Reg. ord. n. 106 del 2025 pubbl. su G.U. del 11/06/2025 n. 24
Ordinanza del Corte d'appello di Roma del 03/04/2025
Tra: Ministero dell'economia e delle finanze C/ Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti
Oggetto:
Bilancio e contabilità pubblica – Previdenza – Raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica – Previsione che gli enti di cui al d.lgs n. 509 del 1994 e al d.lgs n. 103 del 1996, e in particolare la Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi professionisti (CIPAG), possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell'apparato amministrativo, effettuando un riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010 – Denunciata disposizione che determina l’effetto distrattivo finale di riversare in favore dello Stato il risparmio di spesa di una cassa di previdenza – Disciplina che privilegia, attraverso il prelievo, esigenze di bilancio statale rispetto alla garanzia per gli iscritti alla CIPAG di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali – Conflitto con il principio di ragionevolezza – Lesione della garanzia previdenziale, vista la mancata tutela dei diritti degli iscritti alla suddetta Cassa – Lesione del principio di buon andamento della gestione amministrativa della medesima Cassa di previdenza – Incongrua scelta di sacrificare l’interesse istituzionale della CIPAG a un generico e macro-economicamente esiguo impiego nel bilancio statale – Violazione ulteriore del principio di ragionevolezza.
Norme impugnate:
legge del 27/12/2013 Num. 147 Art. 1 Co. 417
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 38 Co.
Costituzione Art. 97 Co.
Udienza Pubblica del 27 gennaio 2026 rel. PATRONI GRIFFI
Testo dell'ordinanza
N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 02 aprile 2025
Ordinanza del 2 aprile 2025 della Corte d'appello di Roma nel
procedimento civile promosso dal Ministero dell'economia e delle
finanze contro Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri
liberi professionisti.
Bilancio e contabilita' pubblica - Previdenza - Raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica e del rispetto dei saldi strutturali
di finanza pubblica - Previsione che gli enti di cui al d.lgs. n.
509 del 1994 e al d.lgs. n. 103 del 1996, e in particolare la Cassa
italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi
professionisti (CIPAG), possono assolvere alle disposizioni vigenti
in materia di contenimento della spesa dell'apparato
amministrativo, effettuando un riversamento a favore dell'entrata
del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari
al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi
nell'anno 2010.
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita'
2014)), art. 1, comma 417.
(GU n. 24 del 11-06-2025)
CORTE DI APPELLO DI ROMA
Sezione I civile
Nel collegio composto da:
dott. Diego Pinto Presidente rel.;
dott. Elena Gelato consigliere;
dott. Maria Aversano consigliere,
riunito in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza.
Nelle cause civili in grado di appello riunite iscritte al Ruolo
generale affari contenziosi al numero 24/2021 e 214/21 in
deliberazione all'udienza del 26 febbraio 2025 tra:
Agenzia delle entrate (06363391001);
Ministero del lavoro e delle politiche sociali (80237250586);
Ministero dell'economia e delle finanze (80207790587);
Avvocatura generale dello Stato e
Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi
professionisti - CIPAG (80032590582);
Avv.ti Valerio Onida e Barbara Randazzo.
Oggetto
Appello avverso la sentenza n. 8314/2020 emessa dal Tribunale
di Roma.
Motivi della decisione
1. Agenzia delle entrate, Ministero del lavoro e delle politiche
sociali e Ministero delle finanze hanno proposto appello avverso la
sentenza in oggetto con la quale il Tribunale di Roma ha cosi'
statuito: «1) rigetta la domanda proposta da parte attrice in via
principale; 2) accerta e dichiara che non rientrano tra le spese
sostenute da parte attrice per consumi intermedi, con conseguente
esclusione dalla base imponibile da assumere ai fini del calcolo
delle somme da riversare al bilancio dello Stato in applicazione
dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, le seguenti spese: a)
spese sostenute dagli organi di amministrazione per recarsi presso la
sede istituzionale della Cassa; b) spese sostenute per accertamenti
sanitari necessarie per il funzionamento delle commissioni per
l'accertamento della inabilita' e della invalidita' ai fini della
concessione del relativo trattamento pensionistico; c) spese
sostenute per le attivita' svolte dalle articolazioni territoriali
della Cassa, in forma decentrata per lo svolgimento di fini
istituzionali; d) spese sostenute per compenso alla societa' Groma
s.r.l. limitatamente alle spese per la manutenzione ordinaria e
straordinaria di immobili da reddito; e) spese sostenute per
incarichi professionali e assicurazioni se relativi ad immobili da
reddito; 3) compensa le spese del giudizio tra le parti.»
Anche la CIPAG-Cassa italiana di previdenza ed assistenza dei
geometri liberi professionisti ha proposto appello avverso la stessa
sentenza.
In entrambi i giudizi gli appellati hanno chiesto comunque il
rigetto degli appelli proposti nei propri confronti.
Riuniti i procedimenti, precisate le conclusioni all'udienza del
13 novembre 2024, la causa e' stata trattenuta in decisione con i
termini di cui all'art. 190 del codice di procedura civile. La causa
e' stata rimessa sul ruolo, a causa del trasferimento del Consigliere
relatore ad altro ufficio intervenuto medio tempore.
All'udienza del 22 gennaio 2025, precisate nuovamente le
conclusioni, le parti hanno rinunziato ai termini di cui all'art. 190
c.p.c, ma hanno chiesto la discussione orale della causa ex art. 352,
secondo comma, codice di procedura civile previgente.
Dopo la discussione all'udienza sopra indicata, la causa e' stata
trattenuta quindi in decisione.
2. La vicenda processuale e' stata riassunta come segue nella
sentenza impugnata.
«Con atto di citazione ritualmente notificato la Cassa
italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi
professionisti (di seguito per brevita' Cassa) conveniva in giudizio,
dinanzi a questo Tribunale, i convenuti indicati in epigrafe,
chiedendo che fosse accertato il diritto della Cassa alla ripetizione
dei riversamenti dei risparmi di spesa per i consumi intermedi
effettuati, per gli anni 2014, 2015 e 2016, al bilancio dello Stato a
norma dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, in applicazione del
principio di diritto sancito dalla sentenza n. 7/2017 della Corte
costituzionale, con condanna delle amministrazioni convenute alla
restituzione di quanto indebitamente percepito, per un importo pari
ad euro 2.373.756,30, oltre rivalutazione ed interessi e "ove
occorra, rimettendo in via incidentale alla Corte costituzionale, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417 della
legge n. 147/2013 in relazione agli articoli 2, 3, 18, 3, 36, 38 e 97
della Costituzione.
Chiedeva, in subordine, al Tribunale di accertare e
dichiarare che le spese sostenute dagli organi di amministrazione per
recarsi presso la sede istituzionale della Cassa e altre spese,
analiticamente indicate nell'atto introduttivo, non rientrando tra
quelle per consumi intermedi, dovevano essere escluse dal imponibile
posto a base del calcolo delle somme da riversare al bilancio dello
Stato in applicazione dell'art. 1, comma 417, della legge di
Stabilita' 2014 (legge n. 147/2013).
