Reg. ord. n. 136 del 2025 pubbl. su G.U. del 16/07/2025 n. 29
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio del 13/05/2025
Tra: Ecotec srl C/ Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Ministero della Cultura ed altri 1
Oggetto:
Energia – Impianti alimentati da fonti rinnovabili – Modifiche al decreto legislativo n. 199 del 2021 – Disposizioni finalizzate a limitare l’uso del suolo agricolo – Previsione che l'installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, è consentita esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già installati, a condizione che non comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le cave già oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate, nonché le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Previsione che il primo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 di tale decreto legislativo non si applica nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunità energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto nonché in caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR – Previsione che l’art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del decreto legislativo n. 199 del 2021, introdotto dal comma 1 dell’art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi – Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Previsione che gli interventi di cui all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono considerati di pubblica utilità, indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021 – Denunciata disciplina che, prevedendo il divieto di installazione di nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l’estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, confligge con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e in particolare con il principio di massima diffusione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, come declinato dalla normativa europea – Contrasto con il principio europeo di integrazione ambientale funzionale a ridurre le pressioni sull’ambiente derivanti dalle politiche e dalle attività di altri settori e a raggiungere gli obiettivi ambientali e climatici – Introduzione di un divieto che si inserisce nel complesso delle previsioni dell’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 quale corpo estraneo, dato che le relative previsioni non risultano coordinate con il resto dell’articolato – Norma che non istituisce nessuna forma di bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo una prevalenza dell’interesse alla conservazione dello stato dei luoghi dei terreni agricoli, senza considerare una loro possibile utilizzabilità finanche a fini agricoli – Conflitto con l’obiettivo del decreto succitato di promuovere l’uso di energia da fonti rinnovabili – Violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – Assenza di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo costituzionale, che contrasta con la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.
Norme impugnate:
decreto-legge del 15/05/2024 Num. 63 Art. 5 Co. 1
legge del 12/07/2024 Num. 101
decreto legislativo del 08/11/2021 Num. 199 Art. 20 Co. 1
decreto-legge del 15/05/2024 Num. 63 Art. 5 Co. 2
legge del 12/07/2024 Num. 101
decreto legislativo del 25/11/2024 Num. 190 Art. 2 Co. 2
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 9 Co.
Costituzione Art. 11 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
direttiva UE Art. Co.
direttiva UE Art. Co.
regolamento UE Art. Co.
regolamento UE Art. Co.
Udienza Pubblica del 28 gennaio 2026 rel. LUCIANI
Testo dell'ordinanza
N. 136 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2025
Ordinanza del 13 maggio 2025 del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Ecotec srl contro Ministero
dell'ambiente e della sicurezza energetica e altri.
Energia - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Modifiche al
decreto legislativo n. 199 del 2021 - Disposizioni finalizzate a
limitare l'uso del suolo agricolo - Previsione che l'installazione
degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone
classificate agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita
esclusivamente nelle aree di cui alle lettere a) limitatamente agli
interventi per modifica, rifacimento, potenziamento o integrale
ricostruzione degli impianti gia' installati, a condizione che non
comportino incremento dell'area occupata, c) incluse le cave gia'
oggetto di ripristino ambientale e quelle con piano di coltivazione
terminato ancora non ripristinate, nonche' le discariche o i lotti
di discarica chiusi ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1), e
c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8 dell'art. 20 del decreto
legislativo n. 199 del 2021 - Previsione che il primo periodo del
comma 1-bis dell'art. 20 di tale decreto legislativo non si applica
nel caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'art. 31 del predetto decreto
nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di
investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR
(PNC) ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli
obiettivi del PNRR - Previsione che l'art. 20, comma 1-bis, primo
periodo, del decreto legislativo n. 199 del 2021, introdotto dal
comma 1 dell'art. 5 del decreto-legge n. 63 del 2024, come
convertito, non si applica ai progetti per i quali, alla relativa
data di entrata in vigore, sia stata avviata almeno una delle
procedure amministrative, comprese quelle di valutazione
ambientale, necessarie all'ottenimento dei titoli per la
costruzione e l'esercizio degli impianti e delle relative opere
connesse ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi
- Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia
da fonti rinnovabili - Previsione che gli interventi di cui
all'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 190 del 2024 sono
considerati di pubblica utilita', indifferibili e urgenti e possono
essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti
piani urbanistici, nel rispetto di quanto previsto all'art. 20,
comma 1-bis, del decreto legislativo n. 199 del 2021.
- Decreto-legge 15 maggio 2024, n. 63 (Disposizioni urgenti per le
imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonche' per le
imprese di interesse strategico nazionale), convertito, con
modificazioni, nella legge 12 luglio 2024, n. 101, art. 5, commi 1
e 2; decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190 (Disciplina dei
regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti
rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettera
b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118), art. 2, comma 2, primo
periodo.
(GU n. 29 del 16-07-2025)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
sezione terza
Ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso numero di
registro generale 8718 del 2024, proposto da Ecotec S.r.l., in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dagli avvocati Carlo Comande', Enzo Puccio, Serena Caradonna, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Contro Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica,
Ministero dell'agricoltura della sovranita' alimentare e delle
foreste, Ministero della cultura, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
Nei confronti Regione Siciliana, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura
generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
Giunta Regionale della Regione Siciliana, Presidenza della
Regione Siciliana, non costituiti in giudizio;
Per l'annullamento degli articoli 1, 3 e 7 del decreto
ministeriale 21 giugno 2024, recante «Disciplina per l'individuazione
di superfici e aree idonee per l'installazione di impianti a fonti
rinnovabili» adottato dal Ministero dell'ambiente e della sicurezza
energetica di concerto con il Ministero della cultura e il Ministero
dell'agricoltura, della sovranita' alimentare e delle foreste e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - Serie
generale -n. 153 del 2 luglio 2024, nonche' i relativi allegati;
Di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della
cultura, del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica,
del Ministero dell'agricoltura della sovranita' alimentare e delle
foreste e della Regione Siciliana;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2025 la
dott.ssa Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
1 - Premette in fatto la societa' odierna ricorrente di operare
nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, in
particolare da fonte solare. Rappresenta, al riguardo, che tra le
iniziative in corso di sviluppo vi e' la predisposizione di un
progetto per la realizzazione di un impianto agrivoltaico, denominato
«Circo» da realizzarsi nella Regione Sicilia, di potenza 2,5 MW, con
riferimento al quale ha gia' ottenuto il preventivo di connessione
nonche' la disponibilita' delle aree di sedime, per il quale deve
essere avviata la procedura per il rilascio dell'autorizzazione alla
costruzione ed esercizio.
2 - Sostiene parte ricorrente che le previsioni dettate dagli
articoli 1, 3 e 7 del decreto impugnato, adottato dal Ministro
dell'ambiente e della sicurezza energetica («Mase»), di concerto con
il Ministro della cultura («Mic») e con il Ministro dell'agricoltura,
della sovranita' alimentare e delle foreste («Masaf») nel formale
esercizio della delega di cui all'articolo 20, comma 1, del decreto
legislativo n. 199/2021 con il fine di stabilire principi e criteri
omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e
non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia da
fonti rinnovabili, avrebbero di fatto introdotto criteri
asseritamente illegittimi e lesivi della sua posizione giuridica, in
quanto suscettibili di pregiudicare l'autorizzazione del progetto di
impianto agrivoltaico in corso di elaborazione.
Solleva, quindi, parte ricorrente, a sostegno della proposta
azione impugnatoria, i seguenti motivi di censura inerenti plurimi
profili di violazione di legge ed eccesso di potere:
I - Con riferimento agli articoli 1 e 7 del decreto ministerale:
violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 22 aprile
2021, n. 53 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi 1,
2, 3 e 8 del decreto legislativo n. 199/2021 - Violazione e falsa
applicazione delle linee guida emanate con decreto del ministero
dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 - Violazione della
delega - Eccesso di potere - Manifesta irragionevolezza - Violazione
della direttiva 2009/28/CE, della direttiva 2001/77/CE e della
direttiva 2018/2001/UE.
I.1 - Violazione e falsa applicazione dell'articolo 20, comma 3
del decreto legislativo n. 199/2021 e dell'articolo 5 della legge n.
53/2021.
Il decreto impugnato avrebbe mancato di definire i criteri
omogenei per l'individuazione delle aree idonee all'installazione di
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili («FER»),
essendosi limitato a riprodurre principi di massima che sarebbero
esattamente e testualmente riproduttivi di quelli individuati dalla
fonte delegante all'art. 20, comma 3, decreto legislativo n. 199/2021
(e, ancor prima, l'articolo 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53), di
carattere meramente programmatico. Ne deriverebbe il conferimento
alle regioni di una delega sostanzialmente in bianco, in contrasto
con l'insegnamento della Corte costituzionale, che avrebbe sempre
rivendicato l'importanza della uniformita' della «materia energia»
sul territorio nazionale.
I.2 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 1, del
decreto legislativo n. 199/2021.
Nel ricordare parte ricorrente come ai sensi di quanto previsto
dall'articolo 20, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 199/2021, i
Ministeri resistenti, mediante l'adozione di uno o piu' decreti
delegati, erano tenuti in via prioritaria a «dettare i criteri per
l'individuazione delle aree idonee all'installazione della potenza
eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalita' per
minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di
suolo occupabile dai suddetti impianti per unita' di superficie,
nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione di energia
elettrica gia' installati e le superfici tecnicamente disponibili»
contesta l'attuazione che di tale norma e' stata operato con il
gravato decreto.
Lamenta in particolare parte ricorrente che l'articolo 7, comma
2, lettera b) del decreto ministeriale 21 giugno 2024 - laddove
prevede che le Regioni, nell'individuazione delle aree idonee,
debbano tener conto «della possibilita' di classificare le superfici
o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte, della
taglia e della tipologia di impianto» - conterrebbe indicazioni
generiche ed un mero richiamo al sintetico principio di
differenziazione, insuscettibili come tali di fornire alle Regioni
gli indirizzi necessari ed idonei a orientare l'esercizio della
potesta' regionale anche quanto ad individuazione del mix di fonti
energetiche richiesto dalla normativa primaria, da porre in
correlazione con le caratteristiche dei territori.
La norma del gravato decreto, pertanto, sarebbe illegittima per
aver abdicato alla propria funzione di individuazione dei principi e
criteri per l'individuazione delle aree idonee, violando la delega
legislativa conferita con il decreto legislativo n. 199/2021, per
effetto della quale il decreto avrebbe dovuto «dettare i criteri per
l'individuazione delle aree idonee all'installazione della potenza
eolica e fotovoltaica indicata nel PNIEC, stabilendo le modalita' per
minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di
suolo occupabile dai suddetti impianti per unita' di superficie,
nonche' dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione di energia
elettrica gia' installati e le superfici tecnicamente disponibili».
I.3 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, c. 8, del
D.lgs. 199/202.
Denuncia parte ricorrente l'illegittimita' della previsione,
contenuta nell'art. 7, lettera c) del decreto ministeriale impugnato,
che assegna una mera «possibilita'» alle Regioni, in sede di
emanazione delle leggi regionali, di fare salve le aree nelle more
ritenute idonee dall'art. 20, comma 8, del decreto legislativo n.
199/2021, con classificazione da ritenersi, secondo parte ricorrente,
anticipatoria e vincolante per la futura normazione regionale. Tale
norma si porrebbe in contrasto con il dato normativo e consentirebbe
alle regioni di non tener conto, in sede di normazione, delle aree
idonee individuate dal legislatore nazionale, rimettendosi alle
regioni la potesta' di prevedere che aree che, fino ad oggi, sono
state indiscussamente idonee, ai sensi del comma 8, diventino «aree
ordinarie» o addirittura «aree non idonee», con impatti negativi in
termini di affidamento degli investimenti ed incertezza del quadro
giuridico di riferimento, senza peraltro prevedere una disciplina
transitoria per i procedimenti autorizzativi avviati in data
anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni regionali.
II - Con riferimento all'illegittimita' degli articoli 1, 3 e 7 del
decreto ministeriale: violazione e falsa applicazione dell'art. 5
della legge 22 aprile 2021, n. 53 - Violazione e falsa applicazione
dell'art. 20, commi 1, 2, 3, 4, 7 e 8 del decreto legislativo n.
199/2021 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 del D.Lgs. n.
387/2003 - Violazione e falsa applicazione delle linee guida emanate
con decreto del ministero dello sviluppo economico del 10 settembre
2010 - Eccesso di potere - Manifesta irragionevolezza - Violazione
della direttiva 2009/28/CE, della direttiva 2001/77/CE e della
direttiva 2018/2001/UE - Violazione del principio della massima
diffusione degli impianti di energia prodotta da fonti rinnovabili.
II.1 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del
decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto legislativo
n. 387/2003, delle Linee Guida e del principio della massima
diffusione degli impianti FER.
Sostiene parte ricorrente che l'art. 20, comma 4, del decreto
legislativo n. 199/2021 prevedrebbe una competenza regionale, da
esercitare mediante legge, unicamente per la disciplina delle aree
idonee. Il decreto, invece, affidando alle regioni il compito di
individuare con legge anche le aree non idonee, si porrebbe in
contrasto, oltre che con tale norma primaria, anche con l'art. 12,
comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003 e con le successive
Linee Guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo
economico del 10 settembre 2010, che prevedono l'individuazione delle
«aree non idonee» all'esito di un apposito procedimento
amministrativo, nel cui ambito, attraverso adeguata istruttoria,
poter operare un bilanciamento in concreto degli interessi
strettamente aderenti alla specificita' dei luoghi, senza poter
imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla
disciplina statale, in violazione peraltro del principio della
riserva di procedimento amministrativo.
II.2 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, comma 4 del
decreto legislativo n. 199/2004, dell'art. 12 del decreto legislativo
n. 387/2003, delle Linee Guida e del principio della massima
diffusione degli impianti FER.
Nel definire le aree non idonee come aree «incompatibili con
l'installazione di specifiche tipologie di impianti», il decreto
introdurrebbe un vero e proprio divieto di installazione di impianti
FER in dette aree, in contrasto con i principi dettati dalle Linee
Guida, che pure vengono dalla disposizione in questione richiamati,
in base alle quali «L'individuazione delle aree e dei siti non idonei
non deve configurarsi come divieto preliminare» all'installazione
degli impianti, costituendo solo una valutazione di primo livello cui
deve eseguire una valutazione in concreto circa la realizzabilita'
dell'impianto.
II.3 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 20, commi 1, 7 e
8 del decreto legislativo n. 199/2021, dell'art. 12 del decreto
legislativo n. 387/2003, delle Linee Guida e del principio della
massima diffusione degli impianti FER nonche' del decreto legislativo
n. 42/2004 e dell'art. 117 comma 2, lettera s) Cost.
Nel prevedere che «Sono considerate non idonee le superfici e le
aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela
ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 136, comma 1, lettere a) e b), del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», il decreto si porrebbe
in contrasto con la normativa europea e nazionale, nonche' con quella
prevista per i beni soggetti a tutela paesaggistica e culturale,
introducendo un divieto esorbitante e del tutto irragionevole, in
quanto di fatto inibirebbe in tutte le aree vincolate la
realizzazione degli impianti, a prescindere da qualsiasi specifica
valutazione in ordine alle effettive e concrete esigenze di tutela di
ciascun bene vincolato e, correlativamente, da qualsiasi verifica in
ordine alla sussistenza di una effettiva incompatibilita'
dell'intervento con la tutela paesaggistica o culturale da
assicurare. Del pari illegittima sarebbe la previsione secondo cui
«Le regioni possono individuare come non idonee le superfici e le
aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a
tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42», nonche' «stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni
sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della
tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino
a un massimo di 7 chilometri», in quanto assegnerebbe poteri alle
Regioni in contrasto con la competenza statale in materia di
paesaggio e beni culturali, che impone uniformi livelli di tutela in
tutto il territorio nazionale.
III - Con riferimento all'illegittimita' dell'art. 1, comma 2,
lettera d), del decreto ministeriale: violazione e falsa applicazione
dell'art. 20, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 199/2021 -
Violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, del decreto
legislativo n. 387/2003 - Violazione e falsa applicazione delle linee
guida emanate con decreto del ministero dello sviluppo economico del
10 settembre 2010 - Violazione della delega - Eccesso di potere -
Manifesta irragionevolezza - Violazione della direttiva 2009/28/CE,
della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2018/2001/UE.
III.1 - Violazione dell'art. 20, comma 1, decreto legislativo n.
199/2021.
Nell'individuare le aree agricole come aree in cui e' vietata
l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra, per le quali vige il divieto di installazione di impianti
fotovoltaici con moduli a terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 199/2021, l'art. 1 del decreto
contravverrebbe alla delega, che non avrebbe contemplato la
possibilita' di individuare aree "in cui e' vietata" la installazione
di impianti fotovoltaici a terra, sicche' il decreto ministeriale non
avrebbe potuto essere utilizzato per dare attuazione al citato comma
1-bis.
III.2 - Manifesta irragionevolezza - Violazione della direttiva
2009/28/CE, della direttiva 2001/77/CE e della direttiva
2018/2001/UE.
La delega di cui all'art. 1, comma 2, lettera d) del decreto
ministeriale impugnato sarebbe irragionevole ed illegittima anche in
ragione del fatto che, nel vietare la collocazione di impianti FTV a
terra in aree agricole, non precisa che da tale divieto sono
sottratti tutti gli impianti agrivoltaici. Invero, sia gli impianti
fotovoltaici con moduli a terra che gli agrivoltaici hanno in comune
la collocazione sul suolo di moduli recanti pannelli fotovoltaici.
Tuttavia, la giurisprudenza ne avrebbe evidenziato la differenza, in
quanto nei primi la crescita della vegetazione puo' ostare con la
produzione di energia e quindi e' oggetto di interventi volti a
limitare o impedire la collocazione di tale tipologia di impianti,
mentre, nel caso dell'agrivoltaico, l'impianto (sia avanzato che
base) sarebbe strutturato in modo da consentire alle macchine da
lavoro la coltivazione agricola ovvero il pascolo degli animali, di
talche' la superficie del terreno resta permeabile e quindi
raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque pienamente
utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola. La
previsione in esame, non operando alcuna distinzione in merito,
introdurrebbe un divieto concreto, indiscriminato e generalizzato ad
ogni tipo di impianto che usa tale tecnologia, inclusi gli
agrivoltaici base o avanzati che siano.
La previsione sarebbe inoltre in contrasto con l'art. 12 del
decreto legislativo n. 387/2003 che consente la realizzazione di
impianti di produzione di energia elettrica anche in zone
classificate agricole.
IV - Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 1-bis del
decreto legislativo n. 199/2021, introdotto dall'art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 63/2024, convertito con modifiche con legge n. 22 n.
101/2024, per violazione e falsa applicazione dell'art. 77, comma
secondo, della Costituzione.
Per l'ipotesi in cui non sia possibile un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021, la ricorrente ne ha prospettato
l'illegittimita' costituzionale.
Dalla disamina del «Preambolo» al decreto-legge Agricoltura n.
63/2024, convertito in legge con legge n. 101/2024, si evincerebbe
che l'iniziativa governativa da cui ha preso le mosse l'approvazione
dell'art. 5, comma 1, del menzionato decreto-legge, che ha introdotto
il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021, e'
stata motivata in ragione della ritenuta straordinaria necessita' e
urgenza di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione
agricola. Tale presupposto, tuttavia, secondo parte ricorrente, non
sarebbe sussistente, in quanto nel territorio italiano la Superficie
agricola totale (SAT) e' pari a 16 milioni di ettari, mentre la
Superficie agricola utilizzata (SAU) e' pari a 12,5 milioni di
ettari. Inoltre, 4 milioni di ettari di terreni agricoli sono
attualmente abbandonati. Al 2023 sono stati installati impianti pari
a una potenza di 30,3 GW. Di questi, secondo il GSE, 9,2 GW sono
impianti FTV a terra che utilizzano 16.400 ettari, che equivalgono
solo allo 0,05% del territorio nazionale oppure allo 0,13% della SAU.
Installare gli 84 GW di cui al Piano elettrico 2030/REPowerEU
richiederebbe fino a 70.000 ettari - considerando l'ipotesi piu'
estensiva secondo cui l'intero obiettivo fosse perseguito mediante
l'utilizzo della sola tecnologia che utilizza pannelli fotovoltaici
collocati a terra e senza considerare la quota installabile su
edifici - che equivalgono allo 0,2% del territorio italiano ovvero
allo 0,4% della SAT. Si tratterebbe di una porzione marginale di
suoli agricoli anche se paragonata ai 4 milioni di ettari di terreni
agricoli abbandonati e ai 12,5 milioni di ettari di SAU. Sarebbero
stati, pertanto, in origine carenti i requisiti di necessita' e
urgenza di cui all'art. 77 Cost. che avrebbero giustificato il
ricorso allo strumento eccezionale della decretazione d'urgenza.
V. Illegittimita' costituzionale dell'art. 20, comma 1-bis del
decreto legislativo n. 199/2021, introdotto dall'art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 63/2024 (c.d. decreto-legge agricoltura), convertito
con modifiche con legge n. 101/2024, per violazione e falsa
applicazione degli articoli 117, commi primo e terzo, della
Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla direttiva (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili e
all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(attuazione della direttiva 2001/77/CE).
La norma contestata di cui all'art. 20, comma 1-bis del decreto
legislativo n. 199/2021, nel prevedere il divieto di installazione di
nuovi impianti FTV con moduli collocati a terra e il divieto di
aumentare l'estensione di quelli esistenti nelle aree agricole, si
porrebbe in contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento
europeo e, in particolare, con l'obiettivo di garantire la massima
diffusione degli impianti FER, perseguito dalla direttiva 2009/28/CE,
dalla direttiva 2001/77/CE, nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in
attuazione della quale e' stato emanato il decreto legislativo n.
