Giudizio costituzionale per confitto di attribuzione tra enti - Requisito oggettivo - Atti di esercizio della funzione giurisdizionale - Possibilità, per il ricorrente, di impugnare anche solo la sentenza di appello, anziché quella di primo grado - Inapplicabilità dell'istituto dell'acquiescenza - Inammissibilità del confitto volto a contestare ipotetici errores in iudicando. (Classif. 115005).
Allorquando in un giudizio per conflitto di attribuzione fra enti una Regione contesti la lesività dell'esercizio della funzione giurisdizionale, la pretesa lesione non si consuma con l'adozione dei primi atti di esercizio della funzione stessa, per cui la sentenza di appello non rientra fra gli atti meramente consequenziali di altri atti (come la sentenza di primo grado). La Regione ricorrente ha quindi la possibilità di reagire alla pretesa lesione già in relazione al primo atto di esercizio della funzione giurisdizionale, senza attendere che la medesima lesione si cristallizzi, per effetto della definitività della decisione. (Precedente: S. 332/2011 - mass. 35998).
Non può costituire motivo di inammissibilità del conflitto tra enti la mancata proposizione del ricorso a seguito della sentenza di primo grado, considerato che l'istituto dell'acquiescenza non trova applicazione nei giudizi per conflitto di attribuzione, stante l'indisponibilità delle attribuzioni costituzionali di cui si controverte. (Precedente: S. 31/2019 - mass. 41726).
I conflitti di attribuzione innescati da atti giurisdizionali sono ammissibili allorquando è contestata in radice l'esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del ricorrente e non ipotetici errores in iudicando, valendo, per questi ultimi, i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni. (Precedenti: S. 22/2020 - mass. 41464; S. 224/2019 - mass. 41634; S. 2/2018 - mass. 39672; S. 195/2007 - mass. 31385).