A tal fine esponeva: - che la Cassa era un ente previdenziale
privatizzato ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509,
vigilato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal
Ministero dell'economia e delle finanze; - che la medesima era
presente nell'elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel
c.d. «conto economico dello Stato», come individuate dall'Istat ex
art. 1, legge 30 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilita' e
finanza pubblica); - che gli enti previdenziali privatizzati erano
stati assoggettati alle norme di «spending review», ivi compresa
quella di cui all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95 del 2012,
norma che la Corte costituzionale, con sentenza dell'11 gennaio 2017
n. 7, aveva dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva
che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste fossero
versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio
dello Stato; - che con tale pronuncia la Corte aveva censurato, in
via di principio, la scelta del legislatore di imporre il
riversamento delle somme derivanti dal risparmio di spesa di tutte le
Casse privatizzate al bilancio dello Stato; - che pertanto tale
censura di incostituzionalita' aveva prodotto conseguenze caducanti
anche sulla norma di cui all'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 in
base alla quale la Cassa, su richiesta dell'Amministrazione
ministeriale, aveva provveduto a riversare al bilancio dello Stato,
con riserva di ripetizione, l'importo complessivo di euro
2.373.756,30 per gli anni 2014, 2015 e 2016; - che la lettura
costituzionalmente orientata del richiamato art. 1, comma 417, legge
n. 147/2013 doveva indurre a ritenere l'autonomia gestionale,
organizzativa e contabile della Cassa attraverso il conseguimento di
un obiettivo forfettizzato di risparmio (il 15% della spesa per
consumi intermedi sostenuta nel 2010), con conseguente liberta'
dell'ente previdenziale di potere scegliere le voci di spesa da
contenere, senza riversarli al bilancio dello Stato, impiegandoli per
il pagamento delle prestazioni previdenziali o comunque per garantire
gli equilibri economici-finanziari dell'ente stesso; - che in ogni
caso la base di calcolo dei consumi intermedi indicata
dall'amministrazione convenuta, ai fini dei risparmi di spesa e dei
conseguenti riversamenti, era errata.
Si costituivano i Ministeri convenuti, eccependo: - il
difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in favore del Giudice
amministrativo; - il difetto di legittimazione passiva del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali e dell'Agenzia delle entrate.
Nel merito contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che: -
gli importi di cui si chiedeva la restituzione erano stati versati in
base ad una norma diversa da quella oggetto della sentenza n. 7/2017
della Corte costituzionale che aveva comunque operato una
declaratoria di incostituzionalita' parziale e solo nei confronti
della Cassa nazionale di previdenza e di assistenza dei dottori
commercialisti; - che la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 era manifestamente
infondata, prevedendo la predetta disposizione un'alternativita'
nell'adempimento agli oneri di contenimento della spesa rimessa alla
piena autonomia e alle scelte organizzative degli enti; - che in ogni
caso la pronuncia della Corte costituzionale non poteva travolgere la
validita' ed efficacia dei versamenti, gia' effettuati al bilancio
dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016, ormai definitivi.
In ordine alla domanda proposta in via subordinata,
assumevano che la determinazione della base imponibile su cui
quantificare i riversamenti era stata rilevata nel corso di una
verifica amministrativo contabile effettuata «dai Servizi ispettivi
di finanza», che non era stata oggetto di impugnazione dinanzi al
giudice amministrativo e che comunque era conforme a quanto indicato
nella normativa di riferimento.
Chiedevano quindi, in via pregiudiziale, che fosse dichiarato
il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario adito e, in
subordine, il rigetto nel merito delle domande.»
3. Con sentenza non definitiva in data odierna, questa Corte ha
respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione ed ha accolto le
eccezioni di difetto di legittimazione passiva dell'Agenzia delle
entrate e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali proposte
dall'Avvocatura generale dello Stato.
4. In ordine alla questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 417, della legge n. 147 del 2013, per contrasto
con gli articoli 2, 3, 1836, 38 e 97 della Costituzione, si rileva
quanto segue.
A. La vicenda processuale e' stata riassunta come segue nella
sentenza impugnata.
«Con atto di citazione ritualmente notificato la Cassa
italiana di previdenza e assistenza dei geometri liberi
professionisti (di seguito per brevita' Cassa) conveniva in giudizio,
dinanzi a questo Tribunale, i convenuti indicati in epigrafe,
chiedendo che fosse accertato il diritto della Cassa alla ripetizione
dei riversamenti dei risparmi di spesa per i consumi intermedi
effettuati, per gli anni 2014, 2015 e 2016, al bilancio dello Stato a
norma dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013, in applicazione del
principio di diritto sancito dalla sentenza n. 7/2017 della Corte
costituzionale, con condanna delle amministrazioni convenute alla
restituzione di quanto indebitamente percepito, per un importo pari
ad euro 2.373.756,30, oltre rivalutazione ed interessi e «ove
occorra, rimettendo in via incidentale alla Corte costituzionale, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417 della
legge n. 147/2013 in relazione agli articoli 2, 3, 18, 3, 36, 38 e 97
della Costituzione.
Chiedeva, in subordine, al Tribunale di accertare e
dichiarare che le spese sostenute dagli organi di amministrazione per
recarsi presso la sede istituzionale della Cassa e altre spese,
analiticamente indicate nell'atto introduttivo, non rientrando tra
quelle per consumi intermedi, dovevano essere escluse dall'imponibile
posto a base del calcolo delle somme da riversare al bilancio dello
Stato in applicazione dell'art. 1, comma 417, della legge di
Stabilita' 2014 (legge n. 147/2013).
A tal fine esponeva: - che la Cassa era un ente previdenziale
privatizzato ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509,
vigilato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal
Ministero dell'economia e delle finanze; - che la medesima era
presente nell'elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel
c.d. «conto economico dello Stato», come individuate dall'Istat ex
art. 1, legge 30 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilita' e
finanza pubblica); - che gli enti previdenziali privatizzati erano
stati assoggettati alle norme di «spending review», ivi compresa
quella di cui all'art. 8, comma 3, decreto-legge n. 95 del 2012,
norma che la Corte costituzionale, con sentenza dell'11 gennaio 2017
n. 7, aveva dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva
che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste fossero
versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio
dello Stato; - che con tale pronuncia la Corte aveva censurato, in
via di principio, la scelta del legislatore di imporre il
riversamento delle somme derivanti dal risparmio di spesa di tutte le
Casse privatizzate al bilancio dello Stato; - che pertanto tale
censura di incostituzionalita' aveva prodotto conseguenze caducanti
anche sulla norma di cui all'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 in
base alla quale la Cassa, su richiesta dell'Amministrazione
ministeriale, aveva provveduto a riversare al bilancio dello Stato,
con riserva di ripetizione, l'importo complessivo di euro
2.373.756,30 per gli anni 2014, 2015 e 2016; - che la lettura
costituzionalmente orientata del richiamato art. 1, comma 417, legge
n. 147/2013 doveva indurre a ritenere l'autonomia gestionale,
organizzativa e contabile della Cassa attraverso il conseguimento di
un obiettivo forfettizzato di risparmio (il 15% della spesa per
consumi intermedi sostenuta nel 2010), con conseguente liberta'
dell'ente previdenziale di potere scegliere le voci di spesa da
contenere, senza riversarli al bilancio dello Stato, impiegandoli per
il pagamento delle prestazioni previdenziali o comunque per garantire
gli equilibri economici - finanziari dell'ente stesso; - che in ogni
caso la base di calcolo dei consumi intermedi indicata
dall'amministrazione convenuta, ai fini dei risparmi di spesa e dei
conseguenti riversamenti, era errata.
