a dispetto di un (pur ridotto) consumo di
suolo agricolo, si porrebbe in frontale contrasto con tale obiettivo,
quale chiaramente emergente dai presupposti e dall'oggetto
dell'enunciato normativo, operazione che non puo' in alcun modo
ritenersi consentita all'interprete.
61. Per le ragioni sopra indicate neppure e' possibile
interpretare l'art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 nel senso
che il divieto opererebbe soltanto all'esito di specifica istruttoria
nel rispetto delle linee guida. Una siffatta interpretazione,
infatti, si risolverebbe in un'interpretatio abrogans della norma e,
in ogni caso, contrasta con il chiaro tenore letterale e la finalita'
perseguita dal legislatore, che ha inteso consentire l'utilizzo delle
aree agricole per gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra esclusivamente nei limiti di cui al citato art. 5: l'avverbio
«esclusivamente» non lascia spazio a dubbi circa la portata assoluta
del divieto che caratterizza che i progetti e le aree agricole non
contemplati quali eccezioni dall'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021. Occorre allora procedere all'esame dei
profili di rilevanza e non manifesta infondatezza dei sopra citati
profili di incostituzionalita' della legge della Regione Autonoma
della Sardegna n. 20/2024 e dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024.
Sulla rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale
degli artt. 1, commi 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' degli allegati A, B,
C, D ed E della legge della Regione Autonoma della Sardegna n.
20/2024 con riferimento agli artt. 3, 9, 41, 11, 97, 117 della
Costituzione, nonche' all'art. 10 della legge costituzionale n.
3/2001 e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948.
62. Come gia' rilevato, per taluni dei progetti sulla base dei
quali la parte ricorrente ha argomentato il proprio interesse alla
presente impugnativa ve ne sono alcuni («Benetutti»,
«Carbonia-Iglesias» e «Prangili») che risultano situati in tutto o in
parte in area non idonea in base alla nuova disciplina regionale e
per i quali sono state gia' avviate le pratiche per la valutazione
d'impatto ambientale. Sulla base del combinato disposto dell'art. 1,
commi 2, 5 e 7, i predetti progetti non potrebbero essere
ulteriormente coltivati, in quanto la finanche parziale collocazione
in area non idonea determinata, ai sensi del citato comma 7,
l'applicazione del comma 5, secondo cui «E' vietata la realizzazione
degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non idonee».
63. A fronte di tale risultato, la disciplina prevista dall'art.
7, comma 2, lett. c), del decreto impugnato, laddove si limita a
consentire alle regioni la mera «possibilita' di fare salve le aree
idonee di cui all'art. 20, comma 8 del decreto legislativo 8 novembre
2021, n. 199 vigente alla data di entrata in vigore del presente
decreto», rivela tutta la sua insufficienza, nonche' il contrasto
frontale con il criterio di delega di cui all'art. 5, comma 1, lett.
a), n. 1), della legge delega n. 53/2021, ai sensi della quale la
disciplina di cui al decreto ministeriale avrebbe dovuto «prevede
misure di salvaguardia delle iniziative di sviluppo in corso che
risultino coerenti con i criteri di localizzazione degli impianti
preesistenti». Nella misura in cui la richiamata possibilita' di fare
salve le aree idonee si e' tradotta, nelle disposizioni regionali di
attuazione, nell'assenza di un qualsivoglia regime di salvaguardia e
addirittura nell'inefficacia ex lege dei titoli gia' concessi, la
violazione del criterio di delega di cui all'art. 5, comma 1, lett.
a), n. 1), della legge n. 53/2021 ha assunto una portata
immediatamente lesiva, trattandosi di previsione di un «un atto
generale [che] incide senz'altro [...] sui comportamenti e sulle
scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17.3.2022, n. 1937).
64. L'eventuale annullamento del decreto sul punto sarebbe
peraltro, allo stato e in presenza delle disposizioni recate dalla
legge regionale n. 20/2024, priva di ogni utilita' per la parte
ricorrente. Essa, infatti, non potrebbe comunque ulteriormente
coltivare i progetti sopra citati, in quanto la disciplina
legislativa regionale costituirebbe a tal riguardo un ostacolo
assoluto.
65. Laddove, invece, le disposizioni menzionate fossero
dichiarate costituzionalmente illegittime, l'annullamento del decreto
determinerebbe, medio tempore, l'applicazione della disciplina
previgente, che consentirebbe la prosecuzione dell'iter
autorizzatorio e, sul piano conformativo, l'obbligo per le autorita'
ministeriali di predisporre una nuova e piu' confacente disciplina di
salvaguardia per le iniziative in corso.
66. Deriva da quanto sopra l'indiscutibile rilevanza, ai fini del
presente giudizio, delle questioni di costituzionalita' di seguito
sollevate.
Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 1, c. 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' degli
allegati A, B, C, D ed E della legge della Regione Autonoma della
Sardegna n. 20/2024 con riferimento agli artt. 3, 9, 11, 41, 97, 117
della Costituzione, nonche' all'art. 10 della legge costituzionale n.
3/2001 e agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948.
67. La disciplina statutaria assegna alla Regione autonoma
Sardegna la competenza primaria in materia di «edilizia e
urbanistica» (art. 3, lettera f), nonche' la correlata «competenza
paesaggistica» ai sensi dell'art. 6 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 480 del 1975. L'art. 4, lettera e), prevede la
competenza concorrente nella materia «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia elettrica», da esercitarsi nel
limite dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato.
68. La legge regionale n. 20/2024 costituisce «legge di governo
del territorio, urbanistica e di tutela del patrimonio paesaggistico»
(art. 1, comma 2). Tuttavia, nella misura in cui essa ha ad oggetto
precipuo «l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee
all'installazione e promozione di impianti a fonti di energia
rinnovabile (FER)», e' da ritenersi che afferisca prevalentemente
alla competenza statutaria in materia di «produzione e distribuzione
dell'energia elettrica» (art. 4, lettera e), dello statuto speciale).
69. Peraltro, pur al cospetto di un intreccio di competenze, esse
- quella primaria di tutela del paesaggio e di edilizia ed
urbanistica e quella concorrente in materia di energia elettrica -
devono comunque esercitarsi «In armonia con la Costituzione e i
principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto
degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche'
delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della
Repubblica», oltreche', per quanto riguarda la competenza
concorrente, nel limite «dei principi stabiliti dalle leggi dello
Stato», ai sensi dei medesimi artt. 3 e 4 dello Statuto.
70. Nel caso in esame, le disposizioni di cui alla legge
regionale n. 20/2024 contrastano con i principi stabiliti dalla legge
statale e dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale che
si impongono anche alle Regione ad autonomia speciale per l'espressa
previsione statutaria.
71. Occorre al riguardo previamente richiamare il quadro
normativo unionale.
72. L'art. 3, par. 5, TUE, stabilisce che «Nelle relazioni con il
resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e
interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini» A tal
fine essa «Contribuisce [...] allo sviluppo sostenibile della Terra».
73. L'art. 6, par. 1, TUE precisa che «L'Unione riconosce i
diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12
dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei
trattati». Ai sensi dell'art. 37 della Carta, «Un livello elevato di
tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualita' devono
essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti
conformemente al principio dello sviluppo sostenibile».
74. L'art. 11 TFUE esprime la medesima esigenza sancendo che «Le
esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate
nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni
dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo
sviluppo sostenibile» (c.d. principio di integrazione).
75. Secondo l'art. 191 TFUE, «La politica dell'Unione in
materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:
salvaguardia, tutela e miglioramento della qualita'
dell'ambiente;
protezione della salute umana;
utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
promozione sul piano internazionale di misure destinate a
risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e,
in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.
2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un
elevato livello di tutela, tenendo conto della diversita' delle
situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa e' fondata sui
principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati
all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga"».
76. Ai sensi dell'art. 192, par. 1, TFUE, «Il Parlamento europeo
e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa
ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e
del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono
essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'art.
191».
77. L'art. 194 TFUE stabilisce, a sua volta, che «Nel quadro
dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo
conto dell'esigenza di preservare e migliorare l'ambiente, la
politica dell'Unione nel settore dell'energia e' intesa, in uno
spirito di solidarieta' tra Stati membri, a [...] promuovere il
risparmio energetico, l'efficienza energetica e lo sviluppo di
energie nuove e rinnovabili».
78. Protezione dell'ambiente e promozione delle c.d. energie
rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti. Come
si ricava dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, l'uso di
fonti di energia rinnovabili per la produzione di elettricita' e'
utile alla tutela dell'ambiente in quanto contribuisce alla riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra che compaiono tra le
principali cause dei cambiamenti climatici che l'Unione europea e i
suoi Stati membri si sono impegnati a contrastare. L'incremento della
quota di rinnovabili costituisce, in particolare, uno degli elementi
portanti del pacchetto di misure richieste per ridurre tali emissioni
e conformarsi al Protocollo di Kyoto, alla convenzione quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nonche' agli altri impegni
assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle
emissioni dei gas a effetto serra. Cio', peraltro, e' funzionale
anche alla tutela della salute e della vita delle persone e degli
animali, nonche' alla preservazione dei vegetali (cfr. le sentenze
1.7.2014, C573/12, 78 ss., e 13 marzo 2001, C-379/98, 73 ss.).
79. La Corte di giustizia ha peraltro precisato che l'art. 191
TFUE si limita a definire gli obiettivi generali dell'Unione in
materia ambientale, mentre l'art. 192 TFUE affida al Parlamento
europeo e al Consiglio dell'Unione europea il compito di decidere le
azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi. Di
conseguenza, l'art. 191 TFUE non puo' essere invocato in quanto tale
dai privati al fine di escludere l'applicazione di una normativa
nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale
quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata in
base all'art. 192 TFUE; viceversa, l'art. 191 TFUE assume rilevanza
allorquando esso trovi attuazione nel diritto derivato (cfr. CGUE,
sentenza 4 marzo 2015, C-534/13, 39 ss.).
