Parlamento - Immunità parlamentari - Procedimento penale nei confronti di Armando Siri, senatore all'epoca dei fatti - Richiesta autorizzazione di intercettazioni telefoniche e captazioni occasionali antecedenti all'iscrizione del senatore Siri nel registro degli indagati - Deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica il 9 marzo 2022 - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal GUP del Tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica - Lesione delle prerogative giurisdizionali intorno alle valutazioni sulla necessità probatoria delle intercettazioni - Dichiarazione di non spettanza al Senato della Repubblica di adottare la suddetta deliberazione, nella parte in cui svolge valutazioni sulla necessità delle intercettazioni effettuate il 15 maggio 2018, e conseguente suo annullamento. (Classif. 172005).
È dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica negare, con la deliberazione del 9 marzo 2022 (doc. IV, n. 10), l’autorizzazione, richiesta dal GUP del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, a utilizzare nei confronti di Armando Siri, senatore all’epoca dei fatti, le comunicazioni captate nel giorno 15 maggio 2018, nell’ambito del procedimento penale n. 40767 del 2018 R.G.N.R., nel quale il predetto parlamentare risulta imputato. Il Senato della Repubblica ha travalicato le proprie attribuzioni nel momento in cui ha ravvisato la non necessità probatoria delle due intercettazioni effettuate il 15 maggio 2018, in quanto l’art. 6 della legge n. 140 del 2003 non assegna al Parlamento un potere di riesame di dati processuali già valutati dall’autorità giudiziaria, consentendo invece alle Camere di verificare che la richiesta di autorizzazione sia coerente con l’impianto accusatorio e che non sia pretestuosa. Nel caso di specie, la valutazione operata dal GUP intorno alla necessità probatoria delle intercettazioni in questione deve ritenersi non implausibile. Nel momento in cui, pertanto, il Senato della Repubblica ha ritenuto di negare l’autorizzazione in parola ponendo a fondamento della sua deliberazione l’anteriorità delle conversazioni intercettate rispetto all’assunzione dell’incarico di sottosegretario, ha menomato le attribuzioni del ricorrente, in quanto ha preteso di valutare autonomamente le condotte ascritte al parlamentare, anziché operare un vaglio sulle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di autorizzazione. Né ha fondamento la tesi sostenuta dalla difesa del Senato, secondo cui l’attività svolta dal parlamentare Siri quando questi era “solamente” senatore, consistente nella presentazione e nel sostegno di emendamenti legislativi, non potrebbe costituire, a monte, una condotta rilevante ai fini dell’utilizzazione delle intercettazioni, attesa la previsione costituzionale di cui al comma 1 dell’art. 68 Cost. Nella fattispecie in esame, lo svolgimento di atti tipici della funzione non ha rilievo di per sé come fatto direttamente generatore della responsabilità, ma quale presupposto di un fatto di reato non commesso nell’esercizio della funzione e, pertanto, estraneo al novero delle attività che rinvengono nel diritto parlamentare il loro unico regime qualificatorio, perché costituito dal preteso accordo corruttivo da cui deriverebbe, secondo l’ipotesi accusatoria, l’asservimento del ruolo di pubblico ufficiale del senatore Siri a interessi privati. (Precedente: S. 74/2013 - mass. 37023).