Si costituivano i Ministeri convenuti, eccependo: - il
difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, in favore del Giudice
amministrativo; - il difetto di legittimazione passiva del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali e dell'Agenzia delle entrate.
Nel merito contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che: -
gli importi di cui si chiedeva la restituzione erano stati versati in
base ad una norma diversa da quella oggetto della sentenza n. 7/2017
della Corte costituzionale che aveva comunque operato una
declaratoria di incostituzionalita' parziale e solo nei confronti
della Cassa nazionale di previdenza e di assistenza dei dottori
commercialisti; - che la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 era manifestamente
infondata, prevedendo la predetta disposizione un'alternativita'
nell'adempimento agli oneri di contenimento della spesa rimessa alla
piena autonomia e alle scelte organizzative degli enti; - che in ogni
caso la pronuncia della Corte costituzionale non poteva travolgere la
validita' ed efficacia dei versamenti, gia' effettuati al bilancio
dello Stato per gli anni 2014, 2015 e 2016, ormai definitivi.
In ordine alla domanda proposta in via subordinata,
assumevano che la determinazione della base imponibile su cui
quantificare i riversamenti era stata rilevata nel corso di una
verifica amministrativo contabile effettuata «dai Servizi ispettivi
di finanza», che non era stata oggetto di impugnazione dinanzi al
giudice amministrativo e che comunque era conforme a quanto indicato
nella normativa di riferimento.
Chiedevano quindi, in via pregiudiziale, che fosse dichiarato
il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario adito e, in
subordine, il rigetto nel merito delle domande.»
B. Questa Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondata,
in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417,
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di
stabilita' 2014)», nella parte in cui prevede che le somme derivanti
dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano versate
annualmente dalla CIPAG ad apposito capitolo di entrata del bilancio
dello Stato.
Tale disposizione prevede che «A decorrere dall'anno 2014, ai
fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati in sede europea e del rispetto dei saldi strutturali di
finanza pubblica, gli enti di cui al decreto legislativo 30 giugno
1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103,
possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di
contenimento della spesa dell'apparato amministrativo effettuando un
riversamento a favore dell'entrata del bilancio dello Stato entro il
30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta
per consumi intermedi nell'anno 2010. Per detti enti, la presente
disposizione sostituisce tutta la normativa vigente in materia di
contenimento della spesa pubblica che prevede, ai fini del
conseguimento dei risparmi di finanza pubblica, il concorso delle
amministrazioni di cui all'art. 1, commi 2 e 3, della legge 31
dicembre 2009, n. 196, ferme restando, in ogni caso, le disposizioni
vigenti che recano vincoli in materia di spese di personale».
C. La rilevanza della questione ai fini del decidere e' indubbia,
in quanto la decisione sulle domande ex art. 2033 del codice civile
proposte dalla CIPAG nel presente giudizio di appello comporta la
necessita' di fare applicazione della disposizione censurata. D'altra
parte, non e' possibile una interpretazione costituzionalmente
orientata della norma di rango primario, in considerazione della sua
inequivoca portata sia sul piano letterale, sia della ratio, sia
degli effetti, dovendosi sul punto condividere quanto gia' affermato
dal Tribunale di Roma che aveva precisato: «Cio' posto, e' necessario
puntualizzare che la dichiarazione di incostituzionalita' della norma
ha inciso solo sul richiamato art. 8, comma 3 del decreto-legge n.
95/2012 (conv. con modif. dalla legge n. 135/2012). Ne consegue che
il Tribunale adito non puo' disapplicare una norma vigente sulla cui
costituzionalita' la Corte costituzionale non si e' pronunciata.
Giova ricordare che ai sensi dell'art. 27, legge n. 87 del 1953
la Corte costituzionale, "quando accoglie una istanza o un ricorso
relativo a questione di legittimita' costituzionale di una legge o di
un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti
dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative
illegittime". Tale principio trova deroga nello stesso art. 27,
secondo cui la Corte "dichiara, altresi', quali sono le altre
disposizioni legislative, la cui illegittimita' deriva come
conseguenza dalla decisione adottata". L'illegittimita'
consequenziale colpisce quindi norme legate a quella dichiarata
incostituzionale in quanto attuative, ripetitive o esecutive di
quest'ultima.
In sostanza la disposizione di cui all'art. 27 citato autorizza
la Corte alla dichiarazione della cd illegittimita' conseguenziale
solo nel caso in cui altre disposizioni si trovino, rispetto a quella
oggetto del giudizio, in rapporto di inseparabilita' assoluta o
indissolubile correlazione.
Deve quindi escludersi la possibilita' di estendere la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale alle disposizioni che,
pure avendo in comune con il contenuto di quella che ha formato
oggetto del giudizio uno o piu' elementi della fattispecie o la
medesima ratio ispiratrice, regolino tuttavia fattispecie diverse,
anche se simili o affini.»
D. Quanto alla non manifesta infondatezza, questa Corte ritiene
centrale e dirimente la sentenza della Corte costituzionale n. 7 del
2017, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8,
comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli
articoli 3, 38 e 97 Cost., nella parte in cui tale disposizione
prescriveva che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi
previste fossero versate annualmente dalla Cassa nazionale di
previdenza e assistenza per i dottori commercialisti ad apposito
capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
Il Tribunale ha ritenuto la questione manifestamente infondata
affermando che «non e' ravvisabile tra l'art. 8, comma 3 del
decreto-legge n. 95/2012 e l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 un
nesso di indissolubile correlazione, ne' la medesima ratio
ispiratrice.
Nella prima sono state dettate le regole per la riduzione della
spesa degli enti pubblici non territoriali ed e' stato previsto il
loro riversamento all'apposito capitolo dell'entrata del bilancio
dello Stato, nella seconda e' stata prevista una scelta, rimessa
all'autonomia gestionale, organizzativa e contabile degli enti, tra
il rispetto di tutta la normativa vigente in materia di contenimento
della spesa pubblica e il riversamento a favore dell'entrata del
bilancio dello Stato di un importo predeterminato in una misura
forfettaria pari al 15 % della spesa sostenuta per consumi intermedi
nell'anno 2010.
La scelta operata da parte attrice non rappresenta quindi un
prelievo strutturale e continuativo imposto alla Cassa, ma il
risultato di una facolta' esercitata dallo stesso ente, che proprio
perche' rimessa alla sua autonomia gestionale, organizzativa e
contabile, non altera gli equilibri finanziari della Cassa funzionali
alla garanzia delle posizioni previdenziali degli associati, ne'
compromette l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale.