80. Disposizioni sulla promozione dell'energia elettrica da fonti
energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175 TCE (ora
192 TFUE), sono state introdotte gia' con la Direttiva 2001/77/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 27.9.2001 e, successivamente,
con la Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 23 aprile 2009.
81. Con la Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 dicembre 2018 si e' proceduto alla rifusione e alla
modifica delle disposizioni contenute nella Direttiva 2009/28/CE. Nel
dettare la relativa disciplina e' stato considerato, tra l'altro,
che: «[...]
(2) Ai sensi dell'art. 194, paragrafo 1, del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione delle forme
di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della
politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo e' perseguito dalla
presente direttiva. Il maggiore ricorso all'energia da fonti
rinnovabili o all'energia rinnovabile costituisce una parte
importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le
emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni
dell'Unione nel quadro dell'accordo di Parigi del 2015 sui
cambiamenti climatici, a seguito della 21ª Conferenza delle parti
della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici («accordo di Parigi»), e il quadro per le politiche
dell'energia e del clima all'orizzonte 2030, compreso l'obiettivo
vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40%
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in
materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e i
contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote di
riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi nazionali generali
per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per
la politica energetica e ambientale dell'Unione [...].
(3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo'
svolgere una funzione indispensabile anche nel promuovere la
sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione, oltre alla leadership tecnologica e
industriale, offrendo nel contempo vantaggi ambientali, sociali e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di lavoro e sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita' demografica o soggetti a parziale
deindustrializzazione.
(4) In particolare, la riduzione del consumo energetico, i
maggiori progressi tecnologici, gli incentivi all'uso e alla
diffusione dei trasporti pubblici, il ricorso a tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo di energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del riscaldamento e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle misure di efficienza energetica per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua dipendenza
energetica.
(5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro normativo per
la promozione dell'utilizzo di energia da fonti rinnovabili che fissa
obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota di energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel settore dei trasporti da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del 22
gennaio 2014, intitolata «Quadro per le politiche dell'energia e del
clima per il periodo dal 2020 al 2030» ha definito un quadro per le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del clima e
ha promosso un'intesa comune sulle modalita' per sviluppare dette
politiche dopo il 2020. La Commissione ha proposto come obiettivo
dell'Unione una quota di energie rinnovabili consumate nell'Unione
pari ad almeno il 27% entro il 2030. Tale proposta e' stata sostenuta
dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre 2014, le
quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare i propri
obiettivi nazionali piu' ambiziosi, per realizzare i contributi
all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi pianificati e andare
oltre.
(6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del 5 febbraio 2014,
«Un quadro per le politiche dell'energia e del clima all'orizzonte
2030», e del 23 giugno 2016, «I progressi compiuti nell'ambito delle
energie rinnovabili», si e' spinto oltre la proposta della
Commissione o le conclusioni del Consiglio, sottolineando che, alla
luce dell'accordo di Parigi e delle recenti riduzioni del costo delle
tecnologie rinnovabili, era auspicabile essere molto piu' ambiziosi.
[...].
(8) Appare pertanto opportuno stabilire un obiettivo vincolante
dell'Unione in relazione alla quota di energia da fonti rinnovabili
pari almeno al 32%. Inoltre, la Commissione dovrebbe valutare se tale
obiettivo debba essere rivisto al rialzo alla luce di sostanziali
riduzioni del costo della produzione di energia rinnovabile, degli
impegni internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o
in caso di un significativo calo del consumo energetico nell'Unione.
Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro contributo al
conseguimento di tale obiettivo nell'ambito dei rispettivi piani
nazionali integrati per l'energia e il clima in applicazione del
processo di governance definito nel regolamento (UE) 2018/1999 del
Parlamento europeo e del Consiglio.
[...].
(10) Al fine di garantire il consolidamento dei risultati
conseguiti ai sensi della direttiva 2009/28/CE, gli obiettivi
nazionali stabiliti per il 2020 dovrebbero rappresentare il
contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030. In
nessun caso le quote nazionali delle energie rinnovabili dovrebbero
scendere al di sotto di tali contributi. [...].
(11) Gli Stati membri dovrebbero adottare ulteriori misure
qualora la quota di energie rinnovabili a livello di Unione non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di almeno il 32 % di energie rinnovabili. Come stabilito nel
regolamento (UE) 2018/1999, se, nel valutare i piani nazionali
integrati in materia di energia e clima, ravvisa un insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure a livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo. Se, nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate sull'energia e
il clima, la Commissione ravvisa progressi insufficienti verso la
realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare tale
lacuna».
82. Le richiamate rationes hanno condotto a introdurre, tra
l'altro, un obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il 2030
(art. 3), per cui «Gli Stati membri provvedono collettivamente a far
si' che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale
lordo di energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32%. La
Commissione valuta tale obiettivo al fine di presentare, entro il
2023, una proposta legislativa intesa a rialzarlo nel caso di
ulteriori sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia
rinnovabile, se risulta necessario per rispettare gli impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o se il
rialzo e' giustificato da un significativo calo del consumo
energetico nell'Unione», con la precisazione che «Se, sulla base
della valutazione delle proposte dei piani nazionali integrati per
l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'art. 9 del regolamento
(UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che i contributi nazionali
degli Stati membri sono insufficienti per conseguire collettivamente
l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la Commissione segue
la procedura di cui agli artt. 9 e 31 di tale regolamento».
83. Il Regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 30.6.2021, adottato in forza dell'art. 192 TFUE, ha
istituito un quadro per il conseguimento della neutralita' climatica,
nel presupposto che: "(1) La minaccia esistenziale posta dai
cambiamenti climatici richiede una maggiore ambizione e
un'intensificazione dell'azione per il clima da parte dell'Unione e
degli Stati membri. L'Unione si e' impegnata a potenziare gli sforzi
per far fronte ai cambiamenti climatici e a dare attuazione
all'accordo di Parigi adottato nell'ambito della Convenzione quadro
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («accordo di Parigi»),
guidata dai suoi principi e sulla base delle migliori conoscenze
scientifiche disponibili, nel contesto dell'obiettivo a lungo termine
relativo alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi.
[...].
(4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale per
contribuire alla trasformazione economica e sociale, alla creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile e al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni
Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in modo efficiente in termini di costi
l'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'accordo di Parigi.
[...].
(9) L'azione per il clima dell'Unione e degli Stati membri mira a
tutelare le persone e il pianeta, il benessere, la prosperita',
l'economia, la salute, i sistemi alimentari, l'integrita' degli
ecosistemi e la biodiversita' contro la minaccia dei cambiamenti
climatici, nel contesto dell'agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo
sviluppo sostenibile e nel perseguimento degli obiettivi dell'accordo
di Parigi; mira inoltre a massimizzare la prosperita' entro i limiti
del pianeta, incrementare la resilienza e ridurre la vulnerabilita'
della societa' ai cambiamenti climatici. In quest'ottica, le azioni
dell'Unione e degli Stati membri dovrebbero essere guidate dal
principio di precauzione e dal principio «chi inquina paga»,
istituiti dal trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e
dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza energetica
al primo posto e del principio del «non nuocere» del Green Deal
europeo.
[...].
(11) Vista l'importanza della produzione e del consumo di energia
per il livello di emissioni di gas a effetto serra, e' indispensabile
realizzare la transizione verso un sistema energetico sicuro,
sostenibile e a prezzi accessibili, basato sulla diffusione delle
energie rinnovabili, su un mercato interno dell'energia ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel contempo la poverta' energetica. Anche la trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sono
fattori importanti per conseguire l'obiettivo della neutralita'
climatica.
[...].
(20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro il 2050, un
equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici dai pozzi dei gas a
effetto serra di tutti i settori economici e, ove opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito. Tale obiettivo dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...].
(25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti nell'intero spettro delle politiche e uno sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e della societa', come
evidenziato nel Green Deal europeo. Il Consiglio europeo, nelle
conclusioni del 12 dicembre 2019, ha dichiarato che tutte le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono essere coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo della neutralita' climatica e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti.
[...]
36) Al fine di garantire che l'Unione e gli Stati membri restino
sulla buona strada per conseguire l'obiettivo della neutralita'
climatica e registrino progressi nell'adattamento, e' opportuno che
la Commissione valuti periodicamente i progressi compiuti, sulla base
delle informazioni di cui al presente regolamento, comprese le
informazioni presentate e comunicate a norma del regolamento (UE)
2018/1999. [...] Nel caso in cui i progressi collettivi compiuti
dagli Stati membri rispetto all'obiettivo della neutralita' climatica
o all'adattamento siano insufficienti o che le misure dell'Unione
siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita' climatica o
inadeguate per migliorare la capacita' di adattamento, rafforzare la
resilienza o ridurre la vulnerabilita', la Commissione dovrebbe
adottare le misure necessarie conformemente ai trattati. [...]
84. Il Regolamento ha quindi sancito (art. 1) «l'obiettivo
vincolante della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050, in
vista dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'art. 2, paragrafo 1, lettera a), dell'accordo di Parigi»,
precisando che, onde conseguire tale obiettivo, «il traguardo
vincolante dell'Unione in materia di clima per il 2030 consiste in
una riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra
(emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55 % rispetto ai
livelli del 1990 entro il 2030» (art. 4).
