Sentenza 148/2024 (ECLI:IT:COST:2024:148)
Massima numero 46369
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente BARBERA  - Redattore AMOROSO
Udienza Pubblica del  04/07/2024;  Decisione del  04/07/2024
Deposito del 25/07/2024; Pubblicazione in G. U. 31/07/2024
Massime associate alla pronuncia:  46368  46370


Titolo
Formazioni sociali - In genere - Differenze tra matrimonio, unione civile e convivenza di fatto o more uxorio - Riconducibilità, del primo, all'art. 29 Cost. e, delle seconde, all'art. 2 Cost. - Necessità di estendere a ogni formazione sociale la tutela e le garanzie dei medesimi diritti fondamentali, quali in particolare il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione (nel caso di specie: illegittimità costituzionale in parte qua della disciplina dell'impresa familiare nella parte in cui non estende le tutele ivi previste anche al convivente di fatto). (Classif. 107001).

Testo

Il matrimonio, inteso quale unione tra persone di sesso diverso, è riconducibile all’art. 29 Cost.; invece, le convivenze di fatto, al pari delle unioni civili, appartengono alle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., all’interno delle quali l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità. (Precedenti: S. 66/2024 - mass. 46160; S. 269/2022; S. 170/2014 - mass. 38016; S. 138/2010 - mass. 34577).

Il fondamento costituzionale dell’istituto dell’impresa familiare va ricondotto all’art. 29 Cost., ed ancora prima ai principi di solidarietà e di eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost., non meno che agli artt. 35 e 36 Cost., e, non da ultimo, all’art. 37 Cost., data la tendenziale prevalenza del lavoro femminile in ambito familiare, di cui dà conto l’espressa previsione del secondo comma dell’art. 230-bis cod. civ. nell’affermare l’equivalenza del lavoro della donna a quello dell’uomo.

La convivenza more uxorio costituisce un rapporto ormai entrato nell’uso ed è comunemente accettato, accanto a quello fondato sul vincolo coniugale. Questa trasformazione della coscienza e dei costumi sociali, comunque, non autorizza la perdita dei contorni caratteristici delle due figure. Benché vi sia stata una convergente evoluzione sia della normativa, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha dato piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto, permangono differenze di disciplina. La diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, in ragione dei caratteri di stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e doveri che nascono soltanto da tale vincolo, giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi che trova il suo fondamento costituzionale nella circostanza che il rapporto coniugale riceve tutela diretta nell’art. 29 Cost. Vi sono, tuttavia, aspetti particolari, in relazione ad ipotesi particolari – come ad esempio l’esigenza di tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave, o l’affettività intramuraria in stato di detenzione, cui vanno aggiunti anche il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione – in cui si possono riscontrare tra convivenza more uxorio e rapporto coniugale caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria una identità di disciplina, che occorre garantire attraverso il controllo di ragionevolezza imposto dall’art. 3 Cost. (Precedenti: S. 10/2024 - mass. 45956; S. 213/2016 - mass. 39067; S. 140/2009 - mass. 33390; S. 8/1996 - mass. 22085; S. 404/1988 - mass. 13692; S. 237/1986 - mass. 12593; O. 121/2004 - mass. 28434).

(Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 35 e 36 Cost., da valutarsi complessivamente, l’art. 230-bis, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non prevede come familiare anche il «convivente di fatto» e come impresa familiare quella cui collabora anche il «convivente di fatto». La disposizione censurata dalle sezioni unite della Cassazione non offre una tutela del convivente more uxorio ossia del «convivente di fatto» – quale ritraibile dalla Costituzione ex art. 2, perché la disciplina dell’impresa familiare - a differenza di quella dell’impresa coniugale ex art. 177, primo comma, lett. d, cod. civ. - appronta una speciale garanzia del lavoro non solo del coniuge e degli stretti congiunti dell’imprenditore, ma anche di tutti i parenti fino al terzo grado e gli affini fino al secondo grado secondo l’elencazione contenuta nel terzo comma della disposizione, alla quale deve ritenersi che si siano aggiunti, nel 2016, i soggetti legati da unioni civili. Poiché però anche il convivente more uxorio versa nella stessa situazione in cui l’affectio maritalis fa sbiadire l’assoggettamento al potere direttivo dell’imprenditore, e la prestazione lavorativa rischia di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito, si pone l’esigenza che le convivenze abbiano di fatto la stessa tutela del diritto fondamentale al lavoro e alla giusta retribuzione, stante anche la contraddittorietà logica della esclusione del convivente dalla previsione di una norma posta a tutela del diritto al lavoro che va riconosciuto quale strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che quale componente della comunità, a partire da quella familiare. Ai conviventi di fatto, intendendosi come tali due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, vanno dunque riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge e della persona unita civilmente all’imprenditore).



Atti oggetto del giudizio

codice civile    n.   art. 230  co. 3

Parametri costituzionali

Costituzione  art. 2

Costituzione  art. 3

Costituzione  art. 4

Costituzione  art. 35

Costituzione  art. 36

Altri parametri e norme interposte