Del resto, la stessa pronuncia della Corte costituzionale
richiamata da parte attrice non ha escluso la possibilita' da parte
del legislatore di disporre, in un particolare momento di crisi
economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che
si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti
(eccezionalita' del prelievo che trova riscontro nella legislazione
successiva a quella in oggetto che, con l'art. 1, comma 183 della
legge n. 205/2017, ha escluso a far data dall'anno 2020, nei
confronti degli enti previdenziali privatizzati, l'applicazione
dall'anno 2020 delle norme di contenimento delle spese previste a
carico degli altri soggetti inclusi nell'elenco delle amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate
dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'art. 1, comma 2,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ferme restando, in ogni caso,
le disposizioni vigenti che recano vincoli in materia di personale».
E. Viceversa, questa Corte di appello condivide gli argomenti
illustrati a sostegno delle censure di legittimita' costituzionale
formulate dal Consiglio di Stato nell'ordinanza n. 208 del 2015 in
relazione all'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012.
Questa Corte ritiene infatti che i medesimi profili di illegittimita'
costituzionale investano anche l'art. 1, comma 417, della legge n.
147 del 2013.
Nella sentenza n. 7 del 2017 della Corte costituzionale, le
censure di illegittimita' formulate dal Consiglio di Stato sono state
cosi' sintetizzate: «Con ordinanza iscritta al n. 208 del registro
ordinanze del 2015, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario),
convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135 - con
particolare riguardo al primo, terzo e quarto periodo della
disposizione - per violazione degli articoli 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53
e 97 della Costituzione.
La questione trae origine dall'appello della Cassa nazionale di
previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti (CNPADC)
e da due iscritti alla Cassa in proprio, sigg. W.A. e R.G., proposto
contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio -
Roma n. 6103 del 18 giugno 2013, che aveva rigettato il ricorso
avverso i provvedimenti applicativi dell'art. 8 cit.
La norma censurata impone alle Casse di previdenza privatizzate
di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione
della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre
1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche
private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e
assistenza), in forza della loro inclusione nell'elenco redatto
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell'art. 1,
comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita'
e finanza pubblica), di adottare interventi di razionalizzazione per
la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare
risparmi corrispondenti al 5 per cento per il 2012 ed al 10 per cento
a partire dal 2013, nonche' di riversare annualmente i risparmi di
spesa, cosi' conseguiti sui propri consumi intermedi, al bilancio
dello Stato.
In punto di rilevanza, osserva il Consiglio di Stato che gli atti
impugnati sarebbero applicativi dell'art. 8, comma 3, del
decreto-legge n. 95 del 2012, per la parte in cui assoggettano anche
la CNPADC al regime di versamento previsto dalla predetta norma;
nella misura in cui determinano l'imposizione del versamento anche da
parte della Cassa appellante, troverebbero il loro diretto e completo
presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalita' si
dubita e, dunque, il problema della loro legittimita' non
discenderebbe dalla presenza di eventuali vizi di legittimita',
bensi' dalla legittimita' costituzionale del loro fondamento
normativo.
Ne', secondo il rimettente, la questione apparirebbe ex se
risolvibile affermando o negando la natura pubblicistica delle Casse
di previdenza, posto che il legislatore avrebbe "legificato" i
predetti elenchi e, pertanto, in assenza di specifiche censure di
illegittimita' costituzionale avverso le normative che a detti
elenchi fanno rinvio, non ci si potrebbe che limitare a prendere atto
di tale scelta legislativa.
Secondo il Consiglio di Stato non sarebbe dirimente la questione
della natura della personalita' giuridica (di diritto pubblico o
privato) delle Casse di previdenza (ovvero della loro assimilazione,
nominativamente disposta, alle amministrazioni pubbliche) ma,
piuttosto, assumerebbe rilievo la provenienza, da soggetti privati,
della contribuzione destinata a costituire le risorse per il futuro
trattamento pensionistico agli iscritti alla Cassa di previdenza,
nonche' il fatto che la disposizione impugnata non incida su
trasferimenti a carico della finanza pubblica, nella specie non
presenti, bensi' imponga un prelievo percentualmente determinato
sulla misura dei c.d. consumi intermedi, che avrebbero parimenti la
loro fonte nelle somme percepite dai propri iscritti e la cui
disponibilita' dovrebbe essere mantenuta nella piena ed autonoma
determinazione della Cassa medesima.
Tanto premesso, il Consiglio di Stato ritiene che l'art. 8, comma
3, del decreto-legge n. 95 del 2012, imponendo un versamento
obbligatorio in favore dello Stato di parte delle somme frutto dei
contributi versati dagli iscritti, finirebbe con il distrarre dette
somme, in dotazione alla Cassa, dalla loro causa tipica e dalla
ragione, normativamente prevista, che ne legittima l'imposizione. La
distrazione dal perseguimento delle finalita' che sono alla base
dell'imposizione coattiva integrerebbe la violazione dell'art. 23
Cost., in quanto il potere impositivo attribuito alle Casse
previdenziali verso i propri iscritti sarebbe legato al perseguimento
delle predette finalita' e non potrebbe essere vanificato destinando
parte delle risorse ad esigenze generali di finanza pubblica.
La disposizione impugnata violerebbe altresi' gli articoli 35, 36
e 38, comma 2, della Costituzione, poiche', sottraendo parte dei
contributi alle Casse, il legislatore inciderebbe sulla misura del
trattamento pensionistico, da intendersi anche come «retribuzione
differita» e contravverrebbe all'esigenza di assicurare mezzi
adeguati per le esigenze connesse alla vecchiaia del lavoratore; piu'
in generale, inciderebbe sulla finalita' di tutela del lavoro,
costituzionalmente garantita.
Inoltre, l'art. 8, comma 3 cit., si porrebbe in conflitto con gli
articoli 2, 3 e 97 della Costituzione, in quanto il prelievo ivi
previsto inciderebbe, in modo non ragionevole, sulla autonomia
dell'ente, impedendo al medesimo di poter disporre delle somme
derivanti da contribuzioni dei propri iscritti, per destinarle ad
esigenze strumentali alla realizzazione delle finalita'
previdenziali.
Esso inciderebbe, altresi', sul principio di buon andamento delle
amministrazioni pubbliche, posto che non realizzerebbe alcuna
economicita' dell'azione amministrativa, e determinerebbe altresi'
una distrazione di somme dalla loro finalita' tipica.
Infine, secondo il giudice a quo, la norma impugnata violerebbe
gli articoli 3 e 53 della Costituzione in quanto, dovendosi ritenere
che i contributi versati dagli iscritti siano assimilabili ai
tributi, il prelievo corrispondente al versamento imposto alla Cassa,
stabilito in una percentuale fissa in relazione alla spesa per
consumi intermedi dell'anno 2010, non terrebbe in considerazione ne'
la capacita' contributiva del soggetto, ne' qualsivoglia criterio di
progressivita', in cio' determinando altresi' sia una disparita' di
trattamento tra soggetti destinatari di una medesima percentuale di
esazione, indipendentemente dalla loro soggettiva capacita'
contributiva, sia una palese irragionevolezza della previsione.»
F. La non manifesta infondatezza della questione in esame appare
ancor piu' evidente proprio alla luce della motivazione della
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3,
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95.