85. Ai sensi dell'art. 5 del Regolamento, «Le istituzioni
competenti dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante
progresso nel miglioramento della capacita' di adattamento, nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7 dell'accordo di
Parigi», garantendo inoltre che «le politiche in materia di
adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano coerenti, si
sostengano reciprocamente, comportino benefici collaterali per le
politiche settoriali e si adoperino per integrare meglio
l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di
intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione». A tal fine, «Gli Stati membri adottano e attuano
strategie e piani nazionali di adattamento, tenendo conto della
strategia dell'Unione sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...]
e fondati su analisi rigorose in materia di cambiamenti climatici e
di vulnerabilita', sulle valutazioni dei progressi compiuti e sugli
indicatori, e basandosi sulle migliori e piu' recenti evidenze
scientifiche disponibili. Nelle loro strategie nazionali di
adattamento, gli Stati membri tengono conto della particolare
vulnerabilita' dei pertinenti settori, tra cui l'agricoltura, e dei
sistemi idrici e alimentari nonche' della sicurezza alimentare, e
promuovono soluzioni basate sulla natura e l'adattamento basato sugli
ecosistemi. Gli Stati membri aggiornano periodicamente le strategie e
includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono
tenuti a presentare a norma dell'art. 19, paragrafo 1, del
regolamento (UE) 2018/1999».
86. La Direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 18 ottobre 2023 ha introdotto, tra l'altro,
disposizioni volte a modificare la Direttiva (UE) 2018/2001, il
Regolamento (UE) 2018/1999 e la Direttiva n. 98/70/CE per quanto
riguarda la promozione dell'energia da fonti rinnovabili,
evidenziando che: «[...]
(2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel
conseguimento di tali obiettivi, dato che il settore energetico
contribuisce attualmente per oltre il 75% alle emissioni totali di
gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni di gas a
effetto serra, le energie rinnovabili possono anche contribuire ad
affrontare sfide ambientali come la perdita di biodiversita', e a
ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione
della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo «Un percorso verso
un pianeta piu' sano per tutti - Piano d'azione dell'UE: Verso
l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo». La transizione
verde verso un'economia basata sulle energie da fonti rinnovabili
contribuira' a conseguire gli obiettivi della decisione (UE) 2022/591
del Parlamento europeo e del Consiglio, che mira altresi' a
proteggere, ripristinare e migliorare lo stato dell'ambiente,
mediante, tra l'altro, l'interruzione e l'inversione del processo di
perdita di biodiversita'. [...].
(4) Il contesto generale determinato dall'invasione dell'Ucraina
da parte della Russia e dagli effetti della pandemia di COVID-19 ha
provocato un'impennata dei prezzi dell'energia nell'intera Unione,
evidenziando in tal modo la necessita' di accelerare l'efficienza
energetica e accrescere l'uso delle energie da fonti rinnovabili
nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a lungo termine di un
sistema energetico indipendente dai paesi terzi, l'Unione dovrebbe
concentrarsi sull'accelerazione della transizione verde e sulla
garanzia di una politica energetica di riduzione delle emissioni che
limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e che
favorisca prezzi equi e accessibili per i cittadini e le imprese
dell'Unione in tutti i settori dell'economia.
(5) Il piano REPowerEU stabilito nella comunicazione della
Commissione del 18 maggio 2022 («piano REPowerEU») mira a rendere
l'Unione indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del
2030. Tale comunicazione prevede l'anticipazione delle capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio di diffusione di tale
energia e capacita' supplementari di energia da fonti rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o anticipare gli obiettivi
fissati per l'aumento della quota di energia rinnovabile nel mix
energetico. [...] Al di la' di tale livello obbligatorio, gli Stati
membri dovrebbero adoperarsi per conseguire collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione del 45 % di energia da fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU.
(6) [...] E' auspicabile che gli Stati membri possano combinare
diverse fonti di energia non fossili al fine di conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze nazionali e
della struttura delle loro forniture energetiche. Al fine di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato obiettivo generale vincolante dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari di decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili che
gli Stati membri decidono di perseguire.
[...]
(25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere una piu' rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie rinnovabili
e per le relative infrastrutture, in coordinamento con gli enti
locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare le zone
terrestri, le superfici, le zone sotterranee, le acque interne e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per le relative infrastrutture al fine di
apportare almeno i rispettivi contributi nazionali all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti rinnovabili per
il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE)
2018/2001 e a sostegno del conseguimento dell'obiettivo della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in conformita' del
regolamento (UE) 2021/1119. [...]. Gli Stati membri dovrebbero
garantire che le zone in questione riflettano le rispettive
traiettorie stimate e la potenza totale installata pianificata e
dovrebbero individuare le zone specifiche per i diversi tipi di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile stabilite nei loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli artt. 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999.
[...].
(26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme di
tali aree, specifiche zone terrestri (comprese superfici e
sottosuperfici) e marine o delle acque interne come zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi di tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare un impatto ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per le
energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero evitare le zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero poter designare
zone di accelerazione specificamente per le energie rinnovabili per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di energia rinnovabile e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli Stati membri dovrebbero designare tali zone di
accelerazione per le energie rinnovabili per almeno un tipo di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi' facendo, gli Stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni combinate
di tali zone siano sostanziali e contribuiscano al conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001.
(27) L'uso polivalente dello spazio per la produzione di energia
rinnovabile e per altre attivita' terrestri, delle acque interne e
marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del suolo, delle
acque interne e del mare. In tale contesto la pianificazione
territoriale rappresenta uno strumento indispensabile con cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle acque interne e del mare. Gli Stati membri dovrebbero
esplorare, consentire e favorire l'uso polivalente delle zone
individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra di loro e possano
coesistere.
[...]
(36) In considerazione della necessita' di accelerare la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione delle
zone di accelerazione per le energie rinnovabili non dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di progetti di energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione. Questi
progetti dovrebbero continuare a sottostare all'obbligo di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere soggetti alle procedure di rilascio delle
autorizzazioni applicabili ai progetti in materia di energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Per accelerare le procedure di rilascio delle
autorizzazioni nella misura necessaria a conseguire l'obiettivo di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE) 2018/2001, anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili
dovrebbero essere semplificate e razionalizzate attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per tutte le fasi della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese le valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto.
87. In ragione delle considerazioni sopra richiamate, la
Direttiva ha introdotto, tra l'altro, disposizioni in materia di
mappatura delle zone necessarie per i contributi nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il
2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonche' di
procedure amministrative per il rilascio delle relative
autorizzazioni.
88. Il Regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 dicembre 2018, adottato sulla base degli artt. 192
e 194 TFUE, stabilisce la necessaria base legislativa per una
governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima
affidabile, inclusiva, efficace sotto il profilo dei costi,
trasparente e prevedibile che garantisca il conseguimento degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino al 2030 dell'Unione
dell'energia, in linea con l'accordo di Parigi del 2015 sui
cambiamenti climatici derivante dalla 21a Conferenza delle parti alla
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici,
attraverso sforzi complementari, coerenti e ambiziosi da parte
dell'Unione e degli Stati membri, limitando la complessita'
amministrativa.
89. Nel configurare tale meccanismo e' stato considerato, in
particolare, che:
(2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque dimensioni:
la sicurezza energetica; il mercato interno dell'energia;
l'efficienza energetica; il processo di decarbonizzazione; la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'.
(3) L'obiettivo di un'Unione dell'energia resiliente e
articolata intorno a una politica ambiziosa per il clima e' di
fornire ai consumatori dell'UE - comprese famiglie e imprese -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e di
promuovere la ricerca e l'innovazione attraendo investimenti; cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, in particolare promuovendo l'efficienza energetica e i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia rinnovabile
[...].
[...]
(7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno il 40 %
delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico entro il
2030, rispetto ai livelli del 1990, e' stato formalmente approvato in
occasione del Consiglio «Ambiente» del 6 marzo 2015, quale contributo
previsto determinato a livello nazionale, dell'Unione e dei suoi
Stati membri all'accordo di Parigi. L'accordo di Parigi e' stato
ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed e' entrato in vigore
il 4 novembre 2016; sostituisce l'approccio adottato nell'ambito del
protocollo di Kyoto del 1997, che e' stato approvato dall'Unione
mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio (7) e che non sara'
prorogato dopo il 2020. E' opportuno aggiornare di conseguenza il
sistema dell'Unione per il monitoraggio e la comunicazione delle
emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra.
(8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di ambizione
globale relativo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con l'obiettivo di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di sotto
di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di continuare ad
adoperarsi per limitare tale aumento della temperatura a 1,5 °C
rispetto ai livelli preindustriali. [...]
(12) Nelle conclusioni del 23 e del 24 ottobre 2014, il Consiglio
europeo ha inoltre convenuto di sviluppare un sistema di governance
affidabile, trasparente, privo di oneri amministrativi superflui e
con una sufficiente flessibilita' per gli Stati membri per
contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della liberta' degli Stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...]
[...]
(18) Il principale obiettivo del meccanismo di governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi del
quadro 2030 per il clima e l'energia, nei settori della riduzione
delle emissioni dei gas a effetto serra, delle fonti di energia
rinnovabili e dell'efficienza energetica. Tali obiettivi derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e dalla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno di questi obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere considerato secondario rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di energia
e di clima. Gli Stati membri devono poter scegliere in modo
flessibile le politiche che meglio si adattano alle preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche' tale flessibilita' sia
compatibile con l'ulteriore integrazione del mercato,
l'intensificazione della concorrenza, il conseguimento degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il passaggio graduale a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio.
[...]
(36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a lungo
termine con una prospettiva di almeno 30 anni per contribuire al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai sensi dell'UNFCCC e
all'accordo di Parigi, nel contesto dell'obiettivo dell'accordo di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine delle emissioni di gas a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in tutti i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione [...].
