SENTENZA N. 201
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 5, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024, n. 112, promossi dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto e dal Magistrato di sorveglianza di Napoli, con ordinanze del 25 marzo 2025 e del 10 marzo 2025, iscritte rispettivamente ai numeri 73 e 75 del registro ordinanze 2025 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025 il Giudice relatore Francesco Viganò;
deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 25 marzo 2025, iscritta al n. 73 reg. ord. del 2025, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 5, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024, n. 112, censurandolo «nella parte in cui prevede che il condannato possa formulare istanza di liberazione anticipata soltanto quando abbia espressamente indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza relativa, di avere all’ottenimento del beneficio uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2» del medesimo articolo.
1.1.– Il rimettente è chiamato a valutare due istanze di liberazione anticipata, relative ai semestri dal 24 novembre 2023 al 24 maggio 2024 e dal 24 maggio al 24 novembre 2024, presentate da A. S., detenuto presso la Casa circondariale di Terni in esecuzione della pena di quattro anni, dieci mesi e tre giorni di reclusione, determinata con ordine di esecuzione della Procura generale della Corte d’appello di Napoli emesso il 4 settembre 2024.
Il giudice a quo precisa che il citato provvedimento:
– indica come data d’inizio dell’espiazione della pena il 22 marzo 2023;
– fissa come termine di fine pena il 10 dicembre 2027, tenuto conto delle riduzioni già riconosciute all’interessato, a titolo di liberazione anticipata e per i periodi antecedenti al 24 novembre 2023, da diversi uffici di sorveglianza;
– ai sensi del comma 10-bis dell’art. 656 del codice di procedura penale, introdotto dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, indica le detrazioni di pena ulteriormente fruibili a titolo di liberazione anticipata in caso di partecipazione del condannato al percorso rieducativo, le quali condurrebbero a rideterminare il fine pena all’8 dicembre 2026.
1.2.– In punto di rilevanza delle questioni, il rimettente rammenta che l’art. 5 del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, ha modificato il procedimento per la concessione della liberazione anticipata, stabilendo, da un lato, che l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della detrazione di pena sia di regola effettuato d’ufficio dal magistrato di sorveglianza, nei casi previsti dai commi 1 e 2 del novellato art. 69-bis ordin. penit., e dall’altro, che il condannato possa formulare istanza di liberazione anticipata solo quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, da indicare, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima (comma 3).
Alla luce della novella legislativa – applicabile nel caso in esame, in forza del principio tempus regit actum che governa le modifiche normative di natura processuale – le istanze sarebbero inammissibili. L’interessato non si trova, infatti, nelle situazioni previste dai commi 1 e 2 dell’art. 69-bis, né ha indicato lo «specifico interesse» ora richiesto dal comma 3 di tale articolo. Solo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale consentirebbe al giudice a quo di valutare il merito delle istanze, valorizzando le relazioni acquisite, che attesterebbero il percorso trattamentale positivo dell’istante, in ragione della condotta corretta serbata, della partecipazione a corsi scolastici e dell’attività lavorativa intramuraria.
1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente dubita della compatibilità della nuova disciplina con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. sulla base di articolati argomenti, che possono essere così sintetizzati.
1.3.1.– Anzitutto, il giudice a quo osserva che la riforma operata dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, «vira da un regime di concessione della liberazione anticipata in cui l’istanza di parte costituiva la regola, ad una residualità di tale opzione», atteso che la valutazione sulla computabilità delle detrazioni di pena avviene ex officio e solo in occasione del vaglio di un’istanza di misura alternativa o di altro beneficio penitenziario per i quali la liberazione anticipata incida sul quantum di pena già espiata, e pertanto sulla concedibilità del beneficio richiesto, oppure in prossimità del fine pena.
Poiché soltanto in tali occasioni il magistrato di sorveglianza sarebbe chiamato, d’ufficio, a valutare se l’interessato abbia partecipato al percorso rieducativo, questi, non potendo più chiedere periodicamente un riscontro circa la correttezza della propria condotta al fine della liberazione anticipata, resterebbe per lunghi periodi in una «condizione di attesa», perdendo «quella relazione dialogica […] con il magistrato di sorveglianza, in grado sia di fargli percepire immediatamente il premio di una condotta partecipativa rispetto alle regole del trattamento, sia l’eventuale gravità, al contrario, di comportamenti involutivi intervenuti, mediante la sanzione del rigetto dell’istanza» di liberazione anticipata.
