Reg. ord. n. 117 del 2025 pubbl. su G.U. del 18/06/2025 n. 25
Ordinanza del Tribunale di Firenze del 08/05/2025
Tra: Elisabetta Santi C/ Marco Giallombardo
Oggetto:
Prescrizione e decadenza – Cause di sospensione per rapporti tra le parti – Sospensione della prescrizione tra i coniugi e tra le parti di un’unione civile – Omessa estensione della causa di sospensione ai conviventi stabili e legati, fra loro, da vincolo di affettività familiare – Disparità di trattamento tra coniugi (e uniti civilmente) rispetto ai conviventi more uxorio – Irragionevolezza intrinseca – Lesione dei diritti inviolabili dei singoli all’interno delle formazioni sociali – Contrasto con i valori di solidarietà sociale, di solidarietà familiare e di corretto e pacifico sviluppo delle relazioni familiari.
Norme impugnate:
codice civile del Num. Art. 2941
legge del 20/05/2016 Num. 76 Art. 1 Co. 18
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 2 Co.
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali Art. 8 Co.
Camera di Consiglio del 1 dicembre 2025 rel. NAVARRETTA
Testo dell'ordinanza
N. 117 ORDINANZA (Atto di promovimento) 08 maggio 2025
Ordinanza dell'8 maggio 2025 del Tribunale di Firenze nel
procedimento civile promosso da Elisabetta Santi contro Marco
Giallombardo.
Prescrizione e decadenza - Cause di sospensione per rapporti tra le
parti - Sospensione della prescrizione tra i coniugi e tra le parti
di un'unione civile - Omessa estensione della causa di sospensione
ai conviventi stabili e legati, fra loro, da vincolo di
affettivita' familiare.
- Codice civile, art. 2941, numero 1); legge 20 maggio 2016, n. 76
(Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso
sesso e disciplina delle convivenze), art. 1, comma 18.
(GU n. 25 del 18-06-2025)
TRIBUNALE DI FIRENZE
III sezione civile
A scioglimento della riserva assunta all'esito dell'udienza
cartolare del 7 maggio 2025, esaminati gli atti il giudice ha
pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte
costituzionale di questione di legittimita' costituzionale, nella
causa civile di primo grado iscritta al n. 7270 R.G. dell'anno 2020
vertente tra Elisabetta Santi, rappresentata e difesa dall'avv. Monia
Rossi, in qualita' di parte attrice, e Marco Giallombardo,
rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Voce e dall'avv. Chiara Tesi,
in qualita' di parte convenuta.
Premesso in fatto
1. Con atto di citazione ritualmente notificato parte attrice
conveniva in giudizio l'ex convivente more uxorio Marco Giallombardo
al fine di ottenerne, in via principale, la condanna alla
restituzione di vari beni ed effetti personali di proprieta'
dell'attrice, nonche' la restituzione di plurime somme di denaro per
un totale di euro 91.063,00 oltre ad interessi e rivalutazione
monetaria; in particolare:
euro 63.713,00 a questo consegnati a titolo di prestito;
euro 11.000,00 relativi all'acquisto di un gommone Zar 53, di
euro 6.800,00 per l'acquisto di un motore Suzuki e di euro 3.000,00
relativi alla permuta di un gommone Zar 61, tutti acquistati dal
convenuto;
euro 3.600,00 per l'acquisto di un armadio e di euro 2.950,00
per acquisto di un letto.
1.1. A sostegno della domanda, per quanto rileva in questa sede,
rappresentava di aver intrattenuto con il convenuto una relazione
sentimentale e di aver con questo convissuto dal 2002 al 2016.
1.2. Nei primi anni della convivenza, l'attrice aveva prestato la
somma di euro 63.713,00 al compagno, che la ha impiegata per eseguire
opere di miglioria sull'immobile di sua esclusiva proprieta'. Il 16
marzo 2006 Marco Giallombardo redigeva un atto unilaterale di
riconoscimento di debito, dichiarando per iscritto di aver ricevuto
da Elisabetta Santi, fino a quella data, la somma di euro 63.713,00 a
titolo di prestito e di impegnarsi alla restituzione di quanto
ricevuto, oltre indicizzazione al saggio di incremento annuo del
valore degli immobili registrato nella provincia di Firenze; la
scrittura, infine, escludeva espressamente che quel trasferimento di
denaro rappresentasse l'esecuzione, da parte dell'attrice, di
un'obbligazione naturale ex art. 2034 del codice civile,
riconducibile al rapporto di convivenza tra esse esistente.
1.3. Nel corso della relazione, poi, parte attrice contribuiva
all'acquisto di gommoni o parti di questi da parte del compagno, il
quale intestava a se' i natanti; in particolare, parte attrice
rappresentava di aver pagato euro 11.000,00 il 13 luglio 2007 per un
primo gommone, euro 6.800,00 il 25 luglio 2008 per un motore Suzuki
ed euro 3000,00 il 12 luglio 2013 a perfezionamento di una permuta
relativa ad altro gommone, producendo i documenti bancari da cui si
evincevano i relativi bonifici.
1.4. Parte attrice, inoltre, contribuendo all'arredo della comune
abitazione (di proprieta' del solo convenuto), acquistava un letto
per euro 2.950,00, con assegni del 18 aprile 2009 e del 28 maggio
2009, e un armadio per euro 3.600,00 il 6 aprile 2011.
1.5. La coppia, dopo aver trascorso insieme oltre un decennio di
vita comune, caratterizzata anche da intensa condivisione di progetti
esistenziali fra i quali il desiderio di mettere al mondo dei figli,
non realizzatosi in ragione di tre interruzioni di gravidanza
avvenute per cause naturali fra il 2009 e il 2012, entrava in crisi
nel novembre del 2015. Il tentativo di salvare la coppia naufragava
definitivamente il 3 novembre 2016, quando il convenuto metteva alla
porta la compagna dalla casa comune.
1.6. Sin dall'interruzione della convivenza, parte attrice
provvedeva a richiedere la restituzione di quanto prestato al
convenuto e di quanto per conto di questi pagato. Stante
l'inadempimento, inviava quindi a quest'ultimo una prima raccomandata
il 30 giugno 2017 chiedendo la restituzione di euro 63.713,00, di
ulteriori euro 11.000 relativi all'acquisto di un gommone e dei beni
personali rimasti all'interno della casa del Giallombardo, prima
destinata a comune abitazione. Tale richiesta veniva reiterata con
raccomandata del 12 luglio 2018, alla quale faceva seguito il 15
novembre missiva del legale di parte attrice avente analogo
contenuto.
