Salute (Tutela della) - Profilassi internazionale - Vaccinazioni anti SARS-CoV-2 - Obblighi vaccinali per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie - Possibilità per il lavoratore, in alternativa, di sottoporsi indifferentemente al test molecolare, al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure al test antigenico rapido di ultima generazione, anche presso centri privati - Omessa previsione - Denunciata irragionevolezza e violazione dei diritti al lavoro e alla salute - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 230003).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., degli artt. 4-bis, comma 1, e 4, commi 1, 4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e come modificati dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e dal d.l. n. 24 del 2022, come convertito, nella parte in cui prevedono per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie l'obbligo vaccinale anti COVID-19, anziché l'obbligo di sottoporsi indifferentemente al test molecolare, al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure al test antigenico rapido di ultima generazione, per la rilevazione di SARS-CoV-2. Le misure approntate dal legislatore - che vanno valutate tenendo conto della situazione determinata da un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, risultante soprattutto dalle indicazioni formulate dai competenti organismi internazionali - sono effetto della predisposizione di uno specifico piano strategico nazionale dei vaccini e, dall'aprile del 2021, dell'introduzione dell'obbligo vaccinale censurato. Contrariamente all'assunto del rimettente, i dati esposti nei rapporti dell'ISS, lungi dall'evidenziare la inutilità dei vaccini, dimostrano come, soprattutto nella fase iniziale della campagna di vaccinazione, la loro efficacia - intesa quale riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati - sia stata altamente significativa tanto nel prevenire l'infezione quanto nell'evitare casi di malattia severa; e come tale efficacia sia aumentata in rapporto al completamento del ciclo vaccinale. La decisione di introdurre l'obbligo vaccinale in esame (entro limiti soggettivi e temporali) non può reputarsi irragionevole, in quanto è sorretta dalle indicazioni delle competenti Autorità nazionali e sovranazionali alla luce della gravità della situazione che tale vaccinazione era destinata ad affrontare. In base a tali considerazioni, l'imposizione di un obbligo vaccinale selettivo, come condizione di idoneità per l'espletamento di attività che espongono gli operatori ad un potenziale rischio di contagio, e dunque a tutela della salute dei terzi e della collettività, si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico. Può quindi affermarsi che le disposizioni censurate hanno operato un contemperamento del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività. Né può ritenersi che la previsione, per i lavoratori in oggetto, dell'obbligo di sottoporsi a test diagnostici con una elevata frequenza, anziché al vaccino, costituisca un'alternativa idonea, in quanto sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire la malattia (specie grave) degli stessi operatori, con il conseguente rischio di compromettere il funzionamento del servizio sanitario nazionale, considerando anche i costi insostenibili e lo sforzo difficilmente tollerabile, dal momento che la gestione dei tamponi grava interamente sul SSN. La decisione censurata risulta altresì non sproporzionata, in quanto la sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie, destinata a venire meno in caso di adempimento dell'obbligo e, comunque, per la cessazione dello stato di crisi epidemiologica, non ha la natura e gli effetti di una sanzione, non eccede quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stata costantemente modulata in base all'andamento della situazione sanitaria. Infine, la misura neppure lede il diritto al lavoro. All'inosservanza dell'obbligo vaccinale, infatti, si attribuisce rilevanza meramente sinallagmatica, cioè solo sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, quale evento determinante la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative che comportassero il rischio di diffusione del contagio, in sintonia con l'obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 cod. civ. e dall'art. 18 del d.lgs. n. 81 del 2008. Il diritto fondamentale al lavoro, avuto riguardo al dipendente che abbia scelto di non adempiere all'obbligo vaccinale, nell'esercizio della libertà di autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle cure sanitarie, tutelata dall'art. 32 Cost., non implica necessariamente il diritto di svolgere l'attività lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela della salute pubblica e per il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. (Precedenti: S. 14/2023 - 45312; S. 171/2022 - mass. 44917; S. 127/2022 - mass. 44864; S. 125/2022 - mass. 44898; S. 59/2021 - mass. 43754; S. 37/2021; S. 194/2018 - 40529; S. 137/2019 - mass. 41748; S. 268/2017 - mass. 40636).