Processo del lavoro - In genere - Chiamata in causa del terzo, su istanza del convenuto - Richiesta al giudice, a pena di inammissibilità nella memoria tempestivamente depositata, di modificare il decreto di fissazione dell'udienza per poter effettuare detta chiamata - Omessa previsione - Denunciata disparità di trattamento e violazione del principio della durata ragionevole del processo - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 198001).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost.,degli artt. 418, primo comma, e 420, nono comma, cod. proc. civ. nella parte in cui non prevedono, per il rito del lavoro, che, qualora il convenuto intenda chiamare in causa un terzo, debba richiedere al giudice - a pena di inammissibilità, nella memoria difensiva tempestivamente depositata ex art. 416 cod. proc. civ. - che, previa modifica del decreto emesso ai sensi dell'art. 415, secondo comma, cod. proc. civ., pronunci, entro cinque giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza. La chiamata in causa del terzo, a differenza rispetto alla domanda riconvenzionale, è proposta nei confronti di un terzo e non di un soggetto già parte del giudizio; né la disparità di trattamento si realizza assumendo a tertium comparationis l'art. 269, secondo comma, cod. proc. civ. - che prevede, nel processo ordinario di cognizione, l'onere del convenuto di richiedere il differimento della prima udienza per chiamare in causa il terzo -, trattandosi di un diverso modello processuale. Le disposizioni censurate non violano nemmeno il principio della ragionevole durata del processo che, nel processo in esame, va riguardato nella prospettiva in concreto più idonea ad assicurare una celere tutela al lavoratore. La scelta di collocare la decisione del giudice sulla chiamata in causa del terzo nell'udienza di discussione è funzionale, infatti, a garantire all'attore/ricorrente il diritto al contraddittorio, in modo che egli possa rappresentare al giudice, prima dell'eventuale autorizzazione, le ragioni che ostano alla sua ammissibilità, anche in ragione di un eventuale rallentamento della definizione del giudizio tra le parti originarie: la stessa non è, pertanto, irragionevole, bensì risulta fondata su una valida ratio giustificativa, che rappresenta una peculiare declinazione del principio di ragionevole durata del processo, in coerenza con le finalità del rito speciale. (Precedenti: S. 80/1997 - mass. 23167; S. 193/1983; S. 13/1977).