Reg. ord. n. 139 del 2025 pubbl. su G.U. del 16/07/2025 n. 29
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio del 13/05/2025
Tra: FRV ITALIA srl C/ Ministero della cultura, Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste ed altri 2
Oggetto:
Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al decreto legislativo n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Previsione che l’art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Denunciata disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Norma che non istituisce nessuna forma di bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, senza considerare una loro possibile utilizzabilità finanche a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – Assenza di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale, che contrasta con la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.
Norme impugnate:
decreto-legge del 15/05/2024 Num. 63 Art. 5 Co. 1
legge del 12/07/2024 Num. 101
decreto legislativo del 08/11/2021 Num. 199 Art. 20 Co. 1
decreto-legge del 15/05/2024 Num. 63 Art. 5 Co. 2
legge del 12/07/2024 Num. 101
decreto legislativo del 25/11/2024 Num. 190 Art. 2 Co. 2
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 9 Co.
Costituzione Art. 11 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
direttiva UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
regolamento UE Art. Co.
regolamento UE Art. Co.
Udienza Pubblica del 28 gennaio 2026 rel. LUCIANI
Testo dell'ordinanza
N. 139 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2025
Ordinanza del 13 maggio 2025 del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Frv Italia S.r.l. contro
Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri.
Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Modifiche al
decreto legislativo n. 199 del 2021 - Disposizioni finalizzate a
limitare l'uso del suolo agricolo - Previsione che l'installazione
degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone
classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita
esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli
interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale
ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che non
comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le cave gia'
oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione
terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i lotti
di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e
c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell'art. 20 del decreto
legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il primo periodo del
comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto legislativo non si applica
nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto
nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di
investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR
(PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli
obiettivi del PNRR - Previsione che l'art. 20, comma 1-bis, primo
periodo, del decreto legislativo n. 199 del 2021, introdotto dal
comma 1 dell'art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come
convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa
data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle
procedure amministrative, comprese quelle di valutazione
ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la
costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere
connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi
- Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia
da fonti rinnovabili - Previsione che gli interventi di cui
all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono
considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono
essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti
piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20,
comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021.
- Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 (Disposizioni urgenti per le
imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonche' per le
imprese di interesse strategico nazionale), convertito, con
modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi 1
e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei
regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti
rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettera
b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo
periodo.
(GU n. 29 del 16-07-2025)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
Sezione Terza
ha pronunciato la presente sentenza non definitiva sul ricorso
numero di registro generale 8724 del 2024, proposto da:
Frv Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Comande', Enzo
Puccio, Serena Caradonna, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di giustizia;
contro Ministero della cultura, Ministero dell'ambiente e della
sicurezza energetica, Ministero dell'agricoltura della sovranita'
alimentare e delle foreste, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti della Regione Puglia e della Regione Toscana, non
costituite in giudizio;
per l'annullamento:
degli articoli 1, 3 e 7 del decreto ministeriale 21 giugno
2024, recante «Disciplina per l'individuazione di superfici e aree
idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili», adottato
dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica di concerto
con il Ministero della cultura e il Ministero dell'agricoltura, della
sovranita' alimentare e delle foreste e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana - Serie generale - n. 153 del 2
luglio 2024, nonche' i relativi allegati;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della
cultura, del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica e
di Ministero dell'agricoltura, della sovranita' alimentare e delle
foreste;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2025 il
dott. Marco Savi e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale;
Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
1. La ricorrente e' una societa' operante nel campo delle energie
rinnovabili, che e' passata dall'essere un semplice sviluppatore di
soluzioni a diventare un produttore di energia indipendente.
2. In Italia FRV ha presentato diverse iniziative, prediligendo
la progettazione in aree definite ope legis «idonee» ai sensi
dell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n.
199. Tra queste, in particolare:
«Genzano», Regione Puglia, agrivoltaico non avanzato, potenza
120,8 MW;
«Barbaruta», Regione Toscana, agrivoltaico avanzato, potenza
21 MW;
«Ginosa», Regione Puglia, agrivoltaico non avanzato, potenza
144 MW;
«Lanuvio», Regione Toscana, agrivoltaico avanzato, potenza 86
MW;
«Campli Bellante», Regione Toscana, agrivoltaico avanzato,
potenza 24 MW;
«Poggiale», Regione Puglia, agrivoltaico - non avanzato,
potenza 66 MW.
3. Con il presente ricorso FRV sostiene che il decreto impugnato
rechi previsioni idonee a pregiudicarne l'autorizzazione e ha
sollevato a tale riguardo plurimi profili di violazione di legge ed
eccesso di potere. Piu' in particolare, le censure possono cosi'
essere riassunte:
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 3 del
decreto legislativo n. 199/2021 e dell'art. 5 della legge n. 53/2021:
il decreto impugnato avrebbe mancato di definire i criteri omogenei
per l'individuazione delle aree idonee all'installazione di impianti
FER, essendosi limitato a riprodurre principi di massima che, a ben
vedere, sarebbero esattamente e testualmente quelli individuati dalla
norma delegante (art. 20, comma 3, decreto legislativo n. 199/2021).
Ne deriverebbe il conferimento alle regioni di una delega
sostanzialmente in bianco, in contrasto con l'insegnamento della
Corte costituzionale, che avrebbe sempre rivendicato l'importanza
della uniformita' della «materia energia» sul territorio nazionale
(motivo I.1);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1, del
decreto legislativo n. 199/2021: il decreto, chiamato a «dettare i
criteri per l'individuazione delle aree idonee all'installazione
della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le
modalita' per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima
porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unita' di
superficie, nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione
di energia elettrica gia' installati e le superfici tecnicamente
disponibili», si sarebbe limitato a prevedere la mera «possibilita'»
di classificare le superfici o le aree come idonee differenziandole
sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto,
con indicazione generica e priva di indirizzi idonei a orientare
l'esercizio della potesta' regionale (motivo I.2);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 8, del
decreto legislativo n. 199/2021: illegittimita' della previsione che
assegna una mera «possibilita'» alle regioni, in sede di emanazione
delle leggi, di fare salve le aree idonee di cui all'art. 20, comma
8, decreto legislativo n. 199/2021. Tale norma si porrebbe in
contrasto con il dato normativo ed equivarrebbe a consentire alle
regioni di non tener conto, in sede di normazione, delle aree idonee
individuate al legislatore nazionale, rimettendosi alle regioni la
potesta' di prevedere che aree che, fino ad oggi, sono state
indiscussamente idonee, ai sensi del comma 8, diventino «aree
ordinarie» o addirittura «aree non idonee», con impatti in termini di
affidamento degli investimenti ed incertezza del quadro giuridico di
riferimento (motivo I.3);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del
decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto legislativo
n. 387/2003, delle Linee guida e del principio della massima
diffusione degli impianti FER: l'art. 20, comma 4, decreto
legislativo n. 199/2021 prevedrebbe una competenza regionale, da
esercitare mediante legge, unicamente per la disciplina delle aree
idonee. Il decreto, invece, richiedendo alle regioni di individuare
con legge anche le aree non idonee, si porrebbe in contrasto, oltre
che con tale norma primaria, anche con l'art. 12, comma 10, del
decreto legislativo n. 387/2003 e con le successive Linee guida, che
prevedono l'individuazione delle «aree non idonee» all'esito di un
apposito procedimento amministrativo, operando un bilanciamento in
concreto degli interessi strettamente aderenti alla specificita' dei
luoghi, senza poter imporre in via legislativa vincoli generali non
previsti dalla disciplina statale (motivo II.1);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del
decreto legislativo n. 199/2004, dell'art. 12 del decreto legislativo
n. 387/2003, delle Linee guida e del principio della massima
diffusione degli impianti FER: nel definire le aree non idonee come
aree «incompatibili con l'installazione di specifiche tipologie di
impianti», il decreto introdurrebbe un vero e proprio divieto di
installazione di impianti FER in dette aree, in contrasto con i
principi dettati dalle Linee guida, che pure vengono dalla
disposizione in questione richiamati, in base alle quali
«L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve
configurarsi come divieto preliminare» all'installazione degli
impianti (motivo II.2);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi 1, 7 e 8
del decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto
legislativo n. 387/2003, delle Linee guida e del principio della
massima diffusione degli impianti FER nonche' del decreto legislativo
n. 42/2004 e dell'art. 117, comma 2, lettera s) Cost.: nel prevedere
che «Sono considerate non idonee le superfici e le aree che sono
ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi
dell'art. 10 e dell'art. 136, comma 1, lettere a) e b) del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», il decreto si porrebbe in
contrasto con la normativa europea e nazionale, nonche' con quella
prevista per i beni soggetti a tutela paesaggistica e culturale,
introducendo un divieto esorbitante e del tutto irragionevole, in
quanto di fatto inibirebbe in tutte le aree vincolate la
realizzazione degli impianti, a prescindere da qualsiasi specifica
valutazione in ordine alle effettive e concrete esigenze di tutela di
ciascun bene vincolato e, correlativamente, da qualsiasi verifica in
ordine alla sussistenza di una effettiva incompatibilita'
dell'intervento con la tutela paesaggistica o culturale da
assicurare. Del pari illegittima sarebbe la previsione secondo cui
«Le regioni possono individuare come non idonee le superfici e le
aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a
tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42», nonche' «stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni
sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della
tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino
a un massimo di 7 chilometri», in quanto assegnerebbe poteri alle
regioni in contrasto con la competenza statale in materia di
paesaggio e beni culturali, che impone uniformi livelli di tutela in
tutto il territorio nazionale (motivo II.3);
violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1,
decreto legislativo n. 199/2021: nell'individuare, come aree in cui
e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra, le aree agricole per le quali vige il divieto di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra ai sensi
dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199/2021, il
decreto contravverrebbe alla delega, che non avrebbe contemplato la
possibilita' di individuare aree «in cui e' vietata» la installazione
di impianti fotovoltaici a terra, sicche' il decreto ministeriale non
avrebbe potuto essere utilizzato per dare attuazione al citato comma
1-bis (motivo III.1);
manifesta irragionevolezza - violazione della direttiva
2009/28/Ce, della direttiva 2001/77/Ce e della direttiva
2018/2001/Ue: la delega di cui all'art. 1, comma 2, lettera d) del
decreto ministeriale impugnato sarebbe assolutamente irragionevole ed
illegittima anche in ragione del fatto che, nel vietare la
collocazione di impianti FTV a terra in aree agricole, non precisa
che da tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici.
Invero, sia gli FTV con moduli a terra che gli agrivoltaici hanno in
comune la collocazione sul suolo di moduli recanti pannelli
fotovoltaici. Tuttavia, la giurisprudenza ne avrebbe evidenziato la
differenza, in quanto nei primi la crescita della vegetazione puo'
ostare con la produzione di energia e quindi e' oggetto di interventi
volti a controllarla o impedirla, mentre, nel caso dell'agrivoltaico,
l'impianto (sia avanzato che base) sarebbe strutturato in modo da
consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola ovvero il
pascolo degli animali, di talche' la superficie del terreno resta
permeabile e quindi raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque
pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione
agricola. La previsione in esame, non operando alcuna distinzione in
merito, introdurrebbe un divieto concreto, indiscriminato e
generalizzato ad ogni tipo di impianto che usa tale tecnologia,
inclusi gli agrivoltaici base o avanzati che siano (motivo III.2).
4. Per l'ipotesi in cui non sia possibile un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021, la ricorrente ha prospettato
l'illegittimita' costituzionale della disposizione per i seguenti
profili:
violazione e falsa applicazione dell'art. 77, comma secondo,
della Costituzione: dalla disamina del «Preambolo» al decreto-legge
Agricoltura si evincerebbe che l'iniziativa governativa da cui ha
preso le mosse l'approvazione dell'art. 5, comma 1, del menzionato
decreto-legge, che ha introdotto la norma contestata, e' stata
motivata in ragione della ritenuta straordinaria necessita' e urgenza
di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione
agricola. Tale presupposto, tuttavia, non sarebbe sussistente, in
quanto nel territorio italiano la Superficie agricola totale (SAT) e'
pari a 16 milioni di ettari, mentre la Superficie agricola utilizzata
(SAU) e' pari a 12,5 milioni di ettari. Inoltre, 4 milioni di ettari
di terreni agricoli sono attualmente abbandonati. Al 2023 sono stati
installati impianti pari a una potenza di 30,3 GW.
Di questi, secondo il GSE, 9,2 GW sono impianti FTV a terra
che utilizzano 16.400 ettari, che equivalgono solo allo 0,05% del
territorio nazionale oppure allo 0,13% della SAU. Installare gli 84
GW di cui al Piano elettrico 2030/REPowerEU richiederebbe fino a
70.000 ettari - considerando l'ipotesi piu' estensiva secondo cui
l'intero obiettivo fosse perseguito mediante l'utilizzo della sola
tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici collocati a terra e
senza considerare la quota installabile su edifici - che equivalgono
allo 0,2% del territorio italiano ovvero allo 0,4% della SAT. Si
tratterebbe di una porzione marginale di suoli agricoli anche se
paragonata ai 4 milioni di ettari di terreni agricoli abbandonati e
ai 12,5 milioni di ettari di SAU. Sarebbero stati, pertanto, in
origine carenti i requisiti di necessita' e urgenza di cui all'art.
77 Cost. che avrebbero giustificato il ricorso allo strumento
eccezionale della decretazione d'urgenza (motivo IV);
violazione e falsa applicazione degli articoli 117, commi
primo e terzo, della Costituzione, in relazione, rispettivamente,
alla direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio
dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da
fonti rinnovabili e all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (attuazione della direttiva 2001/77/CE): la norma
contestata, nel prevedere il divieto di installazione di nuovi
impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare
l'estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in
contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e, in
particolare, con l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli
impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva
2001/77/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della
quale e' stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021. Sotto
altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi
generali dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in
attuazione delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12,
comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli
impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma
1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate
agricole dai vigenti piani urbanistici», e con le Linee guida del
2010, introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali
le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non
possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio. Per contro, una norma che
introduce un divieto generalizzato a realizzare una tipologia di
impianto FER su qualsiasi area agricola - a prescindere anche da una
previa indagine in merito alle tecnologie utilizzate, alle specifiche
qualita' del sito agricolo ovvero alle colture ivi condotte - si
porrebbe in conflitto con i summenzionati principi fondamentali di
cui all'art. 117, comma 1, Cost. ed all'art. 12, comma 7, del decreto
legislativo n. 387/2003, attuativi di direttive dell'Unione europea e
che riflettono anche impegni internazionali volti a favorire
l'energia prodotta da fonti rinnovabili (motivo V);
violazione e falsa applicazione dell'art. 9 Cost. -
violazione e falsa applicazione dell'art. 15 della direttiva (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili -
violazione del principio di proporzionalita' - violazione dell'art.
11 del TFUE- violazione dell'art. 41 Cost.: la scelta di introdurre
un generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con
moduli a terra su aree urbanisticamente campite come «agricole»
risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle
fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela
dell'ambiente perseguiti. Sul punto, l'art. 15 della direttiva
2018/2001 prevede che «Gli Stati membri prendono in particolare le
misure appropriate per assicurare che: b) le norme in materia di
autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano
oggettive, trasparenti e proporzionate ...». La norma censurata
sarebbe tutt'altro che una forma di esercizio «proporzionato» della
potesta' legislativa. La norma, inoltre, violerebbe il principio di
integrazione delle tutele - riconosciuto, sia a livello europeo (art.
11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del decreto legislativo n.
152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo
sottintende) - in virtu' del quale le esigenze di tutela
dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e
nell'attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in
particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Se il
principio di proporzionalita' rappresenta il criterio alla stregua
del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori
costituzionali all'interno di un quadro argomentativo razionale, il
principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La
tutela dell'ambiente e del paesaggio (nello specifico dell'ambiente e
del contesto agricolo) non potrebbero essere visti quali valori
contrapposti rispetto alla diffusione delle fonti rinnovabili, sia
sotto il profilo della tutela dell'ambiente che sotto quello della
tutela dell'iniziativa economica privata. Lo stesso art. 9 della
Costituzione sancisce che la tutela dei valori ambientali deve essere
perseguita «anche nell'interesse delle future generazioni». Al
contrario, la disposizione in esame muoverebbe dall'assunto di un
aprioristico conflitto tra la conservazione delle aree agricole e
l'autorizzazione di impianti per la produzione di energia mediante
collocazione di pannelli fotovoltaici a terra, come se le descritte
finalita' non fossero tra loro contemperabili mediante la
introduzione di parametri di valutazione idonei a stabilire, caso per
caso, quando e dove consentire o meno la collocazione di impianti che
utilizzano la tecnologia fotovoltaica a terra (inclusi gli
agrivoltaici base o avanzati) in area agricola (motivo VI).