199/2021.
Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i
principi generali dettati in materia dallo stesso Legislatore
statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare con
l'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del
quale «Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui
all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati
anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici», e
con le Linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art.
12, con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10
settembre 2010, secondo le quali le zone classificate agricole dai
vigenti piani urbanistici non possono essere genericamente
considerate aree e siti non idonei e l'individuazione delle aree e
dei siti non idonei non puo' riguardare porzioni significative del
territorio. Per contro, una norma che introduce un divieto
generalizzato a realizzare una tipologia di impianto FER su qualsiasi
area agricola - a prescindere anche da una previa indagine in merito
alle tecnologie utilizzate, in specie gli agrivoltaici, alle
specifiche qualita' del sito agricolo ovvero alle colture ivi
condotte - si porrebbe in conflitto con i summenzionati principi
fondamentali di cui all'art. 117, comma 1, Cost. ed all'art. 12,
comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, attuativi di direttive
dell'Unione europea e che riflettono anche impegni internazionali
volti a favorire l'energia prodotta da fonti rinnovabili.
La previsione si porrebbe, inoltre, in contrasto con la
raccomandazione della Commissione UE 2024/1343 volta a limitare al
minimo le zone di esclusione per l'installazione di impianti di
energia rinnovabile.
VI - Sotto altro profilo: illegittimita' costituzionale dell'art. 20,
comma 1-bis del decreto legislativo n. 199/2021, introdotto dall'art.
5, comma 1, del decreto-legge n. 63/2024 (c.d. decreto-legge
agricoltura), convertito con modifiche con legge n. 101/2024, per:
Violazione e falsa applicazione dell'art. 9 Cost. - Violazione e
falsa applicazione dell'art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001 del
Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - Violazione
del principio di proporzionalita' - Violazione dell'art. 11 del TFUE
- Violazione dell'art. 41 Cost.
La scelta di introdurre un generale e indiscriminato divieto a
realizzare impianti FTV con moduli a terra su aree urbanisticamente
classificate come «gricole» risulterebbe sproporzionata e tale da
rallentare la diffusione delle fonti rinnovabili in modo da incidere
sugli obiettivi di tutela dell'ambiente perseguiti. Sul punto, l'art.
15 della direttiva 2018/2001 prevede che «Gli Stati membri prendono
in particolare le misure appropriate per assicurare che: b) le norme
in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze
siano oggettive, trasparenti e proporzionate ...». La norma censurata
sarebbe tutt'altro che una forma di esercizio «proporzionato» della
potesta' legislativa. La norma, inoltre, violerebbe il principio di
integrazione delle tutele - riconosciuto, sia a livello europeo (art.
11 del TFUE), sia nazionale (art. 3-quater del decreto legislativo n.
152 del 2006, sia pure con una formulazione ellittica che lo
sottintende) - in virtu' del quale le esigenze di tutela
dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e
nell'attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in
particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.
Se il principio di proporzionalita' rappresenta il criterio alla
stregua del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i
due valori costituzionali all'interno di un quadro argomentativo
razionale, il principio di integrazione costituisce la direttiva di
metodo. La tutela dell'ambiente e del paesaggio (nello specifico
dell'ambiente e del contesto agricolo) non potrebbero essere visti
quali valori contrapposti rispetto alla diffusione delle fonti
rinnovabili, sia sotto il profilo della tutela dell'ambiente che
sotto quello della tutela dell'iniziativa economica privata.
Lo stesso art. 9 della Costituzione sancisce che la tutela dei
valori ambientali deve essere perseguita «anche nell'interesse delle
future generazioni». Al contrario, la disposizione in esame
muoverebbe dall'assunto di un aprioristico conflitto tra la
conservazione delle aree agricole e l'autorizzazione di impianti per
la produzione di energia mediante collocazione di pannelli
fotovoltaici a terra, come se le descritte finalita' non fossero tra
loro contemperabili mediante la introduzione di parametri di
valutazione idonei a stabilire, caso per caso, quando e dove
consentire o meno la collocazione di impianti che utilizzano la
tecnologia fotovoltaica a terra (inclusi gli agrivoltaici base o
avanzati) in area agricola.
3 - Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate,
dapprima con formula di rito, mentre con successiva memoria i
Ministeri intimati hanno sostenuto l'inammissibilita' e
l'infondatezza del ricorso, con richiesta di corrispondente
pronuncia, rilevando che i presupposti ricostruttivi e teorici su cui
la ricorrente fonda le proprie deduzioni sarebbero smentiti dalla
lettura della normativa di riferimento.
3.1.- In particolare, la necessita' di individuare criteri
omogenei per la definizione delle superfici e delle aree idonee e non
idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili sarebbe
stata introdotta dall'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 22
aprile 2021, n. 53, «Delega al Governo per il recepimento delle
direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea»
(legge di delegazione europea 2019-2020), che dettava criteri di
delega per il recepimento della direttiva (UE) 2018/2001 sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (RED II).
Successivamente, il decreto legislativo n. 199 del 2021, con
l'articolo 20, ha individuato il percorso per l'individuazione delle
superfici e aree idonee e non idonee alla realizzazione di impianti a
fonti rinnovabili, prevedendo un coinvolgimento, in prima battuta,
del MASE, del MIC e del MASAF d'intesa con le regioni, al fine di
definire criteri e principi omogenei e rinviando a successive leggi
regionali per l'individuazione su ciascun territorio delle superfici
e delle aree idonee e non idonee. Nello specifico, la disciplina
prevede:
- al comma 5 dell'art. 20 del decreto legislativo n.
199/2021, che nel percorso di individuazione delle aree idonee siano
rispettati i principi della minimizzazione degli impatti
sull'ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale e sul
paesaggio, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli
obiettivi di decarbonizzazione al 2030;
- ai commi 6 e 7, rispettivamente, che nelle more
dell'individuazione delle aree idonee non possono essere disposte
moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di
autorizzazione e che le aree non incluse nel novero delle aree idonee
non possono essere dichiarate non idonee in sede di pianificazione
territoriale ovvero nell'ambito di singoli procedimenti, in ragione
della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee;
- al comma 8 che «nelle more dell'individuazione delle aree
idonee sulla base dei criteri e delle modalita' stabiliti dai decreti
di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini di cui al
comma 1 del presente articolo [...]» una lista specifica di aree
immediatamente idonee (c.d. aree idonee ex-lege).
3.2 - In secondo luogo, il decreto ministeriale impugnato, lungi
dal voler introdurre barriere alla realizzazione di impianti di
produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, sarebbe
finalizzato all'individuazione di quelle aree o superfici ove poter
usufruire di procedimenti autorizzativi piu' veloci e snelli ai fini
dell'ottenimento del relativo titolo autorizzativo, con
individuazione altresi' delle zone dove invece tali accelerazioni non
sono presenti o che richiederanno una valutazione piu' attenta in
ragione di specifiche tutele che interessano l'area dell'intervento.
La definizione di «area idonea» e «non idonea» contenuta nel
suddetto decreto, infatti, sarebbe strettamente legata alla
individuazione delle semplificazioni di cui poter beneficiare ai fini
autorizzativi, fermo restando che anche nelle «aree non idonee» nulla
vieterebbe agli operatori di poter realizzare impianti di produzione
di energia elettrica da fonte rinnovabile.
Il che troverebbe conferma nella previsione dettata dall'art. 20,
comma 7, del decreto legislativo n. 199/2021 che vieta esplicitamente
alle regioni, in sede di pianificazione, di considerare le aree non
idonee come inibite in assoluto alla realizzazione di impianti FER,
mentre l'art. 1, comma 2, lettera b), del decreto ministeriale
impugnato, nel richiamare le linee guida di cui al paragrafo 17 del
decreto ministeriale 10 settembre 2010, le identificherebbe come
quelle aree in cui si individuano obiettivi di protezione non
compatibili con l'insediamento di specifiche tipologie e/o dimensioni
di impianti, «i quali determinerebbero, pertanto, una elevata
probabilita' (non certezza) di esito negativo delle valutazioni in
sede di autorizzazione».
3.3 - Quanto all'individuazione tramite legge regionale delle
aree idonee, la competenza normativa in materia sarebbe gia'
riconosciuta dalla Costituzione (art. 117, terzo comma, in tema di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»), per
cui non sarebbe necessaria alcuna espressa «delega» alle regioni, nel
momento in cui il decreto legislativo 199 del 2021, base giuridica
del decreto in esame, costituirebbe una chiara «legge cornice»,
individuando principi e criteri omogenei per l'individuazione anche
delle aree non idonee. Per poter legiferare anche su tali aree non
sarebbe stato necessario, pertanto, alcun espresso «mandato
normativo» statale.
3.4 - Sarebbe, altresi', infondata la contestazione
dell'esistenza di un c.d. «delega in bianco»: il decreto ministeriale
impugnato, infatti, indicherebbe all'articolo 7 i principi e criteri
omogenei (in linea con l'articolo 20, commi 1 e 2, del decreto
legislativo n. 199 del 2021) lasciando alle regioni, tramite le
proprie leggi, l'individuazione delle aree idonee e non idonee al
fine di garantire il rispetto delle competenze legislative nella
materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia» ai sensi dell'articolo 117, comma 3, della
Costituzione.
3.5 - Con riferimento alla previsione per cui «Sono considerate
non idonee le superficie e le aree che sono ricomprese nel perimetro
dei beni sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 136,
comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42», sostengono le parti resistenti che si tratterebbe di parametro
non irragionevole, ne' indiscriminato, posto che la inidoneita'
concernerebbe unicamente le aree ricomprese nel perimetro di beni di
interesse pubblico che richiedono una protezione forte da parte
dell'ordinamento.
3.6 - In merito all'art. 7, comma 3, del decreto ministeriale
impugnato, laddove e' previsto che «Le regioni possono individuare
come non idonee le superficie le aree che sono ricomprese nel
perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del 8
medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Le regioni
possono stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni
sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della
tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino
a un massimo di 7 chilometri», la previsione sarebbe in linea con
quanto contenuto nelle Linee guida (decreto ministeriale 10 settembre
2010), che all'allegato 3 chiariscono che le «Regioni, con le
modalita' di cui al paragrafo 17, possono procedere ad indicare come
aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di
impianti le aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle
trasformazioni territoriali o del paesaggio», quali, tra l'altro, «le
aree ed i beni di notevole interesse culturale di cui alla Parte
seconda del decreto legislativo 42 del 2004, nonche' gli immobili e
le aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art.
136 dello stesso decreto legislativo» ovvero le «zone individuate ai
sensi dell'art. 142 del decreto legislativo 42 del 2004 valutando la
sussistenza di particolari caratteristiche che le rendano
incompatibili con la realizzazione degli impianti».
3.7 - Con riguardo all'articolo 1, comma 2, lettera d), del
decreto ministeriale, secondo cui le regioni individuano, tra le
altre, le «aree in cui e' vietata l'installazione di impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra: le aree agricole per le
quali vige il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con
moduli a terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto
legislativo 8 novembre 2021, n. 199», la previsione non sarebbe
strumento di «attuazione» dell'articolo 20, comma 1-bis, perche' gli
effetti di tale disposizione verrebbero gia' spiegati autonomamente
all'interno del decreto legislativo n. 199 del 2021, con previsione
di rango primario introdotta successivamente con la legge ordinaria
di conversione del decreto-legge Agricoltura n. 63/2024. Piuttosto il
rimando operato nel decreto ministeriale Aree idonee a tale
previsione, lungi dal volere introdurre un divieto generalizzato di
portata innovativa, troverebbe ragione in forza della ratio del
medesimo provvedimento impugnato diretto a voler fornire, tra
l'altro, agli operatori del settore, chiare indicazioni sulla
individuazione delle superfici e aree ove poter ubicare i progetti di
impianti FER e di quelle in cui cio' e' precluso.
4 - Con ordinanza n. 4182 del 9 settembre 2024 e' stata rigettata
l'istanza cautelare proposta dal ricorrente, ritenendo insussistente
il profilo del danno grave ed irreparabile.
5 - Con decreto presidenziale n. 4473 del 21 ottobre 2024 e'
stata disattesa la richiesta di anticipazione dell'udienza, gia'
fissata alla data del 5 febbraio 2025 - formulata sulla base delle
indicazioni contenute nell'ordinanza del Consiglio di Stato n.
3868/2024 del 17 ottobre 2024 contenenti la prescrizione, in
applicazione dell'art. 55, comma 10, c.p.a., della «rifissazione»
dell'udienza pubblica calendarizzata per il giorno 5 febbraio 2025
«con la massima anticipazione possibile», anche mediante lo strumento
di cui all'art. 53 c.p.a. per l'abbreviazione dei termini - nella
considerazione che l'urgenza della definizione delle questioni
controverse aveva gia' comportato la celere fissazione d'ufficio
dell'udienza e i ruoli di udienza erano gia' saturi.
6 - In vista dell'udienza, parte ricorrente ha depositato
memoria, insistendo nelle proprie deduzioni.
7 - All'udienza pubblica del 5 febbraio 2025 il Collegio ha
prospettato alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., la
sussistenza di possibili profili di parziale inammissibilita' del
ricorso per carenza d'interesse, come riportato a verbale. La causa,
previa discussione delle parti, e' stata, quindi, trattenuta in
decisione.
Diritto
1 - Il ricorso, del cui contenuto si e' dato atto in parte
narrativa, rivolto avverso talune previsioni contenute nel decreto
ministeriale 21 giugno 2024, recante la «Disciplina per
l'individuazione di superfici e aree idonee per l'installazione di
impianti a fonti rinnovabili», puo' essere definito solo
parzialmente, ritenendo il Collegio rilevanti e non manifestamente
infondate le questioni di costituzionalita' sollevate da parte
ricorrente con riferimento al divieto di installazione di impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili in aree classificate come
agricole, di cui ai motivi di censura V e VI, dovendosi pertanto, con
riferimento a tali profili e per le considerazioni che in seguito si
andranno ad illustrare, disporre la rimessione della relativa
questione alla Corte costituzionale, contestualmente procedendo alla
sospensione del giudizio per la sola parte coinvolta da tale
questione, la cui soluzione ne condiziona il parziale esito.
Possono invece essere esaminati e decisi i diversi profili di
censura non incisi dalla predetta questione.
2 - Tanto precisato quanto al perimetro della presente decisione,
la disamina della proposta azione transita attraverso il preliminare
vaglio della sussistenza e consistenza dell'interesse posto a
fondamento del ricorso, la cui possibile mancanza - refluente in
ipotesi di inammissibilita' parziale della proposta azione - e' stata
oggetto di rilievo officioso in udienza, in ordine al quale le parti
hanno svolto le proprie deduzioni, senza chiedere un termine per
dedurre in ordine a tale rilievo.
2.1 - Anticipando le conclusioni che, alla luce delle
considerazioni che si andranno ad esporre, il Collegio intende
trarre, il ricorso in esame deve essere dichiarato, in parte,
inammissibile, in quanto non e' ravvisabile in capo alla societa'
ricorrente un interesse attuale e concreto all'annullamento delle
gravate previsioni dettate dal decreto ministeriale del 21 giugno
2024.
2.2 - Tale scrutinio in ordine alla sussistenza, in capo alla
societa' ricorrente, dell'interesse alla proposizione di determinate
censure richiede che siano preliminarmente chiariti i termini in cui
debba essere declinato il concetto di area non idonea
all'installazione di impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili («FER») nel regime introdotto dalla disciplina di cui
all'art. 20, decreto legislativo n. 199/2021 e successivamente
precisato con il gravato decreto ministeriale, sulla cui base poter
riscontrare l'affermato effettivo carattere lesivo delle disposizioni
ministeriali contestate.
2.3 - L'esigenza di tale accertamento risiede nel tenore delle
censure articolate con il ricorso, ed e' alle stesse intrinsecamente
correlata.
Per come esposto in parte narrativa, la societa' ricorrente ha in
sostanza contestato con i motivi da I a III:
- l'indebita contemplazione, nell'ambito della disciplina
posta dal decreto ministeriale, della materia delle aree non idonee;
- la configurazione delle aree non idonee quali aree
incompatibili e, quindi, sostanzialmente preclusive rispetto alla
installazione di impianti FER;
- la genericita' dei criteri posti dal decreto ministeriale a
fini di indirizzo della successiva attivita' pianificatoria
regionale;
- l'abnorme estensione del perimetro di possibile
individuazione delle aree non idonee;
- l'individuazione delle aree non idonee con legge regionale,
e non piu' in sede procedimentale attraverso la riserva di
procedimento amministrativo con valutazione caso per caso;
- la mancanza di una disciplina di salvaguardia per le
iniziative gia' avviate in funzione dell'elencazione delle aree
idonee ai sensi del comma 8 del richiamato articolo 20 Decreto
legislativo n. 199/2021.
2.4 - A tale riguardo occorre evidenziare che il presupposto
teorico e ricostruttivo delle censure proposte e' che, avendo il
decreto qualificato le aree non idonee come aree incompatibili con
l'installazione di impianti FER - precludendone in assoluto la loro
installazione, senza alcuna distinzione in base alla tipologia di
impianti e di potenza e senza distinzione quanto a caratteristiche
specifiche delle aree - il concetto di area non idonea, coincidente
con un divieto assoluto, sarebbe stato completamente stravolto
rispetto al regime previgente (di cui all'art. 12 del decreto
legislativo n. 387 del 2003 ed alle linee guida approvate con decreto
ministeriale 10 settembre 2010), nell'ambito del quale la non
idoneita' dell'area era stabilita in funzione meramente acceleratoria
dei singoli procedimenti autorizzativi, senza alcuna preclusione
assoluta.
In particolare, prima dell'adozione del gravato decreto
ministeriale, la qualificazione di un'area come non idonea comportava
come unica conseguenza che il soggetto proponente non potesse
accedere alla accelerazione procedimentale dell'iter autorizzativo
propedeutico alla realizzazione ed esercizio dell'impianto FER,
accelerazione che, viceversa, avrebbe operato nel caso di
localizzazione dell'impianto in area idonea. Per converso, nessuna
preclusione, aprioristica ed assoluta, alla realizzazione di tali
impianti risultava discendere dalla loro localizzazione in aree
qualificate come non idonee.
2.5 - Secondo la prospettazione della societa' ricorrente, con
l'adozione del gravato decreto ministeriale sarebbe stata, invece,
introdotta una preclusione aprioristica ed assoluta all'installazione
di impianti FER nelle aree classificate come non idonee, discendendo
da tale assunto l'illegittimita' delle relative previsioni, capaci di
incidere immediatamente sulla posizione rivestita.
La ricostruzione operata da parte ricorrente quanto a valenza ed
effetti discendenti dalla qualificazione di aree come non idonee - la
cui nozione andrebbe a coincidere con quella di aree vietate o
comunque precluse all'installazione di impianti FER - non puo' essere
condivisa per le ragioni di seguito precisate, sulla cui base e'
possibile delibare il carattere non immediatamente lesivo del gravato
decreto ministeriale.
2.6 - Sotto il profilo ricostruttivo del quadro normativo di
riferimento, va ricordato che con l'art. 12 del decreto legislativo
29 dicembre 2003, n. 387, sono state introdotte disposizioni per la
razionalizzazione e la semplificazione delle procedure autorizzative
per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
A tal fine, al comma 10, e' stato previsto che «In Conferenza
unificata, su proposta del Ministro delle attivita' produttive, di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
e del Ministro per i beni e le attivita' culturali, si approvano le
linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3
[autorizzazione unica]. Tali linee guida sono volte, in particolare,
ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali
linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e
siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di
impianti».
2.7 - Le linee guida previste dal citato art. 12, comma 10, sono
state adottate con decreto ministeriale 10 settembre 2010, il quale
stabilisce:
- al paragrafo 17, che «Al fine di accelerare l'iter di
autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni
delle presenti linee guida, le regioni e le province autonome possono
procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla
installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le
modalita' di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui
all'allegato 3. L'individuazione della non idoneita' dell'area e'
operata dalle regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad
oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela
dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico,
delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversita' e del
paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non
compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche
tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero,
pertanto, una elevata probabilita' di esito negativo delle
valutazioni, in sede di autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria,
da richiamare nell'atto di cui al punto 17.2, dovranno contenere, in
relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a
specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle
incompatibilita' riscontrate con gli obiettivi di protezione
individuati nelle disposizioni esaminate. [...]. Le aree non idonee
sono [...] individuate dalle regioni nell'ambito dell'atto di
programmazione con cui sono definite le misure e gli interventi
necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati
in attuazione delle suddette norme. Con tale atto, la regione
individua le aree non idonee tenendo conto di quanto eventualmente
gia' previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo
specifico obiettivo assegnatole»;
- all'allegato 3, viene previsto che «L'individuazione delle
aree e dei siti non idonei mira non gia' a rallentare la
realizzazione degli impianti, bensi' ad offrire agli operatori un
quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la
localizzazione dei progetti. L'individuazione delle aree non idonee
dovra' essere effettuata dalle regioni con propri provvedimenti
tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale,
territoriale e paesaggistica, secondo le modalita' indicate al
paragrafo 17», nonche' sulla base di principi e criteri, individuati
dal medesimo allegato, in ragione dei quali, tra l'altro: «a)
l'individuazione delle aree non idonee deve essere basata
esclusivamente su criteri tecnici oggettivi legati ad aspetti di
tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
artistico-culturale, connessi alle caratteristiche intrinseche del
territorio e del sito; b) l'individuazione delle aree e dei siti non
idonei deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse
fonti rinnovabili e alle diverse taglie di impianto; [...] d)
l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo' riguardare
porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a
tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate,
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'impatto ambientale nei
casi previsti. L'individuazione delle aree e dei siti non idonei non
deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di
accelerazione e semplificazione dell'iter di autorizzazione alla
costruzione e all'esercizio, anche in termini di opportunita'
localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni
del territorio».
