Azione e difesa (diritti di) - In genere - Processo penale - Scelta dei riti alternativi - Modalità di esercizio del diritto di difesa (nella specie: illegittimità costituzionale delle disposizioni che, nell'interpretazione assurta a diritto vivente, escludono, allo scadere del termine a difesa eventualmente richiesto nel giudizio direttissimo, che l'imputato possa richiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta). (Classif. 031001).
La possibilità di accedere a uno dei riti alternativi previsti dal legislatore costituisce una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa dell'imputato. La scelta del rito deve, in effetti, poter essere effettuata dall'imputato - assistito dal proprio difensore - con piena consapevolezza delle possibili conseguenze sul piano sanzionatorio connesse all'uno o all'altro rito, in relazione ai reati contestati dal pubblico ministero. (Precedenti: S. 174/2022 - mass. 44928; S. 146/2022; S. 192/2020; S. 19/2020 - mass. 41591; S. 14/2020 - mass. 41577; S. 131/2019 - mass. 41347; S. 141/2018 - mass. 40182; S. 273/2014 - mass. 38198).
(Nel caso di specie, sono dichiarati costituzionalmente illegittimi, per violazione dell'art. 24 Cost., gli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8, cod. proc. pen., in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. Gli avvisi disciplinati dalle norme censurate dal Tribunale di Firenze, prima sez. penale, in composizione monocratica - la cui natura è considerata inderogabile dalla giurisprudenza di legittimità -, costituiscono imprescindibili adempimenti cui il giudice è chiamato a dar seguito, nel giudizio direttissimo, in vista dell'esercizio di essenziali prerogative difensive dell'imputato, in una fase caratterizzata da una marcata contrazione dei tempi processuali, che rende non sempre agevole distinguere nettamente la fase preliminare al dibattimento da quella propriamente dibattimentale. Incontestata, pertanto, la natura essenziale del termine a difesa rispetto all'esercizio del diritto di difesa dell'imputato, l'orientamento della prevalente giurisprudenza di legittimità, per cui esso vale unicamente per la prosecuzione della fase dibattimentale del giudizio direttissimo, anziché in vista delle scelte che l'imputato ha la facoltà di compiere sull'accesso ai riti alternativi, lede il parametro evocato perché la scelta dell'imputato di accedere a uno dei riti speciali previsti dalle disposizioni del codice di rito deve raccordarsi con la disciplina particolarmente serrata dei tempi di instaurazione del giudizio direttissimo, senza che ciò possa comportare il sacrificio delle essenziali esigenze difensive dell'imputato sull'altare della speditezza dei tempi processuali. Non può dunque ritenersi che la scelta del rito debba necessariamente avvenire seduta stante e incognita causa, senza cioè un'adeguata ponderazione delle implicazioni che derivano da tale strategia processuale. Proprio al fine della salvaguardia di un imprescindibile spatium deliberandi, il giudice, ove l'imputato ne faccia richiesta, è quindi tenuto a concedere il termine non solo in vista dell'approntamento della migliore difesa nella prosecuzione della fase dibattimentale, ma anche in funzione dell'esercizio, consapevole della scelta sull'accesso al giudizio abbreviato e all'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen. (Precedenti: S. 41/2022 - mass. 44624; S. 68/2021 - mass. 43804; S. 113/2020 - mass. 43326; O. 254/1993 - mass. 19775).