D’altra parte, la possibilità per il condannato di sollecitare il vaglio giudiziale sulla propria condotta, in momenti diversi da quelli in cui interviene la valutazione officiosa, resterebbe «confinata in un perimetro assai ristretto», poiché presidiata dalla necessità di indicare un interesse specifico; interesse che, alla stregua della relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del d.l. n. 92 del 2024, si identificherebbe essenzialmente in quello a ottenere lo “scioglimento” del cumulo delle pene. Ciò in netta discontinuità rispetto al sistema precedente, in cui il condannato era titolare del «diritto a richiedere la liberazione anticipata non appena avesse maturato un semestre di pena eseguito, senza dover esplicitare alcun interesse diverso da quello in re ipsa a conoscere la valutazione relativa al comportamento tenuto e ad apprendere, in via definitiva, quale riduzione di pena ciò gli avesse garantito».
1.3.2.– Il nuovo assetto procedimentale non solo sarebbe foriero di difficoltà di ordine pratico, in ragione della concentrazione delle valutazioni sulla liberazione anticipata in momenti prefissati e del conseguente rischio dell’accumularsi di ritardi pregiudizievoli per le persone condannate, al limite costrette a rimanere in carcere «anche ben oltre il “fine pena virtuale”»; ma risulterebbe anche contrario alla finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., poiché produrrebbe la «sostanziale vanificazione dell’effetto psicologico di rafforzamento dei propositi rieducativi, che le periodiche valutazioni della partecipazione al trattamento hanno sin qui prodotto sulle persone detenute, quale sprone ad una condotta conforme alle regole ed improntata, ben prima e al di là della concedibilità di misure alternative, alla risocializzazione».
1.3.3.– Il vigente assetto normativo sarebbe, inoltre, irragionevole e dunque contrario all’art. 3 Cost., nella misura in cui mantiene «un metro di giudizio semestrale delle condotte del condannato» senza però farne più derivare, se non in presenza di uno specifico interesse, il diritto a conoscere, trascorso ciascun semestre, se tali condotte costituiscano «una esecuzione penale partecipativa rispetto al trattamento, o al contrario non meritevole di tale positivo giudizio».
1.3.4.– L’irragionevolezza sarebbe ancor più evidente nel caso di specie, in cui il condannato ha già ottenuto in precedenza detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata, sulla base di istanze formulate in termini identici a quelle che invece, ora, dovrebbero ritenersi inammissibili, anche se riferibili a periodi antecedenti l’entrata in vigore del d.l. n. 92 del 2024, come convertito. L’interessato subirebbe dunque incolpevolmente «una regressione trattamentale, perdendo il diritto, vantato sino all’entrata in vigore del nuovo art. 69-bis ordin. penit., di conoscere con esattezza il proprio fine pena» al compiersi di ciascun semestre di detenzione, al fine di «inizia[re] […] a programmare concretamente il suo rientro in società».
Il disconoscimento del percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio si porrebbe in contrasto «– se non con l’art. 25, secondo comma, Cost. – con il principio di eguaglianza e di finalismo rieducativo della pena (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.)» (è citata la sentenza n. 32 del 2020 di questa Corte), essendo «radicalmente differente poter contare su una valutazione che giunge, a richiesta, semestre dopo semestre, rispetto all’attesa, nell’incertezza della effettiva concessione, rimessa ad una fase posticipata, in ipotesi anche di anni».
1.3.5.– La novella recata dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, si risolverebbe dunque in «un grave vulnus al senso stesso della liberazione anticipata come cartina di tornasole, non a caso opportunamente semestralizzata dal legislatore, del comportamento tenuto dalla persona condannata nel tempo, vero e proprio congegno dialogico che, mediante le istanze di parte, consente all’interessato di ricevere cadenzate, periodiche, risposte, che siano di orientamento al proprio comportamento, e che permettono al magistrato di sorveglianza di valutare le evoluzioni personologiche del condannato con una periodicità prossima agli accadimenti positivi e negativi che caratterizzano la vita penitenziaria dell’interessato».
Il rimettente richiama in proposito le considerazioni della sentenza n. 276 del 1990 di questa Corte, secondo cui la cadenza semestrale della valutazione per la concessione della liberazione anticipata sarebbe «il punto di forza dello strumento rieducativo», rappresentando «una sollecitazione che impegna le energie volitive del condannato alla prospettiva di un premio da cogliere in breve lasso di tempo, purché in quel tempo egli riesca a dare adesione all’azione rieducativa»; sollecitazione suscettibile di condurre gradualmente allo «sviluppo di un diverso modo di essere, conseguente alla soddisfazione per i risultati raggiunti e alla fiducia acquisita nelle forze del proprio impegno».
