Lavoro - Licenziamento collettivo - Limiti - Discrezionalità del legislatore, sulla base di motivi giustificati dalla realtà sociale e dalla Costituzione e nel rispetto dei limiti di eccezionalità, temporaneità e proporzionalità richiesti nel periodo emergenziale (nel caso di specie: non fondatezza delle questioni aventi ad oggetto le disposizioni introdotte con decretazione d'urgenza e poi reiterate ratione temporis che introducono il c.d. "blocco" dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, a determinate condizioni, indipendentemente dal numero dei dipendenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, senza estendere la misura al lavoratore qualificato come dirigente). (Classif. 138012).
Il legislatore può ben stabilire, nell’esercizio della sua valutazione politica, un regime preferenziale di garanzia di conservazione del lavoro in favore di determinate categorie tutte le volte in cui sussistano motivi che lo giustifichino, sempre che si tratti di ragioni che trovano valido riscontro nella realtà sociale e nella Costituzione. (Precedente: S. 27/1969 - mass. 3165).
Nella situazione di emergenza sanitaria, il dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, può anche portare, in circostanze particolari, al temporaneo sacrificio di alcuni a beneficio di altri maggiormente esposti, selezionati inizialmente sulla base di un criterio a maglie larghe. (Precedente: S. 128/2021 - mass. 43959).
(Nel caso di specie, sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate, le prime due, dalla Cassazione, sez. lavoro, e, la terza, dalla Corte d’appello di Catania, tutte in riferimento all’art. 3 Cost. – dell’art. 14, comma 2, del d.l. n. 104 del 2020, come conv., dell’art. 46 del d.l. n. 18 del 2020, come conv., e dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 137 del 2020, come conv., i quali, nel contesto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, stabiliscono, ratione temporis, che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, senza estendere tale disciplina anche ai lavoratori che rivestono la qualifica di dirigenti. Il c.d. “blocco” dei licenziamenti, introdotto con il primo dei d.l. censurati per cinque mesi a decorrere dall’entrata in vigore dello stesso d.l., ed esteso, con gli altri due, rispettivamente, dal 15 agosto 2020 in avanti e fino alla data del 31 gennaio 2021, è una misura di natura eccezionale e di applicazione tendenzialmente generalizzata, prescindendo dalle dimensioni dell’impresa e interessando l’intero panorama dei licenziamenti economici, sia di natura collettiva che individuale, per cui non può essere estesa oltre il perimetro oggettivamente ricavabile dalla formulazione letterale delle norme. Il “blocco” non è pertanto giuridicamente riferibile ai lavoratori aventi la qualifica di dirigente, poiché quest’ultima tipologia di lavoratore, pur rientrando tra i lavoratori subordinati, ex art. 2095 cod. civ., non è comparabile alle altre categorie, configurando un vero e proprio alter ego dell’imprenditore. Né è irragionevole la differenziazione tra i dirigenti che, se coinvolti in procedure collettive di licenziamento mantengono il posto di lavoro, e quelli che lo perdono se a loro viene intimato un licenziamento individuale per ragioni economiche: le norme emergenziali censurate ricalcano, quanto ai dirigenti, i medesimi confini applicativi delle regole ordinarie sui licenziamenti collettivi e individuali per motivo oggettivo. Anche la disciplina ordinaria risulta infatti caratterizzata dalla medesima “asimmetria”, in quanto le garanzie apprestate dalla legge nel caso dei licenziamenti individuali dovuti a motivi “economici”, ex legge n. 604 del 1966, non sono applicabili ai dirigenti, mentre quelle che assistono i licenziamenti collettivi proteggono, dopo la legge n. 161 del 2014, anche questa categoria di lavoratori. La corrispondenza tra i due assetti – quello ordinario e quello emergenziale, accomunati da analoga “asimmetria” – conferisce, già di per sé, coerenza e ragione giustificativa alla scelta operata dal legislatore del periodo pandemico, vieppiù considerando che la sua discrezionalità, nel disegnare misure di contrasto della pandemia, è più ampia che in condizioni ordinarie, e che comunque il succedersi delle varie disposizioni, nel corso dei mesi, testimonia lo sforzo di rendere la misura in esame proporzionata all’effettiva necessità, secondo la logica dell’extrema ratio. Trova dunque collocazione, entro i binari della non manifesta irragionevolezza, la scelta di non azzerare del tutto il potere di recesso della parte datoriale, connesso al pieno esercizio della libertà di iniziativa economica, ex art. 41 Cost., e piuttosto di limitarlo temporaneamente e circoscriverlo alla sola ipotesi che, in proporzione, coinvolge poche unità di lavoratori economicamente più “forti”. Al contempo, sul versante della tutela del lavoro, ex artt. 1, 4, 35 e 36 Cost., quella stessa scelta ha consentito non solo di esaudire efficacemente il contrapposto interesse, comune a tutte le categorie di lavoratori, volto al mantenimento del posto di lavoro e della relativa capacità reddituale, ma anche, e soprattutto, di erigere il presidio sociale più ampio possibile a protezione sia, individualmente, dei lavoratori meno “forti” – quadri, impiegati, operai –, sia, collettivamente, di interi gruppi di lavoratori, compresi i dirigenti, altrimenti esposti al rischio della mobilità collettiva). (Precedenti: S. 213/2021 - mass. 44353; S. 128/2021 - mass. 43959; S. 194/2018 - mass. 40526; S. 228/2001 - mass. 26396; S. 309/1992 - mass. 18560; S. 180/1987 - mass. 4283; S. 101/1975 - mass. 7784; S. 121/1972 - mass. 6204).