Straniero - Immigrazione - Emersione di rapporti di lavoro - Assenza del requisito reddituale in capo al datore di lavoro - Effetti - Rigetto dell'istanza - Possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno per attesa occupazione - Omessa previsione - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, nonché della tutela del lavoro - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 245003).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Umbria, sez. prima, in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost., dell’art. 103, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020, come conv., che impedisce, nell’ipotesi di rigetto dell’istanza di emersione per difetto del requisito reddituale in capo al datore di lavoro, il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Sebbene i lavoratori extracomunitari autorizzati al lavoro subordinato stabile in Italia, godendo di un permesso rilasciato a tale scopo, siano posti in condizioni di parità con i cittadini italiani e godano di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori italiani, ciò non significa che il legislatore non possa subordinare la configurabilità stessa di un rapporto di lavoro con uno straniero, o la sua regolarizzazione, alla sussistenza di determinati requisiti, preposti alla tutela di ben precisi interessi pubblici e finalizzati a prevenire elusioni del sistema di ingresso e soggiorno per ragioni di lavoro degli stranieri sul territorio nazionale. Nel caso in esame, il requisito di un limite minimo di reddito in capo al datore di lavoro è volto a garantire l’effettiva capacità economica dello stesso e la conseguente sostenibilità, da parte sua, del costo del lavoro, così tutelando proprio l’interesse del singolo lavoratore assunto, o regolarizzato, al rispetto del corretto trattamento retributivo e contributivo, nonché per evitare domande strumentali alla regolarizzazione di rapporti lavorativi “fittizi”, volti solamente a far conseguire allo straniero un titolo di soggiorno. Né la fattispecie censurata si mostra irragionevole o violatrice del principio di uguaglianza, in quanto tutti i procedimenti per la legalizzazione del lavoro irregolare degli stranieri sono caratterizzati ciascuno dalla propria specificità e, nel dettare la loro disciplina, il legislatore gode di ampia discrezionalità, salvo il limite della manifesta arbitrarietà. Né sussiste una disparità di trattamento rispetto alla disciplina dettata, per altra procedura di emersione, dall’art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. n. 109 del 2012, in quanto le due procedure sono ben distinte per presupposti applicativi e finalità perseguite. (Precedenti: S. 149/2023 - mass. 45652; S. 88/2023 - mass. 45489; S. 206/2006 - mass. 30421; S. 172/2012 - mass. 36465; S. 454/1998 - mass. 24385; O. 76/2022 - mass. 44691).