Ad avviso del giudice a quo, la stringente limitazione alla possibilità di presentare, semestre per semestre, l’istanza di liberazione anticipata comprometterebbe la finalità rieducativa dell’istituto, «inibendo quel percorso di progressiva maturazione personale, che la Corte Costituzionale considerava il cuore stesso del beneficio, postergando fino ad un consuntivo finale, deprivato della sua valenza educativa, ogni confronto con i propri comportamenti, come ad uno studente cui fosse concesso di conoscere l’esito del suo percorso di studio solo alla fine, interdicendogli anche per anni l’accesso ad un confronto con l’istituzione scolastica circa l’adesione mostrata, periodo per periodo, ed impedendogli al contempo anche di riorientare, ove necessario, le sue condotte in termini positivi».
Tale compromissione sarebbe particolarmente significativa nel contesto attuale, segnato dal diffuso sovraffollamento carcerario e dalla conseguente difficoltà di attivare percorsi risocializzanti individualizzati; contesto in cui «poter scandire mediante le valutazioni periodiche della condotta partecipativa, il tempo immobile della detenzione, costituisce un incentivo, e a volte il solo incentivo, residuo, in grado di rinforzare i propositi del condannato di procedere nel suo cammino rieducativo».
1.3.6.– Inoltre, a fronte della limitata possibilità che il magistrato di sorveglianza valuti ex officio la concessione della liberazione anticipata prima dell’approssimarsi del fine pena, la necessità che l’interessato alleghi uno specifico interesse per sollecitare il vaglio giudiziale esibirebbe «ulteriori profili di contrarietà alla finalità rieducativa della pena e di irragionevolezza».
Ai termini dell’art. 69-bis, comma 1, ordin. penit., infatti, la valutazione officiosa del magistrato di sorveglianza sulla concessione della liberazione anticipata avverrebbe non in occasione di qualsivoglia istanza di misura alternativa o altro beneficio penitenziario, ma soltanto nella misura in cui la detrazione sia rilevante per determinare il quantum di pena espiata necessario per accedere al beneficio di volta in volta richiesto. In questo modo, ogni qualvolta tale rilevanza difetti, e non sia mai stata presentata, per mancanza di uno specifico interesse, un’istanza di liberazione anticipata, la magistratura di sorveglianza dovrebbe vagliare la concedibilità della misura alternativa senza che sia mai stata adottata una decisione sulla liberazione anticipata. E tuttavia, la misura della pena residua calcolata al netto delle detrazioni a titolo di liberazione anticipata inciderebbe significativamente sulla valutazione giudiziale circa «il significato e la credibilità di un programma di misura alternativa» e sul calcolo dei tempi di osservazione intramuraria aggiuntiva disponibili.
In definitiva, l’impossibilità di «cumulare semestre dopo semestre» le valutazioni giudiziali sulla concedibilità della liberazione anticipata, «veri e propri mattoni fondativi di un più ampio edificio rieducativo», renderebbe in concreto più difficile per il condannato l’accesso a misure alternative alla pena detentiva, sia perché egli sarebbe privato di un «pregnante strumento pedagogico-propulsivo», sia perché il tribunale di sorveglianza potrebbe valutare la concedibilità della misura alternativa sulla base di un quantum di pena ancora da espiare, più alto di quello che risulterebbe se fossero state già concesse periodicamente le detrazioni a titolo di liberazione anticipata. Il condannato si vedrebbe «inibita una ricostruzione certa, e non soltanto sperata, del suo fine pena reale», e non potrebbe dunque «programmare in modo realistico le tappe del suo percorso risocializzante», anche nel predisporre un programma di misura alternativa da sottoporre al vaglio del tribunale di sorveglianza.
1.3.7.– La pur comprensibile finalità deflattiva sottesa al d.l. n. 92 del 2024, come convertito, inciderebbe gravemente sulla costruzione del percorso rieducativo del condannato, aggiungendo «elementi di incertezza alla quotidianità della detenzione, che si traducono in un surplus di afflittività», contrario all’art. 27, terzo comma, Cost. anche sotto il profilo dell’umanità della pena, poiché, irragionevolmente, la liberazione anticipata si trasformerebbe in «un esibito (ma solo sperato) premio per la condotta partecipativa, che […] matura semestre dopo semestre, ma che l’interessato non può esigere a domanda, ma solo in particolari circostanze e dopo lunghe attese».
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso all’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate «in modo manifesto».
2.1.– Pur evocando la violazione di parametri costituzionali, il rimettente solleciterebbe, in sostanza, un sindacato di questa Corte sull’opportunità delle scelte del legislatore, cui invece compete «[la] più ampia discrezionalità […] in materia di politica criminale e diritto penale», salvo il limite della non manifesta arbitrarietà. Quest’ultimo non sarebbe nella specie valicato, poiché l’opzione di subordinare l’istanza di liberazione anticipata a uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 69-bis ordin. penit., sarebbe frutto di «una valutazione […] ragionata e ragionevole» del Parlamento. L’istituto della liberazione anticipata, peraltro, non sarebbe costituzionalmente imposto, né la Costituzione prescriverebbe alcunché in ordine alle modalità procedurali della relativa istanza.