2.8 - Nel contesto del sistema delineato dall'art. 12, comma 10,
del decreto legislativo n. 387/2003, alla luce dei principi affermati
dalla giurisprudenza costituzionale, le citate linee guida sono
«poste a completamento della normativa primaria "in settori
squisitamente tecnici" (sentenze n. 121 e n. 77 del 2022, n. 177 del
2021, n. 106 del 2020, n. 286 e n. 86 del 2019, nonche' n. 69 del
2018) e connotate dal carattere della inderogabilita' a garanzia di
una disciplina "uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze
n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018)" (sentenza n. 106 del 2020;
nello stesso senso, sentenze n. 221, n. 216, n. 77 e n. 11 del 2022,
n. 177 e n. 46 del 2021)» (Corte Cost., sentenza n. 27/2023).
Con tali linee guida sono stati introdotti criteri strettamente
connessi e funzionali al procedimento autorizzatorio, assurgendo a
elemento qualificante del sistema, intercettando esigenze di certezza
degli investimenti e di tutela dei concorrenti interessi pubblici.
La Corte costituzionale, con riferimento alle disposizioni
introdotte dal decreto legislativo n. 199/2921 ha chiarito che «il
legislatore statale ha inteso superare il sistema dettato dall'art.
12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell'elettricita') e dal conseguente decreto del
Ministro dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida
per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili),
contenenti i principi e i criteri di individuazione delle aree non
idonee. Le regioni, pertanto, sono ora chiamate a individuare le aree
«idonee» all'installazione degli impianti, sulla scorta dei principi
e dei criteri stabiliti con appositi decreti interministeriali,
previsti dal comma 1 del citato art. 20 [...]. Inoltre,
l'individuazione delle aree idonee dovra' avvenire non piu' in sede
amministrativa, come prevedeva la disciplina precedente in relazione
a quelle non idonee, bensi' «con legge» regionale, secondo quanto
precisato dal comma 4 (primo periodo) dello stesso art. 20» (Corte
Cost., sentenza n. 103/2024).
2.9 - Alla luce dei richiamati orientamenti giurisprudenziali,
discende che nell'applicazione del rinnovato quadro normativo,
inerente la materia della realizzazione degli impianti FER, non
possano sic et simpliciter essere trasposti, in maniera acritica e
meccanica, i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale
in relazione al pregresso assetto normativo e regolatorio.
Infatti, laddove si aderisse ad una siffatta opzione ermeneutica
- ovvero quella sostanzialmente prospettata dalla societa' ricorrente
- si finirebbe per obliterare indebitamente la portata del vigente
contesto normativo, avuto specifico riguardo alla circostanza per
cui, de iure condito, l'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo
n. 199/2021 espressamente dispone che sia il MASE, di concerto con il
MIC e il MASAF, a stabilire con decreto i principi e i criteri
omogenei strumentali all'individuazione delle aree idonee e non
idonee.
La portata del rinnovato quadro normativo non puo', quindi,
essere enucleata e vagliata mediante mera trasposizione dei principi
inerenti il pregresso assetto regolatorio, essendo ora necessario
riportarsi, quanto alla ricostruzione dei criteri per
l'individuazione delle aree idonee e non idonee, alla specifica
disciplina recata dal decreto previsto dal comma 1 dell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021.
2.10 - Sulla scorta delle scelte sottese all'adozione del gravato
decreto ministeriale - condivise con gli enti territoriali tramite lo
strumento dell'intesa in sede di Conferenza unificata - emerge come,
contrariamente a quanto sostenuto dalla societa' ricorrente, nel
complessivo nuovo impianto normativo e regolamentare sia
sostanzialmente rimasta inalterata, quanto a natura e finalita', la
portata precettiva del concetto di «area non idonea».
Infatti, l'articolo 1, comma 2, lettera b), del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024 ha definito le «superfici e aree non
idonee» come «aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili
con l'installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le
modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee
guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10
settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 settembre
2010, n. 219 e successive modifiche e integrazioni». Contrariamente a
quanto affermato dalla societa' ricorrente - secondo la quale la
definizione di area non idonea come area incompatibile equivarrebbe
alla introduzione di un divieto assoluto alla installazione di
impianti FER - occorre ricordare che il paragrafo 17 delle Linee
guida gia' per il passato specificava che il processo di ricognizione
delle aree non idonee dovesse avvenire prendendo in considerazione
gli «obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in
determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di
impianti».
Emerge, quindi, come gia' nel contesto previgente all'adozione
del gravato decreto ministeriale le aree non idonee si
caratterizzassero per essere aree incompatibili con il
soddisfacimento degli obiettivi di protezione che l'ordinamento
intende perseguire. Tale forma di incompatibilita', quale tratto
caratterizzante delle aree non idonee, non si traduceva in una
preclusione assoluta alla realizzazione di impianti FER, valendo solo
ad indicare la sussistenza di «una elevata probabilita' di esito
negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione».
L'analisi diacronica sinteticamente svolta consente di affermare
che, sotto l'esaminato profilo della «incompatibilita'», la
definizione di «aree non idonee» contenuta nell'articolo 1, comma 2,
lett. b), del gravato decreto ministeriale non possiede un carattere
innovativo, risultando sostanzialmente invariata, quoad effectum, la
portata del concetto di «area non idonea», per come declinato dal
decreto ministeriale del 21 giugno 2024, rispetto a quella scaturente
dalle Linee guida di cui al decreto ministeriale 2010.
2.11 - A sostegno di tale conclusione, d'altronde, milita anche
il fatto che lo stesso articolo 1, comma 2, lettera b), del gravato
decreto ministeriale declini la dichiarata incompatibilita' «secondo
le modalita' stabilite dal paragrafo 17 e dall'allegato 3 delle linee
guida».
Benche' l'ordito normativo, con il previsto aggiornamento delle
Linee guida «A seguito dell'entrata in vigore della disciplina
statale e regionale per l'individuazione di superfici e aree idonee
ai sensi dell'articolo 20», presenti indubbi elementi di circolarita'
che rendono non del tutto chiaro il ruolo che le medesime Linee guida
sono ad oggi chiamate a svolgere in subiecta materia, e' preferibile
ritenere che il richiamo alle modalita' stabilite dalle Linee guida
sia da intendersi nel senso che il legislatore abbia optato per il
consolidamento, anche rispetto al nuovo regime, delle acquisizioni,
in termini di significato e declinazione delle aree non idonee, gia'
raggiunte nel previgente assetto normativo in applicazione delle
previsioni dettate dalle Linee guida di cui al decreto ministeriale
2010.
Tale opzione esegetica puo' essere legittimamente percorsa in
ossequio al canone ermeneutico dell'interpretazione conservativa di
cui all'articolo 1367 del codice civile - pacificamente applicabile
anche agli atti amministrativi, come chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 5358 del 4
settembre 2020 e riferimenti ivi citati).
Infatti, mediante l'impiego di tale criterio interpretativo, nel
nostro ordinamento giuridico e' possibile preservare atti e valori
giuridici non affetti da vizi di legittimita' (ut res magis valeat
quam pereat), risultando cio' confacente, peraltro, ai principi di
economicita' ed efficacia dell'attivita' amministrativa sanciti
dall'articolo 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr.
Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3488 del 10 luglio 2015) e di cui il
criterio della interpretazione conservativa costituisce espressione.
2.12 - Se e' vero che non puo' essere sottaciuto il fatto che
l'articolo 3, comma 1, del gravato decreto ministeriale dispone che
le Regioni provvedono con legge alla individuazione (anche) delle
aree non idonee - e non piu' nell'ambito di un apposito procedimento
amministrativo, come previsto dalle Linee guida - e' del pari vero
che, in disparte gli eventuali profili di illegittimita' di tale
scelta, non v'e' alcun indice normativo che faccia ritenere che a
tale cambiamento sia correlata la conseguenza prospettata dalla
societa' ricorrente.
Infatti, il mutamento normativo che ha interessato il veicolo
giuridico di approvazione della classificazione delle aree
potenzialmente suscettibili di essere interessate dalla costruzione e
messa in esercizio di un impianto FER, non risulta accompagnato da
alcuna radicale trasfigurazione del significato che il concetto
giuridico di «aree non idonee» esprime nell'ambito della
pianificazione del territorio necessaria al raggiungimento degli
obiettivi normativi sulla diffusione delle energie rinnovabili.
Ad avviso del Collegio, l'interpretazione sin qui proposta trova
anche il conforto della giurisprudenza costituzionale che ha
riconosciuto la «necessita' di garantire la "massima diffusione degli
impianti da fonti di energia rinnovabili" (sentenza n. 286 del 2019,
in senso analogo, ex multis, sentenze n. 221, n. 216 e n. 77 del
2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del
2014 e n. 44 del 2011) "nel comune intento 'di ridurre le emissioni
di gas ad effetto serra' (sentenza n. 275 del 2012)"; nello stesso
senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n.
85 del 2012), onde contrastare il riscaldamento globale e i
cambiamenti climatici (sentenza n. 77 del 2022)» (Corte cost., sent.
n. 27/2023).
Va, quindi, radicalmente escluso che le «aree non idonee» possano
essere considerate aree del tutto interdette alla installazione di
impianti FER, poiche' opinando diversamente potrebbe essere
seriamente pregiudicato il conseguimento degli obiettivi energetici
strumentali al rispetto degli impegni assunti dall'Italia a livello
sovranazionale, tenuto anche conto della particolare ampiezza dei
margini di manovra consentiti alle regioni dal decreto ministeriale
impugnato.
Viceversa, l'interpretazione dell'articolo 1, comma 2, lettera
b), del gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, che il
Collegio intende adottare in quanto ritenuta piu' conforme al quadro
generale di riferimento, partendo dall'assunto che il carattere di
non idoneita' di un'area non precluda in radice la realizzazione di
impianti FER - e' atta a porre in rilievo come l'individuazione con
legge regionale delle aree non idonee non esclude che le
amministrazioni, nell'ambito degli specifici procedimenti
amministrativi di valutazione delle istanze di autorizzazione alla
realizzazione di impianti FER, siano necessariamente tenute ad
apprezzare in concreto l'impatto dei progetti proposti sulle esigenze
di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni
culturali, anche laddove l'area interessata rientri tra quelle
classificate come non idonee.
2.13 - Ad avvalorare tale conclusione depone anche la
classificazione delle aree contenuta nell'art. 1 del decreto
ministeriale 21 giugno 2024, riferita - rispettivamente - alle aree
idonee, alle aree non idonee, alle aree ordinarie e alle aree vietate
(id est: agricole), ricollegando la qualificazione come aree idonee
alla possibilita' di accedere ad un iter accelerato ed agevolato,
mentre con riferimento alle aree ordinarie e' prevista l'applicazione
dei regimi autorizzativi ordinari, potendosi da cio' desumere come la
classificazione delle aree sia funzionale alla individuazione del
regime autorizzativo applicabile e non gia' ad individuare
preclusioni generalizzate (ad eccezione per le aree vietate) alla
realizzazione di impianti FER.
3 - Il Collegio, chiariti i termini in base ai quali delineare la
nozione giuridica di «aree non idonee» alla realizzazione degli
impianti FER, ritiene di poter quindi procedere all'esame dei profili
inerenti l'attualita' e concretezza dell'interesse a ricorrere, la
cui sussistenza costituisce condizione di ammissibilita' del presente
gravame.
Si evidenzia, sin da ora, che non si reputa sussistente in capo
alla societa' ricorrente il necessario interesse a ricorrere
richiesto dalla legge per conseguire l'annullamento giudiziale del
gravato decreto ministeriale del 21 giugno 2024, dal momento che
l'inclusione di determinate porzioni di territorio tra le aree non
idonee non costituisce un impedimento assoluto alla realizzazione di
progetti per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili, in
quanto sara' sempre necessaria la verifica, nell'ambito del singolo
procedimento autorizzatorio, della compatibilita' dell'intervento con
il complessivo assetto del territorio e degli interessi coinvolti.
3.1 - In proposito, giova preliminarmente evidenziare che
l'interesse a ricorrere, quale condizione dell'azione concettualmente
autonoma dalla legittimazione ad agire, trova il suo fondamento
nell'art. 100 del codice di procedura civile, rubricato «Interesse ad
agire» e applicabile al processo amministrativo in virtu' del rinvio
esterno disposto dall'articolo 39 c.p.a.
In particolare, atteso che l'articolo 100 c.p.c. stabilisce che
«Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa e'
necessario avervi interesse», l'interesse a ricorrere si caratterizza
per la «prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera
giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilita' che potrebbe
derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto
impugnato» (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4).
Cio', invero, risulta coerente con la funzione svolta dalle
condizioni dell'azione nei processi di parte, innervati dal principio
della domanda e dal principio dispositivo (cfr. Cass. civ., SS.UU.,
22 aprile 2013, n. 9685; Cass. civ., sez. III, 3 marzo 2015, n. 4228;
Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542).
L'interesse a ricorrere, inoltre, e' espressione della concezione
soggettiva della tutela giurisdizionale, propria anche del processo
amministrativo (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 4 del 7 aprile
2011) e ad esso e' attribuita una funzione di filtro processuale,
fino a divenire strumento di selezione degli interessi meritevoli di
tutela (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 22 del 9 dicembre
2021).
3.2 - L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, proprio con
riferimento a tale condizione dell'azione, ha ulteriormente chiarito
che «Il codice del processo amministrativo fa piu' volte riferimento,
direttamente o indirettamente, all'interesse a ricorrere: all'art.
35, primo comma, lettere b) e c), all'art. 34, comma 3, all'art. 13,
comma 4-bis e, in modo piu' sfumato, all'art. 31, primo comma,
sembrando confermare, con l'accentuazione della dimensione
sostanziale dell'interesse legittimo e l'arricchimento delle tecniche
di tutela, la necessita' di una verifica delle condizioni dell'azione
(piu') rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla base
degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali
eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo
dall'accertamento effettivo della (sussistenza della situazione
giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito.
Nel senso che, come e' stato osservato, va verificato che "la
situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una
lesione" ma non anche che "abbia subito" una lesione, poiche' questo
secondo accertamento attiene al merito della lite» (cfr. Cons. Stato,
Ad. plen., sent. n. 22/2021, cit.).
3.3 - Poste tali premesse, osserva il Collegio come nel caso in
esame venga in rilievo una controversia in cui sono censurate
previsioni normative generali e rispetto alla quale l'interesse al
bene (i.e., l'utilita' finale o petitum mediato) correlato alla
situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio dalla societa'
ricorrente non e' riconducibile a provvedimenti di autorizzazione
alla realizzazione dei propri impianti o interventi, in ipotesi
negati dalla amministrazione competente, bensi' da futuri
provvedimenti di autorizzazione il cui rilascio potrebbe essere
precluso per effetto delle gravate previsioni del decreto
ministeriale del 21 giugno 2024.
Nel caso di specie, invero, le amministrazioni competenti ad
assentire i progetti che la societa' ricorrente sta elaborando non
hanno ancora avuto modo di pronunciarsi sugli stessi, atteso che, al
momento della proposizione del presente ricorso, non risultava
proposta alcuna istanza di autorizzazione, per come affermato dalla
stessa societa' ricorrente.
La valutazione inerente la sussistenza del necessario interesse a
ricorrere, pertanto, non puo' prescindere dalla considerazione della
assenza di correlazione tra l'attivita' amministrativa contestata e
l'utilita' giuridica finale che la societa' ricorrente intende
conseguire.
In proposito occorre evidenziare che le impugnate prescrizioni
del decreto ministeriale del 21 giugno 2024 sono destinate ad
assumere, rispetto ai singoli procedimenti di autorizzazione degli
impianti FER, il ruolo di parametri di legittimita' dell'agere delle
amministrazioni procedenti, atteso che con le stesse sono stati
fissati principi e criteri generali e sono state enucleate
definizioni di istituti giuridici e non, invece, comandi e divieti
inderogabili, ex se ostativi all'esercizio dell'attivita'
imprenditoriale che parte ricorrente intende svolgere.
Posto che l'interesse a ricorrere che sorregge la presente
iniziativa giudiziale deve essere traguardato alla luce della
possibilita' di lesione che la societa' ricorrente potrebbe subire
per effetto della applicazione delle gravate previsioni ministeriali,
assume rilievo centrale la circostanza per cui dette previsioni si
collocano a monte dell'attivita' amministrativa di autorizzazione
ancora non esercitata, la quale sola e' destinata ad impattare
concretamente nella sfera giuridica della parte ricorrente, in
quanto, in caso di esito negativo, suscettibile di arrecare alla
stessa un pregiudizio in via immediata e diretta.
Lo iato esistente tra l'agere ministeriale e l'attivita'
amministrativa di autorizzazione si ripercuote sull'apprezzamento
dell'interesse a ricorrere, rendendo piu' rarefatta e remota la
possibilita' di incisione negativa dell'interesse al bene finale
laddove si controverta della legittimita' del parametro (di
legittimita') che concorre a formare la cornice di legalita'
dell'azione amministrativa finalizzata alla rimozione degli ostacoli
ordinamentali allo svolgimento di attivita' economiche non
liberalizzate, come quelle che rilevano nella fattispecie in esame.
Sulla scorta delle pregresse considerazioni discende che per
valutare la sussistenza dell'interesse della parte ricorrente a
contestare le previsioni del decreto ministeriale del 21 giugno 2024
manca la lesione discendente da un concreto esito procedimentale
dell'iter di autorizzazione che, nel caso di specie, non risulta
essere stato avviato per nessuna iniziativa della societa'
ricorrente, stante la mancata presentazione delle relative istanze.
Plurime sono le ragioni ostative al positivo riscontro della
sussistenza dell'interesse ad agire conseguente ad una specifica
lesione, tra le quali la piu' evidente e' quella che risiede nel
fatto che, ad opinare diversamente, si finirebbe per violare il
divieto sancito dall'articolo 34, comma 2, c.p.a.
Ad avviso del Collegio, quindi, per poter riconoscere alle
contestate previsioni del decreto ministeriale 21 giugno 2024 la
prospettata, diretta, immediata e concreta valenza pregiudizievole
predicata dalla societa' ricorrente, occorrerebbe che le stesse
siano, ex se, automaticamente preclusive delle iniziative economiche
che quest'ultima, quale operatore attivo nel mercato della produzione
di energia da fonti rinnovabili, intende intraprendere (condizione,
questa, che sussiste solo con riferimento al divieto inerente le aree
agricole, di cui i trattera' piu' avanti).
Ne discende che, sulla base della prospettata interpretazione
della portata delle previsioni dettate dagli articoli 1, 3 e 7 del
gravato decreto ministeriale, le stesse non siano immediatamente
lesive della sfera giuridica della societa' ricorrente, donde
l'inammissibilita' del presente ricorso.
3.4 - Invero, siccome il fulcro delle censure proposte dalla
societa' ricorrente ruota intorno alla prospettata lesivita' del
nuovo assetto regolamentare per effetto della rivisitazione del
previgente sistema e del ruolo che l'istituto delle «aree non idonee»
e' destinato a giocare, anche per cio' che concerne gli aspetti
inerenti alle modalita' della loro determinazione, dall'analisi
svolta in precedenza, e che deve intendersi qui integralmente
richiamata, emerge come la qualificazione di determinate porzioni di
territorio in termini di «aree non idonee» non costituisce un
impedimento assoluto alla realizzazione di progetti tesi alla
costruzione e all'esercizio di impianti FER, dal che discende la
radicale insussistenza, anche in una prospettiva valutativa di
carattere prognostico, della lesione lamentata dalla societa'
ricorrente.
A tale riguardo, giova evidenziare che la localizzazione di un
impianto FER in un'area non idonea non osta a che gli operatori
economici proponenti possano in ogni caso dimostrare, nell'ambito dei
singoli procedimenti autorizzatori, che il progetto da realizzare sia
compatibile con il complessivo assetto degli interessi coinvolti,
ovverosia, da un lato, con la tutela dei beni sottoposti a tutela ai
sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e, dall'altro, con il
raggiungimento degli obiettivi di potenza complessiva da traguardare
al 2030 in base a quanto previsto dalla tabella A dell'articolo 2 del
decreto ministeriale del 21 giugno 2024.
Tali considerazioni trovano espresso conforto nelle previsioni
del gravato decreto ministeriale, laddove, all'articolo 7, comma 3,
in fine, si dispone che «Nell'applicazione del presente comma deve
essere contemperata la necessita' di tutela dei beni con la garanzia
di raggiungimento degli obiettivi di cui alla tabella A dell'art. 2
del presente decreto».
3.5 - Il pregiudizio lamentato dalla societa' ricorrente,
peraltro, neppure puo' farsi discendere dal fatto che, in base al
nuovo assetto normativo e regolamentare culminato con l'adozione del
gravato decreto ministeriale, anche l'individuazione delle «aree non
idonee» debba essere determinata mediante legge regionale e non
invece, come avveniva con il previgente regime, con atti di
programmazione e all'esito di una precipua istruttoria procedimentale
(cfr. paragrafo 17 delle Linee guida).
A tal proposito, infatti, vale considerare che anche ipotizzando
che l'individuazione delle aree non idonee possa, in alcuni casi,
scontare in sede di legislazione regionale una carente
caratterizzazione in ragione del diverso atteggiarsi dei lavori
preparatori di un provvedimento legislativo rispetto alla fase
istruttoria di un procedimento amministrativo, cio' non risulterebbe
di per se' suscettibile di arrecare un pregiudizio concreto e attuale
agli interessi degli operatori economici che intendono realizzare
impianti FER in siti classificati come «aree non idonee».
Infatti, la conseguenza giuridica che puo' farsi discendere dalla
concretizzazione dell'ipotesi innanzi prospettata, consiste in un
mero aggravamento dell'onere motivazionale a carico
dell'amministrazione competente a pronunciarsi sulle istanze di
autorizzazione alla realizzazione ed esercizio di impianti FER.
In particolare, l'amministrazione procedente, all'esito dell'iter
di autorizzazione, non potra' giustificare l'eventuale ritenuta
incompatibilita' del progetto solo in virtu' del fatto che l'impianto
sia localizzato in un'area classificata come non idonea -
motivazione, peraltro, che risulterebbe insufficiente anche nel caso
in cui la caratterizzazione delle aree non idonee sia stata
puntualmente svolta dal legislatore regionale, in quanto la
qualificazione di non idoneita' non si traduce in un divieto assoluto
di installazione di impianti FER, come gia' accennato in precedenza -
ma dovra' necessariamente fondare il proprio diniego dando conto in
maniera adeguata, ancorche' in ipotesi sintetica, delle intrinseche
caratteristiche del progetto e delle aree interessate, traguardate
alla luce della comparazione dei contrapposti interessi in giuoco.
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla societa'
ricorrente, nessun pregiudizio attuale e concreto puo' farsi
discendere dal fatto che sia stato previsto che l'individuazione
delle «aree non idonee» debba avvenire con legge regionale. Per
converso, un siffatto pregiudizio e' suscettibile di venire ad
esistenza solo in caso di esito negativo del procedimento di
autorizzazione e solo nella misura in cui risulti che
l'amministrazione procedente non abbia esercitato correttamente il
potere amministrativo di carattere tecnico-discrezionale ad essa
attribuito dalla legge.
3.6 - Ad avviso del Collegio, sempre sulla scorta della chiarita
portata normativa ed effettuale del concetto giuridico di «aree non
idonee» nell'ambito dell'attuale contesto normativo e regolamentare,
il gravato decreto ministeriale si appalesa privo di immediata e
concreta lesivita' anche relativamente alle prescrizioni con le quali
esso stesso classifica determinate aree come non idonee, cosi' come
nella parte in cui non prevede alcun regime transitorio di
salvaguardia delle iniziative in corso.
3.6.1 - Per cio' che concerne il primo profilo di doglianza
teste' menzionato, la circostanza per cui il gravato decreto
ministeriale qualifichi come non idonee le aree ricomprese nel
perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi di quanto previsto
dal decreto legislativo n. 42/2004 (articolo 7, comma 3), non vale a
mutare la portata generale del concetto di «aree non idonee»,
convertendolo in un istituto a geometrie variabili che, ove
direttamente applicato dall'amministrazione ministeriale, sia tale da
determinare una aprioristica e radicale sottrazione, ex voluntate
administrationis, dell'area non idonea alla realizzazione degli
impianti FER.
Invero, sia in tal caso, sia nell'altro (cioe', quando
l'individuazione delle «aree non idonee» avviene con legge
regionale), la localizzazione dell'impianto all'interno di un sito
ritenuto non idoneo non costituisce mai ragione di per se'
sufficiente a precludere in radice la realizzazione del progetto
proposto dall'operatore economico istante, potendosi giungere a tale
esito procedimentale solo nel caso in cui il progetto venga in
concreto reputato incompatibile, dall'amministrazione procedente, con
gli altri obiettivi di tutela rilevanti nelle singole fattispecie.
La parte ricorrente, viceversa, con l'impostazione impressa al
ricorso in esame ha tentato di far retrocedere una siffatta - e
meramente eventuale - lesione ad una fase prodromica rispetto alla
valutazione in concreto dei progetti tesi alla realizzazione di
impianti FER, tale in quanto unicamente riservata alla determinazione
dei criteri e alle modalita' di individuazione delle «aree non
idonee».
Tuttavia, sulla scorta delle regole che governano il processo
amministrativo e in considerazione del fatto che la giurisdizione
amministrativa di legittimita' costituisce pur sempre una
giurisdizione di diritto soggettivo, non e' possibile accordare alla
parte ricorrente una tutela anticipata di merito, ossia una tutela
giudiziale del tutto sganciata dalla sussistenza di una possibile
incisione negativa della sua sfera giuridica che, per le ragioni
innanzi esposte e alla luce della effettiva portata prescrittiva
delle gravate disposizioni del decreto ministeriale del 21 giugno
2024, puo' predicarsi solo rispetto ad un esito negativo dei
procedimenti autorizzativi e solo laddove cio' consegua al cattivo
esercizio del potere da parte dell'amministrazione procedente.
3.6.2 - In relazione al secondo profilo in contestazione, sulla
scorta delle considerazioni svolte in precedenza e alle quali
integralmente si rimanda in ossequio al principio di sinteticita'
degli atti processuali sancito dal codice di rito, e' sufficiente
porre in rilievo che l'eventuale mutamento della classificazione di
un'area, in precedenza non qualificata come non idonea, non e' ex se
atto a condizionare, in maniera indefettibile e in senso sicuramente
negativo, l'iter procedimentale di autorizzazione all'installazione e
all'esercizio di impianti FER. Pertanto, neppure la mancata
previsione di un regime transitorio di salvaguardia delle iniziative
in corso vale a dimostrare che le previsioni del gravato decreto
ministeriale possano arrecare alla societa' ricorrente il pregiudizio
da essa lamentato.
Peraltro, rispetto a tale profilo di doglianza, la carenza di
interesse al ricorso sussisterebbe anche per un ulteriore e
concorrente profilo, dato dal fatto che la mera intenzione di
presentare una istanza di autorizzazione per la realizzazione di
impianti FER non puo' considerarsi sufficiente a qualificare la fase
di elaborazione progettuale come iniziativa in corso, ragione per cui
la societa' ricorrente non potrebbe validamente dolersi della
mancanza di un regime transitorio, non potendo essa accedere a un
siffatto regime ove in ipotesi previsto.
4 - Ad avviso del Collegio, l'iniziativa giudiziale promossa
dalla societa' ricorrente non risulta sorretta dal necessario
interesse a ricorrere anche in relazione alle censure articolate con
il primo motivo di ricorso, ossia quelle tese a contestare le
previsioni del decreto ministeriale 21 giugno 2024 con le quali sono
stati fissati i criteri per la individuazione delle aree idonee ed e'
stata concessa alle regioni la mera facolta' di far salve le aree
considerate idonee ope legis ai sensi dell'articolo 20, comma 8, del
decreto legislativo n. 199/2021.
4.1 - In proposito, e' sufficiente rinviare alle considerazioni
gia' espresse in precedenza in quanto, anche in relazione a tali
censure, l'interesse a ricorrere potrebbe dirsi sussistente solo nel
caso in cui le gravate prescrizioni sulle «aree idonee» fossero tali
da arrecare, ex se e immediatamente, un pregiudizio alla societa'
ricorrente.
Il Collegio, tuttavia, non ritiene che la possibilita' di lesione
prospettata dalla societa' ricorrente sia riscontrabile ex ante in
un'ottica prognostica, in quanto l'effetto giuridico discendente
dalla qualificazione di una superficie come «area idonea» alla
realizzazione ed esercizio di un impianto FER delle aree idonee, e'
essenzialmente limitato al solo riconoscimento di un vantaggio
procedimentale.
Pertanto, la societa' ricorrente non possiede il necessario
interesse ad azionare in giudizio una posizione giuridica
sostanzialmente consistente nell'interesse a non vedersi aggravato
l'iter procedimentale di autorizzazione (laddove, in futuro, si
determini a presentare la dovuta istanza all'amministrazione), a che
venga mantenuto il precedente impianto normativo e a che vengano
considerate come «aree idonee» ex lege, superfici che tali sono state
considerate dal legislatore, «nelle more dell'individuazione delle
aree idonee sulla base dei criteri e delle modalita' stabiliti dai
decreti di cui al comma 1 (dell'articolo 20 del decreto legislativo
n. 199/2021, n.d.r.)».
Al pari di quanto rilevato in relazione alle gravate previsioni
sulle «aree non idonee», anche con riferimento a questo ulteriore
gruppo di censure proposte dalla societa' ricorrente, non risulta che
le amministrazioni resistenti abbiano dettato prescrizioni cogenti e
introdotto divieti assoluti e aprioristici, dalla cui applicazione
discenda con assoluta certezza la radicale preclusione alla
realizzazione ed esercizio di impianti FER.
In definitiva, non venendo in rilievo prescrizioni suscettibili
di impedire alla societa' ricorrente, in via immediata e diretta, lo
svolgimento della propria attivita' di realizzazione di impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili, deve ritenersi
insussistente l'interesse processuale richiesto dalla legge per
conseguire l'annullamento giudiziale del gravato decreto
ministeriale.
5 - A ben vedere, e fermo restando il carattere assorbente delle
anzidette considerazioni, la decidibilita' nel merito del presente
gravame risulterebbe preclusa anche dalla natura della posizione
dedotta in giudizio dalla societa' ricorrente. Infatti, ad essere
stata azionata risulta essere una mera aspettativa di fatto al
corretto esercizio sia della funzione amministrativa, sia della
funzione legislativa delle regioni, ossia una situazione del tutto
priva della specifica connessione a un bene della vita che
costituisce il proprium delle situazioni giuridiche soggettive che
l'ordinamento reputa meritevoli di tutela.
6 - Ad abundantiam, vale anche osservare che, alla luce della
natura della posizione azionata, la circostanza per cui la societa'
ricorrente sia un operatore attivo nel settore della produzione di
energia da fonti rinnovabili non costituisce elemento sufficiente a
rendere differenziata e normativamente qualificata la sua posizione,
la quale, pertanto, non risulta distinguibile da quella del quisque
de populo.
D'altronde, anche volendo attribuire alla posizione azionata
dalla societa' ricorrente la consistenza di interesse diffuso e
metaindividuale, il ricorso in esame non risulterebbe esaminabile nel
merito per carenza di legittimazione attiva, atteso che una siffatta
situazione giuridica soggettiva puo' essere fatta valere in giudizio
esclusivamente dai soggetti giuridici statutariamente o
istituzionalmente preposti a rappresentare interessi omogenei di
specifiche categorie, attribuzione, questa, che esula dalla sfera
giuridica del singolo individuo o, come nel caso di specie, operatore
economico attivo nel mercato.
6.1 - Ne consegue che «in se' considerata, la semplice
possibilita' di ricavare dall'invocata decisione di accoglimento una
qualche utilita' pratica, indiretta ed eventuale, ricollegabile in
via meramente contingente ed occasionale al corretto esercizio della
funzione pubblica censurata, non dimostra la sussistenza della
posizione legittimante, nel senso che siffatto possibile vantaggio
ottenibile dalla pronuncia di annullamento non risulta idoneo a
determinare, da solo, il riconoscimento di una situazione
differenziata, fondante la legittimazione al ricorso; occorre,
invece, una ulteriore condizione-elemento che valga a differenziare
il soggetto, cui essa condizione-elemento si riferisce, da coloro che
avrebbero un generico interesse alla legalita' dell'azione
amministrativa, essendo quest'ultimo interesse riconosciuto non al
quisque de populo, ma solamente a quel soggetto che si trovi,
rispetto alla generalita', in una posizione legittimante
differenziata» (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 265 del 27 gennaio
2016).
6.2 - Tale condizione-elemento non puo' essere rintracciata
nell'aspirazione a una determinata configurazione del procedimento
amministrativo per effetto della qualificazione delle aree di
localizzazione degli impianti FER, che si traduce nella pretesa ad
una inammissibile conformazione dei poteri pubblici per mano dei
soggetti privati, strumentale ad asservire le scelte
dell'amministrazione (e, nel caso di specie, anche del legislatore
regionale) ad interessi di natura egoistica - come tali slegati dalle
esigenze di carattere pubblicistico che l'amministrazione deve curare
- e ai desiderata, modali e metodologici, degli operatori del
settore.
6.3 - La prospettazione della societa' ricorrente, anche sotto
tale ultimo divisato profilo, non merita di essere condivisa, in
quanto il giudice amministrativo non puo' accordare tutela a
situazioni del tutto sui generis rispetto a quelle di interesse
legittimo, nonche' di diritto soggettivo nei soli casi di
giurisdizione esclusiva.
La situazione dedotta in giudizio dalla societa' ricorrente,
invero, non possiede la consistenza di interesse legittimo, il quale
come noto sottende «un rapporto diretto ed immediato tra l'esercizio
del potere amministrativo (e cio' in cui esso si sostanzia, cioe' il
provvedimento amministrativo) e l'interessato all'esercizio del
potere medesimo», che «si concretizza nel fatto che il provvedimento
amministrativo ed suoi effetti interessano direttamente (ed
univocamente) il patrimonio giuridico di un determinato soggetto, in
senso compressivo o ampliativo» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n.
1403 del 7 marzo 2013).
Nel caso di specie, le gravate previsioni del decreto
ministeriale in materia di aree idonee e non idonee, non sono atte ad
arrecare alcun pregiudizio immediato e diretto nella sfera giuridica
della societa' ricorrente, le cui aspettative in relazione a progetti
di realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili - ancora in fase di elaborazione al momento della
proposizione del presente gravame - si conservano integre sino alla
definizione del procedimento autorizzativo che verra' avviato al
momento della presentazione dell'istanza all'amministrazione
competente.
7 - In definitiva, sulla scorta delle anzidette considerazioni,
il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile per carenza
originaria di interesse alla sua proposizione.
8 - A diverse conclusioni deve giungersi quanto alle censure
formulate nel III motivo, che vanno esaminate congiuntamente alle
questioni sollevate con il IV, V e VI motivo, con cui la parte
ricorrente solleva questioni di costituzionalita' dell'art. 5, comma
1, del decreto legge 15 maggio 2024, n. 63 - c.d. decreto Agricoltura
- convertito, con modificazioni, con legge 12 luglio 2024, n. 101.
Il citato art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 ha introdotto
il comma 1-bis all'art. 20 del Decreto legislativo n. 199/2021, il
quale stabilisce che «L'installazione degli impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra, in zone classificate agricole dai piani
urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente nelle aree di cui
alle lettere a), limitatamente agli interventi per modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti
gia' installati, a condizione che non comportino incremento dell'area
occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino ambientale e
quelle con piano di coltivazione terminato ancora non ripristinate,
nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi ovvero
ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter), numeri 2) e 3), del comma 8
del presente articolo. Il primo periodo non si applica nel caso di
progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra finalizzati alla costituzione di una comunita' energetica
rinnovabile ai sensi dell'articolo 31 del presente decreto nonche' in
caso di progetti attuativi delle altre misure di investimento del
Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), approvato con
decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come modificato
con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e del Piano
nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC) di cui
all'articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, ovvero di
progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR».
Il successivo comma 2 ha previsto che tale disciplina non si
applichi «ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore del
presente decreto (16 maggio 2024), sia stata avviata almeno una delle
procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale,
necessarie all'ottenimento dei titoli per la costruzione e
l'esercizio degli impianti e delle relative opere connesse ovvero sia
stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi».
8.1 - Parte ricorrente allega di aver elaborato una specifica
iniziativa relativa ad un progetto di impianto c.d. agrivoltaico che
sarebbe inciso dalla richiamata disciplina, non essendo stato ancora
avviato il relativo iter autorizzatorio - non ricadendo, quindi,
nella clausola di salvezza prevista per i progetti per i quali e'
stata avviata almeno una delle procedure amministrative necessarie
all'ottenimento dei titoli autorizzativi entro il termine di cui
all'art. 5, comma 2, decreto-legge n. 63/2024 - ed essendo
conseguentemente soggetto al sopravvenuto divieto di installazione di
zona agricola di cui all'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n.
199/2021.
8.2 - Il decreto impugnato prevede, all'art. 1, comma 2, che le
regioni individuino sul rispettivo territorio, tra l'altro, le «aree
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra», definite come «le aree agricole per le quali vige
il divieto di installazione di impianti fotovoltaici con moduli a
terra ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8
novembre 2021, n. 199», in tal modo dando pedissequa applicazione
alla fonte sovraordinata di cui costituisce mero recepimento.
Trattasi, quindi, di previsione che, diversamente da quanto
ritenuto dalla difesa erariale, introduce uno specifico divieto di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra
in zone classificate agricole dai piani urbanistici vigenti,
costituendo strumento di attuazione, per quanto del tutto vincolato
nel contenuto, della norma primaria.
Va rilevato, infatti, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto
legislativo n. 199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in
cui e' consentita l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del medesimo articolo 20 nelle more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1.
In tale contesto, il decreto ministeriale impugnato ribadisce che
il divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro
regolatorio e vincola la potesta' legislativa regionale: ai sensi
dell'art. 3, comma 1, infatti, le regioni sono chiamate a individuare
con legge, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto, le aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra.
Il decreto impugnato costituisce anche l'unico atto
amministrativo che interviene nel processo di implementazione del
divieto, atteso che:
- esso e' stabilito direttamente dalla legge statale;
- secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale;
- le aree cosi' individuate non sono «non idonee», ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti.
8.3 - Va, pertanto, richiamato il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale «un atto generale [...] e'
immediatamente impugnabile quando incide senz'altro - senza la
necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi - sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV,
17.3.2022, n. 1937). Nel caso di specie l'incidenza sui comportamenti
degli operatori e' indubbia, derivando dal divieto cosi' previsto
l'incondizionata preclusione agli interventi di nuova installazione
sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis, decreto legislativo n.
199/2021, come pure degli interventi di modifica, rifacimento,
potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti gia'
installati che non siano collocati nelle aree di cui alla lettera
dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e che
comportino un incremento dell'area occupata.
Deriva da cio' la sussistenza dell'interesse ad agire e la
legittimazione all'impugnazione immediata della disposizione
normativa generale.
9 - Premessa, quindi, l'ammissibilita' delle censure, deve
innanzitutto reputarsi infondata la doglianza secondo la quale,
concernendo la disciplina rimessa alla determinazione ministeriale
l'adozione di principi e criteri omogenei per l'individuazione delle
superfici e delle aree idonee e non idonee, non sarebbe stata
prevista alcuna delega a individuare le aree «in cui e' vietata» la
installazione di impianti fotovoltaici a terra (di seguito «FTV»).
Al riguardo, deve rilevarsi che per effetto della sopravvenienza
normativa costituita dal disposto dell'art. 5 del decreto-legge n.
63/2024, il decreto adottato ai sensi del comma 1 dell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021 non avrebbe potuto che prendere atto
dei divieti cosi' introdotti e ribadire, anche nel contesto della
disciplina secondaria da esso dettata, le relative preclusioni.
Nel momento in cui il legislatore ha inteso vietare ulteriori
interventi concernenti impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra nelle aree classificate agricole, tale innovativa previsione
primaria si e' inevitabilmente sovrapposta alle previgenti norme in
materia di individuazione delle aree idonee, sicche' ai fini della
relativa implementazione non era necessaria alcuna espressa e
specifica delega, potendone e dovendone l'Autorita' amministrativa
soltanto prendere atto.
10 - Con una seconda censura la societa' ricorrente contesta
l'art. 1, comma 2, lett. d), del decreto impugnato nella parte in cui
non esclude dall'applicazione del divieto di installazione su aree
agricole gli impianti agrivoltaici, sostenendo, al riguardo, che tale
tipologia di impianti - avanzati o di base - sarebbero pienamente
compatibili con la destinazione e l'uso agricolo delle aree sulle
quali andrebbero ad insistere, risultando quindi ingiustificata
l'applicazione del divieto di installazione su aree agricole per
siffatta tipologia di impianti.
Anche tale doglianza deve ritenersi infondata.
10.1 - Al riguardo, e' sufficiente rilevare che l'ambito di
applicazione del divieto posto dall'art. 5 del decreto-legge n.
63/2024 e' definito direttamente dalla norma primaria - genericamente
ed estensivamente riferita a tutti gli impianti fotovoltaici con
moduli collocati a terra - e la relativa individuazione appartiene
all'ordinaria attivita' di interpretazione degli enunciati normativi.
Con la conseguenza che la mancata, ulteriore specificazione del
medesimo da parte di un atto applicativo non integra, sotto alcun
profilo, un vizio di legittimita' di quest'ultimo laddove sia
conforme, come nel caso in esame, alla norma primaria, che non
demanda alla fonte secondaria alcuna ulteriore individuazione e
specificazione, venendo in rilievo una norma autoapplicativa ed
autosufficiente.
11 - Occorre allora procedere all'esame dei profili di rilevanza
e non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita'
costituzionale sollevate dalla parte ricorrente in relazione all'art.
5 del decreto legge n. 63/2024, procedendo dapprima a verificare se
sia possibile fornire di tale norma un'interpretazione suscettibile
di risolvere, gia' sul piano della corretta delimitazione della
portata della norma censurata, i denunciati sospetti di
incostituzionalita'.
12 - Sull'impossibilita' di interpretare l'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024 in modo conforme a Costituzione.
12.1 - Parte ricorrente ha condizionato l'interesse a sollevare
l'incidente di costituzionalita' all'impossibilita' di fornire
un'interpretazione della norma in base alla quale ogni tipologia di
impianto agrivoltaico sarebbe esclusa dal divieto da essa previsto,
in quanto la giurisprudenza avrebbe gia' riconosciuto la differenza
esistente tra la tecnologia agrivoltaica e il tradizionale
fotovoltaico. Cio', tuttavia, come di seguito si passa ad illustrare,
non e' possibile se non in parte, e comunque in modo non del tutto
satisfattivo dell'interesse di parte ricorrente.
12.2 - L'ambito del regime preclusivo introdotto dalla norma va
ricostruito a partire dal «significato proprio delle parole secondo
la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (art. 12,
comma 1, disp. prel. c.c.).
L'oggetto della previsione normativa riguarda specificamente
l'installazione degli impianti fotovoltaici «con moduli collocati a
terra [...] in zone classificate agricole» e si pone in funzione
servente rispetto alla dichiarata «straordinaria necessita' e urgenza
di contrastare il fenomeno del consumo del suolo a vocazione
agricola».