Nella sentenza n. 7 del 2017, la Corte costituzionale ha infatti
affermato:
«2.- Ai fini della presente decisione sono necessarie alcune
premesse.
L'elenco delle amministrazioni pubbliche appartenenti al
conto economico consolidato previsto dall'art. 1, comma 3, della
legge n. 196 del 2009 - come modificato dal decreto-legge 2 marzo
2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni
tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di
accertamento), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge 26 aprile 2012, n. 44 - e' stato istituito in attuazione
di precisi obblighi comunitari sulla base di norme classificatorie e
definitorie proprie del sistema statistico nazionale ed europeo, ai
sensi del regolamento CE n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996
modificato dal regolamento UE 549/2013 relativo al «Sistema europeo
dei Conti nazionali e regionali nell'Unione Europea» (SEC2010). I
criteri utilizzati per la classificazione sono di natura
statistico-economica. Tale regolamento e' servente alla definizione
delle politiche dell'Unione europea ed al monitoraggio delle economie
degli Stati membri e dell'Unione economica e monetaria (UEM), i quali
«richiedono informazioni comparabili, aggiornate e affidabili sulla
struttura dell'economia e l'evoluzione della situazione economica di
ogni Stato membro o regione» (considerando n. 1 del regolamento UE n.
549/2013).
La commissione utilizza gli aggregati dei conti nazionali e
regionali, raccolti attraverso tali informazioni, per i fini
amministrativi dell'Unione e, in particolare, per i calcoli di
bilancio. Dunque, il sistema europeo dei conti, disciplinato dai
richiamati regolamenti, prevede una metodologia finalizzata al
monitoraggio della convergenza economica ed al conseguimento di uno
stretto coordinamento delle politiche finanziarie europee.
La CNPADC e' classificata, secondo l'allegato A (Capitolo 2
«Unita' e insiemi di unita'» - I settori istituzionali -
amministrazioni pubbliche S.13) del regolamento UE n. 549/2013, nel
sottosettore S.1314, afferente agli «Enti di previdenza e assistenza
sociale» (2.117), il quale «comprende le unita' istituzionali
centrali, di Stati federati e locali, la cui attivita' principale
consiste nell'erogare prestazioni sociali che rispondono ai seguenti
due criteri: a) in forza di disposizioni legislative o regolamentari
determinati gruppi della popolazione sono tenuti a partecipare al
regime o a versare contributi; b) le amministrazioni pubbliche sono
responsabili della gestione dell'istituzione per quanto riguarda la
fissazione o l'approvazione dei contributi e delle prestazioni, a
prescindere dal loro ruolo di organismo di sorveglianza o di datore
di lavoro».
Nell'ambito delle procedure di convergenza verso gli
obiettivi europei di contenimento della spesa pubblica, l'inserimento
in tale elenco ha comportato per l'ente previdenziale la
sottoposizione ai pertinenti vincoli di riduzione della spesa.
Tuttavia, a differenza della maggior parte degli enti pubblici e dei
soggetti inseriti nell'elenco, la CNPADC non gode di finanziamenti
pubblici che - anzi - sono vietati dalla legge istitutiva: «Gli enti
trasformati continuano a svolgere le attivita' previdenziali e
assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di
lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente
istituiti, ferma restando la obbligatorieta' della iscrizione e della
contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti
pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con
gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali» (art. 1, comma
3, decreto legislativo n. 509 del 1994).
E' altresi' utile un'ulteriore premessa circa la natura
giuridica della CNPADC e la sua sostanziale irrilevanza nell'ambito
del thema decidendum.
La trasformazione della Cassa operata dal decreto legislativo
n. 509 del 1994, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell'ente e
sulle modalita' organizzative delle sue funzioni, non ha modificato
il carattere pubblicistico dell'attivita' istituzionale di previdenza
ed assistenza, che mantiene non solo una funzione strettamente
correlata all'interesse pubblico di assicurare dette prestazioni
sociali a particolari categorie di lavoratori, ma acquisisce un ruolo
rilevante in ambito europeo attraverso l'inclusione delle risultanze
del relativo bilancio nel calcolo del prodotto nazionale lordo ai
prezzi di mercato (PNLpm), mediante le uniformi regole di
contabilizzazione del sistema europeo dei conti economici integrati.
Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che «dal quadro
cosi' tracciato [dalla riforma] emerge che la suddetta trasformazione
ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attivita'
istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti,
articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli
strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei
soggetti stessi: l'obbligo contributivo costituisce un corollario,
appunto, della rilevanza pubblicistica dell'inalterato fine
previdenziale. L'esclusione di un intervento a carico della
solidarieta' generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli
enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento
pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario» (sentenza
n. 248 del 1997).
3.- Tanto premesso, l'eccezione di inammissibilita'
dell'Avvocatura dello Stato, argomentata in ragione della mancata
considerazione della iscrizione nell'elenco ISTAT e delle conseguenze
che ne deriverebbero automaticamente in punto di debenza del
prelievo, non puo' essere accolta.
Secondo la difesa dello Stato, il fatto che la CNPADC sia
stata individuata dalla legge quale componente dell'elenco ISTAT,
nonche' risulti destinataria delle disposizioni in materia di
contenimento della spesa pubblica, costituirebbe indefettibile
presupposto per la soggezione dell'ente previdenziale all'art. 8,
comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 e, conseguentemente, il
giudice rimettente avrebbe compiuto una sorta di aberratio ictus, nel
censurare la legge che prevede il prelievo ai danni della CNPADC
stessa anziche' l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, come
modificato dal decreto-legge n. 16 del 2012, il quale, includendo il
predetto ente nell'elenco ISTAT, comporterebbe l'automatica
applicazione del prelievo a favore dell'Erario.
Nella prospettazione del giudice rimettente, al contrario,
non e' contestata la legittimita' dell'inclusione della CNPADC
nell'elenco delle amministrazioni ISTAT e neppure la legittimita'
della prima parte della disposizione, laddove vengono dettate norme
finalizzate alla riduzione della spesa per consumi intermedi.
Infatti, se da un lato egli menziona l'intero comma 3,
compresa la parte riferita agli enti che non ricevono trasferimenti
dal bilancio dello Stato e la prescrizione afferente ad interventi di
razionalizzazione della spesa, dall'altro chiarisce che la questione
riguarda «gli atti impugnati, nella misura in cui determinano
l'imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante,
trovan[d]o il loro diretto e completo presupposto nella previsione
normativa della cui costituzionalita' si dubita, e, dunque, il
problema della loro legittimita' (in parte qua) non discende dalla
presenza di eventuali vizi di legittimita', bensi' dalla legittimita'
costituzionale del loro fondamento normativo».
Pertanto, l'eccezione d'inammissibilita' non puo' essere
accolta, dal momento che l'ordinanza di rimessione si limita a
dubitare della legittimita' costituzionale del prelievo operato dal
legislatore statale nei confronti della CNPADC, tema che costituisce
l'oggetto del presente giudizio.
