Lavoro - Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) - Natura - Espressione dell'autonomia negoziale delle parti - Contenuto - Possibilità di definire la gravità delle inadempienze del lavoratore e le relative conseguenze, con misure conservative e conseguente limitazione del licenziamento - Non derogabilità da parte della legge, pena la compressione dell'autonomia collettiva (nel caso di specie: non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui non prevede la reintegrazione per un licenziamento disciplinare fondato su un fatto specifico colpito da sanzione meramente conservativa, a condizione che sia interpretata nel senso di consentire, in tali ipotesi, la tutela reintegratoria attenuata, alla stregua dei casi in cui l'addebito si basi su un fatto materiale insussistente). (Classif. 138003).
La contrattazione collettiva svolge un ruolo essenziale nella disciplina del rapporto di lavoro, privato e pubblico ed è espressione dell’autonomia negoziale di entrambe le parti, le quali possono prevedere che specifiche inadempienze del lavoratore siano qualificate, dalla contrattazione collettiva applicabile al rapporto, come meno gravi e, perciò, siano reprimibili con sanzioni solo conservative – e non già con il licenziamento, il quale, se intimato, risulterebbe convenzionalmente “sproporzionato”. Una disposizione di legge che si sovrapponesse alla valutazione circa tale sproporzione comprimerebbe ingiustificatamente l’autonomia collettiva. (Precedenti: S. 53/2023 - mass. 45391; S. 153/2021 - mass. 44108; S. 257/2016 - mass. 39218; S. 178/2015 - mass. 38540).
(Nel caso di specie, è dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Catania in riferimento all’art. 39 Cost., dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui non consente al giudice di annullare un licenziamento fondato su un fatto per il quale la contrattazione collettiva prevede una sanzione solo conservativa. La disposizione censurata può – e deve – essere letta nel senso che il riferimento alla proporzionalità del licenziamento, il cui difetto è attratto all’ambito della tutela solo indennitaria del licenziamento illegittimo, ha sì una portata ampia, tale da comprendere anche le ipotesi in cui la contrattazione collettiva vi faccia riferimento, ma non concerne, però, anche le particolari ipotesi di regolamentazione pattizia alla stregua delle quali specifiche e nominate inadempienze del lavoratore sono passibili solo di sanzioni conservative. In tali ipotesi, il fatto contestato è in radice inidoneo, per espressa pattuizione, a giustificare il licenziamento che, se intimato, risulta essere in violazione della prescrizione della contrattazione collettiva, sì che la fattispecie va equiparata a quella, prevista dalla disposizione censurata, dell’“insussistenza del fatto materiale”, con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria attenuata. La mancata previsione della reintegra nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia punito con una sanzione conservativa dalle previsioni della contrattazione collettiva andrebbe a incrinare il tradizionale ruolo delle parti sociali nella disciplina del rapporto e segnatamente nella predeterminazione dei canoni di gravità di specifiche condotte disciplinarmente rilevanti. La predeterminazione della sanzione conservativa consente al datore di lavoro di conoscere in anticipo la gravità di specifiche inadempienze del lavoratore e quindi di adeguare ex ante il provvedimento disciplinare senza correre il rischio di dover subire l’alea di un successivo giudizio di proporzionalità; se la ratio del ridimensionamento della rilevanza del sindacato di proporzionalità, recato dal d.lgs. n. 23 del 2015, è anche quella di garantire maggiore certezza, tale finalità risulta ampiamente soddisfatta dalla puntuale tipizzazione operata della contrattazione collettiva. Non è quindi contraddetto il ridimensionamento della tutela reintegratoria in caso di licenziamento disciplinare, che rimane pur lasciando fuori dall’esclusione della valutazione di proporzionalità l’ipotesi dello specifico fatto, disciplinarmente rilevante, che la contrattazione collettiva preveda come suscettibile di una sanzione solo conservativa. Rimane altresì la simmetria tra licenziamento disciplinare e licenziamento per ragione di impresa, sulla linea del “fatto materiale insussistente”, lungo la quale c’è il riallineamento delle due fattispecie di licenziamento, anche se il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo per un fatto assai lieve, tipizzato dalla contrattazione collettiva con previsione specifica, si collochi al di qua di quella linea e ricada anch’esso nella tutela reintegratoria attenuata. E tale interpretazione si impone ai fini dell’adeguamento al parametro costituzionale evocato dal rimettente). (Precedenti: S. 128/2024 - mass. 46326; S. 194/2018 - mass. 40524).