Lavoro - Licenziamento collettivo - Contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (applicato ai rapporti di lavoro costituiti dopo il 7 marzo 2015) - Violazione dei criteri di scelta - Disciplina sanzionatoria - Previsione di un indennizzo, forfettizzato ex ante - Violazione dei criteri di delega, anche in relazione a parametri convenzionali - Insussistenza - Non fondatezza della questione. (Classif. 138012).
È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata dalla Corte d’appello di Napoli, sez. lavoro, sotto il profilo della violazione dei criteri di delega, in riferimento agli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, comma 7, lett. c), della legge n. 183 del 2014 e all’art. 24 CSE – degli artt. 3, comma 1, e 10 del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui hanno modificato la disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nell’ambito di un licenziamento collettivo, eliminando, per quelli assunti dopo il 7 marzo 2015, la tutela reintegratoria, con concentrazione nella sola tutela indennitaria, unicamente per i licenziamenti economici (ossia per giustificato motivo oggettivo). Sebbene l’interpretazione del sintagma «licenziamenti economici» contenuto nei criteri di delega (art. 1, comma 7, lett. c, della legge n. 183 del 2014) presenti un’intrinseca ambiguità perché atecnico, non appartenendo al lessico giuridico in senso stretto, esso si presenta, nel linguaggio corrente, come una formula duttile, la cui ampiezza semantica è potenzialmente idonea ad essere adoperata in senso onnicomprensivo per includere, sia la categoria dei licenziamenti individuali «economici», sia i licenziamenti collettivi con riduzione di personale per “ragioni di impresa”, come tali anch’essi «economici». Inoltre, sul piano logico-sistematico, la norma contenuta nella disposizione censurata risulta essere conforme alla finalità della legge-delega di incentivare le nuove assunzioni e favorire il superamento del precariato sì da costituire un coerente sviluppo e completamento della disciplina, in simmetria, dei licenziamenti economici, sia individuali per giustificato motivo oggettivo, sia collettivi per riduzione di personale. Né la sostituzione della tutela reintegratoria con un indennizzo monetario disattende la richiesta coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali. L’art. 24 CSE evocato, che riconosce il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione, come interpretato nella decisione del Comitato europeo dei diritti sociali dell’11 settembre 2019 – cui ha fatto seguito la risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dell’11 marzo 2020 che ha invitato il Governo italiano a produrre un rapporto sullo sviluppo della legislazione nazionale per la piena attuazione dell’art. 24 CSE quanto all’indennizzo da licenziamento illegittimo – non è vincolante per i giudici nazionali. E se è ben possibile una tutela più ampia e più incisiva, come quella sollecitata dal Comitato, appartiene tuttavia alle scelte di politica sociale, rientranti nella discrezionalità del legislatore (art. 28 della legge n. 87 del 1953), fissare il sistema di contrasto dei licenziamenti illegittimi nella gamma di quelli che, pur in misura diversa e con differente incisività, rispondono tutti, nel loro complesso, al canone costituzionale di adeguatezza e sufficiente dissuasività.