4.- Venendo al merito, la questione di legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento agli articoli 3, 38 e 97
della Costituzione con riguardo alla sola prescrizione inerente
all'imposizione del versamento annuale nelle casse dello Stato, e'
fondata.
Per quanto di seguito meglio specificato, la scelta di
privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio statale
rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere
impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni
previdenziali non e' conforme ne' al canone della ragionevolezza, ne'
alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita
dall'art. 38 della Costituzione, ne' al buon andamento della gestione
amministrativa della medesima.
4.1.- Sotto il profilo della ragionevolezza, l'art. 3 della
Costituzione risulta violato per l'incongrua scelta di sacrificare
l'interesse istituzionale della CNPADC ad un generico e
macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale.
L'esame del contesto legislativo rivela come la disposizione
censurata operi in deroga all'ordinario regime di autonomia della
Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi degli
iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali.
Prescindendo dall'indagine sulla natura del contributo, e
tenuto conto che le politiche statali possono, in particolari
contingenze, incidere anche sull'autonomia finanziaria di un ente
pubblico, nel caso in esame la compressione di un principio di sana
gestione finanziaria, come quello inerente alla natura mutualistica
degli enti privatizzati di cui all'art. 1 del decreto legislativo n.
509 del 1994, non risulta proporzionato all'alternativa di assicurare
un prelievo generico a favore del bilancio dello Stato. Mentre
l'interesse della CNPADC e' specificamente riferibile alla missione
istituzionale di gestire ed assicurare nel tempo le prestazioni
previdenziali agli associati, quello dello Stato e' - per obiettiva
conformazione della norma impugnata - circoscritto alla generica
copertura del complesso della spesa. Nella ponderazione delle due
finalita' non appare ragionevole il sacrificio - a beneficio di un
generico interesse dello Stato ad arricchire, in modo peraltro
marginale, le proprie dotazioni di entrata - di quella della CNPADC,
che e' collegata intrinsecamente alla necessaria autosufficienza
della gestione pensionistica.
In particolare, con riguardo al bilanciamento tra le esigenze
istituzionali della Cassa e quelle del bilancio statale, non puo'
essere condiviso l'assunto dell'Avvocatura generale dello Stato
secondo cui l'interesse dell'ente previdenziale a mantenere parte
delle risorse acquisite attraverso la contribuzione degli iscritti
sarebbe recessivo rispetto all'esigenza di prelevare dette risorse
«per garantire il rispetto del principio del pareggio di bilancio
sancito dall'art. 81 della Costituzione anche alla luce degli impegni
assunti dal nostro Paese con le autorita' europee».
La difesa statale desume un'arbitraria correlazione
eziologica tra l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, la
prima parte dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012,
non contestata dal giudice rimettente, e la seconda parte del
medesimo comma 3 dell'art. 8: l'iscrizione nell'elenco ISTAT della
CNPADC non comporterebbe soltanto la considerazione di quest'ultima
nel complesso macroeconomico della finanza pubblica da coordinare
attraverso l'imposizione di economie della spesa per beni intermedi,
ma anche il prelievo di tali economie a beneficio dello Stato. Al
contrario, come gia' premesso, tale rapporto di causalita' tra le
citate disposizioni non sussiste. E' di tutta evidenza che la prima
parte della norma impugnata provvede in modo costituzionalmente
legittimo ad assicurare - attraverso il risparmio e l'accantonamento
della percentuale di spesa pertinente a ciascuno dei soggetti
rientranti nel sistema europeo dei conti nazionali e regionali
dell'Unione europea-SEC 2010 - il coordinamento della finanza
pubblica allargata per il raggiungimento degli obiettivi concordati
in sede europea, mentre la seconda parte introduce un finanziamento a
favore dell'Erario.
Pertanto, e' la sola disposizione dell'art. 8, comma 3,
impugnata dal rimettente a porre in essere un prelievo indebito nei
confronti della CNPADC - il quale determina, nella situazione
economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata
ad una speculare plusvalenza a favore del bilancio dello Stato -
mentre quella che impone la riduzione degli oneri per beni intermedi,
oltre al coordinamento finalizzato al rispetto dei vincoli europei,
costituisce di per se' anche un meccanismo idoneo a rendere piu'
efficiente la gestione pensionistica nella misura in cui riduce le
spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio alla naturale
destinazione delle prestazioni previdenziali.
A parte il fatto che nella manovra di finanza pubblica il
contestato prelievo assume valore neutro, dal momento che il saldo
complessivo delle risorse disponibili nel consolidato pubblico
risulta invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma del
legislatore statale (consistente nel trasferimento di risorse della
CNPADC al proprio bilancio), del tutto distinta dall'adempimento
degli obblighi di riduzione della spesa concordati in sede europea.
Se, in astratto, non puo' essere disconosciuta la
possibilita' per lo Stato di disporre, in un particolare momento di
crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli
enti che - come la CNPADC - sostanzialmente si autofinanziano
attraverso i contributi dei propri iscritti, non e' invece conforme a
Costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale
e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni
previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio
dell'equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni
rese.
Alla luce di tali considerazioni risultano capovolte anche le
argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui la
fattispecie normativa in esame sarebbe il portato di un'«adeguata
ponderazione» delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica di
cui all'art. 81 della Costituzione con «gli altri parametri
costituzionali richiamati dal Consiglio di Stato [...] nel rispetto
dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza [...] in relazione
alla pari necessita' di rispetto dell'art. 81 della Costituzione ed
alla luce della necessita' di individuare un punto di equilibrio
dinamico e non prefissato in anticipo tra tutti i vari diritti
tutelati dalla Carta costituzionale».
Una valutazione in termini di proporzionalita' e di
adeguatezza tra i dialettici interessi in gioco puo' essere
realizzata solo all'interno del quadro legislativo della materia
«secondo determinazioni discrezionali del legislatore, le quali
devono essere basate sul ragionevole bilanciamento del complesso dei
valori e degli interessi costituzionali coinvolti nell'attuazione
graduale di quei principi, compresi quelli connessi alla concreta e
attuale disponibilita' delle risorse finanziarie e dei mezzi
necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa» (sentenza n.
119 del 1991). Infatti, se il costante orientamento di questa Corte
e' nel senso che il legislatore conserva piena liberta' di scelta tra
sistemi previdenziali di tipo mutualistico - caratterizzati dalla
corrispondenza fra rischio e contribuzione e da una rigorosa
proporzionalita' fra contributi e prestazioni previdenziali - e
sistemi di tipo solidaristico - caratterizzati, di regola,
dall'irrilevanza della proporzionalita' tra contributi e prestazioni
previdenziali - una volta scelta con chiarezza la prima delle due
opzioni, il bilanciamento degli interessi in gioco deve avvenire
tenendo conto della soluzione normativa prevista dal decreto
legislativo n. 509 del 1994.