(56) Se l'ambizione dei piani nazionali integrati per l'energia e
il clima, o dei loro aggiornamenti, fosse insufficiente per il
raggiungimento collettivo degli obiettivi dell'Unione dell'energia e,
nel primo periodo, in particolare per il raggiungimento degli
obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile e di efficienza
energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a livello
unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo di tali
obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali «divari di
ambizione»). Qualora i progressi dell'Unione verso tali obiettivi e
traguardi fossero insufficienti a garantirne il raggiungimento, la
Commissione dovrebbe, oltre a formulare raccomandazioni, proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per garantire
il raggiungimento di detti obiettivi, colmando cosi' eventuali
«divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero altresi' tenere
conto degli sforzi pregressi dagli Stati membri per raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una quota di energia da fonti rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante oppure realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per il
2020 o nell'attuazione del loro contributo all'obiettivo vincolante
dell'Unione di almeno il 32% di energia rinnovabile nel 2030. In
materia di energia rinnovabile, le misure possono includere anche
contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati a un
meccanismo di finanziamento dell'energia rinnovabile nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire ai progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione, offrendo cosi' agli Stati membri la possibilita' di
contribuire al conseguimento dell'obiettivo dell'Unione al minor
costo possibile. Gli obiettivi degli Stati membri in materia di
rinnovabili per il 2020 dovrebbero servire come quota base di
riferimento di energia rinnovabile a partire dal 2021 e dovrebbero
essere mantenuti per tutto il periodo. In materia di efficienza
energetica, le misure aggiuntive possono mirare soprattutto a
migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti.
(57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di
energia rinnovabile per il 2020, di cui all'allegato I della
direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza per la loro traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo, una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente parte della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo, la quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo di energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento.
(58) Se uno Stato membro non mantiene la quota base di
riferimento misurata in un periodo di un anno, esso dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora abbia effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato conforme ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal momento
in cui il divario in questione si e' verificato, sia ai sensi del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]».
90. Il meccanismo di governance si e' tradotto, tra l'altro,
nelle seguenti previsioni (come aggiornate con la Direttiva (UE)
2023/2413):
«Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e
successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica alla
Commissione un piano nazionale integrato per l'energia e il clima
[...]» (art. 3):
«Ciascuno Stato membro definisce nel suo piano nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi, traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato I,
sezione A, punto 2:
a) dimensione «decarbonizzazione»:
[...]
2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile:
al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per la
quota di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo
1, della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo in termini di quota
dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo lordo
di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo segue
una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18 % dell'aumento
totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il
suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2025, la traiettoria
indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 43 %
dell'aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra
l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro
interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la
traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad
almeno il 65 % dell'aumento totale della quota di energia da fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello
Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030.
Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve raggiungere almeno
il contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato membro
prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per il
2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello che si
aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri,
nel loro insieme, concorrono al raggiungimento dei punti di
riferimento dell'Unione nel 2022, 2025 e 2027 e all'obiettivo
vincolante dell'Unione per la quota di energia rinnovabile per il
2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001.
Indipendentemente dal suo contributo all'obiettivo dell'Unione e
dalla sua traiettoria indicativa ai fini del presente regolamento,
uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu' ambiziosi per
finalita' di politica nazionale»
(art. 4);
«Nel proprio contributo alla propria quota di energia da fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia del 2030 e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'art. 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro tiene
conto degli elementi seguenti:
a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001;
b) misure adottate per conseguire il traguardo di efficienza
energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE;
c) altre misure esistenti volte a promuovere l'energia
rinnovabile nello Stato membro e, ove pertinente, a livello di
Unione;
d) l'obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all'allegato I
della direttiva (EU) 2018/2001.
e) le circostanze pertinenti che incidono sulla diffusione
dell'energia rinnovabile, quali:
i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione;
ii) le condizioni economiche e il potenziale, compreso il PIL
pro capite;
iii) il potenziale per una diffusione delle energie
rinnovabili efficace sul piano dei costi;
iv) i vincoli geografici, ambientali e naturali, compresi
quelli delle zone e regioni non interconnesse;
v) il livello di interconnessione elettrica tra gli Stati
membri;
vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi
pregressi.
[...]
2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la somma dei
rispettivi contributi ammonti almeno all'obiettivo vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il 2030
di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001» (art.
5).
«Se nel settore dell'energia rinnovabile, in base alla
valutazione di cui all'art. 29, paragrafi 1 e 2, la Commissione
conclude che uno o piu' punti di riferimento della traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027, di cui all'art. 29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022,
2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di
riferimento nazionali di cui all'art. 4, lettera a), punto 2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un anno dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a colmare il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali:
a) misure nazionali volte ad aumentare la diffusione
dell'energia rinnovabile;
b) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili
nel settore del riscaldamento e raffreddamento di cui all'art. 23,
paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001;
c) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili
nel settore dei trasporti di cui all'art. 25, paragrafo 1, della
direttiva (UE) 2018/2001;
d) un pagamento finanziario volontario al meccanismo di
finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da
fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla
Commissione, come indicato all'art. 33;
e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla
direttiva (UE) 2018/2001» (art. 32).
91. La legge 22 aprile 2021, n. 53, ha dettato «Principi e
criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/2001,
sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», demando
al Governo, tra l'altro:
la previsione, previa intesa con la Conferenza unificata, su
proposta del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e
con il Ministero per i beni e le attivita' culturali e per il
turismo, al fine del concreto raggiungimento degli obiettivi indicati
nel Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC), di
una disciplina per l'individuazione delle superfici e delle aree
idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti
rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio
culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della
qualita' dell'aria e dei corpi idrici, nonche' delle specifiche
competenze dei Ministeri per i beni e le attivita' culturali e per il
turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando
l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni
industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi,
compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilita' delle
risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda
elettrica, nonche' tenendo in considerazione la dislocazione della
domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo
della rete stessa, a tal fine osservando i seguenti indirizzi:
1) definizione dei criteri per l'individuazione di aree idonee
all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza
complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal
PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti
rinnovabili, con indicazione di criteri per la ripartizione fra
regioni e province autonome e previsione di misure di salvaguardia
delle iniziative di sviluppo in corso che risultino coerenti con i
criteri di localizzazione degli impianti preesistenti;
2) previsione di un termine di sei mesi per la realizzazione
del processo programmatorio di individuazione delle aree;
b) di assicurare il rispetto dei principi della minimizzazione
degli impatti sull'ambiente, sul territorio e sul paesaggio, fermo
restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di
decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilita' dei
costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo.
92. Il decreto legislativo n. 199/2021 costituisce «Attuazione
della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del
Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili» e si pone (art. 1) «l'obiettivo di
accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando
disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza
con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico
al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050», definendo «gli
strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale,
finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli
obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili
al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel rispetto
dei criteri fissati dalla legge 22 aprile 2021, n. 53», recando
«disposizioni necessarie all' attuazione delle misure del Piano
Nazionale di Ripresa e Resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia
di energia da fonti rinnovabili, conformemente al Piano Nazionale
Integrato per l'Energia e il Clima (di seguito anche: PNIEC), con la
finalita' di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati,
gia' orientati all'aggiornamento degli obiettivi nazionali da
stabilire ai sensi del Regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si
prevede, per l'Unione europea, un obiettivo vincolante di riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 percento
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030».
93. L'art. 20 del decreto ha, in particolare, previsto che:
con uno o piu' decreti del Ministro della transizione ecologica
di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle
politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di
Conferenza unificata, sono stabiliti principi e criteri omogenei per
l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee
all'installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza
complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal
PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti
rinnovabili, tenuto conto delle aree idonee ai sensi del comma 8;
in via prioritaria, con i suddetti decreti si provvede a
dettare i criteri per l'individuazione delle aree idonee
all'installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel
PNIEC, stabilendo le modalita' per minimizzare il relativo impatto
ambientale e la massima porzione di suolo occupabile dai suddetti
impianti per unita' di superficie, nonche' dagli impianti a fonti
rinnovabili di produzione di energia elettrica gia' installati e le
superfici tecnicamente disponibili, e altresi' a indicare le
modalita' per individuare superfici, aree industriali dismesse e
altre aree compromesse, aree abbandonate e marginali idonee alla
installazione di impianti a fonti rinnovabili;
i decreti stabiliscono anche la ripartizione della potenza
installata fra Regioni e Province autonome, prevedendo sistemi di
monitoraggio sul corretto adempimento degli impegni assunti e criteri
per il trasferimento statistico fra le medesime Regioni e Province
autonome;
nel dettare la disciplina delle aree idonee si tiene conto
delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio,
delle aree agricole e forestali, della qualita' dell'aria e dei corpi
idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate,
quali capannoni industriali e parcheggi, nonche' di aree a
destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e
verificando l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi
incluse le superfici agricole non utilizzabili, compatibilmente con
le caratteristiche e le disponibilita' delle risorse rinnovabili,
delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonche'
tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli
eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete
stessa;
conformemente ai principi e criteri stabiliti dai decreti di
cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore dei medesimi decreti, le Regioni individuano con legge le aree
idonee;
in sede di individuazione delle superfici e delle aree idonee
per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili sono rispettati i
principi della minimizzazione degli impatti sull'ambiente, sul
territorio, sul patrimonio culturale e sul paesaggio, fermo restando
il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al
2030 e tenendo conto della sostenibilita' dei costi correlati al
raggiungimento di tale obiettivo;
nelle more dell'individuazione delle aree idonee, non possono
essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei
procedimenti di autorizzazione;
le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere
dichiarate non idonee all'installazione di impianti di produzione di
energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero
nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata
inclusione nel novero delle aree idonee in attesa della disciplina di
cui ai menzionati decreti attuativi, le aree idonee sono individuate
ex lege dal medesimo decreto legislativo.
94. Come precedentemente rilevato (cfr. i punti da 15 a 29 della
presente ordinanza), il decreto ministeriale 21 giugno 2024 non ha
innovato il concetto di area non idonea contenuto nelle linee guida
di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010. Queste, infatti,
continuano a configurarsi come aree con «obiettivi di protezione non
compatibili con l'insediamento [...] di specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti». Detta incompatibilita', tuttavia, non si
traduce in una preclusione assoluta, bensi' in «una elevata
probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di
autorizzazione», che dovra' comunque risultare all'esito di specifica
istruttoria. Ne consegue che, sotto tale profilo, la definizione
contenuta nel decreto impugnato non innova in alcun modo il concetto
di area non idonea quale gia' enucleato dalle linee guida.