5. Si sono costituite le amministrazioni intimate, rilevando che
i presupposti su cui la ricorrente fonda le proprie deduzioni
sarebbero smentiti dalla lettura della normativa di riferimento.
6. In primo luogo, la necessita' di individuare criteri omogenei
per la definizione delle superfici e delle aree idonee e non idonee
per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili sarebbe stata
introdotta dall'art. 5, comma 1, lettera a) della legge 22 aprile
2021, n. 53, «Delega al Governo per il recepimento delle direttive
europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea» (legge di
delegazione europea 2019-2020), che dettava criteri di delega per il
recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili (RED II). Successivamente, il
decreto legislativo n. 199 del 2021, con l'art. 20, ha individuato il
percorso per l'individuazione delle superfici e aree idonee e non
idonee alla realizzazione di impianti a fonti rinnovabili, prevedendo
un coinvolgimento, in prima battuta, del MASE, del MIC e del MASAF
d'intesa con le regioni, al fine di definire criteri e principi
omogenei e rinviando a successive leggi regionali per
l'individuazione su ciascun territorio delle superfici e delle aree
idonee e non idonee. Nello specifico, la disciplina prevedrebbe:
al comma 5, che nel percorso di individuazione delle aree
idonee sono rispettati i principi della minimizzazione degli impatti
sull'ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul
paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli
obiettivi di decarbonizzazione al 2030;
ai commi 6 e 7, rispettivamente, che nelle more
dell'individuazione delle aree idonee non possono essere disposte
moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di
autorizzazione e che le aree non incluse nel novero delle aree idonee
non possono essere dichiarate non idonee in sede di pianificazione
territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione
della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee;
al comma 8 che «nelle more dell'individuazione delle aree
idonee sulla base dei criteri e delle modalita' stabiliti dai decreti
di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini di cui al
comma 1 del presente articolo [...]» una lista specifica di aree
immediatamente idonee (c.d. aree idonee ex-lege).
7. In secondo luogo, il decreto impugnato, lungi dal voler
costituire una barriera alla realizzazione di impianti di produzione
di energia elettrica da fonte rinnovabile, sarebbe finalizzato
all'individuazione di quelle aree o superfici ove poter usufruire di
procedimenti piu' veloci e snelli ai fini dell'ottenimento del
relativo titolo autorizzativo, ovvero delle zone dove invece tali
accelerazioni non sono presenti o che richiederanno una valutazione
piu' attenta in ragione di specifiche tutele che interessano l'area
dell'intervento. La definizione di «area idonea» e «non idonea»
contenuta nel suddetto decreto, infatti, sarebbe strettamente legata
alla individuazione delle semplificazioni di cui poter beneficiare ai
fini autorizzativi, fermo restando che anche nelle «aree non idonee»
nulla vieterebbe agli operatori di poter realizzare impianti di
produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile. D'altra parte,
l'art. 20, comma 7, del decreto legislativo n. 199/2021
esplicitamente vieterebbe alle regioni, in sede di pianificazione, di
considerare le aree non idonee come inibite in assoluto alla
realizzazione di impianti FER, mentre l'art. 1, comma 2, lettera b),
del decreto ministeriale, nel richiamare le modalita' delle linee
guida di cui al paragrafo 17 del decreto ministeriale 10 settembre
2010, le identificherebbe come quelle aree in cui si individuano
obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento di
specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, «i quali
determinerebbero, pertanto, una elevata probabilita' (non certezza)
di esito negativo delle valutazioni in sede di autorizzazione».
8. Quanto all'individuazione tramite legge delle aree idonee, la
competenza normativa in materia sarebbe gia' riconosciuta dalla
Costituzione (art. 117, terzo comma, in tema di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»), per cui non
sarebbe necessaria alcuna espressa «delega» alle regioni, nel momento
in cui il decreto legislativo n. 199 del 2021, base giuridica del
decreto in esame, costituirebbe una chiara «legge cornice»,
individuando principi e criteri omogenei per l'individuazione anche
delle aree non idonee. Per poter legiferare anche su tali aree non
sarebbe stato necessario, pertanto, alcun espresso «mandato
normativo» statale.
9. Sarebbe, altresi', infondata la contestazione dell'esistenza
di un c.d. «delega in bianco»: il decreto ministeriale, infatti,
indicherebbe all'art. 7 i principi e criteri omogenei (in linea con
l'art. 20, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 199 del 2021)
lasciando alle regioni, tramite le proprie leggi, l'individuazione
delle aree idonee e non idonee al fine di garantire il rispetto delle
competenze legislative nella materia concorrente della «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» ai sensi dell'art.
117, comma 3, della Costituzione.
10. Con riferimento alla previsione per cui «Sono considerate non
idonee le superficie e le aree che sono ricomprese nel perimetro dei
beni sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 136, comma
1, lettere a) e b) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42»,
si tratterebbe di parametro non irragionevole, ne' indiscriminato,
posto che la inidoneita' concernerebbe unicamente le aree ricomprese
nel perimetro di beni di interesse pubblico che richiedono una
protezione forte da parte dell'ordinamento.
11. In merito all'art. 7, comma 3, del decreto ministeriale,
laddove e' previsto che «Le regioni possono individuare come non
idonee le superficie le aree che sono ricomprese nel perimetro degli
altri beni sottoposti a tutela ai sensi del 8 medesimo decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Le regioni possono stabilire una
fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di
ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto,
proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un massimo di 7
chilometri», la previsione sarebbe in linea con quanto contenuto
nelle Linee guida (decreto ministeriale 10 settembre 2010), che
all'Allegato 3 chiariscono che le «regioni, con le modalita' di cui
al paragrafo 17, possono procedere ad indicare come aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree
particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni
territoriali o del paesaggio», quali, tra l'altro, «le aree ed i beni
di notevole interesse culturale di cui alla Parte seconda del decreto
legislativo n. 42 del 2004, nonche' gli immobili e le aree dichiarati
di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 136 dello stesso
decreto legislativo» ovvero le «zone individuate ai sensi dell'art.
142 del decreto legislativo n. 42 del 2004 valutando la sussistenza
di particolari caratteristiche che le rendano incompatibili con la
realizzazione degli impianti».
12. Con riguardo all'art. 1, comma 2, lettera d), del decreto
ministeriale, secondo cui le regioni individuano, tra le altre, le
«aree in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra: le aree agricole per le quali vige il
divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a terra
ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8
novembre 2021, n. 199», la previsione non sarebbe strumento di
«attuazione» dell'art. 20, comma 1-bis, perche' gli effetti di tale
disposizione, di rango primario e introdotta successivamente con
legge ordinaria, verrebbero gia' spiegati autonomamente all'interno
del decreto legislativo n. 199 del 2021. Piuttosto il rimando operato
nel decreto ministeriale Aree idonee, lungi dal volere introdurre un
divieto generalizzato di portata innovativa, troverebbe ragione in
forza della ratio del medesimo provvedimento impugnato diretto a
voler fornire, tra l'altro, agli operatori del settore chiare
indicazioni sulla individuazione delle superfici e aree ove poter
ubicare i progetti di impianti FER e di quelle in cui cio' e'
precluso.
13. All'udienza pubblica del 5 febbraio 2025 il Collegio ha
prospettato alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., la
sussistenza di possibili profili di inammissibilita' del ricorso per
carenza d'interesse, come riportato a verbale. La causa e' stata,
quindi, trattenuta in decisione.
Diritto
14. Il ricorso puo' essere definito solo parzialmente, reputando
il Collegio rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
costituzionalita' sollevate da parte ricorrente con i motivi V e VI.
15. Preliminarmente, occorre tuttavia esaminare i profili
riguardanti la consistenza dell'interesse posto a fondamento del
ricorso, la cui mancanza e' stata oggetto di rilievo officioso in
udienza e il cui scrutinio richiede che siano chiariti i termini in
cui debba essere declinato, nel regime introdotto dalla disciplina di
cui all'art. 20, comma 1, decreto legislativo n. 199/2021, il
concetto di area non idonea all'installazione di impianti FER. Tale
esigenza, invero, risulta intrinsecamente correlata con il tenore
delle censure ricorsuali articolate con il secondo motivo di ricorso,
con le quali, come esposto in narrativa, la societa' ricorrente ha in
sostanza contestato:
l'indebita contemplazione, nell'ambito della disciplina posta
dal decreto ministeriale, della materia delle aree non idonee;
la configurazione delle aree non idonee quali aree
incompatibili e, quindi, sostanzialmente preclusive rispetto alla
installazione di impianti FER;
la genericita' dei criteri posti dal decreto ministeriale a
fini di indirizzo della successiva attivita' regionale;
l'abnorme estensione del perimetro di possibile
individuazione delle aree non idonee;
l'individuazione delle aree non idonee con legge regionale, e
non piu' in sede procedimentale;
la mancanza di una disciplina di salvaguardia per le
iniziative gia' avviate.
16. Il presupposto comune alle censure e' che, avendo il gravato
decreto ministeriale qualificato le aree non idonee come aree
incompatibili con l'installazione di impianti FER, il concetto di
«area non idonea» sarebbe stato completamente stravolto rispetto a
quello operante nel regime previgente (i.e., a quello delle Linee
guida). In particolare, prima dell'adozione del gravato decreto
ministeriale la conseguenza correlata al carattere di non idoneita'
di un'area era circoscritta al fatto che il soggetto proponente non
potesse accedere alla accelerazione procedimentale dell'iter
autorizzativo propedeutico alla realizzazione ed esercizio
dell'impianto FER - accelerazione che, viceversa, avrebbe operato nel
caso di localizzazione dell'impianto in area idonea -. Per converso,
nessuna preclusione, aprioristica e assoluta, alla realizzazione di
tali impianti risultava discendere dalla loro localizzazione in aree
non idonee. Orbene, secondo la prospettazione della societa'
ricorrente, siccome con l'adozione del gravato decreto ministeriale
le amministrazioni resistenti avrebbero introdotto una preclusione di
tal guisa, lo stesso risulterebbe illegittimo.
17. Il Collegio ritiene che la tesi sostenuta dalla societa'
ricorrente non possa essere condivisa per le ragioni di diritto di
seguito esposte.
18. Come noto, l'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387, ha introdotto disposizioni per la razionalizzazione e
la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili. A tal fine, l'art.
12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003 ha inter alia
previsto che «In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle
attivita' produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attivita'
culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del
procedimento di cui al comma 3 [la c.d. procedura di autorizzazione
unica, n. d.r.]. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad
assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali
linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e
siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di
impianti».
19. Le Linee guida indicate dall'art. 12, comma 10, del decreto
legislativo n. 387/2003 sono state adottate con decreto del Ministero
dello sviluppo economico del 10 settembre 2010, e con esse e' stato
stabilito che:
paragrafo 17: «Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione
alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee
guida, le regioni e le Province autonome possono procedere alla
indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di
specifiche tipologie di impianti secondo le modalita' di cui al
presente punto e sulla base dei criteri di cui all'Allegato 3.
L'individuazione della non idoneita' dell'area e' operata dalle
regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la
ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del
paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni
agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che
identificano obiettivi di protezione non compatibili con
l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una
elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di
autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria, da richiamare nell'atto
di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in relazione a ciascuna
area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie
e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilita'
riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle
disposizioni esaminate [...]. Le aree non idonee sono [...]
individuate dalle regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con
cui sono definite le misure e gli interventi necessari al
raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati in
attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione individua
le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente gia'
previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico
obiettivo assegnatole»;
allegato 3: «L'individuazione delle aree e dei siti non
idonei mira non gia' a rallentare la realizzazione degli impianti,
bensi' ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di
riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti.
L'individuazione delle aree non idonee dovra' essere effettuata dalle
regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti
strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica,
secondo le modalita' indicate al paragrafo 17», nonche' sulla base di
principi e criteri, individuati dal medesimo allegato, in ragione dei
quali, tra l'altro: «a) l'individuazione delle aree non idonee deve
essere basata esclusivamente su criteri tecnici oggettivi legati ad
aspetti di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
artistico-culturale, connessi alle caratteristiche intrinseche del
territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti non
idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse
fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto; [...] d)
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a
tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate,
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'impatto ambientale nei
casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non
deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di
accelerazione e semplificazione dell'iter di autorizzazione alla
costruzione e all'esercizio, anche in termini di opportunita'
localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni
del territorio».
20. Nel contesto del sistema delineato dall'art. 12, comma 10,
del decreto legislativo n. 387/2003, come risulta dai pacifici
orientamenti pretori formatisi in seno alla giurisprudenza della
Corte costituzionale, le Linee guida sono «poste a completamento
della normativa primaria "in settori squisitamente tecnici" (sentenze
n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 286 en.
86 del 2019, nonche' n. 69 del 2018) e connotate dal carattere della
inderogabilita' a garanzia di una disciplina "uniforme in tutto il
territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del
2018)" (sentenza n. 106 del 2020; nello stesso senso, sentenze n.
221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022, n. 177 e n. 46 del 2021)» (cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 27/2023).
21. Va, poi, evidenziato che la Corte costituzionale ha chiarito
che con le disposizioni normative introdotte dal decreto legislativo
n. 199/2921 «il legislatore statale ha inteso superare il sistema
dettato dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla
promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita') e dal conseguente
decreto del Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010
(Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili), contenenti i principi e i criteri di individuazione
delle aree non idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a
individuare le aree "idonee" all'installazione degli impianti, sulla
scorta dei principi e dei criteri stabiliti con appositi decreti
interministeriali, previsti dal comma 1 del citato art. 20 [...].
Inoltre, l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non piu'
in sede amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in
relazione a quelle non idonee, bensi' "con legge" regionale, secondo
quanto precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20»
(cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 103/2024).
22. Sulla scorta di quanto chiarito ed affermato negli
orientamenti giurisprudenziali teste' richiamati, discende che
nell'applicazione del rinnovato quadro normativo che ha interessato
la materia della realizzazione degli impianti FER non possano sic et
simpliciter essere trasposti, in maniera acritica e meccanica, i
principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione
al pregresso assetto normativo e regolatorio. Infatti, laddove si
aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica - che e', poi, quella
sostanzialmente prospettata dalla societa' ricorrente - si finirebbe
per obliterare indebitamente il vigente contesto normativo, avuto
specifico riguardo alla circostanza per cui, de iure condito, l'art.
20, comma 1, del decreto legislativo n. 199/2021 espressamente
dispone che sia il MASE, di concerto con il MIC e il MASAF, a
stabilire con decreto i principi e i criteri omogenei strumentali
all'individuazione delle aree idonee e non idonee.
23. Invero, proprio sulla scorta delle scelte compiute dalle
amministrazioni resistenti con l'adozione del gravato decreto
ministeriale - e condivise con gli enti territoriali tramite lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge come,
contrariamente a quanto sostenuto dalla societa' ricorrente, nel
complessivo nuovo impianto normativo e regolamentare sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e finalita', la
portata precettiva del concetto di «area non idonea».
24. Infatti, l'art. 1, comma 2, lettera b), del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree non
idonee» come «aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili
con l'installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10
settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 settembre
2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni».
25. A dispetto di quanto asserito dalla societa' ricorrente -
secondo la quale la definizione di area non idonea come area
incompatibile equivarrebbe alla introduzione di un divieto assoluto
alla installazione di impianti FER - occorre ricordare che il
paragrafo 17 delle Linee guida gia' per il passato specificava che il
processo di ricognizione delle aree non idonee dovesse avvenire
prendendo in considerazione gli «obiettivi di protezione non
compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche
tipologie e/o dimensioni di impianti».
