Reati e pene - Furto - Furto aggravato dalla violenza sulle cose - Necessità, ai fini dell'integrazione della circostanza, che la cosa oggetto della violenza abbia un valore economico apprezzabile per quanto modesto, oppure, in alternativa, che la violenza esplicata sia tale da comportare un pericolo per l'integrità delle persone o delle cose circostanti - Omessa previsione - Denunciata violazione dei principi di offensività del reato e della finalità rieducativa della pena - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 210021).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze, sez. prima penale, in composizione monocratica, in riferimento agli artt. 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 625, primo comma, n. 2), cod. pen., nella parte in cui non richiede – per l’integrazione della circostanza aggravante della violenza sulle cose – che la cosa oggetto di violenza abbia un valore economico apprezzabile, per quanto modesto, o, in alternativa, che la violenza esplicata sia tale da comportare un pericolo per l’integrità delle persone o delle cose circostanti. La c.d. violenza reale, quale aggravante del furto, è una “violenza-mezzo”. Quello aggravato da violenza reale si configura quindi come un reato complesso, tale per cui il danneggiamento resta assorbito nel furto, ben potendo l’aggravante configurarsi anche quando la violenza sia rivolta allo strumento materiale apposto sulla cosa per garantirne una più efficace difesa, come nel caso di manomissione della placca antitaccheggio inserita sulla merce offerta in vendita nei grandi magazzini. Il rimettente non ha considerato tale profilo funzionale, giacché le questioni risultano focalizzate sull’aspetto secondario del valore intrinseco del congegno predisposto a difesa della merce. Nel prevedere siffatta circostanza aggravante, il legislatore ha dunque esercitato la discrezionalità che gli compete nella dosimetria penale, senza trasmodare in opzioni arbitrarie o manifestamente irragionevoli. Né è leso il principio di offensività, inteso sia come precetto rivolto al legislatore affinché limiti la repressione penale a fatti che esprimano un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività “in astratto”) sia come criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice affinché, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, eviti di ricondurre a quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività “in concreto”). Neppure è fondata l’ulteriore censura formulata sotto il profilo del difetto di proporzionalità della pena. Sebbene la novella del 2017 abbia incrementato il minimo edittale della pena detentiva da un anno a due anni di reclusione, oltre ad aumentare l’entità della multa, successivamente il legislatore, nel corrispondere all’indicazione di sistema della Corte costituzionale – per cui la pressione punitiva esercitata riguardo ai delitti contro il patrimonio era diventata estremamente rilevante – con il d.lgs. n. 150 del 2022, ha, tra l’altro, ampliato lo spazio operativo dell’esimente per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen., la quale invero è oggi applicabile, ricorrendone gli ulteriori estremi, anche alla fattispecie in esame. (Precedenti: S. 139/2023 - mass. 45714; S. 211/2022 - mass. 45138; S. 117/2021 - mass. 43898; S. 190/2020 - mass. 43265).