Reati e pene - In genere - Porto di armi improprie "nominate" - Divieto di porto senza giustificato motivo - Requisiti di punibilità - Sussistenza di circostanze di tempo e luogo dimostrative del pericolo di offesa alla persona - Omessa previsione - Denunciata irragionevole disparità di trattamento, violazione del principio di necessaria offensività del reato nonché della funzione rieducativa della pena - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 210001).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Lagonegro, sez. penale, in composizione monocratica, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 4, secondo comma, prima parte, della legge n. 110 del 1975, nella parte in cui, ai fini della punibilità della condotta del porto di armi c.d. “improprie” fuori della propria abitazione o delle sue appartenenze, senza giustificato motivo, non richiede, per il caso di bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni e sfere metalliche (c.d. strumenti “nominati”) la sussistenza di circostanze di tempo e luogo dimostrative del pericolo di offesa alla persona. La distinzione che la norma censurata opera rispetto agli strumenti “innominati” – per i quali la seconda parte del medesimo comma richiede, invece, la sussistenza delle dette circostanze – non è priva di ratio, avendo il legislatore incluso tra gli strumenti “nominati” quelli che, per le loro caratteristiche, si presentano oggettivamente più pericolosi e strutturalmente prossimi alle armi proprie “bianche” nonché quelli che, in base all’esperienza, si prestano ad essere impiegati, più facilmente e con maggior frequenza, per l’offesa alla persona. La detta condizione svolge, peraltro, anche una insostituibile funzione di delimitazione del fatto tipico, al fine di escludere l’indeterminatezza della categoria degli strumenti “innominati. La norma censurata non confligge nemmeno con il principio di offensività: nella sua declinazione “in astratto”, infatti, la presunzione di pericolo sottesa alla norma incriminatrice non può essere ritenuta irrazionale o arbitraria, trattandosi di oggetti che presentano un significativo rischio di poter essere utilizzati in modo illecito: l’anticipazione della tutela risulta giustificata – anche in chiave di proporzionalità dell’intervento – pure dall’elevato rango degli interessi in gioco, al culmine dei quali si pone la salvaguardia della vita e dell’integrità fisica delle persone. Con riferimento alla declinazione “in concreto” del citato principio, il rimettente muove da una interpretazione non condivisibile della sua valenza: se, rispetto ai reati di pericolo presunto, il giudice dovesse accertare la concreta pericolosità della condotta verrebbe meno la distinzione con i reati di pericolo concreto mentre il principio in esame opera nel senso che il giudice deve escludere la punibilità di fatti, pure corrispondenti alla formulazione della norma incriminatrice, quando, alla luce delle circostanze concrete, manchi ogni (ragionevole) possibilità di produzione del danno. Infine, la censura di violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost. appare priva di autonomia rispetto a quella di violazione del principio di offensività del reato, per cui cade insieme a quest’ultima. (Precedenti: S. 62/1986 – mass. 12302; S. 79/1982 – mass. 9694)