L'ulteriore inerzia di Giallombardo spingeva parte attrice ad
adire questo Tribunale.
1.7. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale in primo
luogo, riconosceva di aver ricevuto la somma di euro 63.713,00 da
parte attrice e che tale trasferimento fosse avvenuto a titolo di
mutuo. Veniva riconosciuta, altresi', la scrittura privata di
riconoscimento del debito da questo sottoscritta in data 16 marzo
2006. Eccepiva, tuttavia, l'intervenuta prescrizione del relativo
diritto di credito restitutorio. Medesima eccezione veniva sollevata
con riferimento ai crediti restitutori relativi ai pagamenti
effettuati per l'acquisto dei gommoni per la somma, rispettivamente,
di euro 11.000,00 ed euro 3.000,00. Quanto alle ulteriori domande, il
convenuto contestava la prova di alcuni pagamenti, rilevava, in
generale, che essi dovessero essere qualificati come adempimenti di
obbligazioni naturali (soggetti a soluti retentio) e che, in ogni
caso, i relativi crediti andrebbero dichiarati estinti per
compensazione a fronte delle ingenti spese sostenute per il
sostentamento del menage familiare.
1.8. Parte convenuta contestava, infine, che l'interruzione della
relazione si collocasse, temporalmente, nel novembre 2016, atteso che
la coppia si era lasciata definitivamente nel giugno 2016, pur
rimanendo separata in casa sino al successivo mese di novembre.
1.9. La causa, istruita documentalmente e mediante prova
testimoniale, e' stata trattenuta in decisione all'udienza del 17
dicembre 2024, assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190
del codice di procedura civile.
E' stata poi rimessa sul ruolo al fine di attivare il
contraddittorio tra le parti in merito alla questione di legittimita'
costituzionale che oggi si solleva, trattandosi di questione rilevata
d'ufficio.
Osservato in diritto
2. Ai fini del decidere e' rilevante la disciplina dettata in
materia di cause di sospensione della prescrizione dei diritti in
ragione della relazione esistente fra il titolare del diritto e il
soggetto passivo e, in particolare, le regole sancite dagli articoli
2941, n. 1, del codice civile e (occorrendo) 1 comma 18 della legge
20 maggio 2016, n. 76 in relazione alla sospensione del termine tra
coniugi e uniti civilmente.
2.1. L'erogazione della somma di euro 63.713,00 da parte di
Elisabetta Santi a favore di Marco Giallombardo va infatti senza
dubbio ricondotta allo schema del contratto di mutuo. La natura
titolata della - pacifica tra le parti - ricognizione di debito del
16 marzo 2006, ove si fa riferimento ad un «prestito», e l'impegno di
Marco Giallombardo a restituire la somma di denaro a Elisabetta
Santi, per di piu' indicizzando il quantum da restituire all'indice
di incremento annuo del valore degli immobili registrato nella
provincia di Firenze, rende impossibile una diversa qualificazione.
L'atto del 16 marzo 2006, infatti, e' idoneo ex art. 1988 del codice
civile a produrre un'astrazione processuale della causa del rapporto
fondamentale, dispensando il creditore dal normale onere probatorio
circa l'esistenza del proprio titolo, pur consentendo al debitore di
contrastare la presunzione mediante la prova del deficit causale. Si
tratta di una prova contraria mai fornita dall'odierno convenuto, il
quale, al contrario, non ha mai negato, ma anzi ha confermato, di
aver ricevuto quella somma a titolo di mutuo e di essere tenuto
quindi alla sua restituzione.
Inoltre, nella stessa scrittura le parti, a conferma ulteriore
della pacifica qualificazione giudica di cui sopra, hanno
significativamente tenuto a specificare, al fine di escludere che la
dazione di denaro fosse sorretta da animus solvendi, o che fosse
giustificata da animus donandi, che «il sottoscritto (Marco
Giallombardo) dichiara altresi' che l'obbligazione di cui sopra non
rientra nel novero di quelle di cui all'art. 2034 del codice civile».
In assenza di altro documento comprovante o inglobante il titolo
contrattuale, in particolare, bisogna ritenere che le parti abbiano
concluso il contratto di mutuo oralmente e che solo la relativa
obbligazione restitutoria sia stata in seguito riconosciuta per
iscritto dal convenuto.
2.2. Dal titolo, dall'atto di ricognizione di debito e dalle
allegazioni delle parti non e' possibile ricavare un termine previsto
per l'adempimento dell'obbligazione restitutoria incombente sul
Giallombardo. Soccorre l'art. 1817 del codice civile (ricalcante per
molta parte, in sede di mutuo, la supplenza giudiziale sancita in
generale dall'art. 1183 del codice civile), il quale consente al
mutuante di ricorrere al giudice affinche' fissi il termine per
l'adempimento.
L'eventuale spostamento in avanti del termine di adempimento ad
opera del giudice non incide, tuttavia, sul decorso del termine di
prescrizione. Il diritto vivente in materia e' risalente e granitico
nel sostenere che «condizione necessaria e sufficiente perche' la
prescrizione decorra e' che il titolare del diritto pur potendo
esercitarlo si astenga da tale esercizio, rilevando peraltro a tale
fine solo la possibilita' legale e non influendo per contro, salve le
eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilita' di fatto di agire
in cui il detto titolare venga a trovarsi (Cass., 3 giugno 1997, n.
4939). Il diritto di credito, ancorche' non ancora esigibile per
mancata fissazione del tempo dell'adempimento, da stabilirsi per
accordo delle parti, puo' essere esercitato, in caso di mancato
accordo, attraverso il ricorso del creditore al giudice ex art. 1183
del codice civile, comma 2, con la conseguenza che l'inerzia del
creditore - ossia la mancanza del ricorso giudiziale o della
sollecitazione al debitore - determina il decorso della prescrizione
ex art. 2935 del codice civile fin dal momento in cui il diritto e'
sorto (Cass., 14 marzo 1986, n. 1731)» (Cass. Civ., Sez. III, 19
giugno 2009, n. 14345). Pertanto, ancorche' non sia previsto un
termine per la restituzione della somma mutuata, incombendo al
mutuante l'onere di attivare la procedura di cui all'art. 1817 del
codice civile, quale presupposto per l'azione di restituzione, il
corso della prescrizione decorre dal giorno della stipula del
contratto di mutuo (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15 gennaio 2020,
ordinanza n. 732), ovvero dal successivo atto interruttivo che sia
tempestivo.
