Processo civile - Equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Termine ragionevole (nel caso si specie: nelle procedure concorsuali) - Conclusione della procedura concorsuale oltre il termine previsto di sei anni, a causa della durata del processo presupposto ovvero da impedimenti oggettivi non ascrivibili all'autorità preposta allo svolgimento della procedura concorsuale - Valutazione del giudice ai fini della considerazione della non irragionevole durata della procedura concorsuale - Omessa previsione, nell'asserita interpretazione, ritenuta consolidata e uniforme, sulla perentorietà e non derogabilità dei termini di ragionevole durata - Denunciata irragionevolezza, violazione del diritto alla tutela giurisdizionale e dei vincoli derivanti dagli obblighi convenzionali - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 197009).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte d’appello di Venezia, nella persona del giudice designato ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, dell’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, nella parte in cui non consente che, valutata la complessità della procedura concorsuale presupposta, il giudice dell’equa riparazione possa ritenere non irragionevole la durata superiore al termine di sei anni fissato dalla norma censurata, e inderogabile secondo il diritto vivente. Il rimettente muove da un erroneo presupposto interpretativo rispetto alle questioni dedotte con riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, in quanto la giurisprudenza di legittimità consolidata ha introdotto un temperamento alla previsione contenuta nel comma 2-bis, ritenendo “tollerabile” una durata di sette anni nel caso di procedura concorsuale di notevole complessità, secondo lo standard ricavato dalle pronunce della Corte EDU; in tal caso, il giudice dell’equa riparazione è tenuto a dare conto delle ragioni della “notevole complessità” della procedura per poter applicare il termine di sette anni. Pertanto, la durata eccedente il termine di sei anni, per le procedure di media complessità, o di sette anni, per quelle di notevole complessità, determina il sorgere del diritto all’equo indennizzo in capo al creditore concorsuale, sempre che lo stesso non abbia dato causa al ritardo. In assenza di specifica previsione, il giudice dell’equa riparazione non può sottrarre dal computo della durata il tempo occorso per attività, quali gli interventi di bonifica e risanamento ambientale, resesi necessarie nel corso della procedura, nonché il tempo occorso per definire i giudizi collegati alla procedura. Quanto al denunciato vulnus all’art. 24 Cost., muove anch’esso da un presupposto erroneo. La responsabilità degli organi della procedura per il ritardo con cui siano stati soddisfatti i creditori concorsuali ovvero, in caso di incapienza, sia stata chiusa la procedura, esula dalle finalità perseguite dai rimedi avverso la violazione del termine di ragionevole durata del processo di cui all’art. 6, par. 1, CEDU, e trova appropriata ed effettiva risposta nel ricorso ad altre azioni e in altre sedi, ove si accertino condotte gravemente negligenti, e dunque non consegue per il solo oggettivo ritardo. (Precedenti: S. 205/2023 - mass. 45867; S. 249/2020 - mass. 43062; S. 36/2016 - mass. 38738; S. 349/2007 - mass. 31725; S. 348/2007 - mass. 31711).