Edilizia residenziale pubblica - Assegnazione di alloggi - Manifestazione del più generale diritto all'abitazione, strettamente connesso alla dignità della persona - Necessità di garantirne una tutela effettiva - Condizioni - Possibilità di prevedere l'ulteriore requisito della residenza protratta sul territorio - Tendenziale esclusione, per l'effetto distorsivo che produce (nel caso di specie: illegittimità costituzionale delle norme della Provincia autonoma di Trento che, tra i requisiti di accesso alle graduatorie e per il contributo integrativo del canone di locazione richiede la residenza in Italia per almeno dieci anni di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio, in modo continuativo). (Classif. 091002).
Il diritto all’abitazione si configura come tratto saliente della socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione e come un diritto fondamentale di natura sociale, indissolubilmente connesso con la dignità della persona. Il rango primario del diritto in esame, speculare agli inderogabili doveri di solidarietà sociale, impone una tutela effettiva, che si estrinseca, tra l’altro, nell’assegnazione degli alloggi alle famiglie meno abbienti e nei sussidi per il canone di locazione. (Precedenti: S. 67/2024 - mass. 46063; S. 209/2009 - mass. 33561; S. 217/1988 - mass. 10462).
Le prestazioni in materia di edilizia residenziale pubblica si configurano come un servizio pubblico, finalizzato a impedire che taluno resti privo di abitazione. L’offerta di un alloggio a soggetti economicamente deboli nel luogo ove è la sede dei loro interessi assicura agli stessi un’esistenza dignitosa ed è funzionale alla piena realizzazione della persona umana e all’effettivo esercizio degli altri diritti costituzionali. (Precedenti: S. 168/2014 - mass. 38013; S. 176/2000 - mass. 25387; S. 404/1988 - mass. 13693).
Anche il contributo integrativo del canone di locazione, corrisposto a coloro che, pur ammessi nella graduatoria, non si collochino in posizione utile per ottenere l’assegnazione di un alloggio, è un sussidio che sovviene al bisogno abitativo e partecipa delle medesime caratteristiche e delle medesime finalità dell’edilizia residenziale pubblica.
Il requisito della residenza protratta per ottenere un sussidio può costituire un presupposto distorsivo, perché allorché assurge a una portata generale e dirimente, smarrisce ogni legame con le situazioni di bisogno o di disagio riferibili alla persona in quanto tale e rischia di precludere l’accesso alle prestazioni pubbliche alle persone che abbiano esercitato la libertà di circolazione o abbiano dovuto mutare residenza. Pertanto, quando il legislatore condiziona alla residenza protratta l’erogazione di prestazioni e servizi destinati a soddisfare bisogni vitali, come quello abitativo, si impone uno stretto scrutinio di costituzionalità. (Precedenti: S. 145/2023 - mass. 45683; S. 9/2021 - mass. 43558; S. 7/2021 - mass. 43549; S. 107/2018 - mass. 40774).
(Nel caso di specie, sono dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 11, par. 1, lett. d e f, della direttiva 2003/109/CE, gli artt. 5, comma 2-bis, e 3, comma 2-bis, della legge prov. Trento n. 15 del 2005, come introdotti, rispettivamente, dai commi 6 e 2 dell’art. 38 della legge prov. Trento n. 5 del 2019, nella parte in cui richiedono, per l’assegnazione dell’alloggio a canone sostenibile e per il contributo integrativo del canone di locazione, la residenza in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo. Il requisito della residenza protratta per un decennio nel territorio italiano, prevista dalla disposizione censurata dalla Corte di cassazione, prima sez. civile – che non rinviene alcuna giustificazione persuasiva nell’esigenza di coordinamento con la disciplina del reddito di cittadinanza, perseguendo quest’ultimo diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale e differendo dalle misure assistenziali dirette a soddisfare un bisogno primario della persona – non rispecchia un significativo radicamento nel territorio dell’ente deputato al riconoscimento della prestazione e non corrobora alcuna prognosi di stanzialità. La disciplina restrittiva inoltre non solo non è suffragata da una valida ragione giustificatrice, ma si rivela manifestamente irragionevole, in quanto disconosce ogni rilievo allo stato di bisogno e assurge a parametro esclusivo e dirimente, nella rigidità della preclusione che racchiude, determinando una ingiustificata diversità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni di fragilità. Così congegnato, il criterio selettivo pregiudica proprio chi sia costretto a trasferirsi di frequente, per le precarie condizioni di vita, e perciò si trovi in uno stato di più grave disagio. Si nega così in radice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica e, nell’aggiungere un ulteriore e irragionevole ostacolo al disagio economico e sociale, si tradisce il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana). (Precedenti: S. 147/2024 - mass. 46367; S. 54/2024 - mass. 46072; S. 77/2023 - mass. 45454; S. 19/2022 - mass. 44526).