SENTENZA N. 217
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo, del codice di procedura penale, come novellato dall’art. 12, comma 1, lettera c), numero 3), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione del riesame, nel procedimento penale a carico di G. S., con ordinanza del 6 giugno 2024, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti l’atto di costituzione di G. S. e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 novembre 2025 il Giudice relatore Massimo Luciani;
uditi l’avvocata Carla Corsetti per G. S. e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 6 giugno 2025, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 2024, il Tribunale ordinario di Napoli, sezione del riesame, chiamato a pronunciarsi sull’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Benevento, con la quale era stata applicata nei confronti di G. S. la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa senza applicazione dei dispositivi elettronici di cui all’art. 275-bis del codice di procedura penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo, di tale codice, come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera c), numero 3), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), nella parte in cui, disciplinando la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, stabilisce che, qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo elettronico, «il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi», senza prevedere la possibilità di valutare e motivare la non necessità di ulteriori misure «in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto».
Il giudice a quo espone che nei confronti di G. S. – indagato del reato di maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie e del figlio – è stata disposta con ordinanza l’applicazione della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese, mentre sono state rigettate la richiesta cautelare di allontanamento dalla casa familiare, di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., e quella di applicazione dei sistemi di controllo elettronico, di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen. È avverso tale ordinanza che il pubblico ministero ha proposto il menzionato appello.
1.1.– In punto di rilevanza delle questioni, il rimettente premette che entrambi i motivi dell’appello del pubblico ministero risultano fondati; quanto alla scelta della misura, trattandosi di una fattispecie di maltrattamenti intrafamiliari, l’allontanamento dalla casa familiare deve ritenersi adeguato a salvaguardare le esigenze cautelari; quanto alla mancata applicazione dei dispositivi di controllo elettronico, l’art. 282-ter, comma 1, cod. proc. pen., in seguito alla modifica introdotta dalla legge n. 168 del 2023, avrebbe introdotto un automatismo, poiché la congiunzione «anche» («anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis») è stata soppressa.
Tanto premesso, il giudice a quo ritiene di dover applicare, all’esito del giudizio di appello cautelare, la misura dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., rafforzato dalle prescrizioni accessorie del divieto di avvicinamento alle persone offese e dall’applicazione dei sistemi di controllo elettronico di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen.
Nella fattispecie concreta al suo esame, sostiene il rimettente, non ricorrerebbe tuttavia un’esigenza cautelare così pressante da pretendere anche l’applicazione della sorveglianza elettronica (il cosiddetto braccialetto elettronico), considerando che la condotta violenta dell’indagato è stata circoscritta a un solo episodio, che questi sta rispettando la misura del divieto di avvicinamento e che ha presentato ricorso per la separazione giudiziale dalla moglie.
La questione sarebbe inoltre «attualmente» rilevante, sebbene il rimettente «nulla sappia in ordine alla “non fattibilità tecnica” della sorveglianza elettronica», in quanto, non essendo possibile una verifica preventiva, l’eventuale «non fattibilità tecnica» del dispositivo emergerebbe soltanto nella successiva fase dell’esecuzione della misura, allorquando il giudice della cautela sarebbe sprovvisto della possibilità di sollevare la questione.
D’altro canto, l’univoco tenore della norma renderebbe non praticabile una sua interpretazione costituzionalmente orientata, poiché, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 168 del 2023, detta norma stabilisce testualmente e inderogabilmente l’impiego del dispositivo di controllo elettronico, senza lasciare al giudice alcun margine di discrezionalità.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che la norma di cui all’art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo, cod. proc. pen. contrasti con gli artt. 3, 13 e 27 Cost.
Il giudice a quo osserva che, nel caso in cui l’indagato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo elettronico, la disposizione censurata prevede una presunzione assoluta di sopravvenuta inadeguatezza della misura originariamente disposta, imponendo «l’applicazione, anche congiunta, di una misura più grave». Aggiunge, poi, che identica forma di aggravamento è prevista anche per la diversa ipotesi, non imputabile all’indagato, dell’accertamento, da parte dell’organo delegato per l’esecuzione, della «non fattibilità tecnica» delle modalità di controllo a distanza.