Dalle richiamate coordinate normative si ricava, pertanto, che
l'oggetto del divieto riguarda gli impianti fotovoltaici
caratterizzati da una ben determinata caratteristica - ovvero
l'installazione dei moduli a terra - in quanto ritenuta dal
legislatore incompatibile con l'utilizzo del suolo per l'agricoltura
e, quindi, con la finalita' di contrastare il fenomeno del consumo
del suolo a vocazione agricola.
12.3 - Le linee guida MITE del 2022 in materia di impianti
agrivoltaici individuano come segue i requisiti che tali impianti
debbono possedere per rispondere alla finalita' per cui sono
realizzati:
«- requisito A: Il sistema e' progettato e realizzato in modo
da adottare una configurazione spaziale ed opportune scelte
tecnologiche, tali da consentire l'integrazione fra attivita'
agricola e produzione elettrica e valorizzare il potenziale
produttivo di entrambi i sottosistemi;
- requisito B: Il sistema agrivoltaico e' esercito, nel corso
della vita tecnica, in maniera da garantire la produzione sinergica
di energia elettrica e prodotti agricoli e non compromettere la
continuita' dell'attivita' agricola e pastorale;
- requisito C: L'impianto agrivoltaico adotta soluzioni
integrate innovative con moduli elevati da terra, volte a ottimizzare
le prestazioni del sistema agrivoltaico sia in termini energetici che
agricoli;
- requisito D: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un
sistema di monitoraggio che consenta di verificare l'impatto sulle
colture, il risparmio idrico, la produttivita' agricola per le
diverse tipologie di colture e la continuita' delle attivita' delle
aziende agricole interessate;
- requisito E: Il sistema agrivoltaico e' dotato di un
sistema di monitoraggio che, oltre a rispettare il requisito D,
consenta di verificare il recupero della fertilita' del suolo, il
microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici».
Le medesime linee guida chiariscono, poi, che «Il rispetto dei
requisiti A, B e' necessario per definire un impianto fotovoltaico
realizzato in area agricola come «agrivoltaico». Per tali impianti
dovrebbe inoltre previsto il rispetto del requisito D.2», mentre il
rispetto «dei requisiti A, B, C e D e' necessario per soddisfare la
definizione di «impianto agrivoltaico avanzato» e, in conformita' a
quanto stabilito dall'articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, classificare l'impianto come
meritevole dell'accesso agli incentivi statali a valere sulle tariffe
elettriche».
Dalla classificazione tipologica degli impianti agrivoltaici
contenuta nelle linee guida risulta, pertanto, che soltanto per gli
impianti agrivoltaici di tipo avanzato e' senz'altro soddisfatto il
requisito C, consistente nell'utilizzo di moduli elevati da terra. Il
suddetto utilizzo, secondo le linee guida, puo' assumere una delle
due seguenti configurazioni:
- «l'altezza minima dei moduli e' studiata in modo da consentire
la continuita' delle attivita' agricole (o zootecniche) anche sotto
ai moduli fotovoltaici. Si configura una condizione nella quale
esiste un doppio uso del suolo, ed una integrazione massima tra
l'impianto agrivoltaico e la coltura, e cioe' i moduli fotovoltaici
svolgono una funzione sinergica alla coltura, che si puo' esplicare
nella prestazione di protezione della coltura (da eccessivo
soleggiamento, grandine, etc.) compiuta dai moduli fotovoltaici. In
questa condizione la superficie occupata dalle colture e quella del
sistema agrivoltaico coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi
dell'impianto che poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in
zone circoscritte del suolo»;
- «i moduli fotovoltaici sono disposti in posizione verticale
[...]. L'altezza minima dei moduli da terra non incide
significativamente sulle possibilita' di coltivazione (se non per
l'ombreggiamento in determinate ore del giorno), ma puo' influenzare
il grado di connessione dell'area, e cioe' il possibile passaggio
degli animali, con implicazioni sull'uso dell'area per attivita'
legate alla zootecnia. Per contro, l'integrazione tra l'impianto
agrivoltaico e la coltura si puo' esplicare nella protezione della
coltura compiuta dai moduli fotovoltaici che operano come barriere
frangivento».
12.4 - In considerazione del tenore letterale e della finalita'
dell'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, e' possibile ritenere che
il divieto ivi previsto non si applichi agli impianti agrivoltaici di
tipo avanzato, in quanto in relazione ai suddetti impianti, non
realizzandosi l'installazione di moduli collocati a terra, non si
verifica la sottrazione di suolo agricolo nei termini che la norma
intende contrastare.
Tale conclusione e' peraltro confermata dallo stesso orientamento
assunto in sede ministeriale nell'interpretazione della norma
censurata (si veda la risposta del Ministro dell'agricoltura, della
sovranita' alimentare e delle foreste all'interrogazione parlamentare
n. 3-01225, laddove e' stato precisato che «Sara' [...] possibile
installare pannelli sospesi, il cosiddetto agrivoltaico avanzato,
sotto il quale si puo' coltivare e portare a termine tutti i progetti
legati al PNRR» - cfr. il resoconto della seduta n. 297 del 22 maggio
2024 presso la Camera dei deputati), oltre che dalle attivita' in
corso di implementazione delle misure introdotte dal decreto
impugnato (cfr. il disegno di legge della Regione Puglia n. 222/2024,
depositato agli atti, che all'art. 8, comma 4, stabilisce che «nel
caso di utilizzo della tecnologia fotovoltaica, nelle zone
classificate agricole dai piani urbanistici possono essere realizzati
esclusivamente impianti agrivoltaici di natura sperimentale»).
12.5 - Se puo' residuare un margine di incertezza in ordine agli
impianti che, in quanto rispondenti ai requisiti di cui alle lettere
a), b) e c) delle linee guida, ma non a tutti quelli richiesti dalla
lettera d), non sono qualificabili come impianti agrivoltaici
avanzati, sebbene utilizzino moduli sollevati da terra, cio' che
rileva in questa sede e' che parte ricorrente ha allegato agli atti
un progetto di agrivoltaico non avanzato, che rientra senz'altro nel
divieto previsto dalla norma.
Gli impianti riconducibili a tale tipologia si caratterizzano per
l'installazione dei moduli a terra e determinano, in ogni caso, il
consumo di suolo a vocazione agricola, sia pure in misura piu'
limitata rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici. Soltanto nel
caso degli impianti con moduli sollevati da terra, infatti, «la
superficie occupata dalle colture e quella del sistema agrivoltaico
coincidono, fatti salvi gli elementi costruttivi dell'impianto che
poggiano a terra e che inibiscono l'attivita' in zone circoscritte
del suolo» (cfr. le linee guida, pag. 24).
12.6 - Un'interpretazione diversa, quale quella volta a escludere
qualsivoglia tipologia di impianto agrivoltaico dall'applicazione del
divieto, si porrebbe in contrasto, oltre che con il dato letterale
della norma, anche con le sue finalita' e si porrebbe in
inammissibile contrasto con i tradizionali e inderogabili criteri di
ermeneutica giuridica.
Al riguardo, si deve osservare che:
- «la lettera della norma costituisce il limite cui deve
arrestarsi anche l'interpretazione costituzionalmente orientata
dovendo, infatti, essere sollevato l'incidente di costituzionalita'
ogni qual volta l'opzione ermeneutica supposta conforme a
Costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma
stessa» (Cass., S.U., 1.6.2021, n. 15177). Nel caso di specie, non vi
e' dubbio che gli impianti agrivoltaici di tipo tradizionale, in
quanto si risolvano nell'installazione di pannelli collocati a terra,
rientrino nella previsione che vieta, per l'appunto, l'installazione
di impianti «con moduli collocati a terra»;
- l'ampiezza del divieto introdotto con l'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024, che si risolve nella preclusione assoluta
di realizzare impianti con moduli collocati a terra sull'intero
territorio nazionale, induce a ritenere che l'obiettivo perseguito
dal legislatore fosse quello di contrastare la sia pur minima
riduzione del territorio a vocazione agricola per l'effetto
dell'installazione di impianti fotovoltaici. Un'interpretazione che
escludesse tutte le tipologie di impianti agrivoltaici dall'ambito di
applicazione della norma in questione, anche a dispetto di un (pur
ridotto) consumo di suolo agricolo, si porrebbe in frontale contrasto
con tale obiettivo, quale chiaramente emergente dai presupposti e
dall'oggetto dell'enunciato normativo, operazione che non puo' in
alcun modo ritenersi consentita all'interprete.
Per le ragioni sopra indicate neppure e' possibile interpretare
l'art. 5, comma 1, decreto-legge n. 63/2024 nel senso che il divieto
opererebbe soltanto all'esito di specifica istruttoria nel rispetto
delle linee guida. Una siffatta interpretazione, infatti, si
risolverebbe in un'interpretatio abrogans della norma e, in ogni
caso, contrasta con il chiaro tenore letterale e la finalita'
perseguita dal legislatore, che ha inteso consentire l'utilizzo delle
aree agricole per gli impianti fotovoltaici con moduli collocati a
terra esclusivamente nei limiti di cui al citato art. 5: l'avverbio
«esclusivamente» non lascia spazio a dubbi circa la portata assoluta
del divieto che caratterizza i progetti e le aree agricole non
contemplati quali eccezioni dall'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021.
13 - Sulla rilevanza delle questioni.
13.1 - Dall'acclarata non percorribilita' di un'interpretazione
dell'enunciato normativo integralmente satisfattivo per la parte
ricorrente deriva la rilevanza delle questioni di legittimita'
costituzionale prospettate nei motivi IV, V e VI, ponendosi il
divieto previsto dall'art. 5, comma 1, decreto legge. n. 63/2024
quale fattore preclusivo alla realizzabilita' del progetto gia'
elaborato da parte ricorrente in ragione della sua concreta
localizzazione.
13.2 - Si e' gia' osservato, nell'argomentare sull'interesse alle
censure, che il comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n.
199/2021 definisce il perimetro delle aree agricole in cui e'
consentita l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra facendo riferimento alla classificazione delle aree
idonee come prevista dal comma 8 del medesimo articolo 20 nelle more
dell'adozione della disciplina di cui al comma 1.
In tale contesto, il decreto ministeriale ribadisce che il
divieto previsto dal comma 1-bis si applica anche nel nuovo quadro
regolatorio e vincola la potesta' legislativa regionale: ai sensi
dell'art. 3, comma 1, infatti, le regioni sono chiamate a individuare
con legge, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto, le aree di cui all'art. 1, comma 2, e, quindi, anche quelle
in cui e' vietata l'installazione di impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra.
Si e' anche osservato che il decreto impugnato costituisce
l'unico atto amministrativo che interviene nel processo di
implementazione del divieto, atteso che:
- esso e' stabilito direttamente dalla legge statale;
- secondo quanto previsto dal decreto, l'individuazione delle
aree in questione avviene con legge regionale;
- le aree cosi' individuate non sono «non idonee», ma
assolutamente vietate, con la conseguenza che e' finanche preclusa la
valutazione, nel singolo procedimento, della compatibilita'
dell'intervento con i valori confliggenti.
E' stato quindi richiamato il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale «un atto generale [...] e'
immediatamente impugnabile quando incide senz'altro - senza la
necessaria intermediazione di provvedimenti applicativi - sui
comportamenti e sulle scelte dei suoi destinatari» (Cons. St., IV,
17.3.2022, n. 1937), rilevandosi che nel caso di specie l'incidenza
sui comportamenti degli operatori e' indubbia, derivando dal divieto
cosi' previsto l'incondizionata preclusione agli interventi di nuova
installazione sulle aree indicate dall'art. 20, comma 1-bis, decreto
legislativo n. 199/2021, come pure degli interventi di modifica,
rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti
gia' installati che non siano collocati nelle aree di cui alla
lettera dell'art. 20, comma 8, decreto legislativo n. 199/2021 e che
comportino un incremento dell'area occupata.
Il decreto impugnato replica, quindi, il divieto sancito dalla
norma primaria, demandando alla legge regionale la sua pedissequa
trasposizione, che determina ex se l'impossibilita' di realizzare il
progetto di parte ricorrente.
La perdurante vigenza e validita' della norma primaria impedisce
qualsivoglia intervento demolitorio da parte del Collegio, recando il
decreto una previsione del tutto conforme a legge.
13.3 - In mancanza della declaratoria di incostituzionalita'
dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 63/2024, la domanda
di annullamento dell'art. 1 del decreto ministeriale impugnato, per
la parte di interesse, dovrebbe essere rigettata.
Viceversa, laddove la norma incriminata fosse dichiarata
incostituzionale, l'art. 1, comma 2, lettera d), del decreto dovrebbe
essere annullato, ponendo a quel punto un divieto generalizzato che
nessuna norma primaria contemplerebbe o autorizzerebbe e che, per le
ragioni che saranno illustrate, collide con il principio di massima
diffusione delle energie rinnovabili, quale desumibile dal diritto
dell'Unione, dando peraltro luogo a una disciplina che non supera lo
scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza.
14 - Sulla manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale posta con il IV motivo.
14.1 - Con la questione sollevata nell'ambito del IV motivo la
parte ricorrente contesta la norma censurata per violazione e falsa
applicazione dell'art. 77, comma secondo, della Costituzione. La
ricorrente contesta, in particolare, la sussistenza dell'addotta
ragione di straordinaria necessita' e urgenza di contrastare il
fenomeno del consumo del suolo a vocazione agricola in ragione del
fatto che, posta l'esistenza sul territorio nazionale di una
superficie agricola totale di 16 milioni di ettari (di cui solo 12,5
ettari utilizzati), anche nell'ipotesi in cui gli obiettivi
energetici nel territorio italiano dovessero essere soddisfatti
esclusivamente mediante la sola tecnologia che utilizza pannelli
fotovoltaici collocati a terra, si perverrebbe a un utilizzo di
appena lo 0,4% della superficie agricola, del tutto marginale
rispetto ai 4 milioni di terreni agricoli abbandonati.
14.2 - L'esame della pertinente giurisprudenza costituzionale non
autorizza, tuttavia, l'operazione compiuta dalla parte ricorrente.
Dall'esame dell'ampia casistica sottoposta alla Corte si ricava,
in primo luogo, che il sindacato relativo alla sussistenza dei
requisiti di necessita' e urgenza e' circoscritto ai casi di evidente
mancanza dei presupposti ovvero di manifesta irragionevolezza o
arbitrarieta' della relativa valutazione (ex plurimis, Corte Cost. n.
170/2017, n. 287 del 2016, n. 72 del 2015, n. 22 del 2012, n. 93 del
2011, n. 355 del 2010; n. 128 del 2008; n. 171 del 2007).
Tale verifica viene, inoltre, condotta, non dissimilmente da
quanto accade per il sindacato del giudice amministrativo in materia
di eccesso di potere, a partire da profili sintomatici, tra i quali
assume preminente rilievo il riscontro (o meno) di una intrinseca
coerenza delle norme contenute nel decreto-legge dal punto di vista
oggettivo e/o funzionale.
Il presupposto del caso straordinario di necessita' e urgenza,
infatti, «inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un
tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche
se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione
atomistica della condizione di validita' prescritta dalla
Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il
provvedimento legislativo urgente ed il caso che lo ha reso
necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme
assemblate soltanto da mera casualita' temporale» (Corte Cost.,
sentenza n. 22/2012).
14.3 - L'art. 5 del decreto legge n. 63/2024 introduce
«Disposizioni finalizzate a limitare l'uso del suolo agricolo» ed e'
inserito in un provvedimento normativo adottato considerando che «la
concomitanza di congiunture avverse, quali il perdurare del conflitto
in Ucraina e la diffusione di fitopatie, ha indotto il settore
primario in una persistente situazione di crisi, determinando gravi
ripercussioni sul tessuto economico e sociale», onde la ritenuta
necessita' e urgenza di «emanare disposizioni finalizzate a garantire
l'approvvigionamento delle materie prime agricole e, in specie, di
quelle funzionali all'esercizio delle attivita' di produzione
primaria, a sostenere il lavoro agricolo e le filiere produttive, in
particolare quella cerealicola, quella del kiwi, quella della pesca e
dell'acquacoltura», nonche' di «contrastare il fenomeno del consumo
del suolo a vocazione agricola».
Rispetto a tali enunciati presupposti e finalita', la
disposizione intesa a vietare l'installazione di impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non si
pone in termini di manifesta estraneita', presentando invece
un'intrinseca coerenza nell'ambito di un complesso di disposizioni
finalizzate al sostegno del settore agricolo.
14.4 - Gli elementi addotti dalla ricorrente a sostegno della
ritenuta insussistenza delle ragioni di urgenza, in ragione della
limitata porzione di territorio che potrebbe essere occupata per
effetto della realizzazione degli impianti oggetto del divieto, non
consentono di giungere a conclusioni diverse, costituendo chiaro
obiettivo dell'intervento contestato quello di contrastare la sia pur
minima riduzione del suolo a vocazione agricola: la misura adottata
costituisce, dunque, senz'altro sviluppo delle premesse, che non
risultano in alcun modo smentite dalle argomentazioni spese nel
ricorso.
14.5 - La questione di illegittimita' costituzionale sollevata
nel IV motivo risulta, pertanto, manifestamente infondata.
15 - Sulla non manifesta infondatezza delle questioni di
costituzionalita' sollevate con il V e il VI motivo.
15.1 - A conclusioni diverse occorre giungere quanto agli
ulteriori dubbi di costituzionalita' sollevati nell'ambito del V e
del VI motivo, con i quali la parte ricorrente ha in sostanza
lamentato:
- la violazione dell'art. 117, commi primo e terzo, della
Costituzione, in relazione, rispettivamente, alla Direttiva (UE)
2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre
2018, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili e
all'art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
(attuazione della direttiva 2001/77/CE): la norma contestata, nel
prevedere il divieto di installazione di nuovi impianti FTV con
moduli collocati a terra e il divieto di aumentare l'estensione di
quelli esistenti nelle aree agricole, si porrebbe in contrasto con i
vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e, in particolare, con
l'obiettivo di garantire la massima diffusione degli impianti FER,
perseguito dalla direttiva 2009/28/CE, dalla direttiva 2001/77/CE,
nonche' dalla direttiva 2018/2001/UE, in attuazione della quale e'
stato emanato il decreto legislativo n. 199/2021.
Sotto altro profilo, la norma si porrebbe in contrasto con i
principi generali dettati in materia dallo stesso Legislatore
statale, in attuazione delle direttive europee, e in particolare con
l'art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387/2003, ai sensi del
quale «Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui
all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati
anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici», e
con le Linee guida del 2010, introdotte in attuazione del citato art.
12, secondo le quali le zone classificate agricole dai vigenti piani
urbanistici non possono essere genericamente considerate aree e siti
non idonei e l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non
puo' riguardare porzioni significative del territorio;
- la violazione e falsa applicazione dell'art. 9 Cost.,
dell'art. 15 della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e
del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili, del principio di proporzionalita',
dell'art. 11 del TFUE, dell'art. 41 Cost.: la scelta di introdurre un
generale e indiscriminato divieto a realizzare impianti FTV con
moduli a terra su aree urbanisticamente campite come «agricole»
risulterebbe sproporzionata e tale da rallentare la diffusione delle
fonti rinnovabili in modo da incidere sugli obiettivi di tutela
dell'ambiente perseguiti, dando luogo a una disciplina
sproporzionata, in contrasto con il principio di integrazione delle
tutele e con la stessa tutela dei valori ambientali.
15.2 - In primo luogo, il Collegio ritiene che la disciplina
censurata presenti profili di contrasto con gli artt. 11 e 117, comma
1, Cost., sotto il profilo del mancato rispetto «dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario» e, in particolare, del
principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili,
derivante dalla normativa europea.
15.3 - Occorre al riguardo ricordare, anzitutto, che ai sensi
dell'art. 3, par. 5, TUE, «Nelle relazioni con il resto del mondo
l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo
alla protezione dei suoi cittadini», A tal fine essa «Contribuisce
[...] allo sviluppo sostenibile della Terra».
L'art. 6, par. 1, TUE precisa che «L'Unione riconosce i diritti,
le liberta' e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007
a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati».
Ai sensi dell'art. 37 della Carta, «Un livello elevato di tutela
dell'ambiente e il miglioramento della sua qualita' devono essere
integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al
principio dello sviluppo sostenibile».
L'art. 11 TFUE esprime la medesima esigenza sancendo che «Le
esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate
nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni
dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo
sviluppo sostenibile» (c.d. principio di integrazione).
Secondo l'art. 191 TFUE, «La politica dell'Unione in materia
ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:
- salvaguardia, tutela e miglioramento della qualita'
dell'ambiente;
- protezione della salute umana;
- utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
- promozione sul piano internazionale di misure destinate a
risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e,
in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.
2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un
elevato livello di tutela, tenendo conto della diversita' delle
situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa e' fondata sui
principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio
della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati
all'ambiente, nonche' sul principio "chi inquina paga"».
Ai sensi dell'art. 192, par. 1, TFUE, «Il Parlamento europeo e il
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e
previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato
delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere
intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'articolo
191».
L'art. 194 TFUE stabilisce, a sua volta, che «Nel quadro
dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo
conto dell'esigenza di preservare e migliorare l'ambiente, la
politica dell'Unione nel settore dell'energia e' intesa, in uno
spirito di solidarieta' tra Stati membri, a [...] promuovere il
risparmio energetico, l'efficienza energetica e lo sviluppo di
energie nuove e rinnovabili».
15.4 - Protezione dell'ambiente e promozione delle c.d. energie
rinnovabili costituiscono, pertanto, politiche interdipendenti e
connesse.
