Lavoro - Rapporto di lavoro - Necessità che il legislatore assicuri la continuità dei rapporti di lavoro - Necessaria giustificazione del recesso individuale e di tutelare in modo adeguato il recesso ingiustificato - Possibile tutela solo monetaria, purché il ristoro sia serio ed equilibrato, benché non integrale - Autonomia della disciplina del licenziamento collettivo rispetto a quello individuale, stante la preminenza dell'interesse pubblico alla riduzione dell'impatto sociale (nel caso di specie: non fondatezza della questione avente ad oggetto la disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, c.d. Jobs Act, che prevede, nei casi di licenziamento collettivo in violazione dei criteri di scelta, un indennizzo, forfettizzato ex ante, anziché l'applicazione della tutela reintegratoria prevista per i lavoratori assunti prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo indicato). (Classif. 138014).
Il diritto al lavoro, fondamentale diritto di libertà della persona umana, pur non essendo assistito dalla garanzia della stabilità dell’occupazione, esige che il legislatore adegui la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato al fine ultimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro, e circondi di doverose garanzie e di opportuni temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti, per cui va riconosciuto il diritto a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente. Il forte coinvolgimento della persona umana – a differenza di quanto accade in altri rapporti di durata – qualifica infatti il diritto al lavoro come diritto fondamentale, cui il legislatore deve guardare per apprestare specifiche tutele. (Precedenti: S. 194/2018 - mass. 40529; S. 541/2000 - mass. 25933; S. 60/1991 - mass. 16921; S. 45/1965 - mass. 2368; O. 56/2006 - mass. 30184).
La materia dei licenziamenti individuali è oggi regolata, in presenza degli artt. 4 e 35 Cost., in base al principio della necessaria giustificazione del recesso. Se il licenziamento collettivo mantiene da sempre una disciplina autonoma e costituisce una fattispecie di recesso distinta rispetto ai licenziamenti individuali, tale autonomia si giustifica per la preminenza di un interesse pubblico al previo confronto sindacale per ridurre e governare l’impatto sociale delle crisi occupazionali e non contraddice la qualificazione del recesso datoriale come licenziamento economico, in quanto fondato sul dato oggettivo della riduzione di personale per “ragioni di impresa”. Stante la discrezionalità del legislatore in materia, la tutela reale non costituisce l’unico paradigma possibile di tutela del lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo, ben potendo il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario, purché rispettoso del principio di ragionevolezza. Il diritto alla stabilità del posto, infatti, risulta dalla sintesi dei limiti del potere di licenziamento sanzionati dall’invalidità dell’atto non conforme. (Precedenti: S. 183/2022 - mass. 44975; S. 303/2011 - mass. 35925; S. 46/2000 - mass. 25162; S. 268/1994 - mass. 20557; S. 2/1986 - mass. 12095; S. 189/1975 - mass. 7970; S. 152/1975- mass. 7901; S. 55/1974 - mass. 7090; S. 194/1970 - mass. 5332).
È compatibile con la Carta fondamentale una tutela meramente monetaria, purché improntata ai canoni di effettività e di adeguatezza, poiché il bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4 e 41 Cost., terreno su cui non può non esercitarsi la discrezionalità del legislatore, non impone un determinato regime di tutela. (Precedente: S. 194/2018 - mass. 40526).
Escluso che la regola generale della integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato abbia copertura costituzionale, si richiede, ai fini dell’adeguatezza dell’indennizzo, che con esso venga riconosciuto un ristoro del pregiudizio sofferto, serio ed equilibrato, la cui funzione dissuasiva non sia inficiata dalla predeterminazione di un tetto massimo, fissato in un importo sufficientemente elevato e non condizionato esclusivamente all’anzianità. (Precedenti: S. 369/1996 - mass. 22970; S. 132/1985 - mass. 10869).
La regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale. La tutela, dunque, ancorché non necessariamente riparatoria dell’intero pregiudizio subito dal danneggiato, deve essere comunque equilibrata, ossia richiede che essa sia tale da realizzare un ragionevole contemperamento degli interessi in conflitto. (Precedenti: S. 235/2014 - mass. 38127; S. 132/1985 - mass. 10872).
La ragionevolezza, nell’àmbito della disciplina dei licenziamenti, dev’essere declinata come necessaria adeguatezza dei rimedi, nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi interessi in gioco e della specialità dell’apparato di tutele previsto dal diritto del lavoro. (Precedente: S. 150/2020 - mass. 43444).
(Nel caso di specie, è dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte d’appello di Napoli, sez. lavoro, sotto il profilo dell’inadeguata tutela, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 38, 41 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24 CSE, degli artt. 3, comma 1, e 10 del d.lgs. n. 23 del 2015, nella parte in cui modificano la disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nell’ambito di un licenziamento collettivo, eliminando, per quelli assunti dopo il 7 marzo 2015, la tutela reintegratoria, con concentrazione nella sola tutela indennitaria determinata con la previsione di un “tetto” massimo. Il limite massimo di ventiquattro mensilità, elevato a trentasei dal d.l. n. 87 del 2018, come conv., non si pone in contrasto con il canone di necessaria adeguatezza del risarcimento, che richiede che il ristoro sia tale da realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto. La dissuasività della disciplina dell’illegittimità dei licenziamenti e l’adeguatezza del ristoro vanno valutate con riferimento alla regolamentazione complessiva, articolata nella tutela reintegratoria e in quella solo indennitaria secondo un criterio di gradualità e proporzionalità che vede la tutela reintegratoria nei casi di violazioni più gravi e quella solo indennitaria negli altri. Anche ai fini dell’adeguatezza di una tutela indennitaria con riferimento all’art. 24 CSE, ferma restando la natura non vincolante della decisione dell’11 febbraio 2020 del Comitato europeo dei diritti sociali e il carattere interlocutorio della risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dell’11 marzo 2020, la dissuasività della normativa di contrasto dei licenziamenti illegittimi deve essere valutata alla luce della disciplina complessiva, composta dalla tutela reintegratoria e da quella solo indennitaria secondo un criterio di gradualità e proporzionalità).