95. In contrasto con tali indicazioni, l'art. 1, comma 5, della
legge regionale Sardegna n. 20/2024 stabilisce che «E' vietata la
realizzazione degli impianti ricadenti nelle rispettive aree non
idonee cosi' come individuate dagli allegati A, B, C, D, E e dai
commi 9 e 11». Tale previsione si pone in violazione degli artt. 117,
primo e terzo comma della Costituzione in relazione agli artt. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, alle disposizioni del decreto
ministeriale 21 giugno 2024, nonche' al principio di massima
diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabile come
emergente dalla disciplina unionale sopra richiamata. L'inadeguatezza
di una determinata area o di un determinato sito ad ospitare impianti
da fonti rinnovabili, infatti, non puo' derivare da una
qualificazione aprioristica, generale ed astratta, ma puo' soltanto
conseguire all'esito di un procedimento amministrativo che consenta
una valutazione in concreto delle inattitudini del luogo, in ragione
delle relative specificita'.
96. L'impatto di un divieto di tale portata e', inoltre, del
tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un severo limite
all'individuazione delle zone disponibili per l'installazione degli
impianti che, a termini dell'art. 15-ter, par. 1, secondo periodo,
della Direttiva (UE) 2018/2001, devono essere commisurate «alle
traiettorie stimate e alla potenza totale installata pianificata
delle tecnologie per le energie rinnovabili stabilite nei piani
nazionali per l'energia e il clima presentati a norma degli artt. 3 e
14 del regolamento (UE) 2018/1999».
97. A questo riguardo, occorre infatti rilevare che le previsioni
dell'art. 1, comma 5, lette in combinato disposto con gli allegati
alla legge, prevedono una sterminata casistica di aree vietate, con
un elenco di 45 pagine, definite peraltro sulla base di astratte
esigenze di protezione non specificamente riferite a luoghi concreti,
ricomprendendo non solo le aree e i beni specificamente tutelati, ma
sostanzialmente la maggior parte del territorio regionale (cfr. ad
es. riferimenti agli "Ulteriori elementi con valenza storico -
culturale, di natura archeologica, architettonica e identitaria,
quali beni potenziali non ricompresi nel Piano Paesaggistico vigente
al momento dell'entrata in vigore della presente legge, ed aree
circostanti che distano meno di 3 chilometri, in linea d'aria» -
allegato A, lettera bb), allegato B, lett. y), allegato C, lett. bb),
allegato D, lett. aa), allegato E, lett. bb)). Come dedotto dalla
parte ricorrente, non smentita sul punto dalle parti intimate, la
rete dei divieti previsti dalla legge regionale comprende circa il
98% del territorio regionale.
98. Peraltro, in forza dell'art. 32 del Regolamento (UE)
2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu' punti di
riferimento della traiettoria indicativa unionale per il 2022, 2025 e
2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022, 2025 e
2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di
riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure
supplementari, ivi incluso un pagamento finanziario volontario al
meccanismo di finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile
istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di
energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente
dalla Commissione. La sottrazione indiscriminata di larga parte del
territorio di una Regione alla possibilita' di installare impianti
FER potrebbe, pertanto, implicare l'obbligo di adottare misure
supplementari, con impatti anche sulle finanze pubbliche, ove
ostacoli il raggiungimento degli obiettivi.
99. Nella misura in cui puo' ostacolare il raggiungimento degli
obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie
rinnovabili, il divieto in questione si pone anche in posizione
critica rispetto alla strategia di adattamento ai cambiamenti
climatici dell'Unione. Come precedentemente ricordato, ai sensi
dell'art. 5 del Regolamento (UE) 2021/1119, «Le istituzioni
competenti dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante
progresso nel miglioramento della capacita' di adattamento, nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7 dell'accordo di
Parigi». Essi, inoltre, «garantiscono [...] che le politiche in
materia di adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano
coerenti, si sostengano reciprocamente, comportino benefici
collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per integrare
meglio l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di
intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione».
100. Come precisato dalla Commissione europea nella Comunicazione
COM(2021)82 final sulla nuova Strategia dell'UE per l'adattamento ai
cambiamenti climatici, «Il Green Deal europeo, la strategia di
crescita dell'UE per un futuro sostenibile, si basa sulla
consapevolezza che la trasformazione verde e' un'opportunita' e che
la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l'UE ha mostrato la
propria leadership per scongiurare lo scenario peggiore -
impegnandosi a raggiungere la neutralita' climatica - e prepararsi al
meglio - puntando ad azioni di adattamento piu' ambiziose che si
fondano sulla strategia dell'UE di adattamento del 2013. La visione a
lungo termine prevede che nel 2050 l'UE sara' una societa' resiliente
ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti
dei cambiamenti climatici. Cio' significa che entro il 2050, anno in
cui l'Unione aspira ad aver raggiunto la neutralita' climatica,
avremo rafforzato la capacita' di adattamento e ridotto al minimo la
vulnerabilita' agli effetti dei cambiamenti climatici, in linea con
l'accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima». Il
raggiungimento dei target di potenza installata delle tecnologie
rinnovabili costituisce, all'evidenza, un elemento centrale per
conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica,
che potrebbe essere posto seriamente a rischio da una disciplina,
come quella censurata, che vieta in assoluto la realizzazione di
impianti FER in aree non idonee.
101. Il divieto sembra anche contrastare con il principio di
integrazione di cui all'art. 11 TFUE e all'art. 37 della Carta di
Nizza, secondo cui «Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente
devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle
politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di
promuovere lo sviluppo sostenibile». L'integrazione ambientale in
tutti i settori politici pertinenti (agricoltura, energia, pesca,
trasporti, ecc.) e' funzionale a ridurre le pressioni sull'ambiente
derivanti dalle politiche e dalle attivita' di altri settori e per
raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici. La previsione in
generale delle aree non idonee come zone vietate solleva sul punto
notevoli perplessita', in quanto non istituisce alcuna forma di
possibile bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo
un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla conservazione dello
stato dei luoghi, in contrasto con l'obiettivo del decreto stesso di
promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili.
102. Da quanto precede risulta anche che la disciplina censurata
confligge con il principio di proporzionalita', con violazione anche
dell'art. 3 Cost. Come la Corte di giustizia ha piu' volte ribadito,
«il principio di proporzionalita' e' un principio generale del
diritto comunitario che dev'essere rispettato tanto dal legislatore
comunitario quanto dai legislatori e dai giudici nazionali» (sentenza
11 giugno 2009, C- 170/08, 41). Il sindacato di proporzionalita'
costituisce, inoltre, un aspetto del controllo di ragionevolezza
delle leggi condotto dalla giurisprudenza costituzionale, onde
verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Come la stessa
Corte ha precisato, «Tale giudizio deve svolgersi «attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal
legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle
esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende
perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni
concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di
proporzionalita' utilizzato da questa Corte come da molte delle
giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di
ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia
dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimita'
degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se
la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di
obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure
appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a
confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (Corte Costituzionale, sentenza n.
1 del 2014).
103. Inoltre, ai sensi dell'art. 9 Cost. la Repubblica tutela
l'ambiente, la biodiversita' e gli ecosistemi «anche nell'interesse
delle future generazioni», con cio' incorporando il principio di
sviluppo sostenibile nell'ambito dei principi fondamentali in materia
di tutela ambientale. L'incondizionato sacrificio di tale principio,
quale sotteso al divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art. 3
Cost., nonche' con l'art. 9 citato e con la consolidata
giurisprudenza costituzionale secondo cui «Tutti i diritti
fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di
integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di
essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve
essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non
coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del
2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione
di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle
altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e
protette [...]. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni
democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi. [...] Il punto di
equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo,
deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme
e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di
proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un
sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte Costituzionale,
sentenza n. 85 del 2013).
104. Peraltro, lo stesso decreto ministeriale prescrive, all'art.
7,comma 3, alle Regioni che, «nell'applicazione del presente comma
deve essere contemperata la necessita' di tutela dei beni con la
garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A
dell'art. 2 del presente decreto». Sul punto, occorre ricordare che,
anche prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.
199/2021, l'orientamento della giurisprudenza costituzionale era nel
senso di ritenere illegittime norme regionali volte a sancire, in via
generale e astratta, la non idoneita' di intere aree di territorio o
a imporre, in maniera generalizzata ed aprioristica, limitazioni
(Corte Costituzionale, sentenza n. 69 del 2018). Per costante
giurisprudenza della Corte, infatti, le Regioni e le Province
autonome sono tenute a rispettare i principi fondamentali contemplati
dal legislatore statale (ex multis, sentenze n. 11 del 2022, n. 177
del 2021 e n. 106 del 2020) e, nel caso di specie, racchiusi nel
citato decreto legislativo n. 199 del 2021 e nella disciplina di
attuazione (quale il decreto ministeriale aree idonee).
105. I divieti posti dalla Regione Sardegna, e in particolare
l'art. 1, comma 2, 5, 7 e 8 e i relativi allegati A, B, C, D ed E,
violano pertanto i principi fondamentali posti dallo Stato nella
materia di legislazione concorrente «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia», di cui all'art. 117, terzo
comma, della Costituzione, espressi dal decreto legislativo n. 199
del 2021, nonche' dal decreto ministeriale 21 giugno 2024 e
contrastano con gli artt. 3, 9, 11 e 117, primo comma, della
Costituzione, in quanto incidono sul raggiungimento degli obiettivi
di decarbonizzazione fissati a livello europeo.
