Capacità contributiva - In genere - Espressione del principio di uguaglianza e ragionevolezza sul piano tributario - Definizione - Idoneità del soggetto all'obbligazione d'imposta - Desunzione da indici rilevatori di ricchezza individuati discrezionalmente dal legislatore - Divieto di scelte arbitrarie e irrazionali - Possibilità di imposizioni differenziate - Condizioni (nel caso di specie: non fondatezza delle questioni aventi ad oggetto il combinato disposto che regolamenta l'applicazione di un'imposta sostitutiva sull'aumento di valore delle quote di capitale partecipate della Banca d'Italia, come rivalutate). (Classif. 044001).
L'art. 53 Cost. costituisce, per costante giurisprudenza costituzionale, espressione specifica in materia tributaria del più generale principio di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. (Precedenti: S. 149/2021 - mass. 44031; S. 142/2014 - mass. 37967; S. 116/2013 - mass. 37111; O. 341/2000 - mass. 25571).
Per capacità contributiva, ai sensi dell'art. 53 Cost., si deve intendere l'idoneità del soggetto all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto economico cui l'imposizione è collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità. Pertanto, così come l'ampia discrezionalità riservata al legislatore in relazione alle varie finalità cui, di volta in volta, si ispira l'attività di imposizione fiscale, gli consente, sia pure con il limite della non arbitrarietà, di determinare i singoli fatti espressivi della capacità contributiva, allo stesso modo non è di per sé lesivo del principio di uguaglianza e di capacità contributiva il fatto che il legislatore individui, di volta in volta, quali indici rivelatori di capacità contributiva, le varie specie di beni patrimoniali sia di natura mobiliare che immobiliare. In particolare, ricorrendo determinate condizioni, nelle peculiari caratteristiche del mercato finanziario può essere non irragionevolmente individuato uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, idoneo a giustificare una regola differenziata di determinazione della base imponibile. (Precedenti: S. 288/2019 - mass. 41903; S. 111/1997 - mass. 23271; S. 42/1992 - mass. 18096).
In materia tributaria, al legislatore spetta un'ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s'ispira l'attività di imposizione fiscale, essendogli consentito, sia pure con il limite della non arbitrarietà, di determinare i singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all'obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza. Sicché il controllo della Corte costituzionale sul rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost. si risolve in un giudizio sull'uso ragionevole o meno che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali, diretto a verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell'entità dell'imposizione. La possibilità di imposizioni differenziate, dunque, anche se non vietata dai parametri indicati, deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e non irragionevolmente tradotta nella struttura dell'imposta; in particolare, ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione. (Precedenti: S. 240/2017 - mass. 40616; S. 10/2015 - mass. 38224; S. 142/2014 - mass. 37967; S. 116/2013 - mass. 37111; S. 223/2012 - mass. 36633; S. 21/2005 - mass. 29063).
In tema di ammissibilità delle c.d. discriminazioni qualitative dei redditi, la pur ampia discrezionalità di cui gode in astratto il legislatore nell'identificare gli indici di capacità contributiva si riduce laddove sul piano comparativo vengano in evidenza, in concreto, altre situazioni in cui lo stesso legislatore, in difetto di coerenza nell'esercizio della stessa, ha effettuato scelte impositive differenziate a parità di presupposti, dal momento che in questi casi viene in causa il principio dell'eguaglianza tributaria. Nondimeno, ricorrendo determinate condizioni, nelle peculiari caratteristiche del mercato finanziario può essere non irragionevolmente individuato uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, idoneo a giustificare una regola differenziata di determinazione della base imponibile. (Precedenti: S. 288/2019 - mass. 41903; S. 269/2017 - mass. 41950; S. 201/2014 - mass. 38081).
Il fatto che alla stessa categoria di soggetti si applichi, per effetto di un sopravvenuto mutamento di disciplina, un trattamento differenziato non contrasta con il principio di eguaglianza, poiché il trascorrere del tempo costituisce già di per sé un elemento idoneo a giustificare un diverso trattamento. (Precedenti: S. 240/2019 - mass. 41641; S. 104/2018 - mass. 40767; S. 18/1994 - mass. 20273).
(Nel caso di specie, sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Trieste, sez. seconda, in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 Cost., dell'art. 6, comma 6, del d.l. n. 133 del 2013, come conv., in combinato disposto con l'art. 1, comma 148, della legge n. 147 del 2013, come sostituito dall'art. 4, comma 12, del d.l. n. 66 del 2014, come conv. Le disposizioni censurate disciplinano le conseguenze contabili e fiscali, per i partecipanti, dell'aumento di capitale della Banca d'Italia, a seguito della riforma del 2013, che ha previsto, nella sua versione definitiva, che ai maggiori valori iscritti nel bilancio relativo all'esercizio in corso al 31 dicembre 2013 si applica un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'IRAP e di eventuali addizionali, da versarsi in unica soluzione, entro il 16 giugno 2014, pari al 26% del valore nominale delle quote di nuova emissione, al netto del valore fiscalmente riconosciuto. Da un punto di vista esclusivamente fiscale, la disciplina determina un disallineamento tra il maggior valore nominale della partecipazione al capitale della Banca d'Italia e quello fiscalmente riconosciuto, "riallineato" con l'applicazione di un'imposta sostitutiva. Tali misure, che hanno colpito un'unica ristretta cerchia di soggetti, sono dirette al perseguimento di finalità di tipo specificamente pubblicistico, quali eliminare ogni potenziale rischio di influenza nella gestione della Banca; nondimeno comportano effetti sicuramente benefici per i detentori di quote del suo capitale - derivanti sia direttamente dalla definizione del nuovo, enormemente più elevato, valore di questo, sia da una serie di modifiche attinenti al regime delle partecipazioni - che si risolvono in un indubitabile nuovo valore economico della partecipazione detenuta, elemento rivelatore di nuova ricchezza. Non appare pertanto in sé censurabile che, nell'esercizio della sua ampia discrezionalità, il legislatore abbia ravvisato nella descritta vicenda uno specifico indice di capacità contributiva. Per le stesse ragioni, va escluso che l'imposta contestata dia luogo a una doppia tassazione della medesima ricchezza, poiché la capacità contributiva a base dell'imposta censurata è ricollegabile a un presupposto diverso dal possesso di un reddito. Trattandosi, nel caso in esame, di una vicenda del tutto particolare, legata alle peculiari condizioni del capitale partecipato e delle stesse modalità di partecipazione ad esso, non sussiste disparità di trattamento rispetto ai detentori di partecipazioni durevoli in altri enti e società commerciali. Infine, l'indicato collegamento dell'imposta in esame a un diverso indice di capacità contributiva smentisce l'assunto che, mancando una nuova ricchezza, la normativa censurata determini un illegittimo effetto ablatorio della proprietà).