Eguaglianza (principio di) - In genere - Eguaglianza tra uomo e donna - Valore fondante dell'ordinamento, anche comunitario - Conseguente divieto di discriminazioni basate sul sesso nell'accesso al lavoro - Possibili eccezioni - Natura dell'attività lavorativa o contesto che renda il sesso requisito essenziale e determinante (nel caso di specie: illegittimità costituzionale parziale della disposizione che distingue, in dotazione organica, i posti da mettere a concorso per la qualifica di ispettore della polizia penitenziaria). (Classif. 092001).
L’art. 3, primo comma, della Costituzione pone un principio avente un valore fondante, e perciò inviolabile, diretto a garantire l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e a vietare che il sesso – al pari della razza, della lingua, della religione, delle opinioni politiche e delle condizioni personali e sociali – costituisca fonte di qualsivoglia discriminazione nel trattamento giuridico delle persone; il legislatore può, tuttavia, tener conto, nell’interesse dei pubblici servizi, delle differenti attitudini proprie degli appartenenti a ciascun sesso, purché non resti infranto il canone fondamentale dell’eguaglianza giuridica. (Precedenti: S. 163/1993 - mass. 19539; S. 56/1958 - mass. 652).
La parità di trattamento tra uomo e donna è (anche) un principio fondamentale del diritto comunitario, per cui le eccezioni devono essere limitate alle attività professionali che necessitano l’assunzione di una persona di un determinato sesso data la loro natura o visto il contesto in cui si sono svolte, purché l’obiettivo ricercato sia legittimo e compatibile con il principio di proporzionalità.
Il principio di eguaglianza e le prescrizioni poste dal diritto dell’Unione europea convergono nel rendere effettiva la parità di trattamento, in una prospettiva armonica e complementare, che consente di cogliere appieno l’integrazione tra le garanzie sancite dalle diverse fonti.
(Nel caso di specie è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 14 della direttiva 2006/54/CE, l’art. 44, commi da 7 a 11, del d.lgs. n. 95 del 2017, dell’allegata Tabella 37 e della Tabella A, allegata al d.lgs. n 443 del 1992, nella parte in cui distinguono secondo il genere, in dotazione organica, i posti da mettere a concorso nella qualifica di ispettore del Corpo di Polizia penitenziaria. Le disposizioni censurate dal Consiglio di Stato, sez. prima, in sede di parere sul ricorso straordinario al PdR stabiliscono un trattamento differenziato, in base al genere, nella dotazione organica del ruolo degli ispettori del detto Corpo – che si associa alla netta preponderanza della presenza maschile – che non trova alcun riscontro nelle caratteristiche dei compiti svolti. Alla luce dei compiti di direzione e di coordinamento la più esigua rappresentanza femminile non rinviene alcuna ragionevole giustificazione, non trattandosi di un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa, nei termini di cui all’art. 14 della direttiva 2006/54/CE. Tale sperequazione non persegue, dunque, un obiettivo legittimo, legato all’esigenza di preservare la funzionalità e l’efficienza del citato Corpo, e confligge con il canone di proporzionalità per l’ampiezza del divario che genera. Tali discriminazioni nell’accesso al ruolo vìolano, inoltre, il diritto delle donne di svolgere, a parità di requisiti di idoneità, un’attività conforme alle loro possibilità e alle loro scelte e di concorrere così al progresso della società. Infine, il sistema, in antitesi col criterio meritocratico, esclude da una collocazione utile in graduatoria anche donne che abbiano conseguito una votazione più elevata – solo perché gli uomini sono rappresentati in misura più consistente nei posti messi a concorso – ingenerando, così, effetti distorsivi che si ripercuotono sull’efficienza stessa dell’amministrazione).