26. Emerge, quindi, come gia' nel contesto previgente
all'adozione del gravato decreto ministeriale le aree non idonee si
caratterizzassero per essere aree incompatibili con il
soddisfacimento degli obiettivi di protezione che l'ordinamento
intende perseguire. Tale forma di incompatibilita', quale tratto
caratterizzante delle aree non idonee, non si traduceva in una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di «una elevata probabilita' di esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione».
27. L'analisi diacronica sinteticamente svolta consente di
affermare che, sotto l'esaminato profilo della «incompatibilita'», la
definizione di «aree non idonee» contenuta nell'art. 1, comma 2,
lettera b), del gravato decreto ministeriale non possiede un
carattere innovativo, risultando sostanzialmente invariata, quoad
effectum, la portata del concetto di «area non idonea», per come
declinato dal decreto ministeriale del 21 giugno 2024, rispetto a
quella scaturente dalle Linee guida.
28. A sostegno di tale conclusione, d'altronde, milita anche il
fatto che lo stesso art. 1, comma 2, lettera b), del gravato decreto
ministeriale declini la dichiarata incompatibilita' «secondo le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee
guida». Ordunque, benche' l'ordito normativo, con il previsto
aggiornamento delle Linee guida «A seguito dell'entrata in vigore
della disciplina statale e regionale per l'individuazione di
superfici e aree idonee ai sensi dell'art. 20», presenti indubbi
elementi di circolarita' che rendono non del tutto chiaro il ruolo
che le medesime Linee guida sono ad oggi chiamate a svolgere in
subiecta materia, e' preferibile ritenere che il richiamo alle
modalita' stabilite dalle Linee guida sia da intendersi nel senso che
il legislatore abbia optato per il consolidamento, anche rispetto al
nuovo regime, delle acquisizioni, in termini di significato e
declinazione delle aree non idonee, gia' raggiunte nel previgente
assetto normativo in applicazione delle previsioni dettate dalle
Linee guida.
29. Tale opzione esegetica puo' essere legittimamente percorsa in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione conservativa di
cui all'art. 1367 cod civ. - pacificamente applicabile anche agli
atti amministrativi, come chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5358 del 4
settembre 2020 e riferimenti ivi citati) -. Infatti, mediante
l'impiego di tale legittimo criterio interpretativo, nel nostro
ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori giuridici
non affetti da vizi di legittimita' (ut res magis valeat quam
pereat), risultando cio' confacente, peraltro, ai principi di
economicita' ed efficacia dell'attivita' amministrativa sanciti
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons.
Stato, sez. III, sentenza n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione.
30. Se e' vero che non puo' essere sottaciuto il fatto che l'art.
3, comma 1, del gravato decreto ministeriale disponga che le regioni
provvedono con legge alla individuazione (anche) delle aree non
idonee - e non piu' nell'ambito di un apposito procedimento
amministrativo, come previsto dalle Linee guida - e' del pari vero
che, in disparte gli eventuali profili di illegittimita' di tale
scelta, non v'e' alcun indice normativo che faccia ritenere che a
tale cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata dalla
societa' ricorrente.
31. Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo
giuridico di approvazione della classificazione delle aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non risulta accompagnato da
alcuna radicale trasfigurazione del significato che il concetto
giuridico di «aree non idonee» esprime nell'ambito della
pianificazione del territorio necessaria al raggiungimento degli
obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili.
32. Ad avviso del Collegio, l'interpretazione sin qui proposta
trova anche il conforto della giurisprudenza costituzionale che ha
riconosciuto la "necessita' di garantire la «massima diffusione degli
impianti da fonti di energia rinnovabili» (sentenza n. 286 del 2019,
in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n. 216 e n. 77 del
2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del
2014 e n. 44 del 2011) «nel comune intento 'di ridurre le emissioni
di gas ad effetto serra' (sentenza n. 275 del 2012; nello stesso
senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n.
85 del 2012), onde contrastare il riscaldamento globale e i
cambiamenti climatici (sentenza n. 77 del 2022)" (Corte cost.,
sentenza n. 27/2023). Va, quindi, radicalmente escluso che le "aree
non idonee" possano essere considerate aree del tutto interdette alla
installazione di impianti FER, poiche' opinando diversamente potrebbe
essere seriamente pregiudicato il conseguimento degli obiettivi
energetici strumentali al rispetto degli impegni assunti dall'Italia
a livello sovranazionale - tenuto anche conto della particolare
ampiezza dei margini di manovra consentiti alle regioni dal decreto
ministeriale impugnato -.
33. Viceversa, l'interpretazione dell'art. 1, comma 2, lettera
b), del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, al quale il
Collegio intende aderire - partendo dall'assunto che il carattere di
non idoneita' di un'area non precluda in radice la realizzazione di
impianti FER - e' atta a porre in rilievo come l'individuazione con
legge regionale delle aree non idonee non esclude che le
amministrazioni, nell'ambito degli specifici procedimenti
amministrativi di valutazione delle istanze di autorizzazione alla
realizzazione di impianti FER, siano necessariamente tenute ad
apprezzare in concreto l'impatto dei progetti proposti sulle esigenze
di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni
culturali, anche laddove l'area interessata rientri tra quelle
classificate come non idonee.
34. Il Collegio, chiariti i termini nei quali debba essere inteso
il concetto giuridico di "aree non idonee" alla realizzazione degli
impianti FER, ritiene di poter esaustivamente procedere all'esame dei
profili di attualita' e concretezza dell'interesse a ricorrere la cui
sussistenza costituisce condizione di ammissibilita' del presente
gravame.
35. Si evidenzia sin da ora, e salvo quanto piu' avanti si dira'
quanto ai dedotti profili sollevati con il III, IV, V e VI motivo,
che non si reputa sussistente in capo alla societa' ricorrente il
necessario interesse a ricorrere richiesto dalla legge per conseguire
l'annullamento giudiziale del gravato decreto ministeriale del 21
giugno 2024.
36. In proposito, giova preliminarmente evidenziare che
l'interesse a ricorrere, quale condizione dell'azione concettualmente
autonoma dalla legittimazione ad agire, trova il suo fondamento
nell'art. 100 del codice di procedura civile, rubricato «Interesse ad
agire» e applicabile al processo amministrativo in virtu' del rinvio
esterno disposto dall'art. 39 c.p.a.
37. In particolare, atteso che l'art. 100 codice di procedura
civile stabilisce che «Per proporre una domanda o per contraddire
alla stessa essa e' necessario avervi interesse», l'interesse a
ricorrere si caratterizza per la «prospettazione di una lesione
concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e
dall'effettiva utilita' che potrebbe derivare a quest'ultimo
dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato» (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen. , 26 aprile 2018, n. 4).
38. Cio', invero, risulta coerente con la funzione svolta dalle
condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati dal principio
della domanda e dal principio dispositivo (cfr. Cassazione civ.,
SS.UU., 22 aprile 2013 n. 9685; Cassazione civ., sez. III, 3 marzo
2015, n. 4228; Cassazione civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542).
39. L'interesse a ricorrere, inoltre, e' espressione della
concezione soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche del
processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. , sentenza n. 4
del 7 aprile 2011) e ad esso e' attribuita una funzione di filtro
processuale, fino a divenire strumento di selezione degli interessi
meritevoli di tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. , sentenza n. 22
del 9 dicembre 2021).
40. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, proprio con
riferimento a tale condizione dell'azione, ha ulteriormente chiarito
che «Il codice del processo amministrativo fa piu' volte riferimento,
direttamente o indirettamente, all'interesse a ricorrere: all'art.
35, primo comma, lettera b) e c), all'art. 34, comma 3, all'art. 13,
comma 4-bis e, in modo piu' sfumato, all'art. 31, primo comma,
sembrando confermare, con l'accentuazione della dimensione
sostanziale dell'interesse legittimo e l'arricchimento delle tecniche
di tutela, la necessita' di una verifica delle condizioni dell'azione
(piu') rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla base
degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali
eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo
dall'accertamento effettivo della (sussistenza della situazione
giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito.
Nel senso che, come e' stato osservato, va verificato che "la
situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una
lesione" ma non anche che "abbia subito" una lesione, poiche' questo
secondo accertamento attiene al merito della lite» (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen. , sentenza n. 22/2021, cit.).
41. Ordunque, nel caso in esame viene in rilievo una fattispecie
controversa rispetto alla quale l'interesse al bene (i.e., l'utilita'
finale o petitum mediato) correlato alla situazione giuridica
soggettiva dedotta in giudizio dalla societa' ricorrente non e'
costituito da specifici provvedimenti di autorizzazione, in ipotesi
negati dalla amministrazione competente, bensi' da futuri
provvedimenti di autorizzazione il cui rilascio potrebbe essere
precluso per effetto delle gravate previsioni del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024. Nel caso di specie, invero, le
amministrazioni competenti ad assentire i progetti che la societa'
ricorrente sta elaborando non hanno ancora avuto modo di pronunciarsi
sugli stessi.
42. La valutazione inerente alla sussistenza del necessario
interesse a ricorrere, pertanto, non puo' prescindere dalla
considerazione della maggiore distanza esistente tra l'attivita'
amministrativa contestata e l'utilita' giuridica finale che la
societa' ricorrente intende conseguire. In proposito occorre
evidenziare che le impugnate prescrizioni del decreto ministeriale
del 21 giugno 2024 sono destinate ad assumere, rispetto ai singoli
procedimenti di autorizzazione degli impianti FER, il ruolo di
parametri di legittimita' dell'agere delle amministrazioni
procedenti, atteso che con le stesse sono stati fissati principi e
criteri generali e sono state enucleate definizioni di istituti
giuridici e non, invece, comandi e divieti inderogabili, ex se
ostativi all'esercizio dell'attivita' imprenditoriale che parte
ricorrente intende svolgere.
43. Posto che l'interesse a ricorrere che sorregge la presente
iniziativa giudiziale deve essere traguardato alla luce della
possibilita' di lesione che la societa' ricorrente potrebbe subire
per effetto della applicazione delle gravate previsioni ministeriali,
assume rilievo centrale la circostanza per cui dette previsioni si
collocano a monte dell'attivita' amministrativa di autorizzazione
che, essa si', e' destinata ad impattare concretamente nella sfera
giuridica della parte ricorrente, in quanto, in caso di esito
negativo, suscettibile di arrecare alla stessa un pregiudizio in via
immediata e diretta.
44. Lo iato esistente tra l'agere ministeriale e l'attivita'
amministrativa di autorizzazione si ripercuote anche
sull'apprezzamento dell'interesse a ricorrere, rendendo piu'
rarefatta e remota la possibilita' di incisione negativa
dell'interesse al bene finale laddove si controverta della
legittimita' del parametro (di legittimita') che concorre a formare
la cornice di legalita' dell'azione amministrativa finalizzata alla
rimozione degli ostacoli ordinamentali allo svolgimento di attivita'
economiche non liberalizzate, come quelle che rilevano nella
fattispecie in esame.
45. Sulla scorta delle pregresse considerazioni discende che per
valutare la sussistenza dell'interesse della parte ricorrente a
contestare le previsioni del decreto ministeriale del 21 giugno 2024
non possa essere preso in considerazione il concreto esito
procedimentale dell'iter di autorizzazione - che, nel caso di specie,
non risulta essere stato avviato ovvero e' ancora in corso. Plurime
sono le ragioni a cio' ostative, tra le quali la piu' evidente e'
quella che risiede nel fatto che, ad opinare diversamente, si
finirebbe per violare il divieto sancito dall'art. 34, comma 2,
c.p.a.
46. Ad avviso del Collegio, quindi, per poter riconoscere alle
contestate previsioni del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 la
prospettata, diretta, immediata e concreta valenza pregiudizievole
predicata dalla societa' ricorrente, occorrerebbe che le stesse
siano, ex se, automaticamente preclusive delle iniziative economiche
che quest'ultima, quale operatore attivo nel mercato della produzione
di energia da fonti rinnovabili, intende intraprendere.
47. Il Collegio non reputa che gli articoli 1, 3 e 7 del gravato
decreto ministeriale siano immediatamente lesivi della sfera
giuridica della societa' ricorrente, donde l'inammissibilita' delle
relative censure.
48. Invero, siccome il fulcro delle censure proposte dalla
ricorrente ruota intorno alla prospettata lesivita' del nuovo assetto
regolamentare per effetto della rivisitazione del previgente sistema
e del ruolo che l'istituto delle «aree non idonee» e' destinato a
giocare, anche per cio' che concerne gli aspetti inerenti alle
modalita' della loro determinazione, dall'analisi svolta in
precedenza, e che deve intendersi qui integralmente richiamata,
emerge come la qualificazione di determinate porzioni di territorio
in termini di «aree non idonee» non costituisce un impedimento
assoluto alla realizzazione di progetti tesi alla costruzione e
all'esercizio di impianti FER, dal che discende la radicale
insussistenza, anche in una prospettiva valutativa di carattere
prognostico, della lesione lamentata dalla societa' ricorrente.
49. A tale riguardo, giova evidenziare che la localizzazione di
un impianto FER in un'area non idonea non osta a che gli operatori
economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell'ambito dei
singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia
compatibile con il complessivo assetto dei valori in gioco,
ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela ai
sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e, dall'altro, con il
raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da traguardare
al 2030 in base a quanto previsto dalla Tabella A dell'art. 2 del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024.
50. Tali considerazioni trovano espresso conforto nelle
previsioni del gravato decreto ministeriale, laddove, all'art. 7,
comma 3, in fine, si dispone che «Nell'applicazione del presente
comma deve essere contemperata la necessita' di tutela dei beni con
la garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A
dell'art. 2 del presente decreto».
51. Il pregiudizio lamentato dalla societa' ricorrente, peraltro,
neppure puo' farsi discendere dal fatto che, in base al nuovo assetto
normativo e regolamentare culminato con l'adozione del gravato
decreto ministeriale, anche l'individuazione delle «aree non idonee»
debba essere determinata mediante legge regionale e non invece, come
avveniva con il previgente regime, con atti di programmazione e
all'esito di una precipua istruttoria procedimentale (cfr. paragrafo
17 delle Linee guida).
52. A tal proposito, infatti, vale considerare che anche
ipotizzando che l'individuazione delle aree non idonee possa, in
alcuni casi, scontare in sede di legislazione regionale una carente
caratterizzazione in ragione del diverso atteggiarsi dei lavori
preparatori di un provvedimento legislativo rispetto alla fase
istruttoria di un procedimento amministrativo, cio' non risulterebbe
di per se' suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale
agli interessi degli operatori economici che intendono realizzare
impianti FER in siti classificati come «aree non idonee».
53. Infatti, la conseguenza giuridica che puo' farsi discendere
dalla concretizzazione dell'ipotesi innanzi prospettata, consiste in
un mero aggravamento dell'onere motivazionale a carico
dell'amministrazione competente a pronunciarsi sulle istanze di
autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER. In
particolare, l'amministrazione procedente, all'esito dell'iter di
autorizzazione, non potra' giustificare l'eventuale ritenuta
incompatibilita' del progetto solo in virtu' del fatto che l'impianto
sia localizzato in un'area classificata come non idonea -
motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel caso
in cui la caratterizzazione delle aree non idonee sia stata
puntualmente svolta dal legislatore regionale, in quanto la
qualificazione di non idoneita' non si traduce in un divieto assoluto
di installazione di impianti FER, come gia' accennato in precedenza -
ma dovra' necessariamente fondare il proprio diniego dando conto in
maniera adeguata, ancorche' in ipotesi sintetica, delle intrinseche
caratteristiche del progetto e delle aree interessate, traguardate
alla luce della comparazione dei contrapposti interessi in giuoco.
54. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla societa'
ricorrente, nessun pregiudizio attuale e concreto puo' farsi
discendere dal fatto che sia stato previsto che l'individuazione
delle «aree non idonee» debba avvenire con legge regionale. Per
converso, un siffatto pregiudizio e' suscettibile di venire ad
esistenza solo in caso di esito negativo del procedimento di
autorizzazione e solo nella misura in cui risulti che
l'amministrazione procedente non abbia esercitato correttamente il
potere amministrativo di carattere tecnico-discrezionale ad essa
attribuito dalla legge.
55. Ad avviso del Collegio, sempre sulla scorta della chiarita
portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di «aree non
idonee» nell'ambito dell'attuale contesto normativo e regolamentare,
il gravato decreto ministeriale si appalesa privo di immediata e
concreta lesivita' anche relativamente alle prescrizioni con le quali
esso stesso classifica determinate aree come non idonee, cosi' come
nella parte in cui non prevede alcun regime transitorio di
salvaguardia delle iniziative in corso.
