Reati e pene - In genere - Abrogazione dell'art. 323 del codice penale (Abuso d'ufficio) - Denunciata violazione degli obblighi internazionali, in relazione alla Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 (Convenzione di Merida) - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 210001).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., complessivamente in relazione agli artt. 1, 5, 7, par. 4, 19 e 65, par. 1, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, dal GUP del Tribunale di Locri, dal Tribunale di Firenze, sez. terza penale, dal Tribunale di Busto Arsizio, sez. penale, dal GUP del Tribunale di Firenze, dal Tribunale di Teramo, dal Tribunale di Locri, sez. penale, dal Tribunale di Bolzano, sez. penale, dal Tribunale di Catania, sez. seconda penale, dal Tribunale di Modena, sez. penale, dal GIP del Tribunale di Roma e dalla Cassazione, sez. sesta penale, dell’art. 1, comma 1, lett. b), della legge n. 114 del 2024, che abroga il delitto di abuso d’ufficio ex art. 323 cod. pen.. Nessun elemento evincibile dal testo o dalla ratio dell’art. 19 della Convenzione autorizza a concludere che lo Stato sarebbe obbligato a introdurre (o a mantenere) nel proprio ordinamento l’incriminazione delle condotte di abuso di ufficio, alla sola condizione che tale incriminazione risulti compatibile con i principi generali dell’ordinamento nazionale. Né vi è alcuna ragione per ritenere che, una volta compiuta la scelta di incriminare le condotte di abuso d’ufficio, lo stesso art. 19 precluda allo Stato di ritornare sui propri passi, e di (ri)considerare i pro e i contra dell’incriminazione, eventualmente pervenendo alla conclusione di abolirla, come accaduto con la disposizione qui censurata. Nemmeno è violato l’art. 7, par. 4, che obbliga gli Stati ad adoperarsi per «adottare, mantenere e rafforzare i sistemi che favoriscono la trasparenza e prevengono i conflitti di interesse», con disposizione che deve essere letta nelle sue connessioni sistematiche con i paragrafi precedenti. Nel suo complesso l’art. 7 si occupa delle misure volte a prevenire la corruzione, senza che da tale disposizione sia desumibile implicitamente anche un “divieto di regressione” (o obbligo di “stand still”) nella repressione dell’abuso d’ufficio. E anche ipotizzando che l’abrogato art. 323 cod. pen. potesse interpretarsi quale strumento funzionale a prevenire i conflitti di interesse nella pubblica amministrazione, dalla disposizione convenzionale in esame non pare evincibile alcun obbligo di risultato. Né, infine, uno scrutinio sulla complessiva efficacia del sistema di prevenzione e di repressione delle condotte illegittime dei pubblici agenti potrebbe legittimarsi sulla base delle altre disposizioni della Convenzione evocate da taluni rimettenti, sulle quali nemmeno può fondarsi l’ipotetico divieto di regressione, o obbligo di “stand still”, che gli stessi rimettenti ipotizzano.