Come si ricava dalla giurisprudenza della Corte di giustizia,
l'uso di fonti di energia rinnovabili per la produzione di
elettricita' e' utile alla tutela dell'ambiente in quanto
contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra
che compaiono tra le principali cause dei cambiamenti climatici che
l'Unione europea e i suoi Stati membri si sono impegnati a
contrastare.
L'incremento della quota di rinnovabili costituisce, in
particolare, uno degli elementi portanti del pacchetto di misure
richieste per ridurre tali emissioni e conformarsi al protocollo di
Kyoto, alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici, nonche' agli altri impegni assunti a livello comunitario e
internazionale per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto
serra. Cio', peraltro, e' funzionale anche alla tutela della salute e
della vita delle persone e degli animali, nonche' alla preservazione
dei vegetali (cfr. le sentenze 1.7.2014, C-573/12, 78 ss., e 13 marzo
2001, C-379/98, 73 ss.).
15.5 - La Corte di giustizia ha peraltro precisato che l'art. 191
TFUE si limita a definire gli obiettivi generali dell'Unione in
materia ambientale, mentre l'articolo 192 TFUE affida al Parlamento
europeo e al Consiglio dell'Unione europea il compito di decidere le
azioni da avviare al fine del raggiungimento di detti obiettivi.
Di conseguenza, l'art. 191 TFUE non puo' essere invocato in
quanto tale dai privati al fine di escludere l'applicazione di una
normativa nazionale emanata in una materia rientrante nella politica
ambientale quando non sia applicabile nessuna normativa dell'Unione
adottata in base all'articolo 192 TFUE; viceversa, l'art. 191 TFUE
assume rilevanza allorquando esso trovi attuazione nel diritto
derivato (cfr. CGUE, sentenza 4.3.2015, C-534/13, 39 ss.).
15.6 - Disposizioni sulla promozione dell'energia elettrica da
fonti energetiche rinnovabili, adottate sulla base dell'art. 175 TCE
(ora 192 TFUE), sono state introdotte gia' con la direttiva
2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre
2001 e, successivamente, con la Direttiva 2009/28/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009.
15.7 - Con la direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e
del Consiglio dell'11 dicembre 2018 si e' proceduto alla rifusione e
alla modifica delle disposizioni contenute nella direttiva
2009/28/CE.
Nel dettare la relativa disciplina e' stato considerato, tra
l'altro, che:
«[...]
(2) Ai sensi dell'articolo 194, paragrafo 1, del trattato sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), la promozione delle forme
di energia da fonti rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi della
politica energetica dell'Unione. Tale obiettivo e' perseguito dalla
presente direttiva. Il maggiore ricorso all'energia da fonti
rinnovabili o all'energia rinnovabile costituisce una parte
importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le
emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni
dell'Unione nel quadro dell'accordo di Parigi del 2015 sui
cambiamenti climatici, a seguito della 21ª Conferenza delle parti
della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti
climatici ("accordo di Parigi"), e il quadro per le politiche
dell'energia e del clima all'orizzonte 2030, compreso l'obiettivo
vincolante dell'Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40%
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. L'obiettivo vincolante in
materia di energie rinnovabili a livello dell'Unione per il 2030 e i
contributi degli Stati membri a tale obiettivo, comprese le quote di
riferimento in relazione ai rispettivi obiettivi nazionali generali
per il 2020, figurano tra gli elementi di importanza fondamentale per
la politica energetica e ambientale dell'Unione [...].
(3) Il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili puo'
svolgere una funzione indispensabile anche nel promuovere la
sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel garantire
un'energia sostenibile a prezzi accessibili, nel favorire lo sviluppo
tecnologico e l'innovazione, oltre alla leadership tecnologica e
industriale, offrendo nel contempo vantaggi ambientali, sociali e
sanitari, come pure nel creare numerosi posti di lavoro e sviluppo
regionale, specialmente nelle zone rurali ed isolate, nelle regioni o
nei territori a bassa densita' demografica o soggetti a parziale
deindustrializzazione.
(4) In particolare, la riduzione del consumo energetico, i
maggiori progressi tecnologici, gli incentivi all'uso e alla
diffusione dei trasporti pubblici, il ricorso a tecnologie
energeticamente efficienti e la promozione dell'utilizzo di energia
rinnovabile nei settori dell'energia elettrica, del riscaldamento e
del raffrescamento, cosi' come in quello dei trasporti sono strumenti
molto efficaci, assieme alle misure di efficienza energetica per
ridurre le emissioni a effetto serra nell'Unione e la sua dipendenza
energetica.
(5) La direttiva 2009/28/CE ha istituito un quadro normativo
per la promozione dell'utilizzo di energia da fonti rinnovabili che
fissa obiettivi nazionali vincolanti in termini di quota di energia
rinnovabile nel consumo energetico e nel settore dei trasporti da
raggiungere entro il 2020. La comunicazione della Commissione del 22
gennaio 2014, intitolata "Quadro per le politiche dell'energia e del
clima per il periodo dal 2020 al 2030" ha definito un quadro per le
future politiche dell'Unione nei settori dell'energia e del clima e
ha promosso un'intesa comune sulle modalita' per sviluppare dette
politiche dopo il 2020. La Commissione ha proposto come obiettivo
dell'Unione una quota di energie rinnovabili consumate nell'Unione
pari ad almeno il 27 % entro il 2030. Tale proposta e' stata
sostenuta dal Consiglio europeo nelle conclusioni del 23 e 24 ottobre
2014, le quali indicano che gli Stati membri dovrebbero poter fissare
i propri obiettivi nazionali piu' ambiziosi, per realizzare i
contributi all'obiettivo dell'Unione per il 2030 da essi pianificati
e andare oltre.
(6) Il Parlamento europeo, nelle risoluzioni del 5 febbraio
2014, "Un quadro per le politiche dell'energia e del clima
all'orizzonte 2030", e del 23 giugno 2016, "I progressi compiuti
nell'ambito delle energie rinnovabili", si e' spinto oltre la
proposta della Commissione o le conclusioni del Consiglio,
sottolineando che, alla luce dell'accordo di Parigi e delle recenti
riduzioni del costo delle tecnologie rinnovabili, era auspicabile
essere molto piu' ambiziosi.
[...].
(8) Appare pertanto opportuno stabilire un obiettivo
vincolante dell'Unione in relazione alla quota di energia da fonti
rinnovabili pari almeno al 32%. Inoltre, la Commissione dovrebbe
valutare se tale obiettivo debba essere rivisto al rialzo alla luce
di sostanziali riduzioni del costo della produzione di energia
rinnovabile, degli impegni internazionali dell'Unione a favore della
decarbonizzazione o in caso di un significativo calo del consumo
energetico nell'Unione. Gli Stati membri dovrebbero stabilire il loro
contributo al conseguimento di tale obiettivo nell'ambito dei
rispettivi piani nazionali integrati per l'energia e il clima in
applicazione del processo di governance definito nel regolamento (UE)
2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio.
[...].
(10) Al fine di garantire il consolidamento dei risultati
conseguiti ai sensi della direttiva 2009/28/CE, gli obiettivi
nazionali stabiliti per il 2020 dovrebbero rappresentare il
contributo minimo degli Stati membri al nuovo quadro per il 2030. In
nessun caso le quote nazionali delle energie rinnovabili dovrebbero
scendere al di sotto di tali contributi. [...].
(11) Gli Stati membri dovrebbero adottare ulteriori misure
qualora la quota di energie rinnovabili a livello di Unione non
permettesse di mantenere la traiettoria dell'Unione verso l'obiettivo
di almeno il 32% di energie rinnovabili. Come stabilito nel
regolamento (UE) 2018/1999, se, nel valutare i piani nazionali
integrati in materia di energia e clima, ravvisa un insufficiente
livello di ambizione, la Commissione puo' adottare misure a livello
dell'Unione per assicurare il conseguimento dell'obiettivo. Se, nel
valutare le relazioni intermedie nazionali integrate sull'energia e
il clima, la Commissione ravvisa progressi insufficienti verso la
realizzazione degli obiettivi, gli Stati membri dovrebbero applicare
le misure stabilite nel regolamento (UE) 2018/1999, per colmare tale
lacuna».
Le richiamate rationes hanno condotto a introdurre, tra l'altro,
un obiettivo vincolante complessivo dell'Unione per il 2030 (art. 3),
per cui «Gli Stati membri provvedono collettivamente a far si' che la
quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di
energia dell'Unione nel 2030 sia almeno pari al 32%. La Commissione
valuta tale obiettivo al fine di presentare, entro il 2023, una
proposta legislativa intesa a rialzarlo nel caso di ulteriori
sostanziali riduzioni dei costi della produzione di energia
rinnovabile, se risulta necessario per rispettare gli impegni
internazionali dell'Unione a favore della decarbonizzazione o se il
rialzo e' giustificato da un significativo calo del consumo
energetico nell'Unione», con la precisazione che «Se, sulla base
della valutazione delle proposte dei piani nazionali integrati per
l'energia e il clima, presentati ai sensi dell'articolo 9 del
regolamento (UE) 2018/1999, giunge alla conclusione che i contributi
nazionali degli Stati membri sono insufficienti per conseguire
collettivamente l'obiettivo vincolante complessivo dell'Unione, la
Commissione segue la procedura di cui agli articoli 9 e 31 di tale
regolamento.».
15.8 - Il regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 30 giugno 2021, adottato in forza dell'art. 192 TFUE,
ha istituito un quadro per il conseguimento della neutralita'
climatica, nel presupposto che:
«(1) La minaccia esistenziale posta dai cambiamenti climatici
richiede una maggiore ambizione e un'intensificazione dell'azione per
il clima da parte dell'Unione e degli Stati membri. L'Unione si e'
impegnata a potenziare gli sforzi per far fronte ai cambiamenti
climatici e a dare attuazione all'accordo di Parigi adottato
nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui
cambiamenti climatici ("accordo di Parigi"), guidata dai suoi
principi e sulla base delle migliori conoscenze scientifiche
disponibili, nel contesto dell'obiettivo a lungo termine relativo
alla temperatura previsto dall'accordo di Parigi.
[...].
(4) Un obiettivo stabile a lungo termine e' fondamentale per
contribuire alla trasformazione economica e sociale, alla creazione
di posti di lavoro di alta qualita', alla crescita sostenibile e al
conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni
unite, ma anche per raggiungere in modo giusto, equilibrato dal punto
di vista sociale, equo e in modo efficiente in termini di costi
l'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'accordo di Parigi. [...].
(9) L'azione per il clima dell'Unione e degli Stati membri
mira a tutelare le persone e il pianeta, il benessere, la
prosperita', l'economia, la salute, i sistemi alimentari,
l'integrita' degli ecosistemi e la biodiversita' contro la minaccia
dei cambiamenti climatici, nel contesto dell'agenda 2030 delle
Nazioni unite per lo sviluppo sostenibile e nel perseguimento degli
obiettivi dell'accordo di Parigi; mira inoltre a massimizzare la
prosperita' entro i limiti del pianeta, incrementare la resilienza e
ridurre la vulnerabilita' della societa' ai cambiamenti climatici. In
quest'ottica, le azioni dell'Unione e degli Stati membri dovrebbero
essere guidate dal principio di precauzione e dal principio "chi
inquina paga", istituiti dal trattato sul funzionamento dell'Unione
europea, e dovrebbero anche tener conto del principio dell'efficienza
energetica al primo posto e del principio del "non nuocere" del Green
Deal europeo.
[...].
(11) Vista l'importanza della produzione e del consumo di
energia per il livello di emissioni di gas a effetto serra, e'
indispensabile realizzare la transizione verso un sistema energetico
sicuro, sostenibile e a prezzi accessibili, basato sulla diffusione
delle energie rinnovabili, su un mercato interno dell'energia ben
funzionante e sul miglioramento dell'efficienza energetica, riducendo
nel contempo la poverta' energetica. Anche la trasformazione
digitale, l'innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sono
fattori importanti per conseguire l'obiettivo della neutralita'
climatica.
[...].
(20) L'Unione dovrebbe mirare a raggiungere, entro il 2050,
un equilibrio all'interno dell'Unione tra le emissioni antropogeniche
dalle fonti e gli assorbimenti antropogenici dai pozzi dei gas a
effetto serra di tutti i settori economici e, ove opportuno,
raggiungere emissioni negative in seguito. Tale obiettivo dovrebbe
comprendere le emissioni e gli assorbimenti dei gas a effetto serra a
livello dell'Unione regolamentati nel diritto dell'Unione. [...].
[...].
(25) La transizione verso la neutralita' climatica presuppone
cambiamenti nell'intero spettro delle politiche e uno sforzo
collettivo di tutti i settori dell'economia e della societa', come
evidenziato nel Green Deal europeo. Il Consiglio europeo, nelle
conclusioni del 12 dicembre 2019, ha dichiarato che tutte le
normative e politiche pertinenti dell'Unione devono essere coerenti
con il conseguimento dell'obiettivo della neutralita' climatica e
contribuirvi, nel rispetto della parita' di condizioni, e ha invitato
la Commissione a valutare se cio' richieda un adeguamento delle norme
vigenti.
[...].
(36) Al fine di garantire che l'Unione e gli Stati membri
restino sulla buona strada per conseguire l'obiettivo della
neutralita' climatica e registrino progressi nell'adattamento, e'
opportuno che la Commissione valuti periodicamente i progressi
compiuti, sulla base delle informazioni di cui al presente
regolamento, comprese le informazioni presentate e comunicate a norma
del regolamento (UE) 2018/1999. [...]. Nel caso in cui i progressi
collettivi compiuti dagli Stati membri rispetto all'obiettivo della
neutralita' climatica o all'adattamento siano insufficienti o che le
misure dell'Unione siano incoerenti con l'obiettivo della neutralita'
climatica o inadeguate per migliorare la capacita' di adattamento,
rafforzare la resilienza o ridurre la vulnerabilita', la Commissione
dovrebbe adottare le misure necessarie conformemente ai trattati.
[...].».
Il regolamento ha quindi sancito (art. 1) «l'obiettivo vincolante
della neutralita' climatica nell'Unione entro il 2050, in vista
dell'obiettivo a lungo termine relativo alla temperatura di cui
all'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), dell'accordo di Parigi»,
precisando che, onde conseguire tale obiettivo, «il traguardo
vincolante dell'Unione in materia di clima per il 2030 consiste in
una riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra
(emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55% rispetto ai
livelli del 1990 entro il 2030» (art. 4).
Ai sensi dell'art. 5 del regolamento «Le istituzioni competenti
dell'Unione e gli Stati membri assicurano il costante progresso nel
miglioramento della capacita' di adattamento, nel rafforzamento della
resilienza e nella riduzione della vulnerabilita' ai cambiamenti
climatici in conformita' dell'articolo 7 dell'accordo di Parigi»,
garantendo inoltre che «le politiche in materia di adattamento
nell'Unione e negli Stati membri siano coerenti, si sostengano
reciprocamente, comportino benefici collaterali per le politiche
settoriali e si adoperino per integrare meglio l'adattamento ai
cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento, comprese le
pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e ambientale,
se del caso, nonche' nell'azione esterna dell'Unione». A tal fine,
«Gli Stati membri adottano e attuano strategie e piani nazionali di
adattamento, tenendo conto della strategia dell'Unione
sull'adattamento ai cambiamenti climatici [...] e fondati su analisi
rigorose in materia di cambiamenti climatici e di vulnerabilita',
sulle valutazioni dei progressi compiuti e sugli indicatori, e
basandosi sulle migliori e piu' recenti evidenze scientifiche
disponibili. Nelle loro strategie nazionali di adattamento, gli Stati
membri tengono conto della particolare vulnerabilita' dei pertinenti
settori, tra cui l'agricoltura, e dei sistemi idrici e alimentari
nonche' della sicurezza alimentare, e promuovono soluzioni basate
sulla natura e l'adattamento basato sugli ecosistemi. Gli Stati
membri aggiornano periodicamente le strategie e includono
informazioni pertinenti aggiornate nelle relazioni che sono tenuti a
presentare a norma dell'articolo 19, paragrafo 1, del regolamento
(UE) 2018/1999.».
15.9 - La direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 18 ottobre 2023 ha introdotto, tra l'altro,
disposizioni volte a modificare la direttiva (UE) 2018/2001, il
regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto
riguarda la promozione dell'energia da fonti rinnovabili,
evidenziando che:
«[...].
(2) Le energie rinnovabili svolgono un ruolo fondamentale nel
conseguimento di tali obiettivi, dato che il settore energetico
contribuisce attualmente per oltre il 75% alle emissioni totali di
gas a effetto serra nell'Unione. Riducendo tali emissioni di gas a
effetto serra, le energie rinnovabili possono anche contribuire ad
affrontare sfide ambientali come la perdita di biodiversita', e a
ridurre l'inquinamento in linea con gli obiettivi della comunicazione
della Commissione, del 12 maggio 2021, dal titolo "Un percorso verso
un pianeta piu' sano per tutti - Piano d'azione dell'UE: Verso
l'inquinamento zero per l'aria, l'acqua e il suolo». La transizione
verde verso un'economia basata sulle energie da fonti rinnovabili
contribuira' a conseguire gli obiettivi della decisione (UE) 2022/591
del Parlamento europeo e del Consiglio, che mira altresi' a
proteggere, ripristinare e migliorare lo stato dell'ambiente,
mediante, tra l'altro, l'interruzione e l'inversione del processo di
perdita di biodiversita'.
[...].
(4) Il contesto generale determinato dall'invasione
dell'Ucraina da parte della Russia e dagli effetti della pandemia di
COVID-19 ha provocato un'impennata dei prezzi dell'energia
nell'intera Unione, evidenziando in tal modo la necessita' di
accelerare l'efficienza energetica e accrescere l'uso delle energie
da fonti rinnovabili nell'Unione. Al fine di conseguire l'obiettivo a
lungo termine di un sistema energetico indipendente dai Paesi terzi,
l'Unione dovrebbe concentrarsi sull'accelerazione della transizione
verde e sulla garanzia di una politica energetica di riduzione delle
emissioni che limiti la dipendenza dalle importazioni di combustibili
fossili e che favorisca prezzi equi e accessibili per i cittadini e
le imprese dell'Unione in tutti i settori dell'economia.
(5) Il piano REPowerEU stabilito nella comunicazione della
Commissione del 18 maggio 2022 ("piano REPowerEU") mira a rendere
l'Unione indipendente daicombustibili fossili russi ben prima del
2030. Tale comunicazione prevede l'anticipazione delle capacita'
eolica e solare, un aumento del tasso medio di diffusione di tale
energia e capacita' supplementari di energia da fonti rinnovabili
entro il 2030 per adeguarsi a una maggiore produzione di combustibili
rinnovabili di origine non biologica. Invita inoltre i colegislatori
a valutare la possibilita' di innalzare o anticipare gli obiettivi
fissati per l'aumento della quota di energia rinnovabile nel mix
energetico. [...]. Al di la' di tale livello obbligatorio, gli Stati
membri dovrebbero adoperarsi per conseguire collettivamente
l'obiettivo complessivo dell'Unione del 45% di energia da fonti
rinnovabili, in linea con il piano REPowerEU.
(6) [...]. E' auspicabile che gli Stati membri possano
combinare diverse fonti di energia non fossili al fine di conseguire
l'obiettivo dell'Unione di raggiungere la neutralita' climatica entro
il 2050 tenendo conto delle loro specifiche circostanze nazionali e
della struttura delle loro forniture energetiche. Al fine di
realizzare tale obiettivo, la diffusione dell'energia rinnovabile nel
quadro del piu' elevato obiettivo generale vincolante dell'Unione
dovrebbe iscriversi negli sforzi complementari di decarbonizzazione
che comportano lo sviluppo di altre fonti di energia non fossili che
gli Stati membri decidono di perseguire.
[...].
(25) Gli Stati membri dovrebbero sostenere una piu' rapida
diffusione di progetti in materia di energia rinnovabile effettuando
una mappatura coordinata per la diffusione delle energie rinnovabili
e per le relative infrastrutture, in coordinamento con gli enti
locali e regionali. Gli Stati membri dovrebbero individuare le zone
terrestri, le superfici, le zone sotterranee, le acque interne e
marine necessarie per l'installazione degli impianti di produzione di
energia rinnovabile e per le relative infrastrutture al fine di
apportare almeno i rispettivi contributi nazionali all'obiettivo
complessivo riveduto in materia di energia da fonti rinnovabili per
il 2030 di cui all'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (UE)
2018/2001 e a sostegno del conseguimento dell'obiettivo della
neutralita' climatica entro e non oltre il 2050, in conformita' del
regolamento (UE) 2021/1119. [...]. Gli Stati membri dovrebbero
garantire che le zone in questione riflettano le rispettive
traiettorie stimate e la potenza totale installata pianificata e
dovrebbero individuare le zone specifiche per i diversi tipi di
tecnologia di produzione di energia rinnovabile stabilite nei loro
piani nazionali integrati per l'energia e il clima presentati a norma
degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999.
[...].
(26) Gli Stati membri dovrebbero designare, come sottoinsieme
di tali aree, specifiche zone terrestri (comprese superfici e
sottosuperfici) e marine o delle acque interne come zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Tali zone dovrebbero essere
particolarmente adatte ai fini dello sviluppo di progetti in materia
di energia rinnovabile, distinguendo tra i vari tipi di tecnologia,
sulla base del fatto che la diffusione del tipo specifico di energia
da fonti rinnovabili non dovrebbe comportare un impatto ambientale
significativo. Nella designazione delle zone di accelerazione per le
energie rinnovabili, gli Stati membri dovrebbero evitare le zone
protette e prendere in considerazione piani di ripristino e opportune
misure di attenuazione. Gli Stati membri dovrebbero poter designare
zone di accelerazione specificamente per le energie rinnovabili per
uno o piu' tipi di impianti di produzione di energia rinnovabile e
dovrebbero indicare il tipo o i tipi di energia da fonti rinnovabili
adatti a essere prodotti in tali zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Gli Stati membri dovrebbero designare tali zone di
accelerazione per le energie rinnovabili per almeno un tipo di
tecnologia e decidere le dimensioni di tali zone di accelerazione per
le energie rinnovabili, alla luce delle specificita' e dei requisiti
del tipo o dei tipi di tecnologia per la quale istituiscono zone di
accelerazione per le energie rinnovabili. Cosi' facendo, gli Stati
membri dovrebbero provvedere a garantire che le dimensioni combinate
di tali zone siano sostanziali e contribuiscano al conseguimento
degli obiettivi di cui alla direttiva (UE) 2018/2001.