2.2.– Neppure sussisterebbe il lamentato contrasto con l’art. 27, terzo comma, Cost. L’introduzione del requisito dello specifico interesse non creerebbe infatti uno sbarramento assoluto alla possibilità che il condannato formuli istanza di liberazione anticipata, ad esempio – come illustrato nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del d.l. n. 92 del 2024 – per ottenere il cosiddetto scioglimento del cumulo.
Inconferente sarebbe il richiamo alla sentenza n. 276 del 1990 di questa Corte, i cui assunti non sarebbero più coerenti con l’attuale «cultura penitenziaria», che ha «progressivamente attualizzato le dinamiche del rapporto condannato-Magistrato di sorveglianza a vantaggio del primo, emancipatosi dal necessario ed ineludibile controllo del secondo sulla correttezza ed efficacia del proprio comportamento, rendendolo consapevole dei vantaggi che una condotta conforme ai programmi rieducativi può dispiegare sulla concessione dei benefici penitenziari e sullo stesso quantum di pena da scontare».
La funzione rieducativa della pena potrebbe esplicarsi a prescindere dall’«incontro semestral[e]» del condannato con il magistrato di sorveglianza in occasione dell’istanza di liberazione anticipata, potendo giovarsi di «altri e diversi strumenti ed occasioni di confronto e di controllo dell’andamento del percorso rieducativo».
In ogni caso, la riforma non si porrebbe in contrasto con i principi affermati nella sentenza n. 276 del 1990, perché la valutazione sulla concessione della liberazione anticipata, pur potendo avvenire nel momento finale dell’espiazione della pena, andrebbe sempre riferita a ciascun singolo semestre.
Occorrerebbe poi considerare che l’art. 5 del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, ha altresì introdotto nell’art. 656 cod. proc. pen. il comma 10-bis, secondo cui l’ordine di esecuzione deve indicare la pena da espiare computando le detrazioni previste dall’art. 54 ordin. penit. e specificare che queste ultime non saranno riconosciute qualora durante il periodo di esecuzione della pena il condannato non abbia partecipato all’opera di rieducazione. Tale novità normativa scongiurerebbe il rischio, prospettato dal rimettente, di compromissione della finalità rieducativa perseguita dalla liberazione anticipata, poiché il condannato sarebbe reso «perfettamente edotto dell’effettivo fine pena ove lo stesso segua il percorso rieducativo di reinserimento».
2.3.– Parimenti infondate sarebbero le censure di violazione dell’art. 3 Cost.
La disciplina censurata sarebbe pacificamente ispirata da una finalità deflattiva, e non travalicherebbe il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà, sottraendosi dunque al sindacato di questa Corte. Si tratterebbe, anzi, di un’opzione legislativa «ragionevole e legittima», che tutela e valorizza tuttora l’interesse alla rieducazione del condannato, introducendo solamente una diversa regolamentazione procedurale.
Quest’ultima sarebbe connotata da «intrinseca ragionevolezza», poiché consentirebbe al magistrato di sorveglianza di «valorizzare tutte quelle situazioni eterogenee in cui il provvedimento possa rivestire una qualche utilità per il detenuto», al contempo evitando che «istanze reiterate nel tempo a scadenza semestrale prefissata, ma prive di immediata utilità concreta, finiscano per pregiudicare l’efficienza della giurisdizione, ingolfando i ruoli dei Giudici della sorveglianza» (è richiamata la sentenza n. 77 del 2018 di questa Corte sul carattere non illimitato della risorsa della giurisdizione).
3.– Con ordinanza del 10 marzo 2025, iscritta al n. 75 reg. ord. del 2025, il Magistrato di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 [terzo comma] e 111, settimo [recte: sesto] comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis della legge n. 354 del 1975, come sostituito dall’art. 5, comma 3, del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, «nella parte in cui si subordina la richiesta del beneficio della liberazione anticipata alla possibilità di rientrare nei limiti di pena per accedere a misure alternative (90 giorni anteriori) o di ottenere nello stesso termine la scarcerazione ovvero nella parte in cui si impone al detenuto, per la valutazione della richiesta, di indicare le ragioni specifiche per le quali si richieda il beneficio stesso».
3.1.– Il rimettente è investito dell’istanza di liberazione anticipata formulata, per il periodo compreso tra il 18 gennaio 2024 e il 18 gennaio 2025, da N. S., detenuto presso la Casa circondariale di Napoli Secondigliano.
