Reati e pene - In genere - Reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri - Applicabilità alle false dichiarazioni rese dall'indagato o imputato in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze che riguardano la sua persona, al di fuori delle generalità in senso stretto - Denunciata violazione del diritto di difesa e irragionevolezza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 210001).
Sono dichiarate non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze, sez. prima penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 495 cod. pen., nella parte in cui sanziona chi rende false dichiarazioni sulle domande di cui all'art. 21 norme att. cod. proc. pen. Se è vero che il diritto processuale, come interpretato dalla costante giurisprudenza di legittimità, non richiede che la persona venga avvertita della facoltà di non rispondere prima che le vengano rivolte le domande indicate - le quali, anzi, sono normalmente formulate subito dopo l'ammonimento, previsto dall'art. 66, comma 1, cod. proc. pen., circa le conseguenze cui si espone chi rifiuti di dare le proprie generalità, così da determinare una situazione di insufficiente tutela del diritto al silenzio -, tuttavia il rimedio individuato dal rimettente è, per un verso, eccedente lo scopo, e per un altro verso, insufficiente rispetto a questo stesso scopo. Escludere la punibilità per le specifiche false dichiarazioni in risposta alle domande di cui all'art. 21 norme att. cod. proc. pen., infatti, precluderebbe al legislatore l'adozione di soluzioni differenziate in relazione a situazioni egualmente riconducibili all'area del diritto al silenzio, ma fra loro non del tutto omogenee. Se la scelta legislativa di non prevedere, di regola, sanzioni penali a carico della persona sospettata o imputata di un reato che menta nel tentativo di difendersi poggia su ragioni solide, ciò non significa necessariamente che tale scelta corrisponda a una valutazione di liceità della condotta medesima; né sussiste una perfetta sovrapponibilità tra le false dichiarazioni relative al fatto di reato - ritenute in via generale non penalmente rilevanti dal legislatore - e quelle relative alle circostanze personali del sospetto reo, potenzialmente abbracciate dall'art. 495 cod. pen. Fermo restando che il diritto al silenzio si estende alle une come alle altre, non appare irragionevole che - laddove l'interessato rinunci consapevolmente a esercitare quel diritto - il legislatore possa vietargli di rendere dichiarazioni false sulle circostanze relative alla propria persona e prevedere una sanzione penale nel caso di inosservanza di tale divieto. Il rimedio richiesto sarebbe anche inadeguato, intervenendo soltanto sul versante della punibilità delle false dichiarazioni, ma non su quello - che ne costituisce un prius logico e cronologico - dell'imposizione alle autorità procedenti dell'obbligo di avvisare la persona interrogata della propria facoltà di non rispondere.