Lavoro - Licenziamento individuale - Recesso datoriale "disciplinare" - Rispetto delle garanzie procedimentali, in primis del contraddittorio, e del canone di proporzionalità - Necessità (nel caso di specie: non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la disposizione che, pur avendo ridotto le ipotesi di tutela reintegratoria, consente al giudice di ordinare la reintegra ove l'addebito si fondi su un fatto materiale insussistente, mentre l'addebito provato in giudizio, anche dinanzi a una risposta datoriale sproporzionata, restringe il rimedio alla tutela indennitaria, secondo un sistema adeguato, dissuasivo e allo stato costituzionalmente compatibile). (Classif. 138013).
La natura disciplinare del recesso datoriale implica, innanzi tutto, il rispetto delle regole formali e procedurali di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015, che richiama le garanzie previste dall’art. 7 stat. lavoratori: tra queste, la garanzia procedimentale più importante consiste nell’osservanza del contraddittorio tra datore e lavoratore, quale indefettibile regola di formazione delle misure disciplinari. (Precedente: S. 204/1982 - mass. 11572).
Sul piano sostanziale, la natura disciplinare del recesso datoriale comporta l’applicabilità del canone generale della proporzionalità, secondo cui l’inadempimento del lavoratore deve essere caratterizzato da una gravità tale da compromettere definitivamente la fiducia necessaria ai fini della conservazione del rapporto.
(Nel caso di specie, sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Catania in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 21, 24, 35, 36, 40, 41 e 76 Cost., dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui non prevede – o non consente – la tutela reintegratoria, a fronte di un licenziamento disciplinare illegittimo, con applicazione della sola tutela indennitaria. Anche se a seguito del d.lgs. n. 23 del 2015 si è ridotta, per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, l’area della tutela reintegratoria rispetto alla disciplina posta dalla legge n. 92 del 2012 – e ancor più rispetto a quella precedente della generale tutela reintegratoria di cui all’art. 18 stat. lavoratori, nel testo vigente fino al 2012 –, rimane, nel complesso, un ancora sufficiente grado di adeguatezza e dissuasività del regime di tutela nei confronti del licenziamento illegittimo e non si è raggiunta la soglia oltre la quale una carente disciplina di contrasto del licenziamento illegittimo entrerebbe in frizione con la tutela costituzionale del lavoro. Il giudizio di adeguatezza del meccanismo risarcitorio forfetizzato utilizzato dal d.lgs. n. 23 del 2015, una volta superata la rigidità collegata all’anzianità ad opera della sentenza n. 194 del 2018, si fonda proprio sulla sua idoneità a realizzare un ragionevole contemperamento degli interessi in conflitto del lavoratore e dell’impresa; l’indennizzo previsto dal comma 1 della disposizione censurata costituisce un rimedio con adeguata efficacia deterrente, in cui alla funzione riparatoria si affianca quella dissuasiva e sanzionatoria. Quanto all’asserito eccesso di delega, risulta rispettato il solco dei principi e dei criteri direttivi fissati dal delegante e delle finalità che lo hanno ispirato, nonché il carattere di residualità che la legge delega ha inteso riconoscere alla tutela ripristinatoria. Né la scelta del delegato risulta contraddittoria rispetto alle “specifiche fattispecie” indicate, al plurale, dal delegante per definire le ipotesi di reintegrazione: per favorire l’occupazione dei “nuovi assunti”, che rientra tra gli scopi della legge delega, il legislatore delegato non aveva l’obbligo, ma solamente la facoltà, di prevedere una molteplicità di categorie di vizi di licenziamento disciplinare cui ricollegare la reintegrazione; se il criterio direttivo principale era quello di invertire l’ordine di grandezza dell’ambito applicativo, rendendo recessiva la tutela ripristinatoria rispetto a quella indennitaria, la limitazione ad un’unica fattispecie non solo non eccede la delega quanto alla “lettera” del dato normativo, ma opera all’interno di essa in coerenza con le finalità che la stessa perseguiva). (Precedenti: S. 44/2024 - mass. 46038; S. 7/2024; S. 194/2018).