Processo penale - In genere - Sentenza di non doversi procedere - Possibilità di emissione, nei processi aventi ad oggetto reati colposi, allorché l'agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso - Omessa previsione - Denunciata violazione dei principi di necessità, proporzionalità e umanità della pena - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 199001).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dal Tribunale di Firenze, sez. prima pen., in riferimento agli artt. 3, 13 e 27, terzo comma, Cost. – dell’art. 529 cod. proc. pen., nella parte in cui, nei procedimenti relativi a reati colposi, non prevede la possibilità di emettere sentenza di non doversi procedere allorché l’agente, in relazione alla morte di un prossimo congiunto cagionata con la propria condotta, abbia già patito una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso. Non sussiste un vincolo costituzionale che imponga di introdurre, nei termini richiesti dal rimettente, una causa di improcedibilità fondata sul dolore patito dal reo – inteso come “pena naturale” – per la morte del familiare colposamente cagionata. Il riferimento nel petitum ai «reati colposi» è infatti talmente generico da ricomprendere tutte le ipotesi di colpa, pure ontologicamente diverse, tra cui quelle basate su una posizione di garanzia qualificata, come la colpa specifica e professionale, e anche fattispecie contravvenzionali (come, nella specie, quelle per inosservanza delle misure di sicurezza dei lavoratori), svilendone la funzione preventiva. Inoltre, il rimando alla nozione penalistica di «prossimo congiunto» (art. 307, quarto comma, cod. pen.) – che si estende ben oltre la famiglia nucleare, fino a includere rapporti di parentela in linea collaterale di grado inferiore al secondo (come quello di specie, tra zio e nipote), e persino vincoli di affinità – è troppo ampio perché possa postularsi tra il reo e la vittima un rapporto affettivo di un’intensità tale, in base all’id quod plerumque accidit, da far presumere l’equivalenza sostanziale tra pena naturale e pena giuridica. Infine, non vi sono ragioni costituzionali per le quali la pena naturale da omicidio colposo del prossimo congiunto debba integrare una causa di non procedibilità, anziché un’esimente di carattere sostanziale, ovvero ancora una circostanza attenuante soggettiva. (Precedente: S. 120/2019).