È nei confronti di questa seconda presunzione che sono rivolte le censure: l’uso dell’indicativo «impone», infatti, deporrebbe per la configurabilità di un obbligo per il giudice di adottare misure cumulative («ulteriori misure cautelari») o sostitutive («anche più gravi»). Per l’ipotesi di «non fattibilità tecnica», dunque, il legislatore avrebbe presunto che l’ordine di allontanamento di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., anche se rafforzato dal divieto di avvicinamento, sarebbe sempre inidoneo a salvaguardare le esigenze cautelari, dovendo essere applicata altresì la sorveglianza elettronica.
Ciò posto, il rimettente, richiamata la giurisprudenza costituzionale che avrebbe sovente dichiarato costituzionalmente illegittime le presunzioni assolute di adeguatezza in materia cautelare personale, sia pur con particolare riferimento ai casi di custodia in carcere (vengono richiamate le sentenze n. 48 del 2015, n. 265 e n. 139 del 2010), ritiene che, per l’ipotesi di «non fattibilità tecnica» della sorveglianza elettronica, la presunzione assoluta di adeguatezza di un regime cautelare più severo della sola misura dell’allontanamento dalla casa familiare sia arbitraria e irrazionale, difettando «un dato di esperienza generalizzante» idoneo a fondare una presunzione di pericolosità.
La norma censurata, sottraendo al giudice «il potere di adeguare la misura al caso concreto», integrerebbe una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., per l’«appiattimento» su un’identica risposta cautelare a situazioni oggettivamente e soggettivamente diverse, nonché degli artt. 13, primo comma e 27, secondo comma, Cost., per il carattere assoluto, e non relativo, della presunzione di adeguatezza.
Detta norma sarebbe dunque costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede la possibilità di non applicare le ulteriori misure, pur ove ritenute non necessarie a salvaguardare le concrete esigenze cautelari.
A corroborare l’argomento, del resto, viene richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite penali, 28 aprile-19 maggio 2016, n. 20769, che, sia pure con riferimento alla misura degli arresti domiciliari, ha escluso ogni automatismo nell’ipotesi di indisponibilità – ipotesi cui andrebbe equiparata la «non fattibilità tecnica» – dello strumento di controllo, affermando che all’accertata indisponibilità del congegno elettronico non può conseguire alcuna automatica applicazione né della custodia cautelare in carcere né degli arresti domiciliari tradizionali.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale sopradescritte siano dichiarate non fondate.
Ad avviso dell’interveniente, spetterebbe al giudice, «nella sua ampia discrezionalità nella scelta e nella graduazione per il caso concreto, valutare puntualmente l’intensità delle esigenze cautelari facendo applicazione delle comuni regole di valutazione dell’adeguatezza e della proporzionalità della misura per il caso concreto».
2.1.– Con successiva memoria, depositata il 14 ottobre 2025, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ha richiamato la sentenza n. 173 del 2024 di questa Corte, che, pur riguardando l’art. 282-ter cod. proc. pen., concerne una norma di contenuto analogo a quello della norma censurata nel presente giudizio, chiedendo dichiararsi le questioni manifestamente infondate.
3.– Si è costituito in giudizio G. S., indagato nel giudizio a quo, concludendo per la fondatezza delle sopradescritte questioni di legittimità costituzionale.
Nel richiamare lo svolgimento del procedimento a quo e i principali argomenti dell’ordinanza di rimessione, la parte illustra i tracciati della giurisprudenza costituzionale sull’illegittimità costituzionale delle presunzioni assolute di pericolosità in materia cautelare personale, sottolineando la diversa previsione contenuta nell’art. 275-bis cod. proc. pen. con riferimento alla misura degli arresti domiciliari, che non contempla effetti di aggravamento automatico per il caso di «non fattibilità tecnica».
Con una successiva memoria, depositata il 14 ottobre 2025, replicando alle argomentazioni della difesa statale, la medesima parte sostiene che la disposizione censurata non avrebbe contenuto analogo a quello dell’art. 282-ter cod. proc. pen., oggetto della sentenza n. 173 del 2024 di questa Corte.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, iscritta al n. 177 reg. ord. del 2024, il Tribunale di Napoli, sezione del riesame, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera c), numero 3), della legge n. 168 del 2023, nella parte in cui, disciplinando la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, stabilisce che, qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo elettronico, «il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi», senza prevedere la possibilità di valutare e motivare la non necessità di ulteriori misure «in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto».