Nel caso in esame, quest'ultima e' nel senso di realizzare
modalita' di finanziamento del sistema pensionistico della CNPADC
attraverso la capitalizzazione dei contributi versati da ciascun
lavoratore prima della quiescenza. Tali contributi sono gestiti dalla
Cassa attraverso criteri di autonomia delineati dal legislatore
secondo accantonamenti a basso rischio, cosicche', al momento del
pensionamento, ogni lavoratore ritira il proprio montante
contributivo, cioe' quanto versato sino alla quiescenza, maggiorato
dai cosiddetti coefficienti di trasformazione. Questa scelta si
contrappone al sistema dell'Istituto nazionale di previdenza per i
dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP), ora confluito
nell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel quale il
pagamento delle pensioni viene effettuato utilizzando i contributi
correntemente versati dai lavoratori in servizio e dai relativi
datori di lavoro, senza che si effettui alcun accantonamento dei
contributi stessi.
Negli anni '90 il legislatore italiano ha ritenuto che i due
sistemi potessero coesistere in ragione delle specifiche
peculiarita'. Risulta, quindi, evidente come in quello in esame
esista un collegamento chiaro ed indefettibile fra volume dei
contributi versati e livello delle prestazioni rese, legame che
comporta un forte richiamo alla responsabilita' del gestore, dalla
cui buona amministrazione dipende in sostanza il mantenimento di un
sistema che non puo' altrimenti finanziarsi.
In definitiva, se in Costituzione non esiste un vincolo a
realizzare un assetto organizzativo autonomo basato sul principio
mutualistico, occorre tuttavia evidenziare che, una volta scelta tale
soluzione, il relativo assetto organizzativo e finanziario deve
essere preservato in modo coerente con l'assunto dell'autosufficienza
economica, dell'equilibrio della gestione e del vincolo di
destinazione tra contributi e prestazioni.
4.2.- Sotto il profilo del buon andamento di cui all'art. 97
Cost., non puo' essere ignorato che la riforma della CNPADC, avvenuta
in attuazione del portato normativo del decreto legislativo n. 509
del 1994, e' ispirata dall'esigenza di percorrere una strada
alternativa di tipo mutualistico rispetto alla soluzione
«generalista» della previdenza dei dipendenti pubblici rappresentata
dal sistema INPDAP, ora accorpato all'INPS.
Tale alternativa consiste sostanzialmente nell'autonomia
finanziaria comportante l'assoluto divieto di contribuzione da parte
dello Stato, nonche' la ricerca di equilibri di lungo periodo sul
piano previdenziale, finanziario ed economico.
In definitiva, si tratta di un sistema progettato e finalizzato
all'equilibrio di lungo periodo di cui e' connotato sintomatico «la
previsione di una riserva legale, al fine di assicurare la
continuita' nell'erogazione delle prestazioni, in misura non
inferiore a cinque annualita' dell'importo delle pensioni in essere.
Ferme restando le riserve tecniche esistenti alla data di entrata in
vigore del presente decreto, all'eventuale adeguamento di esse si
provvede, nella fase di prima applicazione, mediante accantonamenti
pari ad una annualita' per ogni biennio» (art. 1, comma 4, lettera c,
della legge n. 509 del 1994).
In tale contesto, le spese di gestione della CNPADC devono essere
ispirate alla logica del massimo contenimento e della massima
efficienza, dal momento che il finanziamento di tale attivita'
strumentale grava sulle contribuzioni degli iscritti, cosicche' ogni
spesa eccedente al necessario finisce per incidere negativamente sul
sinallagma macroeconomico tra contribuzioni e prestazioni.
Secondo tale prospettiva - come gia' rilevato - le misure di
contenimento della spesa per i beni intermedi stabilite dall'art. 8,
comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012 sono utili non solo ad
assicurare pro quota la partecipazione della Cassa al raggiungimento
degli obiettivi di finanza pubblica, ma anche a preservare da
un'eccessiva espansione della spesa corrente una parte delle risorse
naturalmente destinate alle prestazioni previdenziali, salvaguardando
il buon andamento dell'ente in conformita' agli obiettivi della
riforma del 1994.
Se la prima parte dell'art. 1, comma 3, appare, dunque, un
efficace strumento di coordinamento della finanza pubblica, la
seconda parte - nel destinare detto risparmio all'Erario - collide
anche con l'art. 97 della Costituzione, in quanto sottrae alla CNPADC
risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti. E,
nel caso di specie, non e' tanto l'entita' del prelievo - peraltro
esiguo in rapporto alla dimensione delle entrate dello Stato - a
determinare la non conformita' a Costituzione, quanto l'astratta
configurazione della norma, che aggredisce, sotto l'aspetto
strutturale, la correlazione contributi-prestazioni, nell'ambito
della quale si articola «la naturale missione» della CNPADC di
preservare l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale.
4.3.- Con riguardo alla violazione dell'art. 38 della
Costituzione, non sono condivisibili le argomentazioni
dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui il prelievo non colpirebbe
le situazioni previdenziali degli iscritti, ma si limiterebbe ad
incidere sul bilancio della Cassa.
Occorre a tal proposito ricordare che - per effetto della
riforma del 1994 - le posizioni previdenziali degli iscritti sono
collettivamente e singolarmente condizionate dalla regola per cui la
prestazione deve essere resa solo attraverso la contribuzione
capitalizzata del destinatario e non attraverso l'impiego delle
contribuzioni versate dagli altri iscritti in attivita'. Cio' con
assoluta esclusione - a differenza della previdenza dei pubblici
dipendenti - di qualsiasi contribuzione a carico dello Stato nel
momento in cui il flusso finanziario proveniente dai versamenti
contributivi non risulti sufficiente al pagamento delle prestazioni
dovute.
In sostanza, in un sistema ispirato - pur nell'ambito del
meccanismo contributivo - alla capitalizzazione dei contributi degli
iscritti, l'ingerenza del prelievo statale rischia di minare quegli
equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell'esperienza
previdenziale autonoma. Questa Corte ha affermato che la scelta di
dotare le Casse di previdenza di un sistema di solidarieta'
endocategoriale basato sulla comunanza di interessi degli iscritti -
cosicche' ciascuno di essi concorre con il proprio contributo al
costo delle erogazioni delle quali si giova l'intera categoria - e di
vincolare in tal senso la contribuzione di detti soggetti,
costituisce soluzione del tutto ragionevole e idonea a «prevenire
situazioni di crisi finanziaria e dunque di garantire l'erogazione
delle prestazioni [. E'] stato cosi' sancito il vincolo d'una riserva
legale a copertura per almeno cinque anni delle pensioni in essere
(art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994) e, piu'
recentemente in sede di riforma del sistema pensionistico generale,
e' stata prevista l'obbligatorieta' della predisposizione di un
bilancio tecnico attuariale per un arco previsionale di almeno
quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335)».
Pertanto, «[l]a solidarieta' endocategoriale che il legislatore si e'
preoccupato di non far venire improvvisamente meno», e' finalizzata
ad «assicurare l'idonea provvista di mezzi: considerazione,
quest'ultima, tanto piu' valida ora, in un sistema dichiaratamente
autofinanziato», in cui «tale previsione "assicura lo strumento
meglio idoneo all'attuazione di finalita' schiettamente pubbliche
[...]". Tanto puo' affermarsi anche con riguardo agli scopi
previdenziali perseguiti [dalle Casse previdenziali autonome] nel
quadro della gia' richiamata solidarieta' interna ai professionisti,
a vantaggio dei quali l'ente e' stato istituito: la comunanza
d'interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con
il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si giova
l'intera categoria, di talche' il vincolo puo' dirsi presupposto
prima ancora che imposto» (sentenza n. 248 del 1997).
