Legge - Leggi retroattive - Principio di non retroattività quale fondamentale valore di civiltà giuridica - Indici sintomatici dell'uso distorto della funzione legislativa (nel caso di specie: illegittimità costituzionale di disposizione retroattiva innovativa, pur 'autoqualificata' di interpretazione autentica, adottata al fine di evitare l'estensione ai dipendenti del ministero della difesa del triennio valido per fruire della retribuzione individuale di anzianità - RIA). (Classif. 141006).
Dinanzi a leggi aventi efficacia retroattiva la Corte costituzionale è chiamata ad esercitare uno scrutinio particolarmente rigoroso: ciò in ragione della centralità che assume il principio di non retroattività della legge, inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale, ma anche in altri settori dell’ordinamento. (Precedenti: S. 145/2022 - mass. 44840; S. 174/2019 - mass. 42433; S. 73/2017 - mass. 39503; S. 260/2015 - mass. 38662; S. 170/2013 - mass. 42263).
Qualora l’intervento legislativo retroattivo condizioni giudizi ancora in corso, il controllo di costituzionalità diviene ancor più stringente. In argomento, sono sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa elementi (quali il fatto che lo Stato o l’amministrazione siano parti di un processo già radicato, che l’intervento legislativo si collochi a notevole distanza dall’entrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica, che vi sia una erronea autoqualificazione della disposizione censurata come norma di interpretazione autentica) che siano riferibili, principalmente, al metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore, secondo una verifica di legittimità costituzionale che – in maniera non dissimile dal sindacato sull’eccesso di potere amministrativo mediante l’impiego di figure sintomatiche – assicuri una particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo. (Precedenti: S. 145/2022 - mass. 44840; S. 12/2018 - mass. 39752).
Sussiste una stretta sinergia tra i principi costituzionali, relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, quelli concernenti l’effettività della tutela giurisdizionale, la parità delle parti in giudizio e i principi convenzionali, anche alla luce della funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea. Ciò impedisce al legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio. (Precedente: S. 210/2021 - mass. 44268; S. 46/2021 - mass. 43714; S. 12/2018 - mass. 39752; S. 191/2014 - mass. 38062; S. 348/2007).
Solo imperative ragioni di interesse generale (quali quelle volti a evitare indebiti vantaggi derivanti da difetti tecnici o lacune della legislazione, o l’assicurazione della pace e della sicurezza giuridica in una serie di più ampi conflitti) possono consentire, anche in base alla lettura della Corte EDU, un’interferenza del legislatore su giudizi in corso, mentre non possono rientrarvi considerazioni finanziarie volte al contenimento della spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali. Simili ragioni giustificatrici vanno trattate, comunque, con il massimo grado di circospezione possibile, in aderenza ai principi dello stato di diritto e del giusto processo. (Precedenti: S. 174/2019 - mass. 42433; S. 108/2019 - mass. 42263; S. 170/2013).
(Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché dei principî di eguaglianza, ragionevolezza, certezza dell’ordinamento giuridico, del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, che limita il riconoscimento di maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità (RIA) ai dipendenti del ministero della difesa. La disposizione censurata dal Consiglio di Stato, sez. seconda, entrata in vigore ben nove anni dopo quella originaria – vale a dire l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come conv. – introduce una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di interesse generale. Essa, pur “auto-qualificandosi” come interpretativa, ha introdotto un significato non rientrante tra quelli estraibili dal testo interpretato, allo scopo di evitare gli aggravi di spesa conseguenti all’estensione della RIA alla generalità del personale interessato. Nemmeno è finalizzata a eliminare una disparità di trattamento: al contrario, ha causato una ingiustificata differenziazione retributiva a danno di quei dipendenti pubblici che non hanno potuto valorizzare l’anzianità di servizio maturata nel triennio 1991-1993 e conseguentemente maggiorata alla luce della lettura pretoria, proprio in ragione dell’impedimento introdotto dal legislatore in modo retroattivo).