1.1.– Quanto ai fatti di causa, il Tribunale di Napoli espone che: a) con ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Benevento nei confronti di G. S. – indagato del reato di maltrattamenti in famiglia ai danni della moglie e del figlio – è stata applicata la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese; b) sono state invece rigettate la richiesta cautelare di allontanamento dalla casa familiare, di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., e quella concernente l’applicazione dei sistemi di controllo elettronico di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen.; c) il pubblico ministero ha proposto appello avverso tale ordinanza, lamentando la mancata applicazione, in aggiunta alla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, dell’allontanamento dalla casa familiare e dei dispositivi elettronici di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen.
Le questioni sarebbero dunque rilevanti, in quanto, dovendosi ritenere entrambi i motivi del pubblico ministero fondati, all’esito del giudizio di appello cautelare il rimettente dovrebbe applicare la misura dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., rafforzato dalle prescrizioni accessorie del (già disposto) divieto di avvicinamento alle persone offese, e dall’applicazione dei sistemi di controllo elettronico di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen., sebbene nella fattispecie concreta non ricorra un’esigenza cautelare così pressante da imporre anche l’applicazione della sorveglianza elettronica (il cosiddetto braccialetto elettronico).
La questione sarebbe inoltre, nello specifico, «attualmente» rilevante, sebbene il rimettente «nulla sappia in ordine alla “non fattibilità tecnica” della sorveglianza elettronica», in quanto, non essendo possibile una verifica preventiva, l’eventuale «non fattibilità tecnica» del dispositivo emergerebbe soltanto nella successiva fase dell’esecuzione della misura, allorquando il giudice della cautela sarebbe sprovvisto della possibilità di sollevare la questione.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che la norma di cui all’art. 282-bis, comma 6, cod. proc. pen. contrasti con gli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma, Cost., nella parte in cui, sulla base di una presunzione di maggior pericolosità, prevede un aggravamento cautelare anche per l’ipotesi, non imputabile all’indagato, dell’accertamento, da parte dell’organo delegato per l’esecuzione, della «non fattibilità tecnica» delle modalità di controllo a distanza.
A conforto del dubbio di legittimità costituzionale il rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale che ha sovente dichiarato costituzionalmente illegittime le presunzioni assolute di adeguatezza in materia cautelare personale, sia pur con particolare riferimento ai casi di custodia in carcere.
2.– La difesa del Presidente del Consiglio dei ministri non ha sollevato eccezioni in rito.
3.– Va tuttavia rilevato d’ufficio un profilo di inammissibilità delle questioni sollevate per difetto di rilevanza, emergendo dalla stessa motivazione dell’ordinanza di rimessione la loro natura meramente ipotetica ed eventuale.
La giurisprudenza di questa Corte ritiene manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza, in quanto premature e ipotetiche (ex plurimis, sentenza n. 217 del 2019; ordinanze n. 210 del 2020 e n. 259 del 2016), le questioni vertenti su norme delle quali il rimettente non sia chiamato a fare applicazione. Tanto, ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
Ciò posto, le questioni sollevate concernono esclusivamente l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi, nell’ipotesi di non praticabilità tecnica del controllo elettronico.
Tuttavia, prescindendo dal rilievo, attinente al merito, che le questioni sono pressochè sovrapponibili a quella già decisa dalla sentenza n. 173 del 2024 in riferimento alla medesima previsione dettata dal comma 1 dell’art. 282-ter cod. proc. pen., nel caso in esame la questione è stata prospettata dal Tribunale, in sede di appello cautelare, sul presupposto che, in accoglimento della richiesta del pubblico ministero appellante, dovesse essere applicata la misura dell’allontanamento dalla casa familiare – anziché soltanto quella, già disposta dal giudice per le indagini preliminari, del divieto di avvicinamento –, con la prescrizione del cosiddetto braccialetto elettronico.
