Previdenza - Prestazioni ai superstiti - Cumulo con i redditi aggiuntivi - Possibilità della decurtazione ex lege della pensione - Limite - Ragionevolezza (nel caso di specie: illegittimità costituzionale in parte qua della norma che non prevede che la decurtazione della pensione ai superstiti non possa eccedere l'ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi). (Classif. 190005).
Secondo la giurisprudenza costituzionale in tema di cumulo tra pensione e lavoro, la sussistenza di altre fonti di reddito può ben giustificare una diminuzione del trattamento pensionistico, in quanto la funzione previdenziale della pensione non si esplica, o almeno viene notevolmente ridotta, quando il lavoratore si trovi ancora in godimento di un trattamento di attività. Il legislatore, attraverso le norme che stabiliscono i detti limiti di cumulabilità, tiene conto della diminuzione dello stato di bisogno del pensionato che deriva dal reddito aggiuntivo e, nell'esercizio della sua discrezionalità, è chiamato a bilanciare i diversi valori coinvolti modulando la concreta disciplina del cumulo in armonia con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza. (Precedenti: S. 241/2016 - mass. 39152; S. 275/1976 - mass. 8645).
La regolamentazione del cumulo tra la prestazione previdenziale e i redditi aggiuntivi del suo titolare, laddove comporti una diminuzione del trattamento pensionistico, deve muoversi entro i binari della non irragionevolezza.
(Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., il combinato disposto del terzo e quarto periodo dell'art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 e della connessa Tabella F, nella parte in cui, in caso di cumulo tra il trattamento pensionistico ai superstiti e i redditi aggiuntivi del beneficiario, non prevede che la decurtazione effettiva della pensione non possa essere operata in misura superiore alla concorrenza dei redditi stessi. La disciplina in esame altera il rapporto che deve intercorrere tra la diminuzione del trattamento di pensione e l'ammontare del reddito personale goduto dal titolare, esposto a un sacrificio economico in antitesi con la ratio solidaristica della reversibilità. Tale irragionevole risultato risulta nemmeno emendabile dalla sola applicazione della clausola di salvaguardia prevista dal citato quarto periodo).