Magistratura - In genere - Sanzioni disciplinari (nella specie: rimozione) - Requisiti - Proporzionalità rispetto alla gravità della condotta - Conseguente necessità che le sanzioni fisse non siano manifestamente sproporzionate rispetto a tutti i comportamenti riconducibili alla fattispecie astratta - Autonomia della valutazione in sede disciplinare rispetto a quella del giudice penale - Finalità - Valutazione dell'eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni, considerate le ripercussioni sui suoi diritti fondamentali (nel caso di specie: illegittimità costituzionale parziale della disposizione che prevede l'automatica applicazione, da parte della Sezione disciplinare del CSM, della sanzione disciplinare della rimozione al magistrato condannato a pena detentiva, per delitto non colposo, non inferiore a un anno, la cui esecuzione non sia stata sospesa o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione). (Classif. 147001).
Il requisito della proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto alla gravità della condotta, normalmente, può essere soddisfatto soltanto da una valutazione individualizzata della gravità dell’illecito, alla quale la risposta sanzionatoria deve essere calibrata; le sanzioni fisse sono tendenzialmente in contrasto con tale principio, a meno che risultino non manifestamente sproporzionate rispetto all’intera gamma dei comportamenti riconducibili alla fattispecie astratta dell’illecito sanzionato. (Precedenti: S. 40/2023 - mass. 45370; S. 266/2022 - mass. 45250; S. 185/2021 - mass. 44241; S. 112/2019 - mass. 42706, S. 197/2018 - mass. 40388; S. 170/2015 - mass. 38509. Per la materia penale, S. 197/2023 - mass. 45843; S. 195/2023 - mass. 45827; S. 94/2023 - mass. 45533; S. 222/2018 - mass. 40938).
La valutazione discrezionale dell’organo disciplinare nell’irrogazione della sanzione che ad esso compete non può mai essere in toto pretermessa, per essere surrogata da quella del giudice penale, spettando al primo apprezzare non già la (generica) gravità dell’illecito commesso, ma – più specificamente – la significatività di tale illecito rispetto al giudizio di persistente idoneità dell’interessato a svolgere le proprie funzioni o la propria professione. (Precedente S. 234/2015).
A fronte dell’entità delle ripercussioni che la sanzione disciplinare della rimozione del magistrato, da cui deriva l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziario, è suscettibile di produrre sui diritti fondamentali, e sull’esistenza stessa, della persona interessata, è necessario che il giudice disciplinare sia posto in condizioni di valutare la proporzionalità di tale sanzione rispetto al reato commesso, dal peculiare angolo visuale della eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni; e ciò anche in relazione alle esigenze di salvaguardia del prestigio dell’ordine giudiziario, e della conseguente necessità di mantenere la fiducia dei consociati nei suoi confronti.
(Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo in via parziale, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 109 del 2006 che, nel disciplinare le sanzioni disciplinari applicabili dalla Sezione disciplinare del CSM, prevede l’automatica applicazione della rimozione al magistrato condannato a pena detentiva, per delitto non colposo, non inferiore a un anno, la cui esecuzione non sia stata sospesa o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione. Tale automatismo è suscettibile di produrre, in concreto, risultati sanzionatori sproporzionati rispetto alle specifiche finalità della responsabilità disciplinare, in conseguenza dell’eterogeneità delle condotte suscettibili di essere sanzionate, definite solo dall’ammontare della pena. La disciplina, inoltre, sottrae irragionevolmente alla Sezione disciplinare ogni potere di apprezzamento sulla inidoneità del magistrato condannato a continuare a svolgere le proprie funzioni, dato che l’an e il quomodo della responsabilità disciplinare sono interamente determinati dalla decisione del giudice penale, al cui orizzonte conoscitivo e valutativo è, tuttavia, estranea la questione della proporzionalità della sanzione disciplinare. Per effetto della disciplina censurata sono svuotate di significato pratico le garanzie assicurate all’incolpato nel procedimento disciplinare, né può obiettarsi che l’esclusione dell’illecito disciplinare, per fatti di «scarsa rilevanza», assicurerebbe all’organo disciplinare un margine di discrezionalità, sia per la difficile applicazione sia perché lo stesso sarebbe irragionevolmente vincolato all’alternativa della sanzione massima della rimozione o alla rinuncia di qualsiasi sanzione. L’ablazione dichiarata determina la riespansione della disciplina generale dell’illecito disciplinare restituendo alla Sezione disciplinare la possibilità di applicare, secondo il proprio discrezionale apprezzamento, una tra le sanzioni previste dall’art. 5. Il legislatore potrà, in ogni caso, modulare diversamente la disciplina sanzionatoria dell’illecito in questione, non sussistendo allo stato le condizioni affinché sia la Corte costituzionale a individuare specifiche soluzioni sanzionatorie già esistenti, destinate a sostituirsi a quelle dichiarate costituzionalmente illegittime). (Precedenti: S. 46/2024 - mass. 46030; S. 185/2021 - mass. 44238; S. 268/2016 - mass. 39188; S. 112/2014 - mass. 37910; S. 2/1999 - mass. 24416; S. 363/1996 - mass. 23058; S. 197/1993 - mass. 19394; S. 16/1991 - mass. 16820; S. 158/1990 - mass. 15589; S. 40/1990 - mass. 15078; S. 971/1988).