(27) L'uso polivalente dello spazio per la produzione di
energia rinnovabile e per altre attivita' terrestri, delle acque
interne e marine, come la produzione di alimenti o la protezione o il
ripristino della natura, allentano i vincoli d'uso del suolo, delle
acque interne e del mare. In tale contesto la pianificazione
territoriale rappresenta uno strumento indispensabile con cui
individuare e orientare precocemente le sinergie per l'uso del suolo,
delle acque interne e del mare. Gli Stati membri dovrebbero
esplorare, consentire e favorire l'uso polivalente delle zone
individuate a seguito delle misure di pianificazione territoriali
adottate. A tal fine, e' auspicabile che gli Stati membri agevolino,
ove necessario, i cambiamenti nell'uso del suolo e del mare, purche'
i diversi usi e attivita' siano compatibili tra di loro e possano
coesistere.
[...].
(36) In considerazione della necessita' di accelerare la
diffusione delle energie da fonti rinnovabili, la designazione delle
zone di accelerazione per le energie rinnovabili non dovrebbe
impedire la realizzazione in corso e futura di progetti di energia
rinnovabile in tutte le zone disponibili per tale diffusione. Questi
progetti dovrebbero continuare a sottostare all'obbligo di
valutazione specifica dell'impatto ambientale a norma della direttiva
2011/92/UE, ed essere soggetti alle procedure di rilascio delle
autorizzazioni applicabili ai progetti in materia di energia
rinnovabile situati fuori dalle zone di accelerazione per le energie
rinnovabili. Per accelerare le procedure di rilascio delle
autorizzazioni nella misura necessaria a conseguire l'obiettivo di
energia rinnovabile stabilito nella direttiva (UE) 2018/2001, anche
le procedure di rilascio delle autorizzazioni applicabili ai progetti
fuori dalle zone di accelerazione per le energie rinnovabili
dovrebbero essere semplificate e razionalizzate attraverso
l'introduzione di scadenze massime chiare per tutte le fasi della
procedura di rilascio delle autorizzazioni, comprese le valutazioni
ambientali specifiche per ciascun progetto.».
15.10 - In ragione delle considerazioni sopra richiamate, la
direttiva ha introdotto, tra l'altro, disposizioni in materia di
mappatura delle zone necessarie per i contributi nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il
2030, di zone di accelerazione per le energie rinnovabili, nonche' di
procedure amministrative per il rilascio delle relative
autorizzazioni.
15.11 - Il regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e
del Consiglio dell'11 dicembre 2018, adottato sulla base degli
articoli 192 e 194 TFUE, stabilisce la necessaria base legislativa
per una governance dell'Unione dell'energia e dell'azione per il
clima affidabile, inclusiva, efficace sotto il profilo dei costi,
trasparente e prevedibile che garantisca il conseguimento degli
obiettivi e dei traguardi a lungo termine fino al 2030 dell'Unione
dell'energia, in linea con l'accordo di Parigi del 2015 sui
cambiamenti climatici derivante dalla 21ª Conferenza delle parti alla
Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici,
attraverso sforzi complementari, coerenti e ambiziosi da parte
dell'Unione e degli Stati membri, limitando la complessita'
amministrativa.
Nel configurare tale meccanismo e' stato considerato, in
particolare, che:
«(2) L'Unione dell'energia dovrebbe coprire cinque
dimensioni: la sicurezza energetica; il mercato interno dell'energia;
l'efficienza energetica; il processo di decarbonizzazione; la
ricerca, l'innovazione e la competitivita'.
(3) L'obiettivo di un'Unione dell'energia resiliente e
articolata intorno a una politica ambiziosa per il clima e' di
fornire ai consumatori dell'UE - comprese famiglie e imprese -
energia sicura, sostenibile, competitiva e a prezzi accessibili e di
promuovere la ricerca e l'innovazione attraendo investimenti; cio'
richiede una radicale trasformazione del sistema energetico europeo.
Tale trasformazione e' inoltre strettamente connessa alla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, in particolare promuovendo l'efficienza energetica e i
risparmi energetici e sviluppando nuove forme di energia rinnovabile
[...].
[...].
(7) L'obiettivo vincolante di riduzione interna di almeno il
40% delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico
entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, e' stato formalmente
approvato in occasione del Consiglio "Ambiente" del 6 marzo 2015,
quale contributo previsto determinato a livello nazionale,
dell'Unione e dei suoi Stati membri all'accordo di Parigi. L'accordo
di Parigi e' stato ratificato dall'Unione il 5 ottobre 2016 (6) ed e'
entrato in vigore il 4 novembre 2016; sostituisce l'approccio
adottato nell'ambito del protocollo di Kyoto del 1997, che e' stato
approvato dall'Unione mediante la decisione 2002/358/CE del Consiglio
(7) e che non sara' prorogato dopo il 2020. E' opportuno aggiornare
di conseguenza il sistema dell'Unione per il monitoraggio e la
comunicazione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto
serra.
(8) L'accordo di Parigi ha innalzato il livello di ambizione
globale relativo alla mitigazione dei cambiamenti climatici e
stabilisce un obiettivo a lungo termine in linea con l'obiettivo di
mantenere l'aumento della temperatura mondiale media ben al di sotto
di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di continuare ad
adoperarsi per limitare tale aumento della temperatura a 1,5 °C
rispetto ai livelli preindustriali.
[...].
(12) Nelle conclusioni del 23 e del 24 ottobre 2014, il
Consiglio europeo ha inoltre convenuto di sviluppare un sistema di
governance affidabile, trasparente, privo di oneri amministrativi
superflui e con una sufficiente flessibilita' per gli Stati membri
per contribuire a garantire che l'Unione rispetti i suoi obiettivi di
politica energetica, nel pieno rispetto della liberta' degli Stati
membri di stabilire il proprio mix energetico [...].
[...].
(18) Il principale obiettivo del meccanismo di governance
dovrebbe essere pertanto quello di consentire il conseguimento degli
obiettivi dell'Unione dell'energia, in particolare gli obiettivi del
quadro 2030 per il clima e l'energia, nei settori della riduzione
delle emissioni dei gas a effetto serra, delle fonti di energia
rinnovabili e dell'efficienza energetica. Tali obiettivi derivano
dalla politica dell'Unione in materia di energia e dalla necessita'
di preservare, proteggere e migliorare la qualita' dell'ambiente e di
promuovere l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, come previsto nei trattati. Nessuno di questi obiettivi,
tra loro inscindibili, puo' essere considerato secondario rispetto
all'altro. Il presente regolamento e' quindi legato alla legislazione
settoriale che attua gli obiettivi per il 2030 in materia di energia
e di clima. Gli Stati membri devono poter scegliere in modo
flessibile le politiche che meglio si adattano alle preferenze
nazionali e al loro mix energetico, purche' tale flessibilita' sia
compatibile con l'ulteriore integrazione del mercato,
l'intensificazione della concorrenza, il conseguimento degli
obiettivi in materia di clima ed energia e il passaggio graduale a
un'economia sostenibile a basse emissioni di carbonio.
[...].
(36) Gli Stati membri dovrebbero elaborare strategie a lungo
termine con una prospettiva di almeno 30 anni per contribuire al
conseguimento degli impegni da loro assunti ai sensi dell'UNFCCC e
all'accordo di Parigi, nel contesto dell'obiettivo dell'accordo di
Parigi di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al
di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e adoperarsi per
limitare tale aumento a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali
nonche' delle riduzioni a lungo termine delle emissioni di gas a
effetto serra e dell'aumento dell'assorbimento dai pozzi in tutti i
settori in linea con l'obiettivo dell'Unione.
[...].
(56) Se l'ambizione dei piani nazionali integrati per
l'energia e il clima, o dei loro aggiornamenti, fosse insufficiente
per il raggiungimento collettivo degli obiettivi dell'Unione
dell'energia e, nel primo periodo, in particolare per il
raggiungimento degli obiettivi 2030 in materia di energia rinnovabile
e di efficienza energetica, la Commissione dovrebbe adottare misure a
livello unionale al fine di garantire il conseguimento collettivo di
tali obiettivi e traguardi (in modo da colmare eventuali "divari di
ambizione"). Qualora i progressi dell'Unione verso tali obiettivi e
traguardi fossero insufficienti a garantirne il raggiungimento, la
Commissione dovrebbe, oltre a formulare raccomandazioni, proporre
misure ed esercitare le proprie competenze a livello di Unione oppure
gli Stati membri dovrebbero adottare misure aggiuntive per garantire
il raggiungimento di detti obiettivi, colmando cosi' eventuali
"divari nel raggiungimento". Tali misure dovrebbero altresi' tenere
conto degli sforzi pregressi dagli Stati membri per raggiungere
l'obiettivo 2030 relativo all'energia rinnovabile ottenendo, nel 2020
o prima di tale anno, una quota di energia da fonti rinnovabili
superiore al loro obiettivo nazionale vincolante oppure realizzando
progressi rapidi verso il loro obiettivo vincolante nazionale per il
2020 o nell'attuazione del loro contributo all'obiettivo vincolante
dell'Unione di almeno il 32% di energia rinnovabile nel 2030. In
materia di energia rinnovabile, le misure possono includere anche
contributi finanziari volontari degli Stati membri indirizzati a un
meccanismo di finanziamento dell'energia rinnovabile nell'Unione
gestito dalla Commissione da utilizzare per contribuire ai progetti
sull'energia rinnovabile piu' efficienti in termini di costi in tutta
l'Unione, offrendo cosi' agli Stati membri la possibilita' di
contribuire al conseguimento dell'obiettivo dell'Unione al minor
costo possibile. Gli obiettivi degli Stati membri in materia di
rinnovabili per il 2020 dovrebbero servire come quota base di
riferimento di energia rinnovabile a partire dal 2021 e dovrebbero
essere mantenuti per tutto il periodo. In materia di efficienza
energetica, le misure aggiuntive possono mirare soprattutto a
migliorare l'efficienza di prodotti, edifici e trasporti.
(57) Gli obiettivi nazionali degli Stati membri in materia di
energia rinnovabile per il 2020, di cui all'allegato I della
direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio,
dovrebbero servire come punto di partenza per la loro traiettoria
indicativa nazionale per il periodo dal 2021 al 2030, a meno che uno
Stato membro decida volontariamente di stabilire un punto di partenza
piu' elevato. Dovrebbero inoltre costituire, per questo periodo, una
quota di riferimento obbligatoria che faccia ugualmente parte della
direttiva (UE) 2018/2001. Di conseguenza, in tale periodo, la quota
di energia da fonti rinnovabili del consumo finale lordo di energia
di ciascuno Stato membro non dovrebbe essere inferiore alla sua quota
base di riferimento.
(58) Se uno Stato membro non mantiene la quota base di
riferimento misurata in un periodo di un anno, esso dovrebbe
adottare, entro un anno, misure supplementari per colmare il divario
rispetto allo scenario di riferimento. Qualora abbia effettivamente
adottato tali misure necessarie e adempiuto al suo obbligo di colmare
il divario, lo Stato membro dovrebbe essere considerato conforme ai
requisiti obbligatori del suo scenario di base a partire dal momento
in cui il divario in questione si e' verificato, sia ai sensi del
presente regolamento che della direttiva (UE) 2018/2001 [...]».
15.12 - Il meccanismo di governance si e' tradotto, tra l'altro,
nelle seguenti previsioni (come aggiornate con la direttiva (UE)
2023/2413):
- «Entro il 31 dicembre 2019, quindi entro il 1° gennaio 2029
e successivamente ogni dieci anni, ciascuno Stato membro notifica
alla Commissione un piano nazionale integrato per l'energia e il
clima [...]» (art. 3):
- «Ciascuno Stato membro definisce nel suo piano nazionale
integrato per l'energia e il clima i principali obiettivi, traguardi
e contributi seguenti, secondo le indicazioni di cui all'allegato I,
sezione A, punto 2:
a) dimensione "decarbonizzazione":
[...];
2) per quanto riguarda l'energia rinnovabile:
al fine di conseguire l'obiettivo vincolante dell'Unione per
la quota di energia rinnovabile per il 2030 di cui all'articolo 3,
paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001, un contributo in termini
di quota dello Stato membro di energia da fonti rinnovabili nel
consumo lordo di energia finale nel 2030; a partire dal 2021 tale
contributo segue una traiettoria indicativa. Entro il 2022, la
traiettoria indicativa raggiunge un punto di riferimento pari ad
almeno il 18% dell'aumento totale della quota di energia da fonti
rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per il 2020 dello
Stato membro interessato e il suo contributo all'obiettivo 2030.
Entro il 2025, la traiettoria indicativa raggiunge un punto di
riferimento pari ad almeno il 43% dell'aumento totale della quota di
energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo nazionale vincolante per
il 2020 dello Stato membro interessato e il suo contributo
all'obiettivo 2030. Entro il 2027, la traiettoria indicativa
raggiunge un punto di riferimento pari ad almeno il 65% dell'aumento
totale della quota di energia da fonti rinnovabili tra l'obiettivo
nazionale vincolante per il 2020 dello Stato membro interessato e il
suo contributo all'obiettivo 2030.
Entro il 2030 la traiettoria indicativa deve raggiungere almeno
il contributo previsto dello Stato membro. Se uno Stato membro
prevede di superare il proprio obiettivo nazionale vincolante per il
2020, la sua traiettoria indicativa puo' iniziare al livello che si
aspetta di raggiungere. Le traiettorie indicative degli Stati membri,
nel loro insieme, concorrono al raggiungimento dei punti di
riferimento dell'Unione nel 2022, 2025 e 2027 e all'obiettivo
vincolante dell'Unione per la quota di energia rinnovabile per il
2030 di cui all'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (UE)
2018/2001. Indipendentemente dal suo contributo all'obiettivo
dell'Unione e dalla sua traiettoria indicativa ai fini del presente
regolamento, uno Stato membro e' libero di stabilire obiettivi piu'
ambiziosi per finalita' di politica nazionale» (art. 4);
«Nel proprio contributo alla propria quota di energia da fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia del 2030 e
dell'ultimo anno del periodo coperto per i piani nazionali successivi
di cui all'articolo 4, lettera a), punto 2), ciascuno Stato membro
tiene conto degli elementi seguenti:
a) misure previste dalla direttiva (UE) 2018/2001;
b) misure adottate per conseguire il traguardo di efficienza
energetica adottato a norma della direttiva 2012/27/UE;
c) altre misure esistenti volte a promuovere l'energia
rinnovabile nello Stato membro e, ove pertinente, a livello di
Unione;
d) l'obiettivo nazionale vincolante 2020 di energia da fonti
rinnovabili nel consumo finale lordo di energia di cui all'allegato I
della direttiva (EU) 2018/2001.
e) le circostanze pertinenti che incidono sulla diffusione
dell'energia rinnovabile, quali:
i) l'equa distribuzione della diffusione nell'Unione;
ii) le condizioni economiche e il potenziale, compreso il
PIL pro capite;
iii) il potenziale per una diffusione delle energie
rinnovabili efficace sul piano dei costi;
iv) i vincoli geografici, ambientali e naturali, compresi
quelli delle zone e regioni non interconnesse;
v) il livello di interconnessione elettrica tra gli Stati
membri;
vi) altre circostanze pertinenti, in particolare gli sforzi
pregressi. [...].
2. Gli Stati membri assicurano collettivamente che la somma dei
rispettivi contributi ammonti almeno all'obiettivo vincolante
dell'Unione per la quota di energia da fonti rinnovabili per il 2030
di cui all'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001»
(art. 5).
«Se nel settore dell'energia rinnovabile, in base alla
valutazione di cui all'articolo 29, paragrafi 1 e 2, la Commissione
conclude che uno o piu' punti di riferimento della traiettoria
indicativa unionale per il 2022, 2025 e 2027, di cui all'articolo 29,
paragrafo 2, non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel 2022,
2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti di
riferimento nazionali di cui all'articolo 4, lettera a), punto 2,
provvedono all'attuazione di misure supplementari entro un anno dal
ricevimento della valutazione della Commissione, volte a colmare il
divario rispetto al punto di riferimento nazionale, quali:
a) misure nazionali volte ad aumentare la diffusione
dell'energia rinnovabile;
b) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili
nel settore del riscaldamento e raffreddamento di cui all'articolo
23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001;
c) l'adeguamento della quota di energia da fonti rinnovabili
nel settore dei trasporti di cui all'articolo 25, paragrafo 1, della
direttiva (UE) 2018/2001;
d) un pagamento finanziario volontario al meccanismo di
finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile istituito a
livello unionale per contribuire a progetti in materia di energia da
fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente dalla
Commissione, come indicato all'articolo 33;
e) l'utilizzo dei meccanismi di cooperazione previsti dalla
direttiva (UE) 2018/2001» (art. 32).
103. Il decreto legislativo n. 199/2021 costituisce «Attuazione
della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del
Consiglio, dell'11 dicembre 2018, sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili» e si pone (art. 1) «l'obiettivo di
accelerare il percorso di crescita sostenibile del Paese, recando
disposizioni in materia di energia da fonti rinnovabili, in coerenza
con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico
al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050», definendo «gli
strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro istituzionale,
finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli
obiettivi di incremento della quota di energia da fonti rinnovabili
al 2030, in attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 e nel rispetto
dei criteri fissati dalla legge 22 aprile 2021, n. 53», recando
«disposizioni necessarie all'attuazione delle misure del Piano
nazionale di ripresa e resilienza (di seguito anche: PNRR) in materia
di energia da fonti rinnovabili, conformemente al Piano nazionale
integrato per l'energia e il clima (di seguito anche: PNIEC), con la
finalita' di individuare un insieme di misure e strumenti coordinati,
gia' orientati all'aggiornamento degli obiettivi nazionali da
stabilire ai sensi del regolamento (UE) n. 2021/1119, con il quale si
prevede, per l'Unione europea, un obiettivo vincolante di riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55 percento
rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030».
15.13 - Come ripetutamente rilevato dalla giurisprudenza
costituzionale (ex multis, sentenze n. 121 del 2022, n. 77 del 2022,
n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n.
44 del 2011), la normativa eurounitaria (nonche' quella nazionale) e'
ispirata nel suo insieme al principio fondamentale di massima
diffusione delle fonti di energia rinnovabili, che tra l'altro «trova
attuazione nella generale utilizzabilita' di tutti i terreni per
l'inserimento di tali impianti, con le eccezioni [...] ispirate alla
tutela di altri interessi costituzionalmente protetti (Corte cost.,
sentenza n. 13 del 2014).
15.14 - La disciplina originariamente contenuta nell'art. 20 del
decreto legislativo n. 199/2021, relativa all'individuazione delle
aree idonee e non idonee all'installazione degli impianti alimentati
da fonti rinnovabili, non prevedeva alcuna preclusione indiscriminata
rispetto all'utilizzo di terreni classificati agricoli.
Il comma 3 del citato art. 20 stabilisce, in effetti, che «nella
definizione della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di
cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio
culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della
qualita' dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo di
superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e
parcheggi, nonche' di aree a destinazione industriale, artigianale,
per servizi e logistica, e verificando l'idoneita' di aree non
utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non
utilizzabili». Tale disposizione contempla indubbiamente un'esigenza
di tutela delle aree agricole, ma da un lato non pone alcuna
preclusione assoluta e, dall'altro, stabilisce chiaramente che le
superfici agricole non utilizzabile costituiscono, tra le altre, aree
privilegiate per l'installazione degli impianti.
Il comma 7 prevede, a sua volta, che «Le aree non incluse tra le
aree idonee non possono essere dichiarate non idonee
all'installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile,
in sede di pianificazione territoriale ovvero nell'ambito di singoli
procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero
delle aree idonee».
Il successivo comma 8, inoltre, nell'individuare transitoriamente
le aree idonee sino all'entrata in vigore della disciplina prevista
dal comma 1, vi include, «fatto salvo quanto previsto alle lettere
a), b), c), c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese nel
perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi
civici di cui all'articolo 142, comma 1, lettera h), del medesimo
decreto, ne' ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a
tutela ai sensi della parte seconda oppure dell'articolo 136 del
medesimo decreto legislativo».
15.15 - Il nuovo comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo
n. 199/2021, come introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024
(decreto legge Agricoltura), stravolge completamente l'assetto
previgente, prevedendo che «L'installazione degli impianti
fotovoltaici con moduli collocati a terra, in zone classificate
agricole dai piani urbanistici vigenti, e' consentita esclusivamente
nelle aree di cui alle lettere a), limitatamente agli interventi per
modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli
impianti gia' installati, a condizione che non comportino incremento
dell'area occupata, c), incluse le cave gia' oggetto di ripristino
ambientale e quelle con piano di coltivazione terminato ancora non
ripristinate, nonche' le discariche o i lotti di discarica chiusi
ovvero ripristinati, c-bis), c-bis.1) e c-ter, numeri 2) e 3), del
comma 8 del presente articolo. Il primo periodo non si applica nel
caso di progetti che prevedano impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra finalizzati alla costituzione di una comunita'
energetica rinnovabile ai sensi dell'articolo 31 del presente decreto
nonche' in caso di progetti attuativi delle altre misure di
investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR),
approvato con decisione del Consiglio ECOFIN del 13 luglio 2021, come
modificato con decisione del Consiglio ECOFIN dell'8 dicembre 2023, e
del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (PNC)
di cui all'articolo 1 del decreto- legge 6 maggio 2021, n. 59,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101,
ovvero di progetti necessari per il conseguimento degli obiettivi del
PNRR».