Rileva il giudice a quo che l’interessato non si trova in alcuna delle condizioni previste dal novellato art. 69-bis ordin. penit., perché non può avere accesso, nei novanta giorni, a misure alternative alla detenzione o alla scarcerazione (essendo il termine finale di espiazione della pena fissato al 24 ottobre 2040), né ha allegato un interesse specifico a sostegno della propria istanza di liberazione anticipata. Quest’ultima dovrebbe, dunque, essere dichiarata inammissibile, «con grave pregiudizio per il trattamento rieducativo del detenuto». Di qui la rilevanza delle questioni.
3.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva quanto segue.
3.2.1.– Anzitutto il giudice a quo rammenta che, nel vigente ordinamento costituzionale, la pena ha assunto una precipua connotazione di recupero sociale, secondo l’imperativo espresso dall’art. 27, terzo comma, Cost. (è citata la sentenza n. 313 del 1990 di questa Corte). Dal canto suo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha valorizzato la rieducazione come fondamentale funzione della pena negli Stati europei e il diritto del detenuto alla risocializzazione, quale aspetto della tutela della dignità umana (sono richiamate le sentenze della grande camera 9 luglio 2013, Vinters e altri contro Regno Unito e 26 aprile 2016, Murray contro Paesi Bassi). La liberazione anticipata parteciperebbe a tale obiettivo e costituirebbe «un istituto tipicamente volto alla progressione trattamentale, in funzione della rieducazione del detenuto».
Ripercorrendo le motivazioni della sentenza n. 276 del 1990 di questa Corte, il giudice a quo osserva che la liberazione anticipata è stata inserita nell’ordinamento penitenziario con l’intento di sollecitare l’adesione del detenuto al progetto rieducativo e che la parametrazione delle detrazioni di pena su un arco di tempo semestrale è funzionale a tale obiettivo, fornendo un incentivo a breve termine all’adozione di condotte partecipative. Al contrario, la prospettiva di ottenere «un beneficio disancorato dalla percezione immediata e posto temporalmente a chiusura del percorso di reclusione, a distanza anche di molti anni dal fatto», disincentiverebbe l’adesione del condannato al percorso trattamentale, «vanificando, nel divenire quotidiano, la rieducazione, costituzionalmente imposta».
La riforma operata con il d.l. n. 92 del 2024, come convertito, spezzerebbe la logica sinallagmatica sottesa alla liberazione anticipata e funzionale alla realizzazione della finalità rieducativa, così «discosta[ndo] la partecipazione quotidiana alle attività carcerarie dal premio che il detenuto aspetta, in immediato, di ricevere per il singolo semestre di riferimento» e creando «uno scarto tra condotta adesiva all’opera di rieducazione e beneficio da riconoscere con imputazione semestralizzata», con pregiudizio alla progressione trattamentale e rischio di «un ridimensionamento importante degli atteggiamenti adesivi dei detenuti».
3.2.2.– Nell’economia del novellato art. 69-bis ordin. penit., l’istanza di liberazione anticipata potrebbe essere proposta solo nei novanta giorni precedenti alla richiesta di una misura alternativa alla detenzione, sicché l’istituto rileverebbe solo «in chiave “algebrica”», ossia in quanto «strumentale ad abbreviare la pena, per ottenere una misura alternativa». La liberazione anticipata assumerebbe, dunque, una «funzione servente» rispetto alle misure alternative alla detenzione, allontanandosi dal suo scopo primario, ossia la rieducazione del detenuto, in attuazione del precetto di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.
Differendo la decisione sulla liberazione anticipata al novantesimo giorno precedente al maturare dei presupposti per l’accesso a una misura alternativa alla detenzione, o alla scarcerazione, la disposizione censurata inciderebbe irrimediabilmente sulla finalità rieducativa dell’istituto, precludendo al detenuto di avere contezza, nel corso dell’esecuzione della pena, della valutazione del magistrato di sorveglianza circa l’effettività dell’adesione al percorso di recupero e risocializzazione. D’altro canto, postergare il momento del vaglio giudiziale sulla liberazione anticipata creerebbe «una oggettiva difficoltà, a distanza di tempo, di riuscire a disporre di elementi concreti che possano ancorare i fatti e i comportamenti tenuti all’atteggiarsi della specifica congiuntura temporale in cui essi si sono concretizzati», rendendo così «difficile o impossibile un giudizio realistico ed effettivo sulla piena adesione al trattamento proposto, in ragione della collocazione temporale di semestri, ormai lontani nel tempo».
