Processo penale - Giudizio abbreviato - Limiti di applicazione - Esclusione per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza, proporzionalità, ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena nonché dei principi di terzietà e imparzialità del giudice e del contraddittorio tra le parti - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 199011).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di assise di Cassino in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost., dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), della legge n. 33 del 2019. Contrariamente a quanto assume la Corte rimettente, non v’è ragione per negare alla regola incorporata nella disposizione censurata una solida ragionevolezza, perché la scelta legislativa di far dipendere l’accesso al giudizio abbreviato dalla sussistenza di una circostanza a effetto speciale esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata. Né l’esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l’ergastolo, in ragione della maggiore gravità di essi, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee; e neppure può ritenersi irragionevole che essa stabilisca una medesima preclusione all’accesso al giudizio abbreviato per tutti gli imputati di reati punibili con la pena dell’ergastolo, poiché quest’ultima segnala un giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato che il legislatore, sulla base di una valutazione discrezionale, che non è qui oggetto di censure, ha ritenuto di formulare. Quanto all’altro vizio prospettato dal giudice a quo, per cui la preclusione in parola risulterebbe ancora più irragionevole dopo l’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., che attribuisce al giudice dell’esecuzione il potere di ridurre di un sesto la pena inflitta nel caso in cui la sentenza di condanna resa in esito allo svolgimento di un giudizio abbreviato non sia stata impugnata né dall’imputato né dal suo difensore, l’ordinanza di rimessione non mostra di considerare la specificità che assume il principio di proporzionalità della pena nel caso del trattamento sanzionatorio del delitto di omicidio. Nel caso dell’omicidio, peraltro, la considerazione da prestare doverosamente a questi profili è acuita dalla circostanza che esso può essere connotato, nei casi concreti, da livelli di gravità notevolmente differenziati, con riguardo tanto al profilo oggettivo quanto a quelli soggettivi. Proprio la necessità, costituzionalmente avvalorata, di una graduazione quoad poenam, unitamente alla considerazione per i caratteri del fatto di reato contestato all’imputato nel giudizio a quo, chiariscono pertanto perché può ritenersi non fondata la censura sollevata dalla Corte rimettente, sia in relazione alla violazione del principio di ragionevolezza, sia con riguardo al connesso profilo di violazione del principio di rieducatività della pena. Quanto, infine, all’argomento per cui l’inammissibilità della richiesta di accesso al giudizio abbreviato sarebbe stata determinata senza un adeguato vaglio da parte del GUP, contrariamente a quanto richiesto dai principi del giusto processo, nell’impianto della riforma del 2019 la preclusione all’accesso al giudizio abbreviato dipende solo nella fase iniziale dalla valutazione del PM sull’oggetto della contestazione. Tale valutazione è poi oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, ed è sempre suscettibile di correzione, quanto meno nella forma del riconoscimento della riduzione di pena connessa alla scelta del rito, come accade rispetto a ogni altro rito alternativo; questa affermazione vale anche per il giudizio immediato. (Precedenti: S. 260/2020 - mass. 43104; O. 214/2021 - mass. 44330; O. 163/1992 - mass. 18330).