106. L'art. 1, inoltre, precisa che le disposizioni della legge
si applicano a tutto il territorio regionale, ivi inclusi le aree e
le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in
corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza
regionale o statale ovvero autorizzati che non abbiano determinato
una modifica irreversibile dello stato dei luoghi. Non solo. La legge
addirittura incide sui titoli autorizzatori e abilitativi gia'
rilasciati, comminandone l'inefficacia, mentre in relazione ai
progetti gia' realizzati prevede (al comma 8), che «Gli interventi di
rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento [...] sono
ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda
occupata, nonche', nel caso di impianti eolici, un aumento
dell'altezza totale dell'impianto". Ne deriva la violazione dei
principi di uguaglianza, certezza del diritto e del legittimo
affidamento, nonche' il diritto di liberta' di iniziativa economica
di cui all'art. 41 Cost. Il legislatore regionale, infatti, ha
imposto l'indiscriminata applicazione del nuovo regime a tutti gli
operatori, senza differenziare la posizione di coloro che non hanno
ancora presentato alcun progetto, che lo hanno sviluppato e gia'
sottoposto alla valutazione dell'Autorita' amministrativa sostenendo
i relativi costi di progettazione ovvero che abbiano gia' ottenuto le
autorizzazioni e iniziato a sostenere i costi di realizzazione. In
relazione ai progetti gia' realizzati, inoltre, la disciplina
regionale da' luogo a un regolamento del tutto irrazionale, in cui le
aree interessate dal progetto gia' realizzato e quelle contermini si
trasformano, di fatto, in aree vietate ratione personae: il soggetto
gia' titolare di un impianto, infatti, verrebbe privato della
possibilita' di apportare modifiche a detto impianto che ne
determinino in qualunque modo l'aumento della superficie occupata
ovvero dell'altezza totale (per gli impianti eolici), senza che
assumano alcuna rilevanza la qualificazione dell'areea (idonea, non
idonea, ordinaria) e l'entita' delle modifiche, con violazione dei
principi di uguaglianza, di ragionevolezza e di legittimo
affidamento.
107. Al riguardo, occorre ricordare che secondo la giurisprudenza
costituzionale il valore del legittimo affidamento, che trova
copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., non esclude che il
legislatore possa adottare disposizioni che modificano in senso
sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici,
anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi
perfetti. Cio' puo' avvenire, tuttavia, a condizione «che tali
disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (ex
plurimis, sentenze n. 216 e n. 56 del 2015, n. 219 del 2014, n. 154
del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012 e n. 302 del 2010;
ordinanza n. 31 del 2011). Nel caso di specie, invece, la Regione
Sardegna ha emanato una legge che contravviene ai principi
fondamentali della materia, quali derivanti dagli obblighi
rinvenienti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e dalla
relativa normativa statale di attuazione, senza preoccuparsi di
operare alcun bilanciamento con tutti i valori in gioco, recedendo
soltanto di fronte all'impossibilita' di fatto di ripristinare lo
status quo.
108. Da quanto sopra discende anche la violazione dei principi di
imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione, e quindi
dell'art. 97 Cost. Oltre all'irragionevole impatto che la suddetta
normativa determina su procedimenti gia' definiti, essa osta,
infatti, a qualsivoglia possibilita' di realizzare, in sede
amministrativa, il piu' opportuno bilanciamento degli interessi in
gioco. A tale riguardo, non e' secondario osservare che, ai sensi
dell'art. 20, comma 7, decreto legislativo n. 199/2021, «Le aree non
incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee
all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile,
in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli
procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero
delle aree idonee». Il riferimento specifico alla valutazione operata
«in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli
procedimenti» attesta che la riserva di procedimento amministrativo
per la dichiarazione di non idoneita', oltre che prevista dalle linee
guida, e' sancita a livello di normazione primaria anche nel regime
di cui ai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 20, comma
1, del decreto, con conseguente impossibilita' per le regioni di
impedire che tale valutazioni si compia mediante il divieto,
stabilito in via generale e astratta per legge, di realizzare gli
impianti nelle aree non idonee.
109. Non soccorre, al riguardo, la peculiare procedura prevista
dall'art. 3 della legge che consente, su istanza dei comuni
interessati, di proporre un'istanza propedeutica alla realizzazione
di un impianto o di un accumulo FER all'interno di un'area
individuata come non idonea. Tale istanza, che gia' sotto il profilo
della previsione dell'esclusiva competenza propositiva del comune
suscita perplessita' per la commistione tra profili di valutazione
politica e amministrativa, da' luogo a una procedura, da svolgersi in
sede di conferenza di servizi, in cui e' pero' prevista l'unanimita'
ai fini della realizzazione dell'intervento e l'inapplicabilita'
dell'istituto del silenzio-assenso, dipartendosi all'ordinario
funzionamento della conferenza dei servizi e del silenzio
significativo di cui alla disciplina statale sul procedimento
amministrativo, fonte che rappresenta la norma interposta, dalla cui
violazione discende il contrasto con l'art 117, secondo comma, lett.
m), che attribuisce alla Stato la potesta' legislativa esclusiva in
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale. Al riguardo, occorre ricordare che l'art. 29,
comma 2-ter della legge n. 241/1990 stabilisce che «Attengono [...]
ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente
legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e
comunicazioni, la segnalazione certificata di inizio attivita' e il
silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilita' di
individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e
successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non
si applicano», mentre ai sensi del comma 2-quater «Le regioni e gli
enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro
competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle
assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli
essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma
possono prevedere livelli ulteriori di tutela», con obbligo per le
Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di adeguare la
propria legislazione a tali previsioni.
110. Non c'e' dubbio che la legge regionale sarda rechi un
livello inferiore di tutela rispetto a quello garantito dalla
disciplina statale, imponendo l'unanimita' dei consensi ed escludendo
l'operativita' del silenzio-assenso.
111. Sotto altro profilo, occorre anche ricordare che, secondo un
indirizzo consolidato del Giudice costituzionale, «[s]petta alla
legislazione statale determinare presupposti e caratteristiche
dell'autorizzazione paesaggistica, delle eventuali esenzioni e delle
semplificazioni della procedura, in ragione della diversa incidenza
delle opere sul valore intangibile dell'ambiente» (sentenza n. 246
del 2017). Si e', inoltre, affermato che «la legislazione regionale
non puo' prevedere una procedura per l'autorizzazione paesaggistica
diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perche' alle
Regioni non e' consentito introdurre deroghe agli istituti di
protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole
su tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere
annoverata l'autorizzazione paesaggistica» (sentenza n. 189 del 2016;
nello stesso senso, sentenze n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101
del 2010 e n. 232 del 2008)» (Corte Costituzionale, sentenza n.
74/2021).
112. La procedura prevista dall'art. 3 della legge regionale
Sardegna n. 20/2024, istituendo un procedimento diverso anche in aree
sottoposte a tutela culturale o paesaggistica per le quali la
normativa statale (artt. 21 e 146 del Testo Unico dei beni culturali)
fissa, per esigenze di uniformita' di trattamento, un procedimento
autorizzatorio apposito da parte della soprintendenza competente, si
pone anche in contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. s), Cost., che
assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia
della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali».
113. Peraltro, la predetta disciplina e' in ogni caso un diretto
portato dell'illegittimo divieto generalizzato di realizzare gli
impianti in aree non idonee e non puo', pertanto, sfuggire alle
medesime censure suesposte.
114. Per tutto quanto sopra, va sollevata questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 2, 5 e 7, e 3,
nonche' dei relativi allegati A, B, C, D ed E, della Regione autonoma
della Sardegna n. 20/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11, 41,
97 e 117, comma 1, 2, lett. m) e s), e 3, Cost., anche in relazione
ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento
(UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413,
nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119, e altresi' dell'art. 10 della
legge costituzionale n. 3/2001 e degli artt. 3 e 4 della legge
costituzionale n. 3/1948.
Sulla rilevanza delle questioni delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla parte ricorrente in relazione all'art.
5 del decreto-legge n. 63/2024.
115. L'art. 20, comma 1-bis dell'art. 20 del d.lgs. n. 199/2021,
come introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, definisce
il perimetro delle aree agricole in cui e' consentita l'installazione
di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra facendo
riferimento alla classificazione delle aree idonee come prevista dal
comma 8 del medesimo art. 20 nelle more dell'adozione della
disciplina di cui al comma 1. In tale contesto, il decreto
ministeriale impugnato ribadisce che il divieto previsto dal comma
1-bis si applica anche nel nuovo quadro regolatorio e vincola la
potesta' legislativa regionale: ai sensi dell'art. 3, comma 1,
infatti, le Regioni sono chiamate a individuare con legge, entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le
aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle in cui e'
vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati
a terra.
116. Il decreto ministeriale costituisce anche l'unico atto
amministrativo che interviene nel processo di implementazione del
divieto, atteso che:
esso e' stabilito direttamente dalla legge statale;
secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale;
le aree cosi' individuate non sono non idonee, ma assolutamente
vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la valutazione,
nel singolo procedimento, della compatibilita' dell'intervento con i
valori confliggenti.
117. Al riguardo, occorre ricordare il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale «un atto generale [...] e'
immediatamente impugnabile quando incide senz'altro - senza la
necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi - sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV,
17.3.2022, n. 1937). Nel caso di specie, l'incidenza sui
comportamenti degli operatori e' indubbia, derivando dal divieto
cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di nuova
installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021, come pure degli interventi di modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti
gia' installati che non siano collocati nelle aree di cui alla
lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e che
comportino un incremento dell'area occupata. Ne deriva
l'indiscutibile sussistenza dell'interesse di parte ricorrente
all'impugnazione proposta.
118. Il decreto impugnato replica, peraltro, il divieto sancito
dalla norma primaria, demandando alla legge regionale la sua
pedissequa trasposizione, che determina ex se l'impossibilita' di
condurre in porto i progetti menzionati. La perdurante vigenza e
validita' della norma primaria impedisce qualsivoglia intervento
demolitorio da parte del Collegio, recando il decreto una previsione
del tutto conforme a legge.
119. In mancanza della declaratoria di incostituzionalita'
dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 63/2024, la domanda di
annullamento dell'art. 1 del decreto ministeriale , per la parte di
interesse, dovrebbe essere rigettata.