È tuttavia lo stesso giudice a quo a rilevare che la questione sarebbe inoltre «“attualmente” rilevante», sebbene il rimettente «nulla sappia in ordine alla “non fattibilità tecnica” della sorveglianza elettronica», in quanto, non essendo possibile una verifica preventiva, l’eventuale «non fattibilità tecnica» del dispositivo emergerebbe soltanto nella successiva fase dell’esecuzione della misura, allorquando il giudice della cautela sarebbe sprovvisto della possibilità di sollevare la questione.
Orbene, tale essendo la prospettazione dell’ordinanza, va osservato che in sede di accoglimento dell’appello cautelare il rimettente non ha il potere di disporre l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, essendogli precluso l’accertamento preventivo della fattibilità tecnica delle modalità di controllo elettronico.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità, sia pur con riferimento all’ipotesi di indisponibilità del braccialetto elettronico (evidentemente estensibile – in prospettiva teleologica – all’ipotesi della “non fattibilità tecnica”), ha delineato una doppia fase accertativo-valutativa, articolata, appunto, in un preventivo accertamento della disponibilità del dispositivo e, in caso di esito negativo del medesimo, nella successiva valutazione della misura più adeguata (Cass., sez. un. pen., n. 20769 del 2016; nello stesso senso, di recente, Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 23-31 marzo 2023, n. 13735).
Pertanto, l’accertamento della non fattibilità tecnica deve ritenersi momento successivo alla fase attualmente in corso, nella quale il tribunale cosiddetto “della libertà”, stando allo stesso apparato argomentativo dell’ordinanza di rimessione, dovrebbe limitarsi a disporre la misura cautelare conformente all’appello del pubblico ministero. Solo successivamente, qualora si accertasse la non fattibilità tecnica, la competenza a valutare l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari competerebbe, ai sensi della norma generale di cui all’art. 279 cod. proc. pen., al «giudice che procede», il quale, prima dell’esercizio dell’azione penale, è individuato nel giudice per le indagini preliminari.
A orientare nel senso della scissione, logica e cronologica, tra il momento dell’accertamento della “fattibilità tecnica” e quello della valutazione della misura più adeguata – quest’ultima, come si è detto, di competenza non del tribunale in sede cautelare, ma eventualmente del giudice che procede, dunque del giudice per le indagini preliminari – depone ora anche il tenore del comma 2 dell’art. 97-ter del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) (introdotto dall’art. 7 del decreto-legge 29 novembre 2024, n. 178, recante «Misure urgenti in materia di giustizia», convertito, con modificazioni, nella legge 23 gennaio 2025, n. 4), ai sensi del quale «[l]a polizia giudiziaria trasmette, senza ritardo e comunque nelle successive quarantotto ore all’autorità giudiziaria che procede, il rapporto che, ai sensi del comma 1, accerti la fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, delle modalità di controllo, per le valutazioni di competenza, compresa l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, anche più gravi».
Alla stregua delle argomentazioni che precedono, dunque, pur accogliendo l’appello cautelare, il rimettente non dovrebbe fare applicazione del frammento di norma oggetto di censura, tanto meno nella scansione procedimentale in cui ha sollevato le questioni qui in esame, fondate su un’argomentazione congetturale e ipotetica in merito alla non fattibilità tecnica della sorveglianza elettronica, in assenza di un previo accertamento.
Anche qualora dovesse ritenersi preferibile la (meno convincente) tesi che individua il «giudice che procede» in quello che ha adottato la misura cautelare (sia pur in sede di appello e in parziale riforma del provvedimento genetico), quindi, nella specie, nel tribunale del riesame, tale giudice dovrebbe nondimeno differire la valutazione dell’applicazione congiunta delle misure alla fase successiva all’accertamento della non fattibilità tecnica.
Quale che sia la prospettazione interpretativa dalla quale si prendono le mosse, dunque, difetta l’attualità delle questioni e – con essa – la loro rilevanza.
Le questioni vanno pertanto dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-bis, comma 6, ultimo periodo, del codice di procedura penale, come novellato dall’art. 12, comma 1, lettera c), numero 3), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli, sezione del riesame, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Massimo LUCIANI, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
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