In definitiva, la novella recata dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, si porrebbe «in aperto contrasto con l’intento di incentivare una condotta partecipativa», così violando l’art. 27, terzo comma, Cost., e misconoscendo il diritto del detenuto di «scegliere il momento» in cui chiedere al magistrato un vaglio sulla condotta tenuta nel semestre di riferimento, in modo da instaurare «un rapporto valutativo diretto sul suo agire intramurario», utile ad orientare il proprio comportamento.
3.2.3.– La disciplina censurata sarebbe altresì contraria al canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., poiché, istituendo un «collegamento strutturale» tra la liberazione anticipata e la possibilità di fruire di misure alternative alla detenzione, comprimerebbe la funzione rieducativa dell’istituto e priverebbe il detenuto della possibilità di fruire di uno stimolo – quello a vedersi la pena ridotta a fronte della partecipazione all’opera di rieducazione – che costituisce «il vero motore esecutivo della rieducazione quotidiana».
Né tale irragionevolezza sarebbe elisa dalla possibilità di presentare istanza di liberazione anticipata indicando uno «specifico interesse», ai sensi del comma 3 del censurato art. 69-bis, poiché tale ipotesi si ridurrebbe al caso in cui il detenuto richieda lo «scioglimento del cumulo» delle pene, e dunque presupporrebbe l’avvenuta espiazione della frazione di pena inerente al delitto cosiddetto ostativo risultando, ancora una volta, semplicemente funzionale all’accesso a una misura alternativa alla detenzione o alla scarcerazione nei novanta giorni successivi.
In realtà, sussisterebbe un «collegamento forte» tra il diritto al reinserimento sociale e il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., essendo compito della Repubblica configurare l’esecuzione della pena in modo idoneo alla rieducazione – e, dunque al reinserimento sociale – di coloro che pongano in essere condotte criminose in condizioni di disagio economico e sociale. Le strutture di esecuzione della pena costituirebbero d’altra parte formazioni sociali ai sensi dell’art. 2 Cost., all’interno delle quali la garanzia dei diritti inviolabili dovrebbe essere funzionale a consentire «forme di realizzazione della personalità “paritarie” rispetto alle persone libere», senza che la detenzione si carichi di un surplus afflittivo non necessario rispetto all’esecuzione della pena.
La rieducazione – come prescritto dall’art. 1 ordin. penit. e dall’art. 1 del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) – dovrebbe tendere al reinserimento sociale del detenuto, attraverso un processo da avviare fin dalle fasi iniziali dell’esecuzione penale, e non soltanto immediatamente prima del “fine pena”, così che l’interessato possa gradualmente assumere consapevolezza dei valori fondamentali della convivenza sociale.
3.2.4.– La nuova formulazione dell’art. 69-bis sarebbe, infine, problematica anche «alla luce […] di quanto indicato dall’art. 111 [sesto comma] Cost.», che stabilisce l’obbligo di motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale.
E invero, essendo la motivazione «la cartina di tornasole della concreta conoscenza giudiziaria», non sarebbe possibile motivare correttamente il provvedimento sulla liberazione anticipata, che intervenga all’approssimarsi del termine per la richiesta di misure alternative alla detenzione o della scarcerazione, essendo difficile raccogliere dati e informazioni attendibili a distanza di anni dai periodi oggetto di valutazione; con pregiudizio sulla qualità della decisione giurisdizionale.
4.– Anche in questo giudizio, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e, comunque, sostenendo l’infondatezza delle questioni.
4.1.– Quanto ai profili di rito, inammissibile sarebbe la censura riferita all’art. 111, sesto comma, Cost., poiché tale parametro costituzionale, pur evocato nella motivazione dell’ordinanza di rimessione, non sarebbe indicato nel dispositivo.
Parimenti viziata da inammissibilità sarebbe la doglianza riferita all’art. 3 Cost., non avendo il giudice a quo individuato un tertium comparationis, ossia un «detenuto […] irragionevolmente discriminato dalla nuova disciplina»; disciplina che, invece, non precluderebbe ad alcuna persona privata dalla libertà personale di formulare al magistrato di sorveglianza una motivata istanza di liberazione anticipata.
Infine, l’Avvocatura dello Stato eccepisce la mancata sperimentazione di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, osservando che la nozione di «specifico interesse» che deve sorreggere l’istanza di liberazione anticipata sarebbe sufficientemente ampia da consentire al magistrato di sorveglianza di valorizzare «tutte quelle situazioni in cui il provvedimento può rivestire una qualche utilità per il detenuto, anche nell’ambito del suo percorso trattamentale», senza che sia necessaria alcuna «valutazione di fondatezza/congruità dell’interesse».
4.2.– Nel merito, le censure del rimettente sarebbero, comunque, infondate.