56. Per cio' che concerne il primo profilo di doglianza teste'
menzionato, la circostanza per cui il gravato decreto ministeriale
qualifichi come non idonee le aree ricomprese nel perimetro dei beni
sottoposti a tutela ai sensi di quanto previsto dal decreto
legislativo n. 42/2004 (art. 7, comma 3), non vale a mutare la
portata generale del concetto di «aree non idonee», convertendolo in
un istituto a geometrie variabili che, ove direttamente applicato
dall'amministrazione ministeriale, sia tale da determinare una
aprioristica e radicale sottrazione, ex voluntate administrationis,
dell'area non idonea alla realizzazione degli impianti FER.
57. Invero, sia in tal caso, sia nell'altro (cioe', quando
l'individuazione delle «aree non idonee» avviene con legge
regionale), la localizzazione dell'impianto all'interno di un sito
ritenuto non idoneo non costituisce mai ragione di per se'
sufficiente a precludere in radice la realizzazione del progetto
proposto dall'operatore economico istante, potendosi giungere a tale
esito procedimentale solo nel caso in cui il progetto venga in
concreto reputato incompatibile, dall'amministrazione procedente, con
gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie.
58. La parte ricorrente, viceversa, con l'impostazione impressa
al ricorso in esame ha tentato di far retrocedere una siffatta - e
meramente eventuale - lesione ad una fase prodromica rispetto alla
valutazione in concreto dei progetti tesi alla realizzazione di
impianti FER, tale in quanto unicamente riservata alla determinazione
dei criteri e alle modalita' di individuazione delle «aree non
idonee».
59. Tuttavia, sulla scorta delle regole che governano il processo
amministrativo e in considerazione del fatto che la giurisdizione
amministrativa di legittimita' costituisce pur sempre una
giurisdizione di diritto soggettivo, non e' possibile accordare alla
parte ricorrente una tutela anticipata di merito, ossia una tutela
giudiziale del tutto sganciata dalla sussistenza di una possibile
incisione negativa della sua sfera giuridica che, per le ragioni
innanzi esposte e alla luce della effettiva portata prescrittiva
delle gravate disposizioni del decreto ministeriale del 21 giugno
2024, puo' predicarsi solo rispetto ad un esito negativo dei
procedimenti autorizzativi e solo laddove cio' consegua al cattivo
esercizio del potere da parte dell'amministrazione procedente.
60. In relazione al secondo profilo in contestazione, sulla
scorta delle considerazioni svolte in precedenza e alle quali
integralmente si rimanda in ossequio al principio di sinteticita'
degli atti processuali sancito dal codice di rito, e' sufficiente
porre in rilievo che l'eventuale mutamento della classificazione di
un'area, in precedenza non qualificata come non idonea, non e' ex se
atto a condizionare, in maniera indefettibile e in senso sicuramente
negativo, l'iter procedimentale di autorizzazione all'installazione e
all'esercizio di impianti FER. Pertanto, neppure la mancata
previsione di un regime transitorio di salvaguardia delle iniziative
in corso vale a dimostrare che le previsioni del gravato decreto
ministeriale possano arrecare alla societa' ricorrente il pregiudizio
da essa lamentato.
61. Ad avviso del Collegio, l'iniziativa giudiziale promossa
dalla societa' ricorrente risulta sguarnita del necessario interesse
a ricorrere anche in relazione alle censure articolate con il primo
motivo di ricorso, ossia quelle tese a contestare le previsioni del
d.m del 21 giugno 2024 con le quali sono stati fissati i criteri per
la individuazione delle aree idonee ed e' stata concessa alle regioni
la mera facolta' di far salve le aree considerate idonee ope legis ai
sensi dell'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n. 199/2021.
62. In proposito, e' sufficiente rinviare alle considerazioni
gia' espresse in precedenza in quanto, anche in relazione a tali
censure, l'interesse a ricorrere potrebbe dirsi sussistente solo nel
caso in cui le gravate prescrizioni sulle «aree idonee» fossero tali
da arrecare, ex se e immediatamente, un pregiudizio alla societa'
ricorrente.
63. Il Collegio, tuttavia, non ritiene che la possibilita' di
lesione prospettata dalla societa' ricorrente sia riscontrabile ex
ante in un'ottica prognostica, in quanto l'effetto giuridico
discendente dalla qualificazione di una superficie come «area idonea»
alla realizzazione ed esercizio di un impianto FER delle aree idonee
e' essenzialmente limitato al solo riconoscimento di un vantaggio
procedimentale. Pertanto, la societa' ricorrente non possiede il
necessario interesse ad azionare in giudizio una posizione giuridica
sostanzialmente consistente nell'interesse a non vedersi aggravato
l'iter procedimentale di autorizzazione (laddove, in futuro, si
determini a presentare la dovuta istanza all'amministrazione), a che
venga mantenuto il precedente impianto normativo e a che vengano
considerate come «aree idonee» ex lege, superfici che tali sono state
considerate dal legislatore, expressis verbis, solo «nelle more
dell'individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle
modalita' stabiliti dai decreti di cui al comma 1 [dell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, n. d.r.]».
64. Al pari di quanto rilevato in relazione alle gravate
previsioni sulle «aree non idonee», anche con riferimento a questo
ulteriore gruppo di censure proposte dalla societa' ricorrente, non
risulta che le amministrazioni resistenti abbiano dettato
prescrizioni cogenti e introdotto divieti assoluti e aprioristici,
dalla cui applicazione discenda con assoluta certezza la radicale
preclusione alla realizzazione, miglioria ed esercizio di impianti
FER. In definitiva, non venendo in rilievo prescrizioni suscettibili
di impedire alla societa' ricorrente, in via immediata e diretta, lo
svolgimento della propria attivita' di produzione di energia da fonti
rinnovabili, deve ritenersi insussistente l'interesse processuale
richiesto dalla legge per conseguire l'annullamento giudiziale del
gravato decreto ministeriale.
65. A ben vedere, e fermo restando il carattere assorbente delle
anzidette considerazioni, la decidibilita' nel merito del presente
gravame risulterebbe preclusa anche dalla natura della posizione
dedotta in giudizio dalla societa' ricorrente. Infatti, ad essere
stata azionata risulta essere una mera aspettativa di fatto al
corretto esercizio sia della funzione amministrativa, sia della
funzione legislativa delle regioni, ossia una situazione del tutto
priva della specifica connessione a un bene della vita che
costituisce il proprium delle situazioni giuridiche soggettive che
l'ordinamento reputa meritevoli di tutela.
66. Ad abundantiam, vale anche osservare che, alla luce della
natura della posizione azionata, la circostanza per cui la societa'
ricorrente sia un operatore attivo nel settore della produzione di
energia da fonti rinnovabili non costituisce elemento sufficiente a
rendere differenziata e normativamente qualificata la sua posizione,
la quale, pertanto, non risulta distinguibile da quella del quisque
de populo.
67. D'altronde, anche volendo attribuire alla posizione azionata
dalla societa' ricorrente la consistenza di interesse diffuso e meta'
individuale, il ricorso in esame non risulterebbe decidibile nel
merito per carenza di legittimazione attiva, atteso che una siffatta
situazione giuridica soggettiva puo' essere fatta valere in giudizio
esclusivamente dai soggetti giuridici statutariamente o
istituzionalmente preposti a rappresentare interessi omogenei di
specifiche categorie, attribuzione, questa, che esula dalla sfera
giuridica del singolo individuo o, come nel caso di specie, operatore
economico attivo nel mercato.
68. Ne consegue che «in se' considerata, la semplice possibilita'
di ricavare dall'invocata decisione di accoglimento una qualche
utilita' pratica, indiretta ed eventuale, ricollegabile in via
meramente contingente ed occasionale al corretto esercizio della
funzione pubblica censurata, non dimostra la sussistenza della
posizione legittimante, nel senso che siffatto possibile vantaggio
ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta idoneo a
determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione
differenziata, fondante la legittimazione al ricorso; occorre,
invece, una ulteriore condizione-elemento che valga a differenziare
il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che
avrebbero un generico interesse alla legalita' dell'azione
amministrativa, essendo quest'ultimo interesse riconosciuto non al
quisque de populo, ma solamente a quel soggetto che si trovi,
rispetto alla generalita', in una posizione legittimante
differenziata» (cfr. Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 265 del 27
gennaio 2016).
69. Tale condizione-elemento non puo' essere rintracciata
nell'aspirazione a una determinata configurazione del procedimento
amministrativo per effetto della qualificazione attribuita all'area
di localizzazione degli impianti FER, il che implica una
inammissibile conformazione dei poteri pubblici per mano dei soggetti
privati, strumentale ad asservire le scelte dell'amministrazione (e,
nel caso di specie, anche del legislatore regionale) ad interessi di
natura egoistica - come tali slegati dalle esigenze di carattere
pubblicistico che l'amministrazione deve curare - e ai desiderata,
modali e metodologici, degli operatori del settore.
70. La prospettazione della societa' ricorrente, anche sotto tale
ultimo divisato profilo, non merita di essere condivisa, in quanto il
giudice amministrativo non puo' accordare tutela a situazioni del
tutto sui generis rispetto a quelle di interesse legittimo, nonche'
di diritto soggettivo nei soli casi di giurisdizione esclusiva.
71. La situazione dedotta in giudizio dalla societa' ricorrente,
invero, non possiede la consistenza di interesse legittimo, il quale
come noto sottende «un rapporto diretto ed immediato tra l'esercizio
del potere amministrativo (e cio' in cui esso si sostanzia, cioe' il
provvedimento amministrativo) e l'interessato all'esercizio del
potere medesimo», che «si concretizza nel fatto che il provvedimento
amministrativo ed suoi effetti interessano direttamente (ed
univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in
senso compressivo o ampliativo» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenza
n. 1403 del 7 marzo 2013).
72. Nel caso di specie, le gravate previsioni del decreto
ministeriale in materia di aree idonee e non idonee, non sono atte ad
arrecare alcun pregiudizio nella sfera giuridica della societa'
ricorrente, le cui aspettative in relazione ai progetti proposti o in
fase di proposizione si conservano integre sino alla definizione del
procedimento autorizzativo che verra' avviato al momento della
presentazione dell'istanza all'amministrazione competente. Da cio'
deriva l'inammissibilita' del ricorso, per carenza d'interesse,
quanto ai motivi dal I al II.3.
73. A diverse conclusioni deve giungersi quanto alle censure
formulate nel III motivo, che vanno esaminate congiuntamente alle
questioni sollevate con il IV, V e VI motivo, con cui la parte
ricorrente solleva questioni di costituzionalita' dell'art. 5, comma
1, del decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 2024, n. 101.
74. Il citato art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 ha
introdotto il comma 1-bis all'art. 20 del decreto legislativo n.
199/2021, il quale stabilisce che «L'installazione degli impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente
nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per
modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli
impianti gia' installati, a condizione che non comportino incremento
dell'area occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino
ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non
ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi
ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter), numeri 2) e 3), del
comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non si applica nel
caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del presente decreto
nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di
investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR),
approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come
modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC)
di cui all'art. 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di
progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR».
75. Il successivo comma 2 ha previsto che tale disciplina non si
applichi «ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del
presente decreto [16 maggio 2024], sia stata avviata almeno una delle
procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale,
necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e
l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia
stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi».
76. Parte ricorrente allega di aver presentato diverse iniziative
relative a progetti di impianti c.d. agrivoltaici (avanzati e non)
che sarebbero incisi dalla richiamata disciplina. Dalla
documentazione agli atti risulta che soltanto per uno dei suddetti
progetti e' stata avviata almeno una delle procedure amministrative
necessarie all'ottenimento dei titoli autorizzativi entro il termine
di cui all'art. 5, comma 2, decreto-legge n. 63/2024. I restanti
progetti resterebbero, pertanto, assoggettati al divieto di cui
all'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n. 199/2021.
77. Il decreto impugnato prevede, all'art. 1, comma 2, che le
regioni individuino sul rispettivo territorio, tra l'altro, le «aree
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra», definite come «le aree agricole per le quali vige
il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a
terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8
novembre 2021, n. 199».
78. Diversamente da quanto ritenuto dalla difesa erariale, tale
previsione costituisce senz'altro strumento di attuazione, per quanto
del tutto vincolato nel contenuto, della norma primaria. Va rilevato,
infatti, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n.
199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in cui e'
consentita l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del medesimo art. 20 nelle more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. In tale contesto,
il decreto ministeriale ribadisce che il divieto previsto dal comma
1-bis si applica anche nel nuovo quadro regolatorio e vincola la
potesta' legislativa regionale: ai sensi dell'art. 3, comma 1,
infatti, le regioni sono chiamate a individuare con legge, entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le
aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle in cui e'
vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati
a terra.
79. Il decreto impugnato costituisce anche l'unico atto
amministrativo che interviene nel processo di implementazione del
divieto, atteso che:
esso e' stabilito direttamente dalla legge statale;
secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale;
le aree cosi' individuate non sono «non idonee», ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti.
80. Va allora richiamato il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale «un atto generale [...] e'
immediatamente impugnabile quando incide senz'altro - senza la
necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi - sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17
marzo 2022, n. 1937). Nel caso di specie l'incidenza sui
comportamenti degli operatori e' indubbia, derivando dal divieto
cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di nuova
installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021, come pure degli interventi di modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti
gia' installati che non siano collocati nelle aree di cui alla
lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e che
comportino un incremento dell'area occupata.
81. Cio' detto quanto all'ammissibilita' delle censure, e'
infondata la doglianza secondo la quale, concernendo la disciplina
rimessa alla determinazione ministeriale l'adozione di principi e
criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree
idonee e non idonee, non sarebbe stata prevista alcuna delega a
individuare le aree «in cui e' vietata» la installazione di impianti
fotovoltaici a terra (di seguito «FTV»).
82. Per effetto della sopravvenienza normativa costituita dal
disposto dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, infatti, il
decreto di cui al comma 1 dell'art. 20 del decreto legislativo n.
199/2021 non avrebbe potuto che prendere atto dei divieti cosi'
introdotti e ribadire, anche nel contesto della disciplina da esso
posta, le relative preclusioni. Nel momento in cui il legislatore ha
inteso vietare ulteriori interventi concernenti impianti fotovoltaici
con moduli collocati a terra nelle aree classificate agricole, tale
rinnovata valutazione si e' inevitabilmente sovrapposta alle
previgenti direttive normative in materia di individuazione delle
aree idonee, sicche' ai fini della relativa implementazione non era
necessaria alcuna espressa e specifica delega, potendone l'Autorita'
amministrativa soltanto prendere atto.
83. Con una seconda censura la ricorrente contesta l'art. 1,
comma 2, lettera d), del decreto nella parte in cui non precisa che
da tale divieto sono sottratti tutti gli impianti agrivoltaici. Anche
tale doglianza e' infondata.
84. In merito, e' sufficiente rilevare che l'ambito di
applicazione del divieto posto dall'art. 5 del decreto-legge n.
63/2024 e' definito direttamente dalla norma primaria e la relativa
individuazione appartiene all'attivita' di interpretazione degli
enunciati normativi: la mancata, ulteriore specificazione del
medesimo da parte di un atto applicativo non integra, pertanto, sotto
alcun profilo un vizio di legittimita' di quest'ultimo.
85. Occorre allora procedere all'esame dei profili di rilevanza e
non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla parte ricorrente in relazione all'art.
5 del decreto-legge n. 63/2024, procedendo dapprima a verificare se
sia possibile fornire di tale norma un'interpretazione suscettibile
di risolvere, gia' sul piano della corretta delimitazione della
portata della norma censurata, i denunciati sospetti di
incostituzionalita'.
Sull'impossibilita' di interpretare l'art. 5 del decreto-legge n.
63/2024 in modo conforme a Costituzione
86. La parte ricorrente ha condizionato l'interesse a sollevare
l'incidente di costituzionalita' all'impossibilita' di fornire
un'interpretazione della norma in base alla quale ogni tipologia di
impianto agrivoltaico sarebbe escluso dal divieto da essa previsto,
in quanto la giurisprudenza avrebbe gia' riconosciuto la differenza
esistente tra la tecnologia agrivoltaica e il tradizionale
fotovoltaico. Cio', tuttavia, come di seguito si passa ad illustrare,
non e' possibile se non in parte, e comunque in modo non del tutto
satisfattivo dell'interesse di parte ricorrente.
87. L'ambito del regime preclusivo introdotto dalla norma va
ricostruito a partire dal «significato proprio delle parole secondo
la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (art. 12,
comma 1, disp. prel. c.c.).
88. L'oggetto della previsione normativa riguarda specificamente
l'installazione degli impianti fotovoltaici «con moduli collocati a
terra [...] in zone classificate agricole» e si colloca in funzione
servente rispetto alla dichiarata «straordinaria necessita' e urgenza
di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione
agricola».
89. Dalle richiamate coordinate normative si ricava, pertanto,
che l'oggetto del divieto riguarda gli impianti fotovoltaici
caratterizzati da una ben determinata caratteristica - i.e.
l'installazione dei moduli a terra - in quanto ritenuta dal
legislatore incompatibile con l'utilizzo del suolo per l'agricoltura
e, quindi, con la finalita' di contrastare il fenomeno del consumo
del suolo a vocazione agricola.
90. Le linee guida MITE del 2022 in materia di impianti
agrivoltaici individuano come segue i requisiti che tali impianti
debbono possedere per rispondere alla finalita' per cui sono
realizzati:
«Requisito A: Il sistema e' progettato e realizzato in modo
da adottare una configurazione spaziale ed opportune scelte
tecnologiche, tali da consentire l'integrazione fra attivita'
agricola e produzione elettrica e valorizzare il potenziale
produttivo di entrambi i sottosistemi;
Requisito B: Il sistema agrivoltaico e' esercito, nel corso
della vita tecnica, in maniera da garantire la produzione sinergica
di energia elettrica e prodotti agricoli e non compromettere la
continuita' dell'attivita' agricola e pastorale;
Requisito C: L'impianto agrivoltaico adotta soluzioni
integrate innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare
le prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che
agricoli;
Requisito D: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un sistema
di monitoraggio che consenta di verificare l'impatto sulle colture,
il risparmio idrico, la produttivita' agricola per le diverse
tipologie di colture e la continuita' delle attivita' delle aziende
agricole interessate;
Requisito E: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un sistema
di monitoraggio che, oltre a rispettare il requisito D, consenta di
verificare il recupero della fertilita' del suolo, il microclima, la
resilienza ai cambiamenti climatici».
91. Le medesime linee guida chiariscono, poi, che «Il rispetto
dei requisiti A, B e' necessario per definire un impianto
fotovoltaico realizzato in area agricola come "agrivoltaico". Per
tali impianti dovrebbe inoltre previsto il rispetto del requisito
D.2», mentre il rispetto «dei requisiti A, B, C e D e' necessario per
soddisfare la definizione di "impianto agrivoltaico avanzato" e, in
conformita' a quanto stabilito dall'art. 65, comma 1-quater e
1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, classificare
l'impianto come meritevole dell'accesso agli incentivi statali a
valere sulle tariffe elettriche».
92. Dalla classificazione tipologica degli impianti agrivoltaici
contenuta nelle linee guida risulta, pertanto, che soltanto per gli
impianti agrivoltaici di tipo avanzato e' senz'altro soddisfatto il
requisito C, consistente nell'utilizzo di moduli elevati da terra. Il
suddetto utilizzo, secondo le linee guida, puo' assumere una delle
due seguenti configurazioni:
«l'altezza minima dei moduli e' studiata in modo da
consentire la continuita' delle attivita' agricole (o zootecniche)
anche sotto ai moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella
quale esiste un doppio uso del suolo, ed una integrazione massima tra
l'impianto agrivoltaico e la coltura, e cioe' i moduli fotovoltaici
svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si puo' esplicare
nella prestazione di protezione della coltura (da eccessivo
soleggiamento, grandine, etc.) compiuta dai moduli fotovoltaici. In
questa condizione la superficie occupata dalle colture e quella del
sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi
dell'impianto che poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in
zone circoscritte del suolo»;
«i moduli fotovoltaici sono disposti in posizione verticale
[...]. L'altezza minima dei moduli da terra non incide
significativamente sulle possibilita' di coltivazione (se non per
l'ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma puo' influenzare
il grado di connessione dell'area, e cioe' il possibile passaggio
degli animali, con implicazioni sull'uso dell'area per attivita'
legate alla zootecnia. Per contro, l'integrazione tra l'impianto
agrivoltaico e la coltura si puo' esplicare nella protezione della
coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che operano come barriere
frangivento».
93. In considerazione del tenore letterale e della finalita'
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, e' possibile ritenere che
il divieto ivi previsto non si applichi agli impianti agrivoltaici di
tipo avanzato, in quanto in relazione ai suddetti impianti, non
realizzandosi l'installazione di moduli collocati a terra, non si
verifica la sottrazione di suolo agricolo nei termini che la norma
intende contrastare.
94. Tale conclusione e' peraltro confermata dallo stesso
orientamento assunto in sede ministeriale nell'interpretazione della
norma censurata (si veda la risposta del Ministro dell'agricoltura,
della sovranita' alimentare e delle foreste all'interrogazione
parlamentare n. 3-01225, laddove e' stato precisato che «Sara' [...]
possibile installare pannelli sospesi, il cosiddetto agrivoltaico
avanzato, sotto il quale si puo' coltivare e portare a termine tutti
i progetti legati al PNRR» - cfr. il resoconto della seduta n. 297
del 22 maggio 2024 presso la Camera dei deputati), oltre che dalle
attivita' in corso di implementazione delle misure introdotte dal
decreto impugnato (cfr. il disegno di legge della Regione Puglia n.
222/2024, depositato agli atti, che all'art. 8, comma 4, stabilisce
che «nel caso di utilizzo della tecnologia fotovoltaica, nelle zone
classificate agricole dai piani urbanistici possono essere realizzati
esclusivamente impianti agrivoltaici di natura sperimentale»).
95. Se puo' residuare un margine di incertezza in ordine agli
impianti che, in quanto rispondenti ai requisiti di cui alle lettera
a), b) e c) delle linee guida, ma non a tutti quelli richiesti dalla
lettera d), non sono qualificabili come impianti agrivoltaici
avanzati, sebbene utilizzino moduli sollevati da terra, cio' che
rileva in questa sede e' che parte ricorrente ha allegato, in ordine
a tre dei progetti ai quali ha fatto riferimento onde dimostrare il
proprio interesse alle censure, che detti interventi possiedono
soltanto le caratteristiche di cui alle lettere a), b) e d.2) delle
linee guida.
96. Tipologie di impianti come quelle di cui ai richiamati
progetti rientrano senz'altro nel divieto previsto dalla norma. In
primo luogo, infatti, essi si caratterizzano per l'installazione dei
moduli a terra; in secondo luogo, essi in ogni caso determinano il
consumo di suolo a vocazione agricola, sia pure in misura piu'
limitata rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici. Soltanto nel
caso degli impianti con moduli sollevati da terra, infatti, «la
superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico
coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell'impianto che
poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in zone circoscritte
del suolo» (cfr. le linee guida, pag. 24).
97. Un'interpretazione diversa, quale quella volta a escludere
qualsivoglia tipologia di impianto agrivoltaico dall'applicazione del
divieto, sfiderebbe, oltre al dato letterale della norma, anche le
sue finalita' e si porrebbe in inammissibile contrasto con i
tradizionali e inderogabili criteri di ermeneutica giuridica.
98. Al riguardo, non si puo' fare a meno di osservare che:
«la lettera della norma costituisce il limite cui deve
arrestarsi anche l'interpretazione costituzionalmente orientata
dovendo, infatti, essere sollevato l'incidente di costituzionalita'
ogni qual volta l'opzione ermeneutica supposta conforme a
Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma
stessa» (Cass., S.U., 1° giugno 2021, n. 15177). Nel caso di specie,
non c'e' dubbio che gli impianti agrivoltaici di tipo tradizionale,
in quanto si risolvano nell'installazione di pannelli collocati a
terra, rientrino nella previsione che vieta, per l'appunto,
l'installazione di impianti «con moduli collocati a terra»;
l'ampiezza del divieto introdotto con l'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024, che si risolve nella preclusione assoluta
di realizzare impianti con moduli collocati a terra sull'intero
territorio nazionale, induce a ritenere che l'obiettivo perseguito
dal legislatore fosse quello di contrastare la sia pur minima
riduzione del territorio a vocazione agricola per l'effetto
dell'installazione di impianti fotovoltaici. Un'interpretazione che
escludesse tutte le tipologie di impianti agrivoltaici dall'ambito di
applicazione della norma in questione, anche a dispetto di un (pur
ridotto) consumo di suolo agricolo, si porrebbe in frontale contrasto
con tale obiettivo, quale chiaramente emergente dai presupposti e
dall'oggetto dell'enunciato normativo, operazione che non puo' in
alcun modo ritenersi consentita all'interprete.
99. Per le ragioni sopra indicate neppure e' possibile
interpretare l'art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 nel senso
che il divieto opererebbe soltanto all'esito di specifica istruttoria
nel rispetto delle linee guida. Una siffatta interpretazione,
infatti, si risolverebbe in un'interpretatio abrogans della norma e,
in ogni caso, contrasta con il chiaro tenore letterale e la finalita'
perseguita dal legislatore, che ha inteso consentire l'utilizzo delle
aree agricole per gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra esclusivamente nei limiti di cui al citato art. 5: l'avverbio
«esclusivamente» non lascia spazio a dubbi circa la portata assoluta
del divieto che caratterizza che i progetti e le aree agricole non
contemplati quali eccezioni dall'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021.
Sulla rilevanza delle questioni
100. Dall'acclarata impercorribilita' di un'interpretazione
dell'enunciato normativo integralmente satisfattivo per la parte
ricorrente deriva la rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale prospettate nei motivi IV, V e VI.
101. Si e' gia' osservato, nell'argomentare l'interesse alle
censure, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n.
199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in cui e'
consentita l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del medesimo art. 20 nelle more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1. In tale contesto,
il decreto ministeriale ribadisce che il divieto previsto dal comma
1-bis si applica anche nel nuovo quadro regolatorio e vincola la
potesta' legislativa regionale: ai sensi dell'art. 3, comma 1,
infatti, le regioni sono chiamate a individuare con legge, entro 180
giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le aree di cui
all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle in cui e' vietata
l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra.
102. Si e' anche osservato che il decreto impugnato costituisce
l'unico atto amministrativo che interviene nel processo di
implementazione del divieto, atteso che:
esso e' stabilito direttamente dalla legge statale;
secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale;
le aree cosi' individuate non sono «non idonee», ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti.
103. E' stato quindi richiamato il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale «un atto generale [...] e'
immediatamente impugnabile quando incide senz'altro - senza la
necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi - sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV, 17
marzo 2022, n. 1937), rilevandosi che nel caso di specie l'incidenza
sui comportamenti degli operatori e' indubbia, derivando dal divieto
cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di nuova
installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021, come pure degli interventi di modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti
gia' installati che non siano collocati nelle aree di cui alla
lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e che
comportino un incremento dell'area occupata.
104. Il decreto impugnato replica, quindi, il divieto sancito
dalla norma primaria, demandando alla legge regionale la sua
pedissequa trasposizione, che determina ex se l'impossibilita' di
condurre in porto i progetti menzionati. La perdurante vigenza e
validita' della norma primaria impedisce qualsivoglia intervento
demolitorio da parte del Collegio, recando il decreto una previsione
del tutto conforme a legge.
105. In mancanza della declaratoria di incostituzionalita'
dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 63/2024, la domanda di
annullamento dell'art. 1 del decreto ministeriale, per la parte di
interesse, dovrebbe essere rigettata.
106. Viceversa, laddove la norma incriminata fosse dichiarata
incostituzionale, l'art. 1, comma 2, lettera d), del decreto dovrebbe
essere annullato, ponendo a quel punto un divieto generalizzato che
nessuna norma primaria contemplerebbe o autorizzerebbe e che, per le
ragioni che saranno illustrate, collide con il principio di massima
diffusione delle energie rinnovabili, quale desumibile dal diritto
dell'Unione, dando peraltro luogo a una disciplina che non supera lo
scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza.
Sulla manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale posta con il IV motivo
107. Con la questione sollevata nell'ambito del IV motivo la
parte ricorrente contesta la norma censurata per violazione e falsa
applicazione dell'art. 77, comma secondo, della Costituzione. La
ricorrente intende, in particolare, censurare la sussistenza
dell'addotta ragione di straordinaria necessita' e urgenza di
contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola in
ragione del fatto che, posta l'esistenza di una superficie agricola
totale di 16 milioni di ettari (di cui solo 12,5 utilizzati), anche
nell'ipotesi in cui gli obiettivi energetici nel territorio italiano
dovessero essere soddisfatti esclusivamente mediante la sola
tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici collocati a terra, si
perverrebbe a un utilizzo di appena lo 0,4% della superficie
agricola, del tutto marginale rispetto ai 4 milioni di terreni
agricoli abbandonati.
108. L'esame della pertinente giurisprudenza costituzionale non
autorizza, tuttavia, l'operazione compiuta dalla parte ricorrente.
109. Dall'esame dell'ampia casistica sottoposta alla Corte si
ricava, in primo luogo, che il sindacato relativo alla sussistenza
dei requisiti di necessita' e urgenza e' circoscritto ai casi di
evidente mancanza dei presupposti ovvero di manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' della relativa valutazione (ex
plurimis, Corte costituzionale n. 170/2017, n. 287 del 2016, n. 72
del 2015, n. 22 del 2012, n. 93 del 2011, n. 355 del 2010; n. 128 del
2008; n. 171 del 2007).
110. Tale verifica viene, inoltre, condotta, non dissimilmente da
quanto accade per il sindacato del giudice amministrativo in materia
di eccesso di potere, a partire da profili sintomatici, tra i quali
assume preminente rilievo il riscontro (o meno) di una intrinseca
coerenza delle norme contenute nel decreto-legge dal punto di vista
oggettivo e/o funzionale. Il presupposto del caso straordinario di
necessita' e urgenza, infatti, «inerisce sempre e soltanto al
provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito
di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo
interno. La scomposizione atomistica della condizione di validita'
prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario
legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il caso che lo ha
reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di
norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale» (Corte cost.,
sentenza n. 22/2012).
111. L'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 introduce
«Disposizioni finalizzate a limitare l'uso del suolo agricolo» ed e'
inserito in un provvedimento normativo adottato considerando che «la
concomitanza di congiunture avverse, quali il perdurare del conflitto
in Ucraina e la diffusione di fitopatie, ha indotto il settore
primario in una persistente situazione di crisi, determinando gravi
ripercussioni sul tessuto economico e sociale», onde la ritenuta
necessita' e urgenza di «emanare disposizioni finalizzate a garantire
l'approvvigionamento delle materie prime agricole e, in specie, di
quelle funzionali all'esercizio delle attivita' di produzione
primaria, a sostenere il lavoro agricolo e le filiere produttive, in
particolare quella cerealicola, quella del kiwi, quella della pesca e
dell'acquacoltura», nonche' di «contrastare il fenomeno del consumo
del suolo a vocazione agricola».
112. Rispetto a tali enunciati presupposti e finalita', la
disposizione intesa a vietare l'installazione di impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non si
pone in termini di manifesta estraneita', presentando un'intrinseca
coerenza nell'ambito di un complesso di disposizioni finalizzate al
sostegno del settore agricolo.
113. Gli elementi addotti dalla ricorrente a sostegno della
ritenuta insussistenza delle ragioni di urgenza, in ragione della
limitata porzione di territorio che potrebbe essere occupata per
effetto della realizzazione degli impianti oggetto del divieto, non
consentono di giungere a conclusioni diverse, essendo un chiaro
obiettivo dell'intervento contestato contrastare la sia pur minima
riduzione del suolo a vocazione agricola: la misura adottata
costituisce, dunque, senz'altro sviluppo delle premesse, che non
risultano in alcun modo smentite dalle argomentazioni spese nel
ricorso.
114. La questione di legittimita' costituzionale sollevata nel IV
motivo risulta, pertanto, manifestamente infondata.
Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita'
sollevate con il V e il VI motivo
115. A conclusioni diverse occorre giungere quanto agli ulteriori
dubbi di costituzionalita' sollevati nell'ambito del V e del VI
motivo, con i quali la parte ricorrente ha in sostanza lamentato:
la violazione dell'art. 117, commi primo e terzo, della
Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla direttiva (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili e
all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(attuazione della direttiva 2001/77/CE): la norma contestata, nel
prevedere il divieto di installazione di nuovi impianti FTV con
moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l'estensione di
quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con i
vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e, in particolare, con
l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti FER,
perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva 2001/77/CE,
nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della quale e'
stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021. Sotto altro
profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i principi generali
dettati in materia dallo stesso Legislatore statale, in attuazione
delle direttive europee, e in particolare con l'art. 12, comma 7, del
decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del quale «Gli impianti di
produzione di energia elettrica, di cui all'art. 2, comma 1, lettere
b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole
dai vigenti piani urbanistici», e con le Linee guida del 2010,
introdotte in attuazione del citato art. 12, secondo le quali le zone
classificate agricole dai vigenti piani urbanistici non possono
essere genericamente considerate aree e siti non idonei e
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio;
la violazione e falsa applicazione dell'art. 9 Cost.,
dell'art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e
del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili, del principio di proporzionalita',
dell'art. 11 del TFUE, dell' art. 41 Cost.: la scelta di introdurre
un generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con
moduli a terra su aree urbanisticamente campite come «agricole»
risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle
fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela
dell'ambiente perseguiti, dando luogo a una disciplina
sproporzionata, in contrasto con il principio di integrazione delle
tutele e con la stessa tutela dei valori ambientali.
116. In primo luogo, il Collegio ritiene che la disciplina
censurata presenti profili di contrasto con gli articoli 11 e 117,
comma 1, Cost., sotto il profilo del mancato rispetto «dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario» e, in particolare, del
principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili,
derivante dalla normativa europea.
117. Occorre al riguardo ricordare, anzitutto, che ai sensi
dell'art. 3, par. 5, TUE, «Nelle relazioni con il resto del mondo
l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo
alla protezione dei suoi cittadini» A tal fine essa «Contribuisce
[...] allo sviluppo sostenibile della Terra».
118. L'art. 6, par. 1, Trattato sull'Unione europea precisa che
«L'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre
2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso
valore giuridico dei trattati». Ai sensi dell'art. 37 della Carta,
«Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della
sua qualita' devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e
garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile».
119. L'art. 11 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
esprime la medesima esigenza sancendo che «Le esigenze connesse con
la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e
nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare
nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile» (c.d.
principio di integrazione).
120. Secondo l'art. 191 TFUE, «La politica dell'Unione in materia
ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:
salvaguardia, tutela e miglioramento della qualita'
dell'ambiente;
protezione della salute umana;
utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
promozione sul piano internazionale di misure destinate a
risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e,
in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.
2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un
elevato livello di tutela, tenendo conto della diversita' delle
situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa e' fondata sui
principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati
all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga"».
121. Ai sensi dell'art. 192, par. 1, TFUE, «Il Parlamento europeo
e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa
ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e
del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono
essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'art.
191».
122. L'art. 194 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea
stabilisce, a sua volta, che «Nel quadro dell'instaurazione o del
funzionamento del mercato interno e tenendo conto dell'esigenza di
preservare e migliorare l'ambiente, la politica dell'Unione nel
settore dell'energia e' intesa, in uno spirito di solidarieta' tra
Stati membri, a [...] promuovere il risparmio energetico,
l'efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e
rinnovabili».
123. Protezione dell'ambiente e promozione delle c.d. energie
rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti. Come
si ricava dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, l'uso di
fonti di energia rinnovabili per la produzione di elettricita' e'
utile alla tutela dell'ambiente in quanto contribuisce alla riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra che compaiono tra le
principali cause dei cambiamenti climatici che l'Unione europea e i
suoi Stati membri si sono impegnati a contrastare. L'incremento della
quota di rinnovabili costituisce, in particolare, uno degli elementi
portanti del pacchetto di misure richieste per ridurre tali emissioni
e conformarsi al protocollo di Kyoto, alla convenzione quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nonche' agli altri impegni
assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle
emissioni dei gas a effetto serra. Cio', peraltro, e' funzionale
anche alla tutela della salute e della vita delle persone e degli
animali, nonche' alla preservazione dei vegetali (cfr. le sentenze 1°
luglio 2014, C- 573/12, 78 ss., e 13 marzo 2001, C-379/98, 73 ss.).
124. La Corte di giustizia ha peraltro precisato che l'art. 191
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea si limita a definire
gli obiettivi generali dell'Unione in materia ambientale, mentre
l'art. 192 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea affida al
Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea il compito di
decidere le azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti
obiettivi. Di conseguenza, l'art. 191 Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea non puo' essere invocato in quanto tale dai
privati al fine di escludere l'applicazione di una normativa
nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale
quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione adottata in
base all'art. 192 TFUE; viceversa, l'art. 191 Trattato sul
funzionamento dell'Unione europea assume rilevanza allorquando esso
trovi attuazione nel diritto derivato (cfr. CGUE, sentenza 4 marzo
2015, C-534/13, 39 ss.).
125. Disposizioni sulla promozione dell'energia elettrica da
fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175 TCE
(ora 192 TFUE), sono state introdotte gia' con la direttiva
2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre
2001 e, successivamente, con la direttiva 2009/28/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009.
126. Con la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 dicembre 2018 si e' proceduto alla rifusione e alla
modifica delle disposizioni contenute nella direttiva 2009/28/CE. Nel
dettare la relativa disciplina e' stato considerato, tra l'altro,
che:
«[...]
(2) Ai sensi dell'art. 194, paragrafo 1, del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione delle forme
di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della
politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo e' perseguito dalla
presente direttiva. Il maggiore ricorso all'energia da fonti
rinnovabili o all'energia rinnovabile costituisce una parte
importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le
emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni
dell'Unione nel quadro dell'accordo di Parigi del 2015 sui
cambiamenti climatici, a seguito della 21a Conferenza delle parti
della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici ("accordo di Parigi"), e il quadro per le politiche
dell'energia e del clima all'orizzonte 2030, compreso l'obiettivo
vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40 %
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in
materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e i
contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote di
riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi nazionali generali
per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per
la politica energetica e ambientale dell'Unione [...].
(3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo'
svolgere una funzione indispensabile anche nel promuovere la
sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione, oltre alla leadership tecnologica e
industriale, offrendo nel contempo vantaggi ambientali, sociali e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di lavoro e sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita' demografica o soggetti a parziale
deindustrializzazione.
(4) In particolare, la riduzione del consumo energetico, i
maggiori progressi tecnologici, gli incentivi all'uso e alla
diffusione dei trasporti pubblici, il ricorso a tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo di energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del riscaldamento e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle misure di efficienza energetica per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua dipendenza
energetica.
(5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro normativo
per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti rinnovabili che
fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota di energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel settore dei trasporti da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del 22
gennaio 2014, intitolata «Quadro per le politiche dell'energia e del
clima per il periodo dal 2020 al 2030» ha definito un quadro per le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del clima e
ha promosso un'intesa comune sulle modalita' per sviluppare dette
politiche dopo il 2020. La Commissione ha proposto come obiettivo
dell'Unione una quota di energie rinnovabili consumate nell'Unione
pari ad almeno il 27 % entro il 2030. Tale proposta e' stata
sostenuta dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre
2014, le quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare
i propri obiettivi nazionali piu' ambiziosi, per realizzare i
contributi all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi pianificati
e andare oltre.
(6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del 5 febbraio
2014, «Un quadro per le politiche dell'energia e del clima
all'orizzonte 2030», e del 23 giugno 2016, «I progressi compiuti
nell'ambito delle energie rinnovabili», si e' spinto oltre la
proposta della Commissione o le conclusioni del Consiglio,
sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e delle recenti
riduzioni del costo delle tecnologie rinnovabili, era auspicabile
essere molto piu' ambiziosi.
[...]
(8) Appare pertanto opportuno stabilire un obiettivo
vincolante dell'Unione in relazione alla quota di energia da fonti
rinnovabili pari almeno al 32%. Inoltre, la Commissione dovrebbe
valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo alla luce
di sostanziali riduzioni del costo della produzione di energia
rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore della
decarbonizzazione o in caso di un significativo calo del consumo
energetico nell'Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro
contributo al conseguimento di tale obiettivo nell'ambito dei
rispettivi piani nazionali integrati per l'energia e il clima in
applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE)
2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio.
[...]
(10) Al fine di garantire il consolidamento dei risultati
conseguiti ai sensi della direttiva 2009/28/CE, gli obiettivi
nazionali stabiliti per il 2020 dovrebbero rappresentare il
contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030. In
nessun caso le quote nazionali delle energie rinnovabili dovrebbero
scendere al di sotto di tali contributi. [...].
(11) Gli Stati membri dovrebbero adottare ulteriori misure
qualora la quota di energie rinnovabili a livello di Unione non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di almeno il 32 % di energie rinnovabili. Come stabilito nel
regolamento (UE) 2018/1999, se, nel valutare i piani nazionali
integrati in materia di energia e clima, ravvisa un insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure a livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo. Se, nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate sull'energia e
il clima, la Commissione ravvisa progressi insufficienti verso la
realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare tale
lacuna».
127. Le richiamate rationes hanno condotto a introdurre, tra
l'altro, un obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il 2030
(art. 3), per cui «Gli Stati membri provvedono collettivamente a far
si' che la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale
lordo di energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32%. La
Commissione valuta tale obiettivo al fine di presentare, entro il
2023, una proposta legislativa intesa a rialzarlo nel caso di
ulteriori sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia
rinnovabile, se risulta necessario per rispettare gli impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o se il
rialzo e' giustificato da un significativo calo del consumo
energetico nell'Unione», con la precisazione che «Se, sulla base
della valutazione delle proposte dei piani nazionali integrati per
l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'art. 9 del regolamento
(UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che i contributi nazionali
degli Stati membri sono insufficienti per conseguire collettivamente
l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la Commissione segue
la procedura di cui agli articoli 9 e 31 di tale regolamento».
128. Il regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 30.6.2021, adottato in forza dell'art. 192 TFUE, ha
istituito un quadro per il conseguimento della neutralita' climatica,
nel presupposto che:
«(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici
richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per
il clima da parte dell'Unione e degli Stati membri. L'Unione si e'
impegnata a potenziare gli sforzi per far fronte ai cambiamenti
climatici e a dare attuazione all'accordo di Parigi adottato
nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici ("accordo di Parigi"), guidata dai suoi
principi e sulla base delle migliori conoscenze scientifiche
disponibili, nel contesto dell'obiettivo a lungo termine relativo
alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi.
[...]
(4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale per
contribuire alla trasformazione economica e sociale, alla creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile e al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni
Unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in modo efficiente in termini di costi
l'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'accordo di Parigi. [...]
(9) L'azione per il clima dell'Unione e degli Stati membri
mira a tutelare le persone e il pianeta, il benessere, la
prosperita', l'economia, la salute, i sistemi alimentari,
l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro la minaccia
dei cambiamenti climatici, nel contesto dell'agenda 2030 delle
Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e nel perseguimento degli
obiettivi dell'accordo di Parigi; mira inoltre a massimizzare la
prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza e
ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In
quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli Stati membri dovrebbero
essere guidate dal principio di precauzione e dal principio «chi
inquina paga», istituiti dal trattato sul funzionamento dell'Unione
europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza
energetica al primo posto e del principio del «non nuocere» del Green
Deal europeo.
[...]
(11) Vista l'importanza della produzione e del consumo di
energia per il livello di emissioni di gas a effetto serra, e'
indispensabile realizzare la transizione verso un sistema energetico
sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato sulla diffusione
delle energie rinnovabili, su un mercato interno dell'energia ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel contempo la poverta' energetica. Anche la trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sono
fattori importanti per conseguire l'obiettivo della neutralita'
climatica.
[...]
(20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro il 2050,
un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici dai pozzi dei gas a
effetto serra di tutti i settori economici e, ove opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito. Tale obiettivo dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...]
[...]
(25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti nell'intero spettro delle politiche e uno sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e della societa', come
evidenziato nel Green Deal europeo. Il Consiglio europeo, nelle
conclusioni del 12 dicembre 2019, ha dichiarato che tutte le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono essere coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo della neutralita' climatica e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti.
[...]
(36) Al fine di garantire che l'Unione e gli Stati membri
restino sulla buona strada per conseguire l'obiettivo della
neutralita' climatica e registrino progressi nell'adattamento, e'
opportuno che la Commissione valuti periodicamente i progressi
compiuti, sulla base delle informazioni di cui al presente
regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma
del regolamento (UE) 2018/1999. [...] Nel caso in cui i progressi
collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto all'obiettivo della
neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che le
misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita'
climatica o inadeguate per migliorare la capacita' di adattamento,
rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la Commissione
dovrebbe adottare le misure necessarie conformemente ai trattati.
[...]
96. Il regolamento ha quindi sancito (art. 1) "l'obiettivo
vincolante della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050, in
vista dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'art. 2, paragrafo 1, lettera a), dell'accordo di Parigi",
precisando che, onde conseguire tale obiettivo, "il traguardo
vincolante dell'Unione in materia di clima per il 2030 consiste in
una riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra
(emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55% rispetto ai
livelli del 1990 entro il 2030" (art. 4).
129. Ai sensi dell'art. 5 del Regolamento, "Le istituzioni
competenti dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante
progresso nel miglioramento della capacita' di adattamento, nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7 dell'accordo di
Parigi", garantendo inoltre che "le politiche in materia di
adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano coerenti, si
sostengano reciprocamente, comportino benefici collaterali per le
politiche settoriali e si adoperino per integrare meglio
l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di
intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione". A tal fine, "Gli Stati membri adottano e attuano
strategie e piani nazionali di adattamento, tenendo conto della
strategia dell'Unione sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...]
e fondati su analisi rigorose in materia di cambiamenti climatici e
di vulnerabilita', sulle valutazioni dei progressi compiuti e sugli
indicatori, e basandosi sulle migliori e piu' recenti evidenze
scientifiche disponibili. Nelle loro strategie nazionali di
adattamento, gli Stati membri tengono conto della particolare
vulnerabilita' dei pertinenti settori, tra cui l'agricoltura, e dei
sistemi idrici e alimentari nonche' della sicurezza alimentare, e
promuovono soluzioni basate sulla natura e l'adattamento basato sugli
ecosistemi. Gli Stati membri aggiornano periodicamente le strategie e
includono informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono
tenuti a presentare a norma dell'art. 19, paragrafo 1, del
regolamento (UE) 2018/1999".
130. La direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 18 ottobre 2023 ha introdotto, tra l'altro,
disposizioni volte a modificare la direttiva (UE) 2018/2001, il
regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto
riguarda la promozione dell'energia da fonti rinnovabili,
evidenziando che: «[...]
(2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel
conseguimento di tali obiettivi, dato che il settore energetico
contribuisce attualmente per oltre il 75% alle emissioni totali di
gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni di gas a
effetto serra, le energie rinnovabili possono anche contribuire ad
affrontare sfide ambientali come la perdita di biodiversita', e a
ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione
della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo «Un percorso verso
un pianeta piu' sano per tutti - Piano d'azione dell'UE: Verso
l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo». La transizione
verde verso un'economia basata sulle energie da fonti rinnovabili
contribuira' a conseguire gli obiettivi della decisione (UE) 2022/591
del Parlamento europeo e del Consiglio, che mira altresi' a
proteggere, ripristinare e migliorare lo stato dell'ambiente,
mediante, tra l'altro, l'interruzione e l'inversione del processo di
perdita di biodiversita'. [...].
(4) Il contesto generale determinato dall'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia di
COVID-19 ha provocato un'impennata dei prezzi dell'energia
nell'intera Unione, evidenziando in tal modo la necessita' di
accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso delle energie
da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a
lungo termine di un sistema energetico indipendente dai paesi terzi,
l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione della transizione
verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione delle
emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili
fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i cittadini e
le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia.