2.3. Tanto premesso, nel caso di specie l'ultimo atto
interruttivo utile che emerge dall'istruttoria e' quello del 16 marzo
2006, quando il debitore ha come detto riconosciuto il proprio debito
(art. 2944 del codice civile); pertanto, tale credito andrebbe
dichiarato estinto per l'utile eccezione di prescrizione
tempestivamente formulata dal convenuto. Gli ulteriori atti
astrattamente interruttivi compiuti dalla creditrice tra il 2017 e il
2020 risulterebbero, cosi', tardivi, in quanto realizzati dopo lo
spirare del termine di prescrizione, ossia dopo il 16 marzo 2016.
L'applicazione dell'attuale disciplina legale comportera',
dunque, l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dal
convenuto e, conseguentemente, il rigetto di alcune delle domande
restitutorie formulate dall'attrice, e cio' atteso che l'ordinamento
non assume la stabile convivenza con vincolo di affettivita' come
causa di sospensione del termine di prescrizione.
Se la disciplina dettata dagli articoli 2941 n. 1 del codice
civile e 1, comma 18, legge n. 76/2016 (per quanto, occorre
osservare, l'entrata in vigore della predetta disciplina si ponga
nella parte terminale della relazione more uxorio intercorsa tra le
parti) fosse applicabile al caso di specie, il corso della
prescrizione risulterebbe invece sospeso sin dall'origine del diritto
di credito per cui e' causa, poiche' sorto in costanza di convivenza,
fino al giugno/novembre del 2016. Cosi' individuato il dies a quo da
cui calcolare il termine prescrizionale ordinario, sarebbero
tempestivi gli atti interruttivi realizzati prima di tale periodo da
parte attrice, a seguito della cessazione della relazione e della
convivenza.
Ed infatti, non vi e' dubbio che le due parti in causa fossero
definibili in termini di «conviventi di fatto», intendendosi come
tali «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi
di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (figura ormai
anche normativamente riconosciuta: art. 1, comma 36, della legge n.
76 del 2016). Come esposto nella parte in fatto, essi infatti hanno
per lunghi anni coltivato un progetto di vita comune, caratterizzato
da stabile convivenza e coabitazione nonche' dal concreto e ripetuto
tentativo, pur non riuscito, di procreare.
2.4. Ne consegue che il giudizio principale non e' definibile
indipendentemente dalla risoluzione della questione di
costituzionalita', rilevata d'ufficio, degli articoli 2941 n. 1 del
codice civile e (occorrendo) 1, comma 18, legge n. 76/2016, in
relazione agli articoli 2 e 3 della Costituzione nella parte in cui
non parificano, ai fini della sospensione della prescrizione, i
soggetti stabilmente conviventi con vincoli di affettivita' ai
coniugi e agli uniti civilmente e, comunque, per contrariera'
all'art. 3 della Costituzione in ragione della manifesta
irrazionalita' della scelta legislativa di non disporre la
sospensione della prescrizione fra conviventi stabili e legati da
vincoli di affettivita', pur in presenza di interessi meritevoli di
protezione (art. 8-9 Cedu).
Di qui la rilevanza della questione.
3. In verita' una questione di legittimita' costituzionale
sull'art. 2941, n. 1 del codice civile, per contrasto con gli
articoli 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui
irragionevolmente esclude la sospensione della prescrizione in
costanza di stabile convivenza, e' gia' stata prospettata alla Corte
costituzionale e da questa dichiarata infondata con sentenza n. 2 del
1998. Tuttavia il mutamento del contesto sociale e valoriale, da una
parte, e l'evoluzione dell'ordinamento giuridico sul piano
legislativo, costituzionale e sovrannazionale, dall'altra, hanno
fatto emergere ulteriori e piu' pregnanti elementi che il Tribunale
ritiene debbano essere sottoposti al vaglio di legittimita'
costituzionale.
Il rigetto della precedente questione di costituzionalita',
sollevata dal Tribunale di Bolzano con ordinanza del 3 maggio 1996,
e' motivato, anzitutto, a partire dall'inadeguatezza della famiglia
legittima a fungere da valido tertium comparationis per la famiglia
di mero fatto, attesa la disciplina legale e la stabilita' del
rapporto che connotano la prima, e non anche la seconda.
Il quadro di riferimento e' tuttavia radicalmente mutato sia dal
punto di vista sociale che dal punto di vista normativo.
Di tali radicali mutamenti, del resto, ha dato piu' volte atto la
stessa Corte costituzionale, da ultimo con la decisione n. 148 del
2024, che in questa sede integralmente si richiama.
3.1. L'accostarsi alla questione dello standard di tutela
costituzionale della famiglia impone sempre all'interprete di
confrontarsi con concetti di chiara matrice sociale e sociologica,
quali il costume sociale, la cultura e la coscienza sociale (concetti
ampiamente evocati dalla giurisprudenza costituzionale; cfr. Corte
costituzionale, sentenze n. 1 del 2022, n. 221 del 2019 e n. 174 del
2016). Da questo confronto e dalla relativa analisi pare emergere una
dequotazione sociale delle differenze intercorrenti fra coniugi e
conviventi stabili. E' chiaro, sotto questo profilo, come l'istituto
matrimoniale - oggetto di primaria tutela nell'art. 29 della
Costituzione, non rappresenti piu' l'unico strumento per i consociati
per dare rilievo giuridico ad un'unione familiare e neppure l'unico
congegno per fondare una famiglia dotata del carattere della
stabilita'.
3.2. Alla luce di cio' la giurisprudenza, civile e penale, di
merito e di legittimita', ha avviato un'opera di rivisitazione
interpretativa di plurimi istituti e disposizioni legislative al fine
di affermare interpretazioni estensive o coltivare applicazioni
analogiche (ove consentite), in guisa da equiparare coniugi e
conviventi di fatto. Cio' appunto allo scopo di elidere irragionevoli
disparita' di trattamento, incompatibili con la Carta costituzionale,
di fronte a disposizioni di legge dettate ad altri fini, ossia con
finalita' diverse da quelle di regolazione del rapporto, ma che
assumevano il rapporto affettivo sottostante al matrimonio come
elemento e ratio della produzione di un certo effetto giuridico.
Il riferimento va, in primo luogo, alla giurisprudenza di
legittimita' (Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 20647) che ha
equiparato, peraltro in malam partem, i conviventi more uxorio ai
membri della famiglia ai fini dell'applicabilita' dell'art. 572 del
codice penale (prima della modifica del testo in senso estensivo da
parte dell'art. 4 della legge 1° ottobre 2012, n. 172).