4.2.1.– La novella all’art. 69-bis ordin. penit. recata dall’art. 5 del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, sarebbe ispirata sia da esigenze deflattive – mirando ad «alleggerire la Magistratura di sorveglianza da un numero eccessivo di istanze prive di alcuna utilità pratica per il detenuto» – sia dalla volontà di dare «certezza all’interessato sui tempi di trattazione delle istanze». Il tutto in un’ottica di razionalizzazione procedimentale, volta a garantire «tempi più certi e contenuti e una gestione ordinata delle domande sia da parte dell’Amministrazione penitenziaria che da parte degli Uffici giudiziari». La modifica normativa sarebbe altresì suscettibile di determinare «una rivalutazione della effettiva scansione dell’osservazione scientifica della personalità del detenuto, sotto forma di una verifica costante della sottoposizione al trattamento custodiale e della correlativa documentazione del percorso rieducativo».
4.2.2.– L’art. 69-bis della legge n. 354 del 1975 andrebbe letto alla luce delle coeve modifiche apportate all’art. 656 cod. proc. pen., in forza delle quali l’ordine di esecuzione deve ora indicare le detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata, così da rendere il destinatario edotto del possibile sconto premiale connesso alla partecipazione all’opera di rieducazione. Sarebbe così scongiurato il rischio, paventato dal rimettente, che la postergazione della decisione sulla liberazione anticipata disincentivi il detenuto a serbare una condotta partecipativa al trattamento e vanifichi così il contenuto rieducativo del beneficio. L’intervento riformatore rimarrebbe, così, fedele ai dettami della sentenza n. 276 del 1990, secondo cui la valutazione sulla liberazione anticipata, ove pure avvenga nel momento finale dell’espiazione della pena, va riferita ai singoli semestri nei quali il trattamento si è articolato.
A fronte dell’attribuzione al pubblico ministero di «incisivi poteri di intervento officioso», e dell’espresso ammonimento contenuto nell’ordine di esecuzione circa i benefici dell’adesione alla proposta trattamentale, l’interesse del detenuto ad «avere cognizione costante e reiterata della liberazione anticipata, secondo scansioni e tempi assai ravvicinati, oltre che decisi dall’interessato» dovrebbe considerarsi recessivo.
4.2.3.– Il comma 3 dell’art. 69-bis ordin. penit. consentirebbe poi al detenuto di formulare istanza di liberazione anticipata, in presenza di uno specifico interesse, sicché il magistrato di sorveglianza potrebbe comunque esaminare le istanze che rivestano un’utilità per l’interessato, al contempo dichiarando inammissibili quelle inutili e solo destinate ad aggravare il carico di lavoro dell’ufficio giudiziario, con pregiudizio per l’efficienza della giurisdizione, risorsa non illimitata (è citata la sentenza n. 77 del 2018 di questa Corte).
La nuova formulazione dell’art. 69-bis ordin. penit. costituirebbe, in definitiva, «legittimo esercizio» della discrezionalità del legislatore, e non paleserebbe profili di contrarietà agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
4.2.4.– Neppure sarebbe leso l’art. 111, sesto comma, Cost., poiché l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali non potrebbe ritenersi violato per la semplice circostanza che l’accertamento da svolgere riguardi fatti più o meno risalenti nel tempo.
Il rimettente ometterebbe poi di valorizzare l’art. 13 ordin. penit., che prescrive l’osservazione scientifica della personalità del detenuto o internato allo scopo, tra l’altro, di proporre un idoneo programma di reinserimento e l’inserimento, nella cartella personale dell’interessato, delle «indicazioni generali e particolari del trattamento» e dei suoi sviluppi e risultati; l’art. 63 ordin. penit., secondo cui i centri preposti debbono inserire le risultanze dell’osservazione nella cartella personale del detenuto o internato; l’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 230 del 2000, in base al quale, allo scadere di ogni semestre di custodia cautelare e di pena detentiva, è annotato il giudizio espresso dalla direzione sulla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, con particolare riferimento all’impegno dimostrato nel trarre profitto dalle opportunità offertegli nel corso del trattamento e al mantenimento di corretti e costruttivi rapporti con gli operatori, con i compagni, con la famiglia e la comunità esterna. Tali elementi informativi sarebbero a disposizione del magistrato di sorveglianza che debba esprimersi sulla liberazione anticipata, sicché non potrebbe paventarsi alcun deficit conoscitivo derivante dalla postergazione del vaglio giudiziale sulla concessione di tale beneficio.
5.– Nelle memorie illustrative, di analogo tenore, l’Avvocatura ha rappresentato che il Consiglio dei ministri, nella seduta del 18 settembre 2025, ha approvato uno schema di decreto di modifica del d.P.R. n. 230 del 2000, finalizzato a dare attuazione, tra l’altro, all’art. 5 del d.l. n. 92 del 2024, come convertito.