Sulla base di tale assetto normativo, introdotto dall'art. 5 del
decreto-legge n. 63/2024, gli impianti fotovoltaici con moduli
collocati a terra possono essere realizzati soltanto:
a) nei siti ove sono gia' installati impianti della stessa
fonte, nei limiti degli interventi di modifica, rifacimento,
potenziamento o ricostruzione, senza incremento dell'area occupata;
b) presso cave e miniere cessate, non recuperate o
abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le porzioni di
cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento;
c) presso i siti e gli impianti nelle disponibilita' delle
societa' del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di
infrastrutture ferroviarie nonche' delle societa' concessionarie
autostradali;
d) presso i siti e gli impianti nella disponibilita' delle
societa' di gestione aeroportuale all'interno dei sedimi
aeroportuale;
e) nelle aree interne agli impianti industriali e agli
stabilimenti e in quelle classificate agricole racchiuse in un
perimetro i cui punti distino non piu' di 500 metri dal medesimo
impianto o stabilimento;
f) nelle aree adiacenti alla rete autostradale entro una
distanza non superiore a 300 metri.
Dalla richiamata elencazione si desume che, in sostanza, la
generalita' dei terreni classificati agricoli (circa la meta' della
superficie del Paese) e' preclusa a qualsiasi intervento di
installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra
che non consista nel mero rifacimento/modifica/ricostruzione, con
conseguente preclusione all'utilizzo di nuovo terreno agricolo.
Il divieto non si estende - per espressa previsione - ai soli
progetti attuativi di misure finanziate con il PNRR o il PNC, che
tuttavia non comprendono tutti i progetti necessari al raggiungimento
dei target previsti dal PNIEC, che e' lo strumento previsto dalla
normativa eurounitaria per conseguire gli obiettivi vincolanti
dell'Unione per la quota di energia rinnovabile.
Gia' tale circostanza evidenzia che un divieto di tale portata
rischia di mettere seriamente a rischio il conseguimento di tali
obiettivi, nella misura in cui sottrae una larga porzione del
territorio a ogni possibile utilizzo della tecnologia fotovoltaica
senza che ne siano prevedibili gli effetti in ordine alla
possibilita' di rispettare le traiettorie stabilite in merito alla
quota di energia da fonti rinnovabili.
Tenuto conto dello stato di attuazione della disciplina di cui
all'art. 20, comma 1, decreto legislativo n. 199/2021, nonche' degli
ampi margini di flessibilita' che il decreto ministeriale 21 giugno
2024 lascia alle regioni per l'individuazione delle aree non idonee,
l'impatto di tale divieto e' del tutto incerto e, in ogni caso, si
risolve in un severo limite all'individuazione delle zone disponibili
per l'installazione degli impianti che, a termini dell'art. 15-ter,
par. 1, secondo periodo, della direttiva (UE) 2018/2001, devono
essere commisurate «alle traiettorie stimate e alla potenza totale
installata pianificata delle tecnologie per le energie rinnovabili
stabilite nei piani nazionali per l'energia e il clima presentati a
norma degli articoli 3 e 14 del regolamento (UE) 2018/1999».
15.16 - Peraltro, si e' gia' visto che, in forza dell'art. 32 del
regolamento (UE) 2018/1999, se la Commissione conclude che uno o piu'
punti di riferimento della traiettoria indicativa unionale per il
2022, 2025 e 2027 non sono stati raggiunti, gli Stati membri che nel
2022, 2025 e 2027 sono al di sotto di uno o piu' dei rispettivi punti
di riferimento nazionali possono essere tenuti all'adozione di misure
supplementari, ivi incluso un pagamento finanziario volontario al
meccanismo di finanziamento dell'Unione per l'energia rinnovabile
istituito a livello unionale per contribuire a progetti in materia di
energia da fonti rinnovabili gestiti direttamente o indirettamente
dalla Commissione.
La sottrazione indiscriminata di larga parte del territorio
nazionale all'utilizzo della tecnologia fotovoltaica potrebbe,
pertanto, implicare l'obbligo di adottare misure supplementari, con
impatti anche sulle finanze pubbliche, ove ostacoli il raggiungimento
degli obiettivi.
15.17 - La preclusione generalizzata all'installazione di
impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra sembra inoltre
contrastare con il principio per cui, nell'ambito del processo di
individuazione delle zone necessarie per i contributi nazionali
all'obiettivo complessivo dell'Unione di energia rinnovabile per il
2030 ai sensi del paragrafo 1 dell'art. 15-ter della direttiva (UE)
2018/2001, «Gli Stati membri favoriscono l'uso polivalente delle zone
di cui al paragrafo 1. I progetti in materia di energia rinnovabile
sono compatibili con gli usi preesistenti di tali zone» (art. 15-ter,
par. 3).
Come gia' rilevato, il considerando (27) della direttiva precisa
che «Gli Stati membri dovrebbero esplorare, consentire e favorire
l'uso polivalente delle zone individuate a seguito delle misure di
pianificazione territoriali adottate. A tal fine, e' auspicabile che
gli Stati membri agevolino, ove necessario, i cambiamenti nell'uso
del suolo e del mare, purche' i diversi usi e attivita' siano
compatibili tra di loro e possano coesistere».
Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024
istituisce, invece, un insanabile conflitto tra l'utilizzo della
tecnologia fotovoltaica con moduli collocati a terra e l'uso del
suolo a fini agricoli che, tuttavia, non sussiste (o sussiste solo in
parte) quantomeno per la tecnologia agrivoltaica (anche non
avanzata).
15.18 - Nella misura in cui puo' ostacolare il raggiungimento
degli obiettivi di potenza installata delle tecnologie per le energie
rinnovabili, il divieto in questione presenta inoltre, profili di
criticita' rispetto alla strategia di adattamento ai cambiamenti
climatici dell'Unione.
Come precedentemente ricordato, ai sensi dell'art. 5 del
regolamento (UE) 2021/1119, «Le istituzioni competenti dell'Unione e
gli Stati membri assicurano il costante progresso nel miglioramento
della capacita' di adattamento, nel rafforzamento della resilienza e
nella riduzione della vulnerabilita' ai cambiamenti climatici in
conformita' dell'articolo 7 dell'accordo di Parigi». Essi, inoltre,
«garantiscono [...] che le politiche in materia di adattamento
nell'Unione e negli Stati membri siano coerenti, si sostengano
reciprocamente, comportino benefici collaterali per le politiche
settoriali e si adoperino per integrare meglio l'adattamento ai
cambiamenti climatici in tutti i settori di intervento, comprese le
pertinenti politiche e azioni in ambito socioeconomico e ambientale,
se del caso, nonche' nell'azione esterna dell'Unione».
15.19 - Come precisato dalla Commissione europea nella
Comunicazione COM (2021) 82 final sulla nuova strategia dell'UE per
l'adattamento ai cambiamenti climatici, «Il Green Deal europeo, la
strategia di crescita dell'UE per un futuro sostenibile, si basa
sulla consapevolezza che la trasformazione verde e' un'opportunita' e
che la mancata azione ha un costo enorme. Con esso l'UE ha mostrato
la propria leadership per scongiurare lo scenario peggiore -
impegnandosi a raggiungere la neutralita' climatica - e prepararsi al
meglio puntando ad azioni di adattamento piu' ambiziose che si
fondano sulla strategia dell'UE di adattamento del 2013. La visione a
lungo termine prevede che nel 2050 l'UE sara' una societa' resiliente
ai cambiamenti climatici, del tutto adeguata agli inevitabili impatti
dei cambiamenti climatici. Cio' significa che entro il 2050, anno in
cui l'Unione aspira ad aver raggiunto la neutralita' climatica,
avremo rafforzato la capacita' di adattamento e ridotto al minimo la
vulnerabilita' agli effetti dei cambiamenti climatici, in linea con
l'accordo di Parigi e con la proposta di legge europea sul clima». Il
raggiungimento dei target di potenza installata delle tecnologie
rinnovabili costituisce, all'evidenza, un elemento centrale per
conseguire nel lungo termine l'obiettivo della neutralita' climatica,
che potrebbe essere posto seriamente a rischio da una disciplina,
come quella censurata, che vieta sul tutto il territorio nazionale la
tecnologia fotovoltaica con pannelli collocati a terra su tutti i
terreni classificati agricoli, corrispondenti a oltre la meta' della
superficie nazionale.
15.20 - Il divieto sembra anche contrastare con il principio di
integrazione di cui all'art. 11 TFUE e all'art. 37 della Carta di
Nizza, secondo cui «Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente
devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle
politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di
promuovere lo sviluppo sostenibile».
L'integrazione ambientale in tutti i settori politici pertinenti
(agricoltura, energia, pesca, trasporti, ecc.) e' funzionale a
ridurre le pressioni sull'ambiente derivanti dalle politiche e dalle
attivita' di altri settori e per raggiungere gli obiettivi ambientali
e climatici.
Il divieto introdotto dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024,
nel contesto di una disciplina di attuazione della direttiva (UE)
2018/2001 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili
quale obiettivo della politica energetica dell'Unione, solleva sul
punto notevoli perplessita':
- da un lato, infatti, si inserisce nel complesso delle
previsioni dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 quale
corpo tendenzialmente estraneo, tant'e' che le relative previsioni
non risultano neppure adeguatamente coordinate con il resto
dell'articolato (v., ad esempio, il comma 3 del medesimo articolo 20,
laddove prevede che i decreti di cui al comma 1 verifichino, tra
l'altro, «l'idoneita' di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi
incluse le superfici agricole non utilizzabili»);
- dall'altro lato, la norma non istituisce alcuna forma di
possibile bilanciamento tra i valori in gioco, sancendo
un'indefettibile prevalenza dell'interesse alla conservazione dello
stato dei luoghi dei terreni classificati agricoli senza alcuna
considerazione finanche della loro possibile, concreta
utilizzabilita' a fini agricoli, in contrasto con l'obiettivo del
decreto stesso di promuovere l'uso dell'energia da fonti rinnovabili.
15.21 - Da quanto precede risulta anche che la disciplina
censurata confligge con il principio di proporzionalita', con
violazione anche dell'art. 3 Cost.
Come la Corte di giustizia ha piu' volte ribadito, «il principio
di proporzionalita' e' un principio generale del diritto comunitario
che dev'essere rispettato tanto dal legislatore comunitario quanto
dai legislatori e dai giudici nazionali» (sentenza 11 giugno 2009,
C-170/08, 41).
Il sindacato di proporzionalita' costituisce, inoltre, un aspetto
del controllo di ragionevolezza delle leggi condotto dalla
giurisprudenza costituzionale, onde verificare che il bilanciamento
degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato
con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di
uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il
dettato costituzionale.
Come la stessa Corte ha precisato, «Tale giudizio deve svolgersi
"attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi
prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita'
rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che
intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle
limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130 del 1988).
Il test di proporzionalita' utilizzato da questa Corte come da molte
delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello
di ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia
dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di legittimita'
degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se
la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di
obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra piu' misure
appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a
confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi» (Corte cost., sentenza n. 1 del
2014).
15.22 - Innanzitutto, la misura censurata consiste in un divieto
generalizzato e assoluto all'utilizzo, su un'ampia parte del
territorio nazionale, di una determinata tecnologia a fonti
rinnovabili. Si tratta di una soluzione del tutto diversa rispetto a
quella adottata in funzione di tutela di tutti gli altri valori che
entrano in bilanciamento con il principio di massima diffusione delle
fonti rinnovabili: le esigenze di tutela dell'ambiente, della
biodiversita', dei beni culturali e del paesaggio passa, infatti,
attraverso l'individuazione di aree non idonee che, come in
precedenza chiarito, non rappresentano aree vietate, bensi' zone in
cui, in ragione delle esigenze di protezione in concreto esistenti,
e' altamente verosimile un esito negativo della valutazione di
compatibilita' dei progetti.
Cio', peraltro, non osta alla possibilita' di verificare, in
concreto e nell'ambito dei singoli procedimenti autorizzativi,
eventuali margini di compatibilita' degli interventi proposti.
L'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 stabilisce, invece, una
prevalenza assoluta e incondizionata dell'interesse alla
conservazione dei suoli classificati agricoli, valutata in astratto e
a monte dal Legislatore e che non consente la pur minima possibilita'
di contemperamento con gli altri interessi in gioco, anche di rilievo
costituzionale.
Sotto tale profilo, occorre rilevare, in disparte i gia'
evidenziati profili di contrasto con il diritto unionale, che ai
sensi dell'art. 9 Cost. la Repubblica tutela l'ambiente, la
biodiversita' e gli ecosistemi «anche nell'interesse delle future
generazioni», con cio' incorporando il principio di sviluppo
sostenibile nell'ambito dei principi fondamentali in materia di
tutela ambientale.
L'incondizionato sacrificio di tale principio, quale sotteso al
divieto in esame, contrasta, pertanto, con l'art. 3 Cost., nonche'
con l'art. 9 citato e con la consolidata giurisprudenza
costituzionale secondo cui «Tutti i diritti fondamentali tutelati
dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e
non e' possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la
prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre
"sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed
in potenziale conflitto tra loro" (sentenza n. 264 del 2012). Se
cosi' non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei
diritti, che diverrebbe "tiranno" nei confronti delle altre
situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette
[...]. La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni
democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e
vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi. [...]. Il punto di
equilibrio, proprio perche' dinamico e non prefissato in anticipo,
deve essere valutato - dal legislatore nella statuizione delle norme
e dal giudice delle leggi in sede di controllo - secondo criteri di
proporzionalita' e di ragionevolezza, tali da non consentire un
sacrificio del loro nucleo essenziale» (Corte cost., sentenza n. 85
del 2013).
15.23 - Sotto altro profilo, il divieto cosi' introdotto e'
operativo sulla base della mera classificazione dell'area come
agricola secondo i piani urbanistici, senza che alcuna rilevanza
assumano il suo concreto utilizzo o la sua utilizzabilita' a tali
fini. Anche per tale riguardo la disposizione si mostra irragionevole
e sproporzionata, in quanto la dichiarata finalita' di contrastare il
consumo di suolo agricolo non e' riscontrabile (o quantomeno non nei
termini incondizionati e assoluti previsti dalla norma) in relazione
alle superfici agricole non utilizzabili o degradate.
Manca, inoltre, qualsivoglia considerazione della qualita' e
dell'importanza delle colture.
In raffronto, le attuali linee guida di cui al decreto
ministeriale 10 settemre 2010 prevedono che:
- le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici
non possono essere genericamente considerate aree e siti non idonei;
- l'individuazione delle aree e dei siti non idonei non puo'
riguardare porzioni significative del territorio o zone genericamente
soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio
storico-artistico, ne' tradursi nell'identificazione di fasce di
rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate
esigenze di tutela. La tutela di tali interessi e' infatti
salvaguardata dalle norme statali e regionali in vigore ed affidate
nei casi previsti, alle amministrazioni centrali e periferiche, alle
regioni, agli enti locali ed alle autonomie funzionali all'uopo
preposte, che sono tenute a garantirla all'interno del procedimento
unico e della procedura di Valutazione dell'impatto ambientale nei
casi previsti;
- le regioni possono procedere ad indicare come aree e siti
non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti le
aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni
territoriali o del paesaggio, tra cui le aree agricole interessate da
produzioni agricolo-alimentari di qualita' (produzioni biologiche,
produzioni D.O.P., I.G.P., S.T.G., D.O.C., D.O.C.G., produzioni
tradizionali) e/o di particolare pregio rispetto al contesto
paesaggistico-culturale, anche con riferimento alle aree, se previste
dalla programmazione regionale, caratterizzate da un'elevata
capacita' d'uso del suolo.
Una siffatta, contestualizzata disciplina risulta conforme alle
indicazioni emergenti in sede europea, per cui «Gli Stati membri
dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui
non puo' essere sviluppata l'energia rinnovabile ("zone di
esclusione"). Essi dovrebbero fornire informazioni chiare e
trasparenti, corredate di una giustificazione motivata, sulle
restrizioni dovute alla distanza dagli abitati e dalle zone
dell'aeronautica militare o civile. Le restrizioni dovrebbero essere
basate su dati concreti e concepite in modo da rispondere allo scopo
perseguito massimizzando la disponibilita' di spazio per lo sviluppo
dei progetti di energia rinnovabile, tenuto conto degli altri vincoli
di pianificazione territoriale» (cfr. la raccomandazione (UE)
2024/1343 della Commissione del 13 maggio 2024 sull'accelerazione
delle procedure autorizzative per l'energia da fonti rinnovabili e i
progetti infrastrutturali correlati).
La disciplina posta dall'art. 5 del decreto-legge n. 63/2024 si
traduce, invece, nell'esatto opposto, ponendo un divieto che
massimizza le zone di esclusione, non fondato su dati concreti e
certamente non rispondente all'obietto di massimizzare la
disponibilita' di spazio per lo sviluppo dei progetti di energia
rinnovabile.
16 - I rilevati profili di incostituzionalita' vanno del pari
riferiti all'art. 5, comma 2, del decreto-legge n. 63/2024, laddove
pone una disciplina di salvaguardia che ha quale presupposto il
divieto di cui al comma 1, nonche' all'art. 2, comma 2, primo
periodo, del decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante
«Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da
fonti rinnovabili», ove prevede che «Gli interventi di cui
all'articolo 1, comma 1, sono considerati di pubblica utilita',
indifferibili e urgenti e possono essere ubicati anche in zone
classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, nel rispetto di
quanto previsto all'articolo 20, comma 1-bis, del decreto legislativo
8 novembre 2021, n. 199».
Tale disposizione, infatti, riproduce il divieto di cui al citato
comma 1-bis dell'art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021.
17 - Questioni da sottoporre alla Corte costituzionale.
17.1 - In ragione di tutto quanto sopra, sono rilevanti (per
quanto illustrato al punto 13 della presente sentenza) e non
manifestamente infondate (secondo quanto evidenziato al punto 15) le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 1 e 2,
del decreto legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 101/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo, del
decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, per violazione degli
articoli 3, 9, 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione ai
principi espressi dalla direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento
(UE) 2018/1999, come modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413,
nonche' dal regolamento (UE) 2021/1119.
17.2 - Le predette questioni vengono sollevate con la presente
sentenza non definitiva, anziche' con ordinanza, in ragione della
stretta connessione delle statuizioni che definiscono parzialmente in
giudizio con i profili oggetto di rimessione, nonche' in conformita'
alla giurisprudenza costituzionale secondo la quale «Alla sentenza
non definitiva puo' essere [...] riconosciuto, sul piano sostanziale,
il carattere dell'ordinanza di rimessione, sempre che il giudice a
quo - come nel caso in esame - abbia disposto, in conformita' a
quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del
fascicolo alla cancelleria di questa Corte, dopo aver valutato la
rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione (in questi
termini, tra le altre, sentenze n. 112 del 2021 e n. 153 del 2020)»
(Corte cost., sentenza n. 218/2021).
18 - Conclusioni.
18.1 - In conclusione, il Collegio, in ordine al ricorso in
esame, cosi' statuisce:
- dichiara il ricorso inammissibile, per carenza d'interesse,
in relazione ai motivi da I a II.3;
- rigetta il ricorso quanto ai motivi III.1 e III.2;
- dichiara manifestamente infondata la questione di
costituzionalita' dell'art. 5, comma 1, del decreto legge n. 63/2024,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024, per
violazione dell'art. 77 Cost.;
- dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le
questioni di costituzionalita' dell'art. 5, comma 1 e 2, del decreto
legge n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
101/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli 3, 9, 11 e
117, comma 1, Cost., anche in relazione ai principi espressi dalla
direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento (UE) 2018/1999, come
modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413, nonche' dal regolamento
(UE) 2021/1119. Il giudizio va quindi sospeso per le determinazioni
conseguenti alla definizione dell'incidente di costituzionalita'.
19 - Sospende il giudizio in attesa della pronuncia della Corte
costituzionale.
20 - Rinvia il regolamento delle spese di lite all'esito del
giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - Roma -
Sezione terza, parzialmente e non definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, cosi' dispone:
a) lo dichiara inammissibile, per carenza d'interesse, quanto
ai motivi da I a II.3;
b) lo rigetta, nei sensi di cui in motivazione, quanto ai
motivi III.1 e III.2;
c) dichiara manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, del decreto legge
n. 63/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101/2024,
per violazione dell'art. 77 della Costituzione;
d) dichiara rilevanti e non manifestamente infondate, nei
termini espressi in motivazione, le questioni di legittimita'
costituzionale del richiamato art. 5, commi 1 e 2, del decreto legge
n. 63/2024, nonche' dell'art. 2, comma 2, primo periodo, del decreto
legislativo n. 190/2024, per violazione degli articoli 3, 9, 11 e
117, comma 1, della Costituzione, anche in relazione ai principi
espressi dalla direttiva (UE) 2018/2001 e dal regolamento (UE)
2018/1999, come modificati dalla direttiva (UE) 2023/2413, nonche'
dal regolamento (UE) 2021/1119;
e) sospende il giudizio per le determinazioni conseguenti
alla definizione dell'incidente di costituzionalita' e, ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
f) dispone la comunicazione della presente sentenza alle
parti in causa, nonche' la sua notificazione al Presidente del
Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica e
al Presidente della Camera dei deputati;
g) rinvia ogni ulteriore statuizione all'esito del giudizio
incidentale promosso con la presente sentenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorita'
amministrativa.
Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 5
febbraio 2025, con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente, estensore;
Luca Biffaro, referendario;
Marco Savi, referendario.
Il Presidente, estensore: Stanizzi