In secondo luogo, la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha, in
definitiva, applicato analogicamente agli stabili conviventi la
scusante che l'art. 384 del codice penale riserva ai «prossimi
congiunti», pur in presenza di una norma definitoria, sancita
dall'art. 307, comma IV del codice penale, che escludeva chiaramente
detti conviventi dal concetto di prossimo congiunto (Cass. Pen., Sez.
Un., 26 novembre 2020, n. 10381). In terzo luogo si veda
l'orientamento costante in tema di ammissione al patrocinio a spese
dello Stato, ove la giurisprudenza di legittimita' computa tra i
redditi dei familiari anche quello del convivente (cfr. Cass. Civ.
Sez. IV, 26 ottobre 2005, n. 109). Infine, e' il caso di rammentare
il pacifico orientamento che ha sancito una equiparazione completa
del convivente stabile al coniuge in tema di risarcimento del danno
patito dalla c.d. «vittima secondaria», ossia per la lesione da
perdita del rapporto parentale. Anche le tabelle elaborate in via
pretoria e costantemente seguite dalla giurisprudenza di merito
attribuiscono il medesimo valore del cd. «punto base» per la
liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del rapporto
parentale quando a morire sia il coniuge e il convivente stabile;
cio' dimostra, anche in una materia ove si fa specifica attuazione
del principio dell'equita' (art. 1226 del codice civile, richiamato
in sede aquiliana dall'art. 2056 del codice civile) e, dunque, del
principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che il
rapporto affettivo non puo' essere distinto per l'essere o meno
rivestito dal vincolo matrimoniale.
L'espansione della nozione di famiglia, volta a ricomprendere in
se' qualsiasi consorzio di persone tra le quali, per strette
relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza
e di solidarieta' per un apprezzabile periodo di tempo, nel rispetto,
dunque, anche delle istanze di liberta' della persona nella scelta
del tipo di famiglia da fondare e di cui far parte, e' stata ispirata
anche dalle fonti sovranazionali. Sebbene, infatti, la Convenzione
europea dei diritti dell'uomo non pare possa essere in questa sede
invocata come autentico parametro interposto ai sensi dell'art. 117,
comma I, della Costituzione, in ragione del margine di apprezzamento
che la giurisprudenza di Strasburgo riconosce ai legislatori
nazionali in materia di regolamentazione dei menage familiari, questa
fonte ha un rilievo nel porre in luce la disparita' di trattamento
che si va censurando. L'art. 8 Cedu, come interpretato dalla
giurisprudenza convenzionale, infatti, accoglie senza dubbio nel suo
perimetro di tutela tutti i legami di fatto, caratterizzati da
affettivita' e pregnanza, fondati su una stabile convivenza; la
famiglia, secondo l'impostazione europea, e' dunque quella legittima
(legale), quella naturale e quella di fatto, socialmente equiparata
alle altre forme di famiglia (cfr., Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx
c. Belgio; Corte EDU, 26 maggio 1994, Keegan c. Irlanda; Corte EDU, 5
gennaio 2010, Jaremowicz c. Polonia; Corte EDU, 27 aprile 2010,
Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 24 giugno 2010, Schalk and
Kopf c. Austria; Corte EDU, 21 luglio 2015, Oliari ed altri c.
Italia).
Ulteriore significativa fonte e' rappresentata dalla Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (approvata dal Parlamento
europeo il 14 novembre 2000, formalmente proclamata a Nizza il 7-8
dicembre 2000 e giuridicamente equiparata ai Trattati ex art. 6, par.
1, TUE).
L'art. 9 - differenziandosi da comparabili disposizioni
sovrannazionali e internazionali - sancisce separatamente il diritto
di fondare una famiglia e il diritto di sposarsi, svincolando la
nozione eurounitaria di famiglia dall'istituto matrimoniale. Cio'
consente di ritenere le altre norme comunitarie espresse a garanzia
della famiglia riferite ad ogni forma di famiglia, anche se sguarnita
del vincolo coniugale. In questo senso, di centrale rilievo e' l'art.
33 CDFUE, a mente del quale «e' garantita la protezione della
famiglia sul piano giuridico, economico e sociale».
Da cio' puo' dedursi che il tradizionale monopolio del matrimonio
nell'ambito della tutela giuridica della famiglia abbia lasciato il
passo ad un nuovo paradigma, per il quale tutte le forme di
convivenza stabile, connotate da significativi rapporti affettivi e
da condivisione di un progetto di vita comune, godono di pari
dignita', salva una puntuale e diversa regolamentazione del
matrimonio, inteso come atto e come rapporto giuridico. Non pare
ammissibile, pertanto, una disparita' di trattamento allorche' a
venire in rilievo sia una norma che assume, specie alla luce della
sua ratio legis, ad elemento costitutivo della fattispecie il
rapporto di fatto sottostante intercorrente tra partner; cio' e'
quanto avviene nel caso della sospensione della prescrizione, ove
l'impedimento soggettivo a compiere atti interruttivi del termine si
fonda su ragioni sostanziali e non meramente formali.
3.3. Sul piano generale, la differente disciplina applicabile ai
coniugi e ai conviventi e' stata giustificata, in alcune occasioni,
da risalente giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenze n.
121 del 2004, n. 8 del 1996 e n. 2 del 1998) evidenziando il
carattere della stabilita' del vincolo coniugale, non equiparabile ad
alcun altro vincolo di affettivita' fra partner. Tali pronunciamenti
non appaiono piu', tuttavia, del tutto attuali in ragione del mutato
contesto normativo.
In primo luogo «la stabilita' del rapporto, con il venire meno
dell'indissolubilita' del matrimonio, non costituisce piu' una
caratteristica assoluta e inderogabile ed anzi spesso caratterizza
maggiormente unioni non fondate sul matrimonio» (Cass. Pen., Sez. II,
30 aprile 2015, n. 34147). La perdita di stabilita' dello status
coniugale, del resto, non e' tanto e solo il frutto dell'introduzione
nell'ordinamento italiano dell'istituto del divorzio (il quale ha
origini ormai risalenti nel tempo), ma e' il risultato di una
accentuata facilitazione della cessazione degli effetti civili del
matrimonio, coerentemente col mutare del sentire sociale. In disparte
il problema della tutela della prole (il quale si pone parimenti
anche per le coppie non coniugate) e porgendo lo sguardo
esclusivamente sul vincolo coniugale, l'accesso al divorzio e' stato
oggetto di una progressiva semplificazione: i coniugi possono
procedere a separazione e divorzio mediante negoziazione assistita o
accordo concluso innanzi all'ufficiale di stato civile (articoli 6 e
12, decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito con
modificazioni dalla legge 10 novembre 2014, n. 162; oggetto di
significativo ampliamento per mezzo della legge 26 novembre 2021 n.