Dei contenuti che qui rilevano di tale decreto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore nelle more del deposito della presente sentenza, si darà conto infra, al punto 4.5. del Considerato in diritto.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza iscritta al n. 73 reg. ord. del 2025, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis, comma 3, ordin. penit., come sostituito dall’art. 5, comma 3, del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, censurandolo «nella parte in cui prevede che il condannato possa formulare istanza di liberazione anticipata soltanto quando abbia espressamente indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza relativa, di avere uno specifico interesse ad ottenere il beneficio, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2» del medesimo articolo.
2.– Con l’ordinanza iscritta al n. 75 reg. ord. del 2025, il Magistrato di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 111, sesto comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto l’intero art. 69-bis della legge n. 354 del 1975, come sostituito dall’art. 5, comma 3, del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, «nella parte in cui si subordina la richiesta del beneficio della liberazione anticipata alla possibilità di rientrare, nei limiti di pena per accedere a misure alternative (90 giorni anteriori) o di ottenere nello stesso termine la scarcerazione ovvero nella parte in cui si impone al detenuto, per la valutazione della richiesta, di indicare le ragioni specifiche per le quali si richieda il beneficio stesso».
3.– Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni in larga parte sovrapponibili, sicché i relativi giudizi meritano di essere riuniti ai fini della decisione.
Nonostante la diversa individuazione del bersaglio delle censure nei dispositivi delle rispettive ordinanze (il solo comma 3 per il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, l’intero art. 69-bis per il Magistrato di sorveglianza di Napoli), entrambi i rimettenti si dolgono in sostanza della necessità per il condannato, ai sensi del comma 3 del novellato art. 69-bis ordin. penit., di allegare uno specifico interesse per proporre istanza di liberazione anticipata, diverso da quello connesso al computo della misura della pena espiata ai fini dell’accesso a misure alternative o altri benefici, ovvero alla determinazione del termine di conclusione della pena in prossimità di essa – interessi, questi ultimi, di cui il magistrato di sorveglianza è tenuto a farsi carico d’ufficio, nelle scansioni temporali indicate dai commi 1 e 2.
Ne consegue che le questioni di legittimità costituzionale in esame debbono essere considerate circoscritte, appunto, al testo oggi vigente dell’art. 69-bis, comma 3, ordin. penit.
4.– Ai fini di una migliore comprensione delle questioni, è opportuna una sintetica ricostruzione del quadro normativo in cui la disciplina censurata si inserisce.
4.1.– Ai sensi dell’art. 54, comma 1, ordin. penit. («Liberazione anticipata»), «[a]l condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata».
Tale detrazione di pena è funzionale non solo ad abbreviare il periodo di detenzione che il condannato deve scontare, ma anche – come si evince dal comma 4 dell’art. 54 ordin. penit. – ad abbreviare la misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefici dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale.
4.2.– In base al testo originario dell’art. 69-bis ordin. penit. – come introdotto dall’art. 1, comma 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di liberazione anticipata) – la liberazione anticipata veniva concessa o negata dal magistrato di sorveglianza su istanza del condannato. Tale istanza poteva essere presentata in qualunque momento il condannato lo ritenesse opportuno: ossia dopo la maturazione di ciascun semestre, ovvero con cadenze più diradate; se del caso, anche in prossimità del fine pena o della maturazione dei termini per accedere a uno dei benefici menzionati dall’art. 54, comma 4, ordin. penit.
Il nuovo testo dell’art. 69-bis ordin. penit., integralmente sostituito dall’art. 5, comma 3, del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, contempla invece – come regola generale – un meccanismo di accertamento d’ufficio della sussistenza dei presupposti della liberazione anticipata.
Il comma 1 prevede, più in particolare, che tale accertamento venga effettuato dal magistrato di sorveglianza «[i]n occasione di ogni istanza di accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi, rispetto ai quali nel computo della misura della pena espiata è rilevante la liberazione anticipata ai sensi dell’articolo 54, comma 4».
In tal modo, la concessione della liberazione anticipata – e l’accertamento dei relativi presupposti – diviene un adempimento d’ufficio pregiudiziale rispetto alla valutazione dell’istanza del detenuto di accedere a qualsiasi misura o beneficio rispetto al quale sia rilevante l’espiazione di una quota di pena. Tale istanza, peraltro, può essere presentata, ai sensi del secondo periodo del comma 1, non prima dei novanta giorni precedenti la data in cui il condannato potrebbe accedere alla misura o al beneficio, laddove gli siano riconosciute le detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata per ciascun semestre scontato.
Il comma 2 del nuovo testo dell’art. 69-bis stabilisce poi l’obbