Processo penale - Incompatibilità del giudice - Ratio - Salvaguardia dei princìpi di terzietà e imparzialità della giurisdizione - Differenze temporali e strutturali rispetto agli istituti della astensione e ricusazione (nel caso di specie: non fondatezza delle questioni aventi ad oggetto l'art. 34 cod. proc. pen., laddove non prevede che il giudice per le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna per ritenuta illegalità della pena proposta dal pubblico ministero sia incompatibile a pronunciarsi su una nuova richiesta di emissione di decreto penale avanzata dal PM in ragione dei rilievi precedentemente formulati dal medesimo giudice). (Classif. 199028).
La disciplina dell’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei princìpi di terzietà e imparzialità della giurisdizione, essendo rivolta ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere – o apparire – condizionata dalla “forza della prevenzione”, ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che il medesimo giudice sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda. (Precedenti: S. 172/2023 - mass. 45789; S. 64/2022 - mass. 44655; S. 16/2022 - mass. 44520, 44521; S. 7/2022 - mass. 44517; S. 346/1997 - mass. 23552).
La diversità fra l’istituto dell’incompatibilità e quelli della astensione e ricusazione, deriva dal fatto che si tratta di istituti che condividono sì la stessa ratio di garanzia della neutralità dell’esercizio della giurisdizione penale, ma in diversi momenti e con diverse caratteristiche. (Precedenti: S. 91/2023 - mass. 45600; O. 123/2004 - mass. 28436).
(Nel caso di specie, sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del GIP che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna, per ritenuta illegalità della pena proposta dal pubblico ministero, a pronunciarsi su una nuova richiesta di decreto penale, avanzata da quest’ultimo in ragione dei rilievi del medesimo giudice. Nelle fattispecie di c.d. incompatibilità “orizzontale”, disciplinate dalla disposizione censurata, l’incompatibilità presuppone una relazione tra due termini: una “fonte di pregiudizio” – ossia un’attività giurisdizionale atta a generare la forza della prevenzione – e una “sede pregiudicata”, vale a dire un compito decisorio, al quale il giudice, che abbia posto in essere l’attività pregiudicante, non risulta più idoneo. Quanto alla “sede pregiudicata”, individuata nella partecipazione al «giudizio», la decisione sulla richiesta di decreto penale di condanna costituisce, di regola, una funzione di giudizio. Quanto all’"attività pregiudicante", le condizioni che devono contestualmente sussistere affinché si configuri la necessità costituzionale di prevedere un’ipotesi di incompatibilità endoprocessuale sono: [i] le preesistenti valutazioni devono cadere sulla medesima res iudicanda; [ii] il giudice deve essere stato chiamato a effettuare una valutazione di atti anteriormente compiuti, in maniera strumentale all’assunzione di una decisione, e non semplicemente aver avuto conoscenza di essi; [iii] tale valutazione deve attenere al merito dell’ipotesi accusatoria, e non già al mero svolgimento del processo; [iv] infine, le precedenti valutazioni devono collocarsi in una diversa fase del procedimento. Nell’ipotesi in esame, se ricorrono le prime due condizioni, non sussiste, invece, la terza. L’attività alla quale il rimettente intenderebbe annettere efficacia pregiudicante è il rigetto della richiesta di decreto penale per ritenuta illegalità della pena proposta dal PM: la valutazione circa l’illegalità della pena può essere, peraltro, compiuta sulla base della mera lettura della richiesta di decreto penale di condanna, senza la necessità di avviare ponderazioni del merito della richiesta stessa e a prescindere da eventuali considerazioni circa la fondatezza dell’ipotesi accusatoria. Non può escludersi dunque che, ove il GIP rilevi che la sanzione proposta dal PM non rispetti i criteri previsti dalla legge per la sua determinazione, egli proceda alla restituzione degli atti affinché il PM riformuli la richiesta nell’osservanza delle previsioni di legge, senza essersi formato un convincimento in ordine alla sussistenza, o no, della responsabilità penale dell’imputato. Rimane, comunque sia, al giudice la possibilità di allegare – ove ne ricorrano i presupposti concreti – la sussistenza delle gravi ragioni di convenienza che legittimerebbero la sua astensione a norma dell’art. 36, comma 1, lett. h, cod. proc. pen.).