Reati e pene - In genere - Abrogazione dell'art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio) - Denunciata irragionevolezza nell'esercizio del potere legislativo, per la disparità di trattamento tra fattispecie analoghe o esprimenti un disvalore oggettivo ancor più lieve rispetto a quello della fattispecie abrogata, nonché violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e degli obblighi internazionali di tipo pattizio - Richiesta di sindacato in malam partem precluso alla Corte costituzionale - Difetto di motivazione in riferimento all'art. 11 Cost. - Inammissibilità delle questioni. (Classif. 210001).
Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate, complessivamente in riferimento agli artt. 3, 11 e 97 Cost., dal GUP del Tribunale di Locri, dal Tribunale di Firenze, sez. terza penale, dal Tribunale di Busto Arsizio, sez. penale, dal GUP del Tribunale di Firenze, dal Tribunale di Teramo, dal Tribunale di Locri, sez. penale, dal Tribunale di Catania, sez. seconda penale, dal GIP del Tribunale di Roma e dalla Cassazione, sesta sez. penale, dell’art. 1, comma 1, lett. b), della legge n. 114 del 2024, che abroga il delitto di abuso d’ufficio ex art. 323 cod. pen. Quanto alla censura ex art. 3 Cost., la richiesta dei rimettenti di sindacato in malam partem non mira qui a far “riespandere” una norma già presente nell’ordinamento, ma a “ripristinare” una norma abrogata. Ciò che non è consentito, almeno in sede di sindacato ex art. 3 Cost. Né la preclusione di un sindacato in malam partem in riferimento all’art. 3 Cost. potrebbe essere superata inquadrando la disposizione censurata come “norma penale di favore” che sottrarrebbe, senza alcuna ragione giustificatrice, una categoria di soggetti dall’attuazione di una norma penale generale. La categoria delle “norme penali di favore” comprende infatti quelle norme che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico più favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di norme generali o comuni compresenti nell’ordinamento. L’effetto in malam partem conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di tali norme non vulnera la riserva al legislatore sulle scelte di criminalizzazione, rappresentando una conseguenza dell’automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di ingiustificata disciplina derogatoria. La qualificazione come norma penale di favore non può essere fatta, di contro, discendere, come nel caso di specie, dal raffronto tra una norma vigente e una norma anteriore, sostituita dalla prima con effetti di restringimento dell’area di rilevanza penale. In tal caso, la richiesta di sindacato in malam partem non mira a far riespandere una norma tuttora presente nell’ordinamento, ma a ripristinare la norma abrogata, espressiva di una scelta di criminalizzazione non più attuale: operazione preclusa alla Corte. Quanto all’art. 11 Cost., nessuno dei rimettenti ha chiarito per quale ragione la violazione di obblighi di diritto internazionale pattizio darebbe luogo a una violazione del parametro indicato, che può essere evocato allorché vengano in considerazione obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, rispetto ai quali operano le limitazioni di sovranità ivi menzionate. Quanto, infine, all’art. 97 Cost., le esigenze costituzionali di tutela sottese all’indicato parametro non richiedono necessariamente l’attivazione della tutela penale, ben potendo essere soddisfatte attraverso una pluralità di strumenti alternativi preventivi e sanzionatori diversi dal diritto penale: strumenti che debbono, anzi, preferirsi sempre che siano in grado di assicurare un’efficace tutela ai beni in parola. (Precedenti: S. 8/2022 - mass. 44474; S. 37/2019 - mass. 41546; O. 12/2017 - mass. 39284).