206), avendo assunto il controllo giudiziale carattere eventuale e
sussidiario; quanto al fattore temporale, da una parte il legislatore
ha ridotto sensibilmente il tempo che necessariamente deve
intercorrere tra la separazione dei coniugi e la cessazione degli
effetti civili del matrimonio (da tre anni a sei mesi in caso di
separazione consensuale e ad un anno in caso di separazione
giudiziale); dall'altra, ha da ultimo consentito di proporre
congiuntamente la domanda giudiziale di separazione e quella di
divorzio (art. 473-bis.49. del codice di procedura civile),
garantendo particolare speditezza alla procedura di scioglimento del
vincolo coniugale.
In secondo luogo, il connotato della stabilita' non e' estraneo
ad altri moduli familiari. Anche l'unione civile fra persone dello
stesso sesso infatti, sebbene non conosca in fase di cessazione una
fase di «quiescenza» dello status para-coniugale assimilabile alla
separazione fra coniugi, non appare affatto sguarnita di stabilita',
attesa la pregnanza dei doveri patrimoniali e non patrimoniali che
dall'unione discendono sulle parti. Ne e' testimone la sentenza n. 66
del 2024 della Corte costituzionale la quale, ancorche' non
rappresenti una pronuncia simmetrica alla sentenza n. 170 del 2014,
sancisce l'illegittimita' costituzionale dello scioglimento, de
plano, del vincolo fra le parti dell'unione civile in caso di
rettificazione di sesso di uno degli uniti.
Non potrebbe, peraltro, utilmente obiettarsi che la peculiare
stabilita' del rapporto coniugale trovi la sua giustificazione
nell'obbligo di fedelta', non previsto per le altre forme familiari.
La dottrina, gia' in sede di primo commento alla legge 20 maggio
2016, n. 76 (regolamentazione delle unioni civili tra persone dello
stesso sesso e disciplina delle convivenze), ha avuto occasione di
svalutare la rilevanza giuridica di questa mancata previsione. Da una
parte e' stato osservato che, poiche' la fedelta' e' sempre piu'
intesa come sinonimo di fedelta' morale e assistenziale, mantenendo
invece un secondario rilievo la componente di fedelta' sessuale
legata al momento riproduttivo, e' innegabile che anche gli altri
tipi familiari conoscano, ancorche' con diversita' di accenti, un
dovere di fedelta'. Dall'altra, si e' evidenziato che non e' impedito
ai partner non coniugati di concludere negozi personali, espressivi
di un libero e revocabile consenso, che sanciscano fra loro un
autentico e pregnante dovere di fedelta'.
Ad ogni buon conto, a ben riflettere, tutti i tipi di menage
familiare godono del connotato della stabilita', in quanto questa
rappresenta un elemento costitutivo della famiglia, della
«fattispecie familiare»: in altri termini, senza stabilita' non v'e'
rapporto familiare.
Il vincolo matrimoniale, senza dubbio, appare quello dotato di
maggior resistenza e, quindi, risulta il piu' stabile nel novero dei
vincoli fra partner; tuttavia, il solo dato dell'accentuata
stabilita' del rapporto non puo' costituire un valido e dirimente
argomento per negare una equiparazione fra coniugi e conviventi in
tema di sospensione della prescrizione.
Lo stesso legislatore mostra di non considerare piu' il dato
della eccezionale stabilita' coniugale quale elemento essenziale a
giustificare la sospensione della prescrizione atteso che l'art. 1,
comma 18, legge n. 76/2016 estende la disciplina dell'art. 2941 del
codice civile alle parti dell'unione civile, disponendo che tra di
queste il corso della prescrizione resti sospeso.
3.4. Ad ulteriore testimonianza del mutato contesto sociale e
normativo rispetto a quello innanzi al quale si ebbe a pronunciare la
Corte costituzionale con la sentenza n. 2 del 1998, si pensi al caso
della sospensione della prescrizione fra coniugi separati. Forte del
tenore testuale dell'art. 2941 n. 1 del codice civile la
giurisprudenza piu' risalente (Cass. Civ., Sez. I, 19 giugno 1971, n.
1883) applicava la citata causa di sospensione della prescrizione
anche all'ipotesi di coniugi legalmente separati. La carenza di
giustificazione aveva indotto parte della giurisprudenza a dubitare
della legittimita' costituzionale della norma in parola; nondimeno la
Corte costituzionale, sull'assunto che in caso di separazione
personale lo status coniugale non viene meno, ma si attenua o entra
in una sorta di fase di quiescenza, ha ritenuto non irrazionale la
scelta legislativa per come interpretata nell'allora diritto vivente
(Corte cost., sentenza n. 35 del 1976). Ciononostante, la
giurisprudenza di legittimita' in tempi piu' recenti ha iniziato a
revocare in dubbio la coerenza di quell'interpretazione letterale,
giungendo ad affermare un netto revirement nel 2014. La Suprema
Corte, infatti, pur al cospetto del citato e risalente pronunciamento
del Giudice delle leggi, ha espunto in via interpretativa i coniugi
separati dal campo di applicabilita' dell'art. 2941 n. 1 del codice
civile, evidenziando come debba «prevalere sul criterio ermeneutico
letterale un'interpretazione conforme alla ratio legis, da
individuarsi tenuto conto dell'evoluzione della normativa e della
coscienza sociale e, quindi, della valorizzazione delle posizioni
individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione
dell'unita' familiare [...]. Nel regime di separazione, infatti, non
puo' ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il
coniuge, collegata al timore di turbare l'armonia familiare, poiche'
e' gia' subentrata una crisi conclamata e sono gia' state esperite le
relative azioni giudiziarie [...] (Cass., n. 7981/14; ordinanza n.
18078/14; n. 8987/16)» (cosi', Cass. Civ., Sez. I, 14 dicembre 2018,
ordinanza n. 32524).
Alla luce della ratio legis e del profondo mutamento sociale e
normativo che ha coinvolto il fenomeno della famiglia, l'esigenza di
non turbare l'armonia familiare mediante l'imposizione di atti
interruttivi della prescrizione, aventi per lo piu' carattere
contenzioso, non puo' che sussistere identica anche in relazione alle
famiglie di fatto. Non vi e' alcuna differenza, sotto questo profilo,
fra una coppia di sposati e una coppia di stabili conviventi: tutti
patiscono equamente la riluttanza nel convenire in giudizio il
proprio partner (o anche solo prospettare una simile possibilita').
Tanto e' vero che nel caso di specie, ed in pratica in tutti i
casi similari, gli atti interruttivi della prescrizione vengono
significativamente posti in essere (soltanto) all'esito della
cessazione della convivenza more uxorio e della coabitazione.
