Reati e pene - In genere - Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso - Trattamento sanzionatorio - Pena accessoria - Interdizione perpetua dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno - Automatica, anziché possibile, sua irrogazione nel limite massimo di dieci anni - Violazione dei principi di proporzionalità, personalizzazione e finalità rieducativa della pena - Illegittimità costituzionale in parte qua. (Classif. 210001).
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., l’art. 583-quinquies, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui dispone «comporta l’interdizione perpetua», anziché «può comportare l’interdizione». La disposizione censurata dai GUP dei Tribunali di Bergamo e di Catania, nel prevedere che la condanna o l’applicazione della pena per il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, viola i principi di proporzionalità, personalizzazione e funzione rieducativa della pena. La notevole latitudine della descrizione tipica della fattispecie fa sì che la pena accessoria risulti applicabile anche a condotte di modesta gravità, rispetto alle quali – una volta riconosciuta la necessità costituzionale di prevedere un’attenuante per i fatti di lieve entità, come valvola di moderazione della pena principale – l’obbligatorietà e la perpetuità della misura sono prive di qualsiasi giustificazione, non potendosi neppure ipotizzare, perché contrario all’art. 27, terzo comma, Cost., un nesso tra la permanenza dello sfregio e la permanenza della sanzione. La pena accessoria potrà pertanto essere irrogata dal giudice, nella misura determinata in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., nel rispetto del limite massimo di dieci anni, stabilito dall’art. 79, primo comma, numero 1), cod. pen. per l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Non eccede invece i margini di ragionevolezza la scelta legislativa di interdire da uffici implicanti cura e assistenza chi si sia reso responsabile di condotte dolose in pregiudizio di un essenziale bene pertinente alla persona, qual è l’identità rappresentata dal volto, anche al di fuori di rapporti familiari o affettivi.