120. Viceversa, laddove la norma incriminata fosse dichiarata
incostituzionale, l'art. 1, comma 2, lett. d), del decreto potrebbe
(e dovrebbe) essere annullato, ponendo a quel punto un divieto
generalizzato che nessuna norma primaria contemplerebbe o
autorizzerebbe e che, per le ragioni che saranno illustrate, collide
con il principio di massima diffusione delle energie rinnovabili,
quale desumibile dal diritto dell'Unione, dando peraltro luogo a una
disciplina che non supera lo scrutinio di proporzionalita' e
ragionevolezza. Il predetto divieto, peraltro, ha diretta incidenza
sulla parte ricorrente, atteso che il progetto «Monreale», di cui e'
depositata documentazione agli atti, rientra senz'altro tra gli
interventi vietati ai sensi ai sensi del richiamato art. 5, non
trovando per esso applicazione la norma di salvaguardia di cui al
comma 2 del medesimo art. 5.
Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di
costituzionalita' sollevate con il V e il VI motivo 121. Con il V e
il VI motivo di ricorso la ricorrente ha in sostanza lamentato:
la violazione dell'art. 117, commi primo e terzo, della
Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla Direttiva (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili e
all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(attuazione della Direttiva 2001/77/CE): la norma contestata, nel
prevedere il divieto di installazione di nuovi impianti FTV con
moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l'estensione di
quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con i
vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e, in particolare, con
l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti FER,
perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva 2001/77/CE,
nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della quale e'
stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021. Sotto altro
profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi generali
dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in attuazione
delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12, comma 7, del
decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli impianti di
produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma 1, lettere
b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole
dai vigenti piani urbanistici», e con le Linee guida del 2010,
introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali le zone
classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono
essere genericamente considerate aree e siti non idonei e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio;
la violazione e falsa applicazione dell'art. 9 Cost., dell'art.
15 della Direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili, del principio di proporzionalita',
dell'art. 11 del TFUE, dell'art. 41 Cost.: la scelta di introdurre un
generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con
moduli a terra su aree urbanisticamente campite come «agricole»
risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle
fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela
dell'ambiente perseguiti, dando luogo a una disciplina
sproporzionata, in contrasto con il principio di integrazione delle
tutele e con la stessa tutela dei valori ambientali.
122. Il Collegio ritiene che la disciplina censurata presenti
profili di contrasto con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., sotto il
profilo del mancato rispetto «dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario» e, in particolare, del principio di massima diffusione
delle fonti di energia rinnovabili, derivante dalla normativa
europea.
123. Per il richiamo del quadro normativo unionale e' sufficiente
rinviare ai punti da 72 a 90 della presente ordinanza.
124. E' sufficiente ora ricordare che, secondo la consolidata
giurisprudenza costituzionale, la normativa eurounitaria (nonche'
quella nazionale) e' ispirata nel suo insieme al principio
fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia
rinnovabili, che tra l'altro «trova attuazione nella generale
utilizzabilita' di tutti i terreni per l'inserimento di tali
impianti, con le eccezioni [...] ispirate alla tutela di altri
interessi costituzionalmente protetti» (Corte Costituzionale,
sentenza n. 13 del 2014).
125. La disciplina originariamente contenuta nell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, relativa all'individuazione delle
aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili, non prevedeva alcuna preclusione indiscriminata
rispetto all'utilizzo di terreni classificati agricoli.
126. Il comma 3 stabilisce, in effetti, che «nella definizione
della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui al comma
1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e
del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita'
dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici
di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi,
nonche' di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi
e logistica, e verificando l'idoneita' di aree non utilizzabili per
altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili».
Tale disposizione contempla bensi' un'esigenza di tutela delle aree
agricole, ma da un lato non pone alcuna preclusione assoluta e,
dall'altro, stabilisce chiaramente che le superfici agricole non
utilizzabile costituiscono, tra le altre, aree privilegiate per
l'installazione degli impianti.
127. Il comma 7 prevede, a sua volta, che «Le aree non incluse
tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee
all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile,
in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli
procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero
delle aree idonee».
128. Il comma 8, inoltre, nell'individuare transitoriamente le
aree idonee sino all'entrata in vigore della disciplina prevista dal
comma 1, vi include, «fatto salvo quanto previsto alle lettere a),
b), c), c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese nel
perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi
civici di cui all'art. 142, comma 1, lettera h), del medesimo
decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a
tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'art. 136 del medesimo
decreto legislativo».
129. Il nuovo comma 1-bis stravolge completamente l'assetto
previgente, prevedendo che «L'installazione degli impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente
nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per
modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli
impianti gia' installati, a condizione che non comportino incremento
dell'area occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino
ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non
ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi
ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter, numeri 2) e 3), del
comma 8 del presente art.. Il primo periodo non si applica nel caso
di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati
a terra finalizzati alla costituzione di una comunita' energetica
rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del presente decreto nonche' in
caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato con
decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato
con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del Piano
nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui
all'art. 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con
modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di progetti
necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR».
130. In definitiva, in base alla norma introdotta dall'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024, gli impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra possono essere realizzati soltanto:
a) nei siti ove sono gia' installati impianti della stessa
fonte, nei limiti degli interventi di modifica, rifacimento,
potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata;
b) presso cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate
o in condizioni di degrado ambientale, o le porzioni di cave e
miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento;
c) presso i siti e gli impianti nelle disponibilita' delle
societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di
infrastrutture ferroviarie nonche' delle societa' concessionarie
autostradali;
d) presso i siti e gli impianti nella disponibilita' delle
societa' di gestione aeroportuale all'interno dei sedimi
aeroportuale;
e) nelle aree interne agli impianti industriali e agli
stabilimenti e in quelle classificate agricole racchiuse in un
perimetro i cui punti distino non piu' di 500 metri dal medesimo
impianto o stabilimento;
f) nelle aree adiacenti alla rete autostradale entro una
distanza non superiore a 300 metri.
131. Dalla richiamata elencazione si desume che, in sostanza, la
generalita' dei terreni classificati agricoli (circa la meta' della
superficie del Paese) e' preclusa a qualsiasi intervento di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra
che non che non consista nel mero rifacimento/modifica/ricostruzione,
con conseguente preclusione all'utilizzo di nuovo terreno agricolo.
132. Il divieto non riguarda i progetti attuativi di misure
finanziate con il PNRR o il PNC, che tuttavia non comprendono tutti i
progetti necessari al raggiungimento dei target previsti dal PNIEC,
che e' lo strumento previsto dalla normativa eurounitaria per
conseguire gli obiettivi vincolanti dell'Unione per la quota di
energia rinnovabile. Gia' tale circostanza evidenzia che un divieto
di tale portata rischia di mettere seriamente a rischio il
conseguimento di tali obiettivi, nella misura in cui sottrae una
larga porzione del territorio a ogni possibile utilizzo della
tecnologia fotovoltaica senza che ne siano prevedibili gli effetti in
ordine alla possibilita' di rispettare le traiettorie stabilite in
merito alla quota di energia da fonti rinnovabili. Tenuto conto dello
stato di attuazione della disciplina di cui all'art. 20, comma 1,
decreto legislativo n. 199/2021, nonche' degli ampi margini di
flessibilita' che il decreto 21 giugno 2024 lascia alle regioni per
l'individuazione delle aree non idonee, l'impatto di tale divieto e'
del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un severo limite
all'individuazione delle zone disponibili per l'installazione degli
impianti che, a termini dell'art. 15-ter, par. 1, secondo periodo,
della Direttiva (UE) 2018/2001, devono essere commisurate «alle
traiettorie stimate e alla potenza totale installata pianificata
delle tecnologie per le energie rinnovabili stabilite nei piani
nazionali per l'energia e il clima presentati a norma degli artt. 3 e
14 del regolamento (UE) 2018/1999».
133. Peraltro, si e' gia' visto che, in forza dell'art. 32 del
Regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu'
punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il
2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel
2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti
di riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure
supplementari, ivi incluso un pagamento finanziario volontario al
meccanismo di finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile
istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di
energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente
dalla Commissione. La sottrazione indiscriminata di larga parte del
territorio nazionale all'utilizzo della tecnologia fotovoltaica
potrebbe, pertanto, implicare l'obbligo di adottare misure
supplementari, con impatti anche sulle finanze pubbliche, ove
ostacoli il raggiungimento degli obiettivi.
134. La preclusione generalizzata all'installazione di impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra sembra inoltre contrastare
con il principio per cui, nell'ambito del processo di individuazione
delle zone necessarie per i contributi nazionali all'obiettivo
complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il 2030 ai sensi
del paragrafo 1 dell'art. 15-ter della Direttiva (UE) 2018/2001, «Gli
Stati membri favoriscono l'uso polivalente delle zone di cui al
paragrafo 1. I progetti in materia di energia rinnovabile sono
compatibili con gli usi preesistenti di tali zone» (art. 15-ter, par.
3). Come gia' rilevato, il considerando (27) della Direttiva precisa
che «Gli Stati membri dovrebbero esplorare, consentire e favorire
l'uso polivalente delle zone individuate a seguito delle misure di
pianificazione territoriali adottate. A tal fine, e' auspicabile che
gli Stati membri agevolino, ove necessario, i cambiamenti nell'uso
del suolo e del mare, purche' i diversi usi e attivita' siano
compatibili tra di loro e possano coesistere". Il divieto introdotto
dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 istituisce, invece, un
insanabile conflitto tra l'utilizzo della tecnologia fotovoltaica con
moduli collocati a terra e l'uso del suolo a fini agricoli che,
tuttavia, non sussiste (o sussiste solo in parte) quantomeno per la
tecnologia agrivoltaica (anche non avanzata).