(5) Il piano REPowerEU stabilito nella comunicazione della
Commissione del 18 maggio 2022 («piano REPowerEU») mira a rendere
l'Unione indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del
2030. Tale comunicazione prevede l'anticipazione delle capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio di diffusione di tale
energia e capacita' supplementari di energia da fonti rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o anticipare gli obiettivi
fissati per l'aumento della quota di energia rinnovabile nel mix
energetico. [...] Al di la' di tale livello obbligatorio, gli Stati
membri dovrebbero adoperarsi per conseguire collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione del 45% di energia da fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU.
(6) [...] E' auspicabile che gli Stati membri possano
combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze nazionali e
della struttura delle loro forniture energetiche. Al fine di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato obiettivo generale vincolante dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari di decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili che
gli Stati membri decidono di perseguire.
[...]
(25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere una piu' rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie rinnovabili
e per le relative infrastrutture, in coordinamento con gli enti
locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare le zone
terrestri, le superfici, le zone sotterranee, le acque interne e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per le relative infrastrutture al fine di
apportare almeno i rispettivi contributi nazionali all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti rinnovabili per
il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE)
2018/2001 e a sostegno del conseguimento dell'obiettivo della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in conformita' del
regolamento (UE) 2021/1119. [...]. Gli Stati membri dovrebbero
garantire che le zone in questione riflettano le rispettive
traiettorie stimate e la potenza totale installata pianificata e
dovrebbero individuare le zone specifiche per i diversi tipi di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile stabilite nei loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999. [...].
(26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme
di tali aree, specifiche zone terrestri (comprese superfici e
sottosuperfici) e marine o delle acque interne come zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi di tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare un impatto ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per le
energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero evitare le zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero poter designare
zone di accelerazione specificamente per le energie rinnovabili per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di energia rinnovabile e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli Stati membri dovrebbero designare tali zone di
accelerazione per le energie rinnovabili per almeno un tipo di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi' facendo, gli Stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni combinate
di tali zone siano sostanziali e contribuiscano al conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001.
(27) L'uso polivalente dello spazio per la produzione di
energia rinnovabile e per altre attivita' terrestri, delle acque
interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del suolo, delle
acque interne e del mare. In tale contesto la pianificazione
territoriale rappresenta uno strumento indispensabile con cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle acque interne e del mare. Gli Stati membri dovrebbero
esplorare, consentire e favorire l'uso polivalente delle zone
individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra di loro e possano
coesistere.
[...]
(36) In considerazione della necessita' di accelerare la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione delle
zone di accelerazione per le energie rinnovabili non dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di progetti di energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione. Questi
progetti dovrebbero continuare a sottostare all'obbligo di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere soggetti alle procedure di rilascio delle
autorizzazioni applicabili ai progetti in materia di energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Per accelerare le procedure di rilascio delle
autorizzazioni nella misura necessaria a conseguire l'obiettivo di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE) 2018/2001, anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili
dovrebbero essere semplificate e razionalizzate attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per tutte le fasi della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese le valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto.
131. In ragione delle considerazioni sopra richiamate, la
direttiva ha introdotto, tra l'altro, disposizioni in materia di
mappatura delle zone necessarie per i contributi nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il
2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonche' di
procedure amministrative per il rilascio delle relative
autorizzazioni.
132. Il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11.12.2018, adottato sulla base degli articoli 192 e
194 TFUE, stabilisce la necessaria base legislativa per una
governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il clima
affidabile, inclusiva, efficace sotto il profilo dei costi,
trasparente e prevedibile che garantisca il conseguimento degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino al 2030 dell'Unione
dell'energia, in linea con l'accordo di Parigi del 2015 sui
cambiamenti climatici derivante dalla 21a Conferenza delle parti alla
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici,
attraverso sforzi complementari, coerenti e ambiziosi da parte
dell'Unione e degli Stati membri, limitando la complessita'
amministrativa.
133. Nel configurare tale meccanismo e' stato considerato, in
particolare, che:
(2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque dimensioni:
la sicurezza energetica; il mercato interno dell'energia;
l'efficienza energetica; il processo di decarbonizzazione; la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'.
(3) L'obiettivo di un'Unione dell'energia resiliente e
articolata intorno a una politica ambiziosa per il clima e' di
fornire ai consumatori dell'UE - comprese famiglie e imprese -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e di
promuovere la ricerca e l'innovazione attraendo investimenti; cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, in particolare promuovendo l'efficienza energetica e i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia rinnovabile
[...].
[...]
(7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno il
40 % delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico
entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, e' stato formalmente
approvato in occasione del Consiglio «Ambiente» del 6 marzo 2015,
quale contributo previsto determinato a livello nazionale,
dell'Unione e dei suoi Stati membri all'accordo di Parigi. L'accordo
di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed e'
entrato in vigore il 4 novembre 2016; sostituisce l'approccio
adottato nell'ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che e' stato
approvato dall'Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio
(7) e che non sara' prorogato dopo il 2020. E' opportuno aggiornare
di conseguenza il sistema dell'Unione per il monitoraggio e la
comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto
serra.
(8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di ambizione
globale relativo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con l'obiettivo di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di sotto
di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di continuare ad
adoperarsi per limitare tale aumento della temperatura a 1,5 °C
rispetto ai livelli preindustriali. [...]
(12) Nelle conclusioni del 23 e del 24 ottobre 2014, il
Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare un sistema di
governance affidabile, trasparente, privo di oneri amministrativi
superflui e con una sufficiente flessibilita' per gli Stati membri
per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della liberta' degli Stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...]
[...]
(18) Il principale obiettivo del meccanismo di governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi del
quadro 2030 per il clima e l'energia, nei settori della riduzione
delle emissioni dei gas a effetto serra, delle fonti di energia
rinnovabili e dell'efficienza energetica. Tali obiettivi derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e dalla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno di questi obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere considerato secondario rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di energia
e di clima. Gli Stati membri devono poter scegliere in modo
flessibile le politiche che meglio si adattano alle preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche' tale flessibilita' sia
compatibile con l'ulteriore integrazione del mercato,
l'intensificazione della concorrenza, il conseguimento degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il passaggio graduale a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio.
[...]
(36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a lungo
termine con una prospettiva di almeno 30 anni per contribuire al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai sensi dell'UNFCCC e
all'accordo di Parigi, nel contesto dell'obiettivo dell'accordo di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine delle emissioni di gas a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in tutti i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione [...].
(56) Se l'ambizione dei piani nazionali integrati per
l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti, fosse insufficiente
per il raggiungimento collettivo degli obiettivi dell'Unione
dell'energia e, nel primo periodo, in particolare per il
raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile
e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a
livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo di
tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali «divari di
ambizione»). Qualora i progressi dell'Unione verso tali obiettivi e
traguardi fossero insufficienti a garantirne il raggiungimento, la
Commissione dovrebbe, oltre a formulare raccomandazioni, proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per garantire
il raggiungimento di detti obiettivi, colmando cosi' eventuali
«divari nel raggiungimento». Tali misure dovrebbero altresi' tenere
conto degli sforzi pregressi dagli Stati membri per raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una quota di energia da fonti rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante oppure realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per il
2020 o nell'attuazione del loro contributo all'obiettivo vincolante
dell'Unione di almeno il 32 % di energia rinnovabile nel 2030. In
materia di energia rinnovabile, le misure possono includere anche
contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati a un
meccanismo di finanziamento dell'energia rinnovabile nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire ai progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione, offrendo cosi' agli Stati membri la possibilita' di
contribuire al conseguimento dell'obiettivo dell'Unione al minor
costo possibile. Gli obiettivi degli Stati membri in materia di
rinnovabili per il 2020 dovrebbero servire come quota base di
riferimento di energia rinnovabile a partire dal 2021 e dovrebbero
essere mantenuti per tutto il periodo. In materia di efficienza
energetica, le misure aggiuntive possono mirare soprattutto a
migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti.
(57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di
energia rinnovabile per il 2020, di cui all'allegato I della
direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza per la loro traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo, una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente parte della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo, la quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo di energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento.
(58) Se uno Stato membro non mantiene la quota base di
riferimento misurata in un periodo di un anno, esso dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora abbia effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato conforme ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal momento
in cui il divario in questione si e' verificato, sia ai sensi del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]".
134. Il meccanismo di governance si e' tradotto, tra l'altro,
nelle seguenti previsioni (come aggiornate con la direttiva (UE)
2023/2413):
"Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029 e
successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica alla
Commissione un piano nazionale integrato per l'energia e il clima
[...]" (art. 3):
"Ciascuno Stato membro definisce nel suo piano nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi, traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato I,
sezione A, punto 2:
a) dimensione «decarbonizzazione»:
[...]
2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile:
al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per la quota
di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1,
della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo in termini di quota
dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel consumo lordo
di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale contributo segue
una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la traiettoria indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 18 % dell'aumento
totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il
suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2025, la traiettoria
indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 43 %
dell'aumento totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra
l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro
interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la
traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad
almeno il 65 % dell'aumento totale della quota di energia da fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello
Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030.
Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve raggiungere
almeno il contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato membro
prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per il
2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello che si
aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri,
nel loro insieme, concorrono al raggiungimento dei punti di
riferimento dell'Unione nel 2022, 2025 e 2027 e all'obiettivo
vincolante dell'Unione per la quota di energia rinnovabile per il
2030 di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001.
Indipendentemente dal suo contributo all'obiettivo dell'Unione e
dalla sua traiettoria indicativa ai fini del presente regolamento,
uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu' ambiziosi per
finalita' di politica nazionale" (art. 4);
"Nel proprio contributo alla propria quota di energia da
fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia del 2030 e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'art. 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro tiene
conto degli elementi seguenti:
a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001;
b) misure adottate per conseguire il traguardo di
efficienza energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE;
c) altre misure esistenti volte a promuovere l'energia
rinnovabile nello Stato membro e, ove pertinente, a livello di
Unione;
d) l'obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da
fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui
all'allegato I della direttiva (EU) 2018/2001;
e) le circostanze pertinenti che incidono sulla diffusione
dell'energia rinnovabile, quali:
i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione;
ii) le condizioni economiche e il potenziale, compreso il PIL pro
capite;
iii) il potenziale per una diffusione delle energie rinnovabili
efficace sul piano dei costi;
iv) i vincoli geografici, ambientali e naturali, compresi quelli
delle zone e regioni non interconnesse;
v) il livello di interconnessione elettrica tra gli Stati membri;
vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi
pregressi.
[...]
2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la somma
dei rispettivi contributi ammonti almeno all'obiettivo vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il 2030
di cui all'art. 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001" (art.
5);
"Se nel settore dell'energia rinnovabile, in base alla
valutazione di cui all'art. 29, paragrafi 1 e 2, la Commissione
conclude che uno o piu' punti di riferimento della traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027, di cui all'art. 29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022,
2025 e2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di
riferimento nazionali di cui all'art. 4, lettera a), punto 2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un anno dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a colmare il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali:
a) misure nazionali volte ad aumentare la diffusione
dell'energia rinnovabile;
b) l'adeguamento della quota di energia da fonti
rinnovabili nel settore del riscaldamento e raffreddamento di cui
all'art. 23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001;
c) l'adeguamento della quota di energia da fonti
rinnovabili nel settore dei trasporti di cui all'art. 25, paragrafo
1, della direttiva (UE) 2018/2001;
d) un pagamento finanziario volontario al meccanismo di
finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da
fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla
Commissione, come indicato all'art. 33;
e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla
direttiva (UE) 2018/2001" (art. 32).
135. Il decreto legislativo n. 199/2021 costituisce «Attuazione
della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del
Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili" e si pone (art. 1) "l'obiettivo di
accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando
disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza
con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico
al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050", definendo "gli
strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale,
finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli
obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili
al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel rispetto
dei criteri fissati dalla legge 22 aprile 2021, n. 53", recando
"disposizioni necessarie all' attuazione delle misure del Piano
nazionale di ripresa e resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia
di energia da fonti rinnovabili, conformemente al Piano nazionale
integrato per l'energia e il clima (di seguito anche: PNIEC), con la
finalita' di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati,
gia' orientati all'aggiornamento degli obiettivi nazionali da
stabilire ai sensi del regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si
prevede, per l'Unione europea, un obiettivo vincolante di riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 percento
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030».
136. Come ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza
costituzionale (ex multis, sentenze n. 121 del 2022, n. 77 del 2022,
n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n.
44 del 2011), la normativa eurounitaria (nonche' quella nazionale) e'
ispirata nel suo insieme al principio fondamentale di massima
diffusione delle fonti di energia rinnovabili, che tra l'altro «trova
attuazione nella generale utilizzabilita' di tutti i terreni per
l'inserimento di tali impianti, con le eccezioni [...] ispirate alla
tutela di altri interessi costituzionalmente protetti» (Corte cost.,
sentenza n. 13 del 2014).
137. La disciplina originariamente contenuta nell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, relativa all'individuazione delle
aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili, non prevedeva alcuna preclusione indiscriminata
rispetto all'utilizzo di terreni classificati agricoli.
138. Il comma 3 stabilisce, in effetti, che «nella definizione
della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui al comma
1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e
del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita'
dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici
di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi,
nonche' di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi
e logistica, e verificando l'idoneita' di aree non utilizzabili per
altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili».
Tale disposizione contempla bensi' un'esigenza di tutela delle aree
agricole, ma da un lato non pone alcuna preclusione assoluta e,
dall'altro, stabilisce chiaramente che le superfici agricole non
utilizzabile costituiscono, tra le altre, aree privilegiate per
l'installazione degli impianti.
139. Il comma 7 prevede, a sua volta, che «Le aree non incluse
tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee
all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile,
in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli
procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero
delle aree idonee».
140. Il comma 8, inoltre, nell'individuare transitoriamente le
aree idonee sino all'entrata in vigore della disciplina prevista dal
comma 1, vi include, «fatto salvo quanto previsto alle lettere a),
b), c), c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese nel
perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi
civici di cui all'art. 142, comma 1, lettera h), del medesimo
decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a
tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'art. 136 del medesimo
decreto legislativo».
141. Il nuovo comma 1-bis stravolge completamente l'assetto
previgente, prevedendo che «L'installazione degli impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente
nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per
modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli
impianti gia' installati, a condizione che non comportino incremento
dell'area occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino
ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non
ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi
ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter, numeri 2) e 3), del
comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non si applica nel
caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del presente decreto
nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di
investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR),
approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come
modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC)
di cui all'art. 1 del decreto- legge 6 maggio 2021, n. 59,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101,
ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del
PNRR».
142. In definitiva, in base alla norma introdotta dall'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024, gli impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra possono essere realizzati soltanto:
a) nei siti ove sono gia' installati impianti della stessa
fonte, nei limiti degli interventi di modifica, rifacimento,
potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata;
b) presso cave e miniere cessate, non recuperate o
abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le porzioni di
cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento;
c) presso i siti e gli impianti nelle disponibilita' delle
societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di
infrastrutture ferroviarie nonche' delle societa' concessionarie
autostradali;
d) presso i siti e gli impianti nella disponibilita' delle
societa' di gestione aeroportuale all'interno dei sedimi
aeroportuale;
e) nelle aree interne agli impianti industriali e agli
stabilimenti e in quelle classificate agricole racchiuse in un
perimetro i cui punti distino non piu' di 500 metri dal medesimo
impianto o stabilimento;
f) nelle aree adiacenti alla rete autostradale entro una
distanza non superiore a 300 metri.
143. Dalla richiamata elencazione si desume che, in sostanza, la
generalita' dei terreni classificati agricoli (circa la meta' della
superficie del Paese) e' preclusa a qualsiasi intervento di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra
che non che non consista nel mero rifacimento/modifica/ricostruzione,
con conseguente preclusione all'utilizzo di nuovo terreno agricolo.