Considerate le complesse problematiche alla base della
deficienza strutturale dei meccanismi di finanziamento della
previdenza dei dipendenti pubblici, l'alternativo sistema, voluto dal
legislatore per gli enti privatizzati in un periodo ormai risalente,
merita di essere preservato da meccanismi - quali il prelievo a
regime in esame - in grado di scalfirne gli assunti di base. Cio'
anche in considerazione del fatto che detti assunti ne hanno,
comunque, garantito la sopravvivenza senza interventi di parte
pubblica per un ragguardevole periodo di tempo. In proposito non puo'
essere sottovalutato come la tutela degli equilibri finanziari della
CNPADC sia intrinsecamente funzionale alla garanzia delle posizioni
previdenziali degli associati, a sua volta riconducibile all'art. 38
della Costituzione.
5.- In definitiva, subordinare le esigenze di coerenza
dell'ordinamento previdenziale, disegnato dal decreto legislativo n.
509 del 1994 in senso mutualistico e successivamente perfezionato
attraverso l'applicazione del sistema contributivo, ad un meccanismo
di prelievo di importo marginale (anche per il carattere di
neutralita' finanziaria nell'ambito della manovra complessiva) non
risulta coerente ne' in grado di superare i test di ragionevolezza
precedentemente richiamati.
Infatti, proprio una ponderazione delle esigenze di
equilibrio della finanza pubblica tende inevitabilmente verso la
soluzione di non alterare la regola secondo cui i contributi degli
iscritti alla CNPADC devono assicurarne l'autosufficienza della
gestione e la resa delle future prestazioni, in presenza di un chiaro
divieto normativo all'intervento riequilibratore dello Stato.
Per quanto considerato, l'art. 8, comma 3, del decreto-legge
n. 95 del 2012 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo
in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione nella
parte in cui prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di
spesa previste da tale norma siano versate annualmente dalla CNPADC
ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
G. Nel caso all'esame di questa Corte di appello, il dubbio di
legittimita' costituzionale investe l'art. 1, comma 417, della legge
n. 147 del 2013, che ha la medesima ratio della norma dichiarata
costituzionalmente illegittima e determina il medesimo effetto
distrattivo finale di riversare in favore dello Stato il risparmio di
spesa di una Cassa di previdenza, sicche' le medesime ragioni che
hanno indotto la Corte costituzionale a dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95, devono intendersi poste alla base della presente ordinanza di
rimessione.
Al riguardo, questa Corte condivide e fa proprie le
argomentazioni svolte dalla CIPCAG, la' dove ha osservato che:
«l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 introduce un "meccanismo"
analogo a quello previsto dall'art. 8, comma 3, decreto-legge n.
95/2012, che stabilisce un obbligo di riversamento al bilancio dello
Stato di somme commisurate a una quota percentuale delle spese per
'consumi intermedi' relative all'anno 2010, e la cui disciplina si
differenzia dalla precedente solo per la maggiore entita' delle somme
da riversare e per la sua alternativita' rispetto alle altre
disposizioni contenenti obblighi connessi alla cd. spending review.
42. Sia l'art. 1, comma 417, legge n. 147/2013 che l'art. 8,
comma 3, decreto-legge n. 95/2012, infatti, al fine di assicurare
un'entrata ulteriore al bilancio dello Stato, prevedono che anche gli
enti previdenziali privatizzati debbano, non solo procedere alle
riduzioni di spesa necessarie per garantire il rispetto della
disciplina europea di spending review, ma anche riversare allo Stato
le somme risparmiate da dette riduzioni, con grave nocumento
all'autonomia finanziaria degli stessi. [Tali previsioni si
inseriscono nell'ambito della disciplina per il contenimento delle
spese da parte delle amministrazioni pubbliche, adottata in
dichiarato perseguimento degli obiettivi economici concordati in sede
europea, e in particolare quelli pattuiti nel Trattato sulla
stabilita', sul coordinamento e sulla governance dell'Unione
economica e monetaria (cd. Fiscal compact), disciplina che si applica
a Cassa geometri in virtu' dell'inserimento delle casse previdenziali
privatizzate nell'elenco ISTAT delle amministrazioni pubbliche.]
43. Si tratta in entrambi i casi di obblighi di riversamento
cui la Cassa geometri non avrebbe potuto sottrarsi. Come si e'
ampiamente dedotto, i regimi normativi di cd. spending review
applicabili alla Cassa a decorrere dall'anno 2014 (da un lato, quello
recato dalla normativa generale in materia di contenimento della
spesa, comprensivo del combinato disposto dell'art. 50, comma 3,
decreto-legge n. 66/2014 e dell'art. 8, comma 3, decreto-legge n.
95/2012 e, dall'altro, quello di cui all'art. 1, comma 417, cit.)
comportavano obblighi di riversamento in favore del bilancio dello
Stato: Cassa geometri non ha potuto scegliere se procedere o meno ai
riversamenti; quel che essa ha potuto scegliere sono soltanto le
modalita' attraverso cui procedere alle riduzioni di spesa e ai
conseguenti riversamenti, se forfettarie in base all'art. 1, comma
417, cit. ovvero analitiche in base alla normativa generale degli
enti pubblici non territoriali (si v. supra, § II.A.1).
E' allora chiaro che rispetto all'art. 1, comma 417, cit. si
ripropongono i medesimi vizi di illegittimita' costituzionale
accertati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 7/2017 in
relazione all'art. 8, comma 3, decreto-legge 95/2012 - nella parte in
cui si prevede che le somme derivanti da riduzioni di spesa siano
riversate annualmente dagli enti previdenziali privatizzati ad
apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato - e tale
conclusione e' ampiamente dimostrata dall'esame del percorso
motivazionale di tale pronuncia.
Pertanto, questa Corte ritiene non manifestamente infondata,
in riferimento agli articoli 3, 38 e 97 della Costituzione, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417,
della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prescrive che le
somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale
disposizione siano versate annualmente dalla CIPAG ad apposito
capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
H. Ritiene pertanto la Corte di dovere sollevare, in riferimento
agli articoli 3, 38 e 97, della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417, della legge n.
147 del 2013, nella parte in cui prescrive che le somme derivanti
dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione siano versate
annualmente dalla CIPAG ad apposito capitolo di entrata del bilancio
dello Stato.
P.Q.M.
La Corte dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 417,
della legge n. 147 del 2013 per contrasto con gli articoli 3, 38 e 97
della Costituzione, nella parte in cui prescrive che le somme
derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale disposizione
siano versate annualmente dalla Cassa italiana di previdenza e
assistenza dei geometri liberi professionisti ad apposito capitolo di
entrata del bilancio dello Stato;
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso;
Dispone, inoltre, che, a cura della cancelleria, la presente
ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e
alle parti e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al
Presidente del Senato della Repubblica.
Roma, 20 marzo 2025
Il Presidente: Pinto