135. Nella misura in cui puo' ostacolare il raggiungimento degli
obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie
rinnovabili, anche il divieto in questione, come osservato
nell'ambito dell'esposizione relativa alla legge regionale sarda (v.
punti 99 e 100 della presente ordinanza), si pone in posizione
critica rispetto alla strategia di adattamento ai cambiamenti
climatici dell'Unione, in quanto il raggiungimento dei target di
potenza installata delle tecnologie rinnovabili costituisce,
all'evidenza, un elemento centrale per conseguire nel lungo termine
l'obiettivo della neutralita' climatica, che potrebbe essere posto
seriamente a rischio da una disciplina, come quella censurata, che
vieta sul tutto il territorio nazionale la tecnologia fotovoltaica
con pannelli collocati a terra su tutti i terreni classificati
agricoli, corrispondenti a oltre la meta' della superficie nazionale.
136. Anche tale divieto sembra contrastare con il principio di
integrazione di cui all'art. 11 TFUE e all'art. 37 della Carta di
Nizza. Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n.
63/2024, nel contesto di una disciplina di attuazione della Direttiva
(UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti
rinnovabili quale obiettivo della politica energetica dell'Unione,
solleva sul punto notevoli perplessita':
da un lato, infatti, si inserisce nel complesso delle
previsioni dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 quale
corpo tendenzialmente estraneo, tant'e' che le relative previsioni
non risultano neppure adeguatamente coordinate con il resto
dell'articolato (v., ad esempio, il comma 3 del medesimo art. 20,
laddove prevede che i decreti di cui al comma 1 verifichino, tra
l'altro, «l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi
incluse le superfici agricole non utilizzabili»);
dall'altro lato, la norma non istituisce alcuna forma di
possibile bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo
un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla conservazione dello
stato dei luoghi dei terreni classificati agricoli senza alcuna
considerazione finanche della loro possibile, concreta
utilizzabilita' a fini agricoli, in contrasto con l'obiettivo del
decreto stesso di promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili.
137. Da quanto precede risulta anche che la disciplina censurata
confligge con il principio di proporzionalita', con violazione anche
dell'art. 3 Cost. Innanzitutto, la misura censurata consiste in un
divieto generalizzato e assoluto all'utilizzo, su un'ampia parte del
territorio nazionale, di una determinata tecnologia a fonti
rinnovabili. Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto a
quella adottata in funzione di tutela di tutti gli altri valori che
entrano in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle
fonti rinnovabili: le esigenze di tutela dell'ambiente, della
biodiversita', dei beni culturali e del paesaggio passa, infatti,
attraverso l'individuazione di aree non idonee che, come in
precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi' zone in
cui, in ragione delle esigenze di protezione in concreto esistenti,
e' altamente verosimile un esito negativo della valutazione di
compatibilita' dei progetti. Cio', peraltro, non osta alla
possibilita' di verificare, in concreto e nell'ambito dei singoli
procedimenti autorizzativi, eventuali margini di compatibilita' degli
interventi proposti. L'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024
stabilisce, invece, una prevalenza assoluta e incondizionata
dell'interesse alla conservazione dei suoli classificati agricoli,
valutata in astratto dal legislatore e che non consente la pur minima
possibilita' di contemperamento con gli altri interessi in gioco,
anche di rilievo costituzionale.
138. Inoltre, si e' visto che ai sensi dell'art. 9 Cost. la
Repubblica tutela l'ambiente, la biodiversita' e gli ecosistemi
«anche nell'interesse delle future generazioni», con cio'
incorporando il principio di sviluppo sostenibile nell'ambito dei
principi fondamentali in materia di tutela ambientale.
L'incondizionato sacrificio di tale principio, quale sotteso al
divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art. 3 Cost., nonche'
con l'art. 9 citato e con la consolidata giurisprudenza
costituzionale secondo cui «Tutti i diritti fondamentali tutelati
dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e
non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la
prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre
«sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed
in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se
cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei
diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle altre
situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette
[...]. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni
democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi. [...] Il punto di
equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo,
deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme
e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di
proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un
sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte Costituzionale,
sentenza n. 85 del 2013).
139. Sotto altro profilo, il divieto cosi' introdotto e'
operativo a partire dalla mera classificazione dell'area come
agricola in base ai piani urbanistici, senza che alcuna rilevanza
assumano il suo concreto utilizzo o la sua utilizzabilita' a tali
fini. Anche per tale riguardo la disposizione si mostra irragionevole
e sproporzionata, in quanto la dichiarata finalita' di contrastare il
consumo di suolo agricolo non e' riscontrabile (o quantomeno non nei
termini incondizionati e assoluti previsti dalla norma) in relazione
alle superfici agricole non utilizzabili o degradate. Manca, inoltre,
qualsivoglia considerazione della qualita' e dell'importanza delle
colture.
140. In raffronto, le attuali linee guida di cui al decreto
ministeriale 10 settembre 2010 prevedono che:
le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non
possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei;
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo'
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
Regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'Impatto Ambientale nei
casi previsti;
le Regioni possono procedere ad indicare come aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree
particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni
territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da
produzioni agricolo-alimentari di qualita' (produzioni biologiche,
produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni
tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto
paesaggistico-culturale, anche con riferimento alle aree, se previste
dalla programmazione regionale, caratterizzate da un'elevata
capacita' d'uso del suolo.
141. Una siffatta, contestualizzata disciplina risulta conforme
alle indicazioni emergenti in sede europea, per cui «Gli Stati membri
dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui
non puo' essere sviluppata l'energia rinnovabile («zone di
esclusione»). Essi dovrebbero fornire informazioni chiare e
trasparenti, corredate di una giustificazione motivata, sulle
restrizioni dovute alla distanza dagli abitati e dalle zone
dell'aeronautica militare o civile. Le restrizioni dovrebbero essere
basate su dati concreti e concepite in modo da rispondere allo scopo
perseguito massimizzando la disponibilita' di spazio per lo sviluppo
dei progetti di energia rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli
di pianificazione territoriale» (cfr. la Raccomandazione (UE)
2024/1343 della Commissione del 13 maggio 2024 sull'accelerazione
delle procedure autorizzative per l'energia da fonti rinnovabili e i
progetti infrastrutturali correlati). La disciplina posta dall'art. 5
del decreto-legge n. 63/2024 si traduce, invece, nell'esatto opposto,
ponendo un divieto che massimizza le zone di esclusione, non fondato
su dati concreti e certamente non rispondente all'obietto di
massimizzare la disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei progetti
di energia rinnovabile.
Questioni da sottoporre alla Corte costituzionale
142. In ragione di tutto quanto sopra, sono rilevanti (per quanto
illustrato ai punti 62 ss. della presente ordinanza) e non
manifestamente infondate (secondo quanto evidenziato ai punti 67 ss.)
le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 2,
5, 7 e 8, e 3, nonche' dei relativi allegati A, B, C, D ed E, della
legge della Regione autonoma della Sardegna n. 20/2024, per
violazione degli artt. 3, 9, 11, 41, 97 e 117, commi 1, 2, lett. m) e
s), e 3, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla
Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento (UE) 2018/1999, come
modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal Regolamento
(UE) 2021/1119, e altresi' dell'art. 10 della legge costituzionale n.
3/2001 e degli artt. 3 e 4 della legge costituzionale n. 3/1948.
143. Sono, altresi', rilevanti (per quanto illustrato ai punti
115 ss. della presente ordinanza) e non manifestamente infondate
(secondo quanto evidenziato ai punti 121 ss.) le questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, decreto-legge n.
63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per
violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in
relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal
Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE)
2023/2413, nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119.
144. Occorre solo aggiungere che le questioni di
costituzionalita' sollevate in relazione al citato art. 5, comma 1,
del decreto-legge n. 63/2024 vanno del pari riferite all'art. 5,
comma 2, laddove pone una disciplina di salvaguardia che ha quale
presupposto il divieto di cui al comma 1, nonche' all'art. 2, comma
2, primo periodo, decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190,
recante «Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di
energia da fonti rinnovabili», ove prevede che «Gli interventi di cui
all'art. 1, comma 1, sono considerati di pubblica utilita',
indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone
classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di
quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8
novembre 2021, n. 199». Tale disposizione, infatti, riproduce il
divieto di cui al citato art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024.
145. Il presente giudizio va quindi sospeso per le determinazioni
conseguenti alla definizione dell'incidente di costituzionalita'.
146. Il regolamento delle spese va rinviato all'esito del
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione
Terza) cosi' dispone:
a) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei
termini espressi in motivazione, le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 1, comma 2, 5, 7 e 8, e 3, nonche' dei
relativi allegati A, B, C, D ed E, della legge della Regione autonoma
della Sardegna n. 20/2024, per violazione degli artt. 3, 9, 11, 41,
97 e 117, comma 1, 2, lett. m) e s), e 3, Cost., anche in relazione
ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal Regolamento
(UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE) 2023/2413,
nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119, e altresi' dell'art. 10 della
legge costituzionale n. 3/2001 e degli artt. 3 e 4 della legge
costituzionale n. 3/1948;
b) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei
termini espressi in motivazione, le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1 e 2, decreto-legge n. 63/2024,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, nonche'
dell'art. 2, comma 2, primo periodo, decreto legislativo n. 190/2024,
per violazione degli artt. 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in
relazione ai principi espressi dalla Direttiva (UE) 2018/2001 e dal
Regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla Direttiva (UE)
2023/2413, nonche' dal Regolamento (UE) 2021/1119;
c) sospende il giudizio per le determinazioni conseguenti alla
definizione dell'incidente di costituzionalita' e, ai sensi dell'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale;
d) dispone la comunicazione della presente ordinanza alle parti
in causa, nonche' la sua notificazione al Presidente del Consiglio
dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica, al
Presidente della Camera dei deputati, al Presidente della Regione
autonoma della Sardegna e al Presidente del Consiglio regionale
sardo;
e) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito del giudizio
incidentale promosso con la presente ordinanza.
Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5
febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente;
Luca Biffaro, referendario;
Marco Savi, referendario, estensore.
Il Presidente: Stanizzi
L'estensore: Savi