144. Il divieto non riguarda i progetti attuativi di misure
finanziate con il PNRR o il PNC, che tuttavia non comprendono tutti i
progetti necessari al raggiungimento dei target previsti dal PNIEC,
che e' lo strumento previsto dalla normativa eurounitaria per
conseguire gli obiettivi vincolanti dell'Unione per la quota di
energia rinnovabile. Gia' tale circostanza evidenzia che un divieto
di tale portata rischia di mettere seriamente a rischio il
conseguimento di tali obiettivi, nella misura in cui sottrae una
larga porzione del territorio a ogni possibile utilizzo della
tecnologia fotovoltaica senza che ne siano prevedibili gli effetti in
ordine alla possibilita' di rispettare le traiettorie stabilite in
merito alla quota di energia da fonti rinnovabili. Tenuto conto dello
stato di attuazione della disciplina di cui all'art. 20, comma 1,
decreto legislativo n. 199/2021, nonche' degli ampi margini di
flessibilita' che il decreto 21 giugno 2024 lascia alle regioni per
l'individuazione delle aree non idonee, l'impatto di tale divieto e'
del tutto incerto e, in ogni caso, si risolve in un severo limite
all'individuazione delle zone disponibili per l'installazione degli
impianti che, a termini dell'art. 15-ter, par. 1, secondo periodo,
della direttiva (UE) 2018/2001, devono essere commisurate «alle
traiettorie stimate e alla potenza totale installata pianificata
delle tecnologie per le energie rinnovabili stabilite nei piani
nazionali per l'energia e il clima presentati a norma degli articoli
3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999».
145. Peraltro, si e' gia' visto che, in forza dell'art. 32 del
regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu'
punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il
2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel
2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti
di riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure
supplementari, ivi incluso un pagamento finanziario volontario al
meccanismo di finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile
istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di
energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente
dalla Commissione. La sottrazione indiscriminata di larga parte del
territorio nazionale all'utilizzo della tecnologia fotovoltaica
potrebbe, pertanto, implicare l'obbligo di adottare misure
supplementari, con impatti anche sulle finanze pubbliche, ove
ostacoli il raggiungimento degli obiettivi.
146. La preclusione generalizzata all'installazione di impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra sembra inoltre contrastare
con il principio per cui, nell'ambito del processo di individuazione
delle zone necessarie per i contributi nazionali all'obiettivo
complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il 2030 ai sensi
del paragrafo 1 dell'art. 15-ter della direttiva (UE) 2018/2001, «Gli
Stati membri favoriscono l'uso polivalente delle zone di cui al
paragrafo 1. I progetti in materia di energia rinnovabile sono
compatibili con gli usi preesistenti di tali zone» (art. 15-ter, par.
3). Come gia' rilevato, il considerando (27) della direttiva precisa
che «Gli Stati membri dovrebbero esplorare, consentire e favorire
l'uso polivalente delle zone individuate a seguito delle misure di
pianificazione territoriali adottate. A tal fine, e' auspicabile che
gli Stati membri agevolino, ove necessario, i cambiamenti nell'uso
del suolo e del mare, purche' i diversi usi e attivita' siano
compatibili tra di loro e possano coesistere». Il divieto introdotto
dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 istituisce, invece, un
insanabile conflitto tra l'utilizzo della tecnologia fotovoltaica con
moduli collocati a terra e l'uso del suolo a fini agricoli che,
tuttavia, non sussiste (o sussiste solo in parte) quantomeno per la
tecnologia agrivoltaica (anche non avanzata).
147. Nella misura in cui puo' ostacolare il raggiungimento degli
obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie
rinnovabili, il divieto in questione si pone anche in posizione
critica rispetto alla strategia di adattamento ai cambiamenti
climatici dell'Unione. Come precedentemente ricordato, ai sensi
dell'art. 5 del regolamento (UE) 2021/1119, «Le istituzioni
competenti dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante
progresso nel miglioramento della capacita' di adattamento, nel
rafforzamento della resilienza e nella riduzione della vulnerabilita'
ai cambiamenti climatici in conformita' dell'art. 7 dell'accordo di
Parigi". Essi, inoltre, "garantiscono [...] che le politiche in
materia di adattamento nell'Unione e negli Stati membri siano
coerenti, si sostengano reciprocamente, comportino benefici
collaterali per le politiche settoriali e si adoperino per integrare
meglio l'adattamento ai cambiamenti climatici in tutti i settori di
intervento, comprese le pertinenti politiche e azioni in ambito
socioeconomico e ambientale, se del caso, nonche' nell'azione esterna
dell'Unione».
148. Come precisato dalla Commissione europea nella comunicazione
COM(2021)82 final sulla nuova Strategia dell'UE per l'adattamento ai
cambiamenti climatici, «Il Green Deal europeo, la strategia di
crescita dell'UE per un futuro sostenibile, si basa sulla
consapevolezza che la trasformazione verde e' un'opportunita' e che
la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l'UE ha mostrato la
propria leadership per scongiurare lo scenario peggiore -
impegnandosi a raggiungere la neutralita' climatica - e prepararsi al
meglio - puntando ad azioni di adattamento piu' ambiziose che si
fondano sulla strategia dell'UE di adattamento del 2013. La visione a
lungo termine prevede che nel 2050 l'UE sara' una societa' resiliente
ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti
dei cambiamenti climatici. Cio' significa che entro il 2050, anno in
cui l'Unione aspira ad aver raggiunto la neutralita' climatica,
avremo rafforzato la capacita' di adattamento e ridotto al minimo la
vulnerabilita' agli effetti dei cambiamenti climatici, in linea con
l'accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima». Il
raggiungimento dei target di potenza installata delle tecnologie
rinnovabili costituisce, all'evidenza, un elemento centrale per
conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica,
che potrebbe essere posto seriamente a rischio da una disciplina,
come quella censurata, che vieta sul tutto il territorio nazionale la
tecnologia fotovoltaica con pannelli collocati a terra su tutti i
terreni classificati agricoli, corrispondenti a oltre la meta' della
superficie nazionale.
149. Il divieto sembra anche contrastare con il principio di
integrazione di cui all'art. 11 Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea e all'art. 37 della Carta di Nizza, secondo cui
«Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere
integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e
azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo
sviluppo sostenibile». L'integrazione ambientale in tutti i settori
politici pertinenti (agricoltura, energia, pesca, trasporti, ecc.) e'
funzionale a ridurre le pressioni sull'ambiente derivanti dalle
politiche e dalle attivita' di altri settori e per raggiungere gli
obiettivi ambientali e climatici. Il divieto introdotto dall'art. 5
del decreto-legge n. 63/2024, nel contesto di una disciplina di
attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili quale obiettivo della politica
energetica dell'Unione, solleva sul punto notevoli perplessita':
da un lato, infatti, si inserisce nel complesso delle
previsioni dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 quale
corpo tendenzialmente estraneo, tant'e' che le relative previsioni
non risultano neppure adeguatamente coordinate con il resto
dell'articolato (v., ad esempio, il comma 3 del medesimo art. 20,
laddove prevede che i decreti di cui al comma 1 verifichino, tra
l'altro, «l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi
incluse le superfici agricole non utilizzabili»);
dall'altro lato, la norma non istituisce alcuna forma di
possibile bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo
un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla conservazione dello
stato dei luoghi dei terreni classificati agricoli senza alcuna
considerazione finanche della loro possibile, concreta
utilizzabilita' a fini agricoli, in contrasto con l'obiettivo del
decreto stesso di promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili.
150. Da quanto precede risulta anche che la disciplina censurata
confligge con il principio di proporzionalita', con violazione anche
dell'art. 3 Cost. Come la Corte di giustizia ha piu' volte ribadito,
«il principio di proporzionalita' e' un principio generale del
diritto comunitario che dev'essere rispettato tanto dal legislatore
comunitario quanto dai legislatori e dai giudici nazionali» (sentenza
11 giugno 2009, C- 170/08, 41). Il sindacato di proporzionalita'
costituisce, inoltre, un aspetto del controllo di ragionevolezza
delle leggi condotto dalla giurisprudenza costituzionale, onde
verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente
rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare
il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e
pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Come la stessa
Corte ha precisato, "Tale giudizio deve svolgersi «attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal
legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle
esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende
perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni
concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di
proporzionalita' utilizzato da questa Corte come da molte delle
giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di
ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia
dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimita'
degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se
la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di
obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure
appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a
confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi" (Corte cost., sentenza n. 1 del
2014).
151. Innanzitutto, la misura censurata consiste in un divieto
generalizzato e assoluto all'utilizzo, su un'ampia parte del
territorio nazionale, di una determinata tecnologia a fonti
rinnovabili. Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto a
quella adottata in funzione di tutela di tutti gli altri valori che
entrano in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle
fonti rinnovabili: le esigenze di tutela dell'ambiente, della
biodiversita', dei beni culturali e del paesaggio passa, infatti,
attraverso l'individuazione di aree non idonee che, come in
precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi' zone in
cui, in ragione delle esigenze di protezione in concreto esistenti,
e' altamente verosimile un esito negativo della valutazione di
compatibilita' dei progetti. Cio', peraltro, non osta alla
possibilita' di verificare, in concreto e nell'ambito dei singoli
procedimenti autorizzativi, eventuali margini di compatibilita' degli
interventi proposti. L'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024
stabilisce, invece, una prevalenza assoluta e incondizionata
dell'interesse alla conservazione dei suoli classificati agricoli,
valutata in astratto dal legislatore e che non consente la pur minima
possibilita' di contemperamento con gli altri interessi in gioco,
anche di rilievo costituzionale.
152. Sotto tale profilo, occorre rilevare, in disparte i gia'
evidenziati profili di contrasto con il diritto unionale, che ai
sensi dell'art. 9 Cost. la Repubblica tutela l'ambiente, la
biodiversita' e gli ecosistemi «anche nell'interesse delle future
generazioni», con cio' incorporando il principio di sviluppo
sostenibile nell'ambito dei principi fondamentali in materia di
tutela ambientale. L'incondizionato sacrificio di tale principio,
quale sotteso al divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art. 3
Cost., nonche' con l'art. 9 citato e con la consolidata
giurisprudenza costituzionale secondo cui «Tutti i diritti
fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di
integrazione reciproca e non e' possibile pertanto individuare uno di
essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve
essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non
coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del
2012). Se cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione
di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle
altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e
protette [...]. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni
democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi. [...] Il punto di
equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo,
deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme
e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di
proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un
sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte cost., sentenza n. 85
del 2013).
153. Sotto altro profilo, il divieto cosi' introdotto e'
operativo a partire dalla mera classificazione dell'area come
agricola in base ai piani urbanistici, senza che alcuna rilevanza
assumano il suo concreto utilizzo o la sua utilizzabilita' a tali
fini. Anche per tale riguardo la disposizione si mostra irragionevole
e sproporzionata, in quanto la dichiarata finalita' di contrastare il
consumo di suolo agricolo non e' riscontrabile (o quantomeno non nei
termini incondizionati e assoluti previsti dalla norma) in relazione
alle superfici agricole non utilizzabili o degradate. Manca, inoltre,
qualsivoglia considerazione della qualita' e dell'importanza delle
colture.
154. In raffronto, le attuali linee guida di cui al decreto
ministeriale 10 settembre 2010 prevedono che:
le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici
non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei;
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo'
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'Impatto Ambientale nei
casi previsti;
le regioni possono procedere ad indicare come aree e siti non
idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le aree
particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni
territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da
produzioni agricolo-alimentari di qualita' (produzioni biologiche,
produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni
tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto
paesaggistico-culturale, anche con riferimento alle aree, se previste
dalla programmazione regionale, caratterizzate da un'elevata
capacita' d'uso del suolo.
155. Una siffatta, contestualizzata disciplina risulta conforme
alle indicazioni emergenti in sede europea, per cui «Gli Stati membri
dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui
non puo' essere sviluppata l'energia rinnovabile ("zone di
esclusione"). Essi dovrebbero fornire informazioni chiare e
trasparenti, corredate di una giustificazione motivata, sulle
restrizioni dovute alla distanza dagli abitati e dalle zone
dell'aeronautica militare o civile. Le restrizioni dovrebbero essere
basate su dati concreti e concepite in modo da rispondere allo scopo
perseguito massimizzando la disponibilita' di spazio per lo sviluppo
dei progetti di energia rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli
di pianificazione territoriale» (cfr. la Raccomandazione (UE)
2024/1343 della Commissione del 13 maggio 2024 sull'accelerazione
delle procedure autorizzative per l'energia da fonti rinnovabili e i
progetti infrastrutturali correlati). La disciplina posta dall'art. 5
del decreto-legge n. 63/2024 si traduce, invece, nell'esatto opposto,
ponendo un divieto che massimizza le zone di esclusione, non fondato
su dati concreti e certamente non rispondente all'obietto di
massimizzare la disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei progetti
di energia rinnovabile.
156. Occorre solo aggiungere che i rilevati profili di
incostituzionalita' vanno del pari riferiti all'art. 5, comma 2, del
decreto-legge n. 63/2024, laddove pone una disciplina di salvaguardia
che ha quale presupposto il divieto di cui al comma 1, nonche'
all'art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo 25
novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei regimi amministrativi
per la produzione di energia da fonti rinnovabili», ove prevede che
«Gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, sono considerati di
pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono essere ubicati
anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici,
nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo 8 novembre 2021, n. 199». Tale disposizione, infatti,
riproduce il divieto di cui al citato comma 1-bis dell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021.
Questioni da sottoporre alla Corte costituzionale
157. In ragione di tutto quanto sopra, sono rilevanti (per quanto
illustrato ai punti 100 ss. della presente sentenza) e non
manifestamente infondate (secondo quanto evidenziato ai punti 115
ss.) le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 1
e 2, decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 101/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo,
decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, per violazione degli
articoli 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai
principi espressi dalla direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento
(UE) 2018/1999, come modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413,
nonche' dal regolamento (UE) 2021/1119.
158. Le predette questioni vengono sollevate con la presente
sentenza non definitiva, anziche' con ordinanza, in ragione della
stretta connessione delle statuizioni che definiscono parzialmente in
giudizio con i profili oggetto di rimessione, nonche' in conformita'
alla giurisprudenza costituzionale secondo la quale «Alla sentenza
non definitiva puo' essere [...] riconosciuto, sul piano sostanziale,
il carattere dell'ordinanza di rimessione, sempre che il giudice a
quo - come nel caso in esame - abbia disposto, in conformita' a
quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del
fascicolo alla cancelleria di questa Corte, dopo aver valutato la
rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione (in questi
termini, tra le altre, sentenze n. 112 del 2021 e n. 153 del 2020)»
(Corte cost., sentenza n. 218/2021).
Conclusioni
159. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, per
carenza d'interesse, in relazione ai motivi dal I al II.3, mentre va
rigettato quanto ai motivi III.1 e III.2; va dichiarata
manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 101/2024, per violazione dell'art. 77 Cost., mentre
sono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
costituzionalita' del richiamato art. 5, comma 1 e 2, nonche'
dell'art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo n.
190/2024, per violazione degli articoli 3, 9, 11 e 117, comma 1,
Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla direttiva (UE)
2018/2001 e dal regolamento (UE) 2018/1999, come modificati dalla
direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal regolamento (UE) 2021/1119. Il
giudizio va quindi sospeso per le determinazioni conseguenti alla
definizione dell'incidente di costituzionalita'.
160. Il regolamento delle spese va rinviato all'esito del
giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione
Terza), parzialmente e non definitivamente pronunciando sul ricorso,
come in epigrafe proposto, cosi' dispone:
a) lo dichiara inammissibile, per carenza d'interesse, quanto
ai motivi dal I al II.3;
b) lo rigetta, nei sensi di cui in motivazione, quanto ai
motivi III.1 e III.2;
c) dichiara manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, decreto-legge n.
63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per
violazione dell'art. 77 Cost.;
d) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei
termini espressi in motivazione, le questioni di legittimita'
costituzionale del richiamato art. 5, comma 1 e 2, decreto-legge n.
63/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo, decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli 3, 9, 11 e
117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla
direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento (UE) 2018/1999, come
modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal regolamento
(UE) 2021/1119;
e) sospende il giudizio per le determinazioni conseguenti
alla definizione dell'incidente di costituzionalita' e, ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
f) dispone la comunicazione della presente sentenza alle
parti in causa, nonche' la sua notificazione al Presidente del
Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica e
al Presidente della Camera dei deputati;
g) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito del giudizio
incidentale promosso con la presente sentenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorita'
amministrativa.
Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 5
febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente;
Luca Biffaro, referendario;
Marco Savi, referendario, estensore.
Il Presidente: Stanizzi
L'estensore: Savi