Quale che sia il modello familiare, l'esigenza di conservazione
dell'unita' familiare ha pari dignita' sociale, costituzionale e
sovranazionale e quindi pretende la medesima disciplina.
4. Un ultimo vaglio di merito circa la legittimita' della opzione
legislativa di escludere la convivenza di fatto fra le situazioni che
danno luogo a sospensione della prescrizione deve essere condotto con
riferimento al tema della certezza dei rapporti giuridici cui fa da
contraltare, per quel che in questa sede rileva, la certezza circa le
cause di sospensione della prescrizione, come evocato anche dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 2 del 1998.
4.1. Tale certezza non sussisterebbe con riferimento alle
convivenze di fatto, poiche' tanto l'avvio quanto l'interruzione
della convivenza familiare sono connotati da elementi, si' oggettivi,
ma privi di qualunque formalismo (salvo quanto potrebbe dirsi per le
cd. convivenze registrate, come successivamente introdotte dal
legislatore). Cionondimeno, l'estensione della sospensione anche ai
conviventi non appare affatto in contrasto con la ratio dell'istituto
della prescrizione, la quale rende chiaro come le esigenze di evitare
vincoli perpetui e di assicurare certezza nelle relazioni giuridiche
siano prevalenti sull'istanza di conservazione della sfera giuridica
patrimoniale del titolare del diritto solo allorche' quest'ultimo
ometta di compiere atti di esercizio del diritto per sostanziale
disinteresse.
Il mancato esercizio del diritto non puo' mai essere espressivo
di suddetto disinteresse nell'ipotesi di impossibilita' giuridica di
compiere atti d'esercizio del diritto medesimo. A mente dell'art.
2935 del codice civile, infatti, la prescrizione comincia a decorrere
dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere e tale
possibilita' e' stata intesa dalla giurisprudenza costante solo nel
senso di possibilita' giuridica, sicche' la prescrizione non decorre
solo ove il titolare sia giuridicamente impedito nell'esercizio del
diritto (cfr. Cass. Civ., Sez. L, 24 maggio 2021, ordinanza n.
14193). Cosi' delineata la regola generale, il legislatore ha poi
previsto alcune cause di sospensione della prescrizione nell'ipotesi
in cui il titolare del diritto, pur giuridicamente in grado di
esercitarlo, si trovi fattualmente o moralmente ostacolato nel suo
esercizio in ragione della sussistenza di peculiari rapporti
giuridici. Cosi', unanimemente la giurisprudenza qualifica le ipotesi
di sospensione declinate dall'art. 2941 del codice civile come
eccezionali, tassative ed insuscettibili di interpretazione
estensiva, avendo il legislatore selezionato specificatamente gli
impedimenti soggettivi rilevanti ai fini della sospensione del
termine (cfr. Cass. Civ., Sez. VI-lav., 8 maggio 2018, ordinanza n.
11004; Cass. Civ., Sez. III, 6 ottobre 2014, n. 21026, Cass. Civ.,
Sez. I, 12 giugno 2007, n. 13765 Cass. Civ., Sez. L, 6 ottobre 2000,
n. 13310). Tale impostazione risulta confortata in dottrina, nonche'
coerente con ulteriori indici normativi, fra i quali particolarmente
significativo e' l'art. 247 disp. att. cod. civ.
Si tratta, dunque, di ipotesi selezionate discrezionalmente dal
legislatore. Tuttavia, nel caso dei conviventi stabili, l'omessa
inclusione fra le cause di sospensione appalesa un impiego
irrazionale della potesta' legislativa e, a ben vedere,
discriminatorio al cospetto delle altre ipotesi omogenee ad essa
raffrontabili.
4.2. L'istituto della prescrizione e la disciplina delle cause di
interruzione e di sospensione del termine prescrizionale, anche al
fine di garantire certezza nei rapporti giuridici, si giovano di dati
oggettivi temporalmente certi. Sovente tali dati sono rafforzati dal
rilievo formale che riveste il relativo atto, ma questo e' un
elemento niente affatto essenziale.
Basti pensare all'ipotesi di cui al n. 8 dell'art. 2941 del
codice civile che, richiedendo la prova della sussistenza del dolo e,
soprattutto, del giorno della sua scoperta, dimostra plasticamente
che il legislatore non richiede come elemento indefettibile delle
cause di sospensione la certezza ex ante del periodo di sospensione,
da ricavare da dati formali. Inoltre il n. 7 dell'art. 2941 del
codice civile, come esteso dalla sentenza n. 262 del 2015 della Corte
costituzionale, accoglie ipotesi di sospensione non sempre
caratterizzate da elementi formali. La disposizione, infatti, e'
stata dichiarata illegittima nella parte in cui non prevedeva che la
prescrizione fosse sospesa tra la societa' in nome collettivo e i
suoi amministratori, finche' sono in carica, per le azioni di
responsabilita' contro di essi; sicche' anche il n. 7 diviene ipotesi
idonea ad essere applicata ad una situazione che puo' avere un
esclusivo rilievo fattuale non formale, oggetto di normale prova in
giudizio, poiche' il citato tipo societario puo' costituirsi anche
per facta concludentia (cd. s.n.c. di fatto), e quindi la relativa
causa di sospensione dipende da elementi di fatto che devono essere
oggetto di accertamento.
Ancora in tema di diritti reali gli atti di esercizio del diritto
(che producono il medesimo effetto dell'interruzione della
prescrizione) si estrinsecano normalmente sul piano fattuale. Puo'
farsi riferimento in via esemplificativa agli atti di esercizio del
diritto di servitu' prediale, che comportano il decorso ex novo del
termine di prescrizione in ragione di meri atti di passaggio,
espressivi dell'esercizio della facolta' di godimento riconnesse al
diritto reale minore. Si puo', inoltre, fare menzione
dell'orientamento dottrinale e giurisprudenziale che, in virtu' del
principio di liberta' delle forme, ritiene non necessaria la forma
scritta del riconoscimento di debito, il quale e' atto idoneo ad
interrompere la prescrizione ex art. 2944 del codice civile; la
possibilita' di compiere oralmente un atto di ricognizione di debito
e' confortata anche dall'argomento storico-diacronico, poiche'
nell'attuale codice civile nessuna forma viene prescritta all'atto di
cui all'art. 1988 del codice civile, mentre nel previgente codice
civile del 1865, all'art. 1325, si richiedeva la forma scritta ad
substantiam. E' chiaro, allora, come il sistema ammetta pacificamente
atti che hanno l'effetto di azzerare il termine di prescrizione pur
avendo una dimensione eminentemente fattuale o pur essendo compiuti
oralmente.
Non si ravvisano, tuttavia, serie ragioni per distinguere in
maniera netta queste ipotesi e le cause di sospensione della
prescrizione. Al contrario, se gli atti che comunque comportano
l'inizio di un nuovo periodo di prescrizione possono essere
costituiti da atti privi di carattere formale idoneo ad assicurare
certezza ex ante nel calcolo del termine prescrizionale, a fortiori
cio' dovrebbe poter valere per l'istituto della sospensione della
prescrizione, atteso che questa comporta un mero congelamento del
termine.
4.3. Non si ravvisa, pertanto, un'intima connessione tra criteri
formali idonei a garantire certezza temporale della sospensione della
prescrizione e cause sospensive, sia alla luce di tutte le ipotesi di
sospensione conosciute dall'ordinamento, nonche' del collaterale
istituto della interruzione della prescrizione, sia avuto riguardo
alla stessa ratio giustificatrice dell'estinzione dei diritti per
decorso del termine di prescrizione. L'estensione, dunque, della
disciplina dell'art. 2941 del codice civile all'ipotesi delle
convivenze di fatto, postula un accertamento giudiziale sull'inizio
della stabile convivenza sorretta da vincolo di affettivita' e sulla
cessazione di questa, che non appare incompatibile col sistema. Del
resto, una volta accertato che il credito e' sorto, l'onere
probatorio del convivente-debitore convenuto in giudizio riguarda
solo l'avvenuta decorrenza del termine, spettando al
convivente-creditore, che abbia agito per ottenere l'adempimento,
dimostrare che prima che il termine spirasse fossero intervenuti atti
interruttivi o cause sospensive della prescrizione. Pertanto, in caso
di incertezza, in ossequio alle regole generale di cui all'art. 2697
del codice civile ricadrebbe sul convivente-creditore il rischio di
non aver dimostrato compiutamente l'esistenza e l'esatta durata della
convivenza; conseguentemente, ove permanga un dubbio processualmente
rilevante sul momento di inizio e su quello di fine della convivenza,
il giudicante dovra' considerare sospeso il termine di prescrizione
solo nel segmento temporale in cui sia certo che la stabile
convivenza connotata da vincolo di affettivita' era effettiva.
4.4. Il tenore testuale dell'art. 2941 n. 1 del codice civile (e
con esso, poi, dell'art. 1, comma 18, legge n. 76/2016) produce una
illegittima discriminazione fra coniugi (e uniti civilmente) e
conviventi poiche' le ragioni che giustificano la sospensione
intraconiugale ricorrono in maniera eguale nei rapporti fra
conviventi. La ratio della norma e' quella di dare rilievo alla
sostanziale inesigibilita' di comportamenti interruttivi della
prescrizione che si renderebbero necessari al fine di tutelare la
pienezza dei diritti che un coniuge vanta nei confronti dell'altro;
l'interruzione del termine, infatti, salva l'ipotesi del
riconoscimento del debito, si avrebbe solo con atti aventi carattere
contenzioso (art. 2943 del codice civile) che, come tali, risultano
certamente in conflitto con il normale svolgersi delle relazioni di
convivenza familiare. In altri termini, e' al fine di scongiurare il
rischio di imporre nei rapporti fra partner il compimento di atti di
«frizione» o di contrasto, che il legislatore ha disposto che il
termine prescrizionale non decorra in costanza di matrimonio, sicche'
anche in assenza di atti interruttivi i diritti vantati verso l'altro
risultino salvaguardati in caso di cessazione del rapporto. Solo
quando la crisi della coppia sia conclamata, vi sia sostanziale
separazione e cessazione della affectio, allora puo' venire meno il
timore di turbare l'armonia familiare e diviene nuovamente
pretendibile il compimento di atti interruttivi della prescrizione.
Appare dunque chiaro che quel che rileva non e' tanto la veste
formale, ma la consistenza sostanziale del rapporto
affettivo-familiare che lega titolare del diritto e soggetto passivo
dello stesso, caratterizzato da stabilita' e coabitazione. Si tratta
di un rapporto che e' oggetto di sicura garanzia costituzionale e
sovranazionale e che appare omogeno ed indistinguibile a prescindere
dalle formalita' del vincolo che lega le due persone. E' del resto
ormai un dato acquisito nella giurisprudenza che vi sia sostanziale
identita' delle relazioni sentimentali, affettive e familiari, fra
coniugi e fra conviventi (in questo senso, cfr. Cass. Pen., Sez. Un.,
26 novembre 2020, n. 10381).
Si ravvisa, pertanto, l'omogeneita' delle fattispecie poste a
raffronto e la pari riferibilita' alle stesse della ratio legis della
norma censurata, sicche' l'esclusione degli stabili conviventi
dall'ambito applicativo della norma denunciata appare priva di
ragionevole giustificazione e, conseguentemente, lesiva del principio
di eguaglianza.
5. La violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione da parte
dell'omessa previsione della sospensione della prescrizione fra
conviventi appare, dunque, non manifestamente infondata.
5.1. Non e' utilmente esperibile un'interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme censurate.
Pur al cospetto del sopraesposto orientamento giurisprudenziale,
ascrivibile al diritto vivente, che esclude rigidamente non solo
l'analogia, ma anche l'interpretazione estensiva dell'art. 2941 del
codice civile, si ritiene non impedito tentare un'interpretazione
estensiva dell'art. 2941, n. 1, del codice civile (ovvero,
occorrendo, dell'art. 1, comma 18, legge n. 76/2016) ove cio' si
dimostrasse indispensabile a salvare la norma censurata dalla
declaratoria di illegittimita' costituzionale. Siffatto percorso
esegetico, infatti, non entrerebbe in conflitto col divieto di cui
all'art. 14 delle preleggi, il quale a fronte di norme eccezionali
preclude chiaramente solo l'applicazione analogica. Tuttavia, tale
tentativo si appalesa fallimentare, poiche' per quanto si voglia
dilatare il concetto di coniuge (o di uniti civilmente), il dato
letterale impedisce di considerare ricompreso in tale nozione lo
stabile convivente, vista in particolare l'assenza in quest'ultimo
caso del dato formale, che si e' detto essere caratterizzante invece
i primi rapporti indicati. Si tratterebbe di un'interpretazione
adeguatrice praeter legem che, alla luce del carattere tassativo
della norma, finisce per oltrepassare i limiti sanciti dai canoni
d'interpretazione, costituendo infine un'interpretazione contra
legem.
Per cui, solo un'applicazione analogica in senso proprio della
disposizione sarebbe idonea a colmare la lacuna costituzionalmente
inammissibile, ma cio' e' escluso sia dal diritto vivente che
dall'art. 14 delle preleggi, in presenza di norme eccezionali.
Risulta pertanto necessario l'interpello del Giudice delle leggi.
6. Anche ove si ritenesse che l'ipotesi dei coniugi (art. 2941 n.
1 del codice civile) e degli uniti civilmente (art. 1, comma 18,
legge n. 76/2016) non rappresentino validi termini di comparazione al
fine di censurare, sotto questo aspetto, la discrezionalita'
legislativa, la non manifesta infondatezza della questione
risiederebbe, in via subordinata, nella patente irragionevolezza
intrinseca all'opzione legislativa, parimenti violativa dell'art. 3
della Costituzione.
6.1. L'art. 2 della Costituzione, laddove garantisce le
formazioni sociali familiari e i diritti dei singoli all'interno di
queste, impone al legislatore di rispettare ad un tempo l'armonia
familiare e le situazioni giuridiche soggettive di cui i componenti
sono titolari. La mancata sospensione della prescrizione fra
conviventi onera il partner creditore a compiere atti interruttivi
della prescrizione (intimazioni ad adempiere, domande giudiziali,
richieste al giudice di fissazione di un termine per l'adempimento,
etc.) che sono in grado di incrinare i rapporti familiari in spregio
agli articoli 2 e 117, comma I, della Costituzione (quest'ultimo in
relazione all'art. 8 Cedu).
6.2. L'omissione legislativa impone al convivente-creditore di
compiere atti quali la costituzione in mora del proprio
compagno-debitore per garantire la propria sfera giuridica
patrimoniale. Si tratta di un'opzione irrazionale, poiche'
l'intimazione ad adempiere e la costituzione in mora (ma lo stesso si
dica, a fortiori, per la domanda giudiziale) interrompono la
prescrizione perche' hanno l'effetto di contrastare quella sorta di
presunzione di tolleranza del creditore circa il ritardo
nell'ottenimento della prestazione; solo ove tale presunta tolleranza
si protragga per oltre dieci anni il diritto puo' considerarsi
prescritto in virtu' del consolidamento nel tempo di un totale
disinteresse del suo titolare.
Nei rapporti di convivenza more uxorio tale presunzione non puo'
valere.
Tra conviventi non puo' essere presunto che la tolleranza (id
est, l'omessa intimazione ad adempiere) sia sinonimo di disinteresse
nella tutela del diritto da parte del titolare. Deve, all'opposto,
presumersi - secondo l'id quod plerumque accidit - che l'omissione di
atti volti a compulsare l'adempimento del convivente-debitore sia un
contegno volto a non compromettere la stabilita' e la serenita' del
nucleo familiare. Allora, se e' vero che la ratio degli articoli
2941, n. 1, del codice civile (e poi dell'art. 1, comma 18, legge n.
76/2016) e' quella di valorizzare le «posizioni individuali dei
membri della famiglia rispetto alla conservazione dell'unita'
familiare» (Cass. Civ., Sez. I, 14 dicembre 2018, ordinanza n. 32524)
e se e' parimenti vero che l'istanza di conservazione della comunita'
familiare ha pari consistenza costituzionale a prescindere dal
vincolo coniugale (articoli 2 e 117, comma I, della Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 8 Cedu, nonche' articoli 9 e 33
CDFUE), risulta costituzionalmente incompatibile l'omessa previsione
in tali casi di un istituto che e' idoneo a salvaguardare questi
valori.
6.4. L'attuale quadro normativo e' idoneo ad incentivare
comportamenti antisociali e, comunque, incongrui ed incoerenti con il
normale sviluppo delle relazioni familiari. Da un canto, infatti, non
beneficiando della sospensione della prescrizione dei suoi diritti,
un membro della coppia convivente potrebbe essere disincentivato o
intimorito dal fornire a prestito risorse economiche importanti
all'altro, il quale potrebbe trovarsi in condizioni di difficolta'
finanziaria o, al contrario, di cogliere importanti occasioni
d'affare. Dall'altro, l'omissione legislativa potrebbe incentivare
condotte da parte del convivente-debitore ai danni dell'altro,
ritardando l'adempimento delle proprie obbligazioni confidando
nell'omissione di formali atti interruttivi del termine di
prescrizione da parte del convivente-creditore. La famiglia di fatto
potrebbe giungere persino a disgregarsi, come non di rado accade
anche per questioni soltanto patrimoniali, per effetto del clima di
tensione che la necessita' di far valere il proprio diritto, pena la
sua prescrizione, oppure la sostanzialmente necessitata rinuncia a
farlo (con conseguenti rancori inespressi) potrebbe innescare tra i
conviventi.
Tali condotte si pongono in contrasto con i valori di
solidarieta' sociale, di solidarieta' familiare e di corretto e
pacifico sviluppo delle relazioni familiari (articoli 2, 117, comma
I, 8 Cedu), senza che a sminuire la valenza della questione possa
essere il carattere patrimoniale dei diritti in gioco, visto il
riflesso evidenziato che simili questioni possono avere sulla stessa
famiglia, come oggetto di tutela da parte della Costituzione e della
disciplina sovranazionale.
7. Ritenuta la questione rilevante e non manifestamente
infondata, esperito inutilmente il tentativo di interpretazione
adeguatrice della norma censurata, non rimane dunque che rimettere la
questione alla Corte costituzionale.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 ss. legge n. 87
del 1953, ritenuta la questione rilevante e non manifestamente
infondata,
solleva questione di legittimita' costituzionale della norma di
cui agli articoli 2941 n. 1 codice civile e (occorrendo) 1 comma 18,
legge 20 maggio 2016, n. 76 nella parte in cui non prevedono che la
prescrizione dei diritti sia sospesa anche fra conviventi stabili e
legati, fra loro, da vincolo di affettivita' familiare, per
violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione e, comunque, per
intrinseca irragionevolezza (art. 3 della Costituzione) della norma;
sospende il presente giudizio in corso fino alla definizione del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
Manda alla cancelleria per la notificazione della presente
ordinanza alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei
ministri, nonche' per la comunicazione ai Presidenti della Camera dei
Deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva
trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale.
Dispone la trasmissione alla Corte costituzionale della presente
ordinanza e degli atti del procedimento, comprensivi della
documentazione attentante il perfezionamento delle prescritte
comunicazioni e notificazioni.
Firenze, 8 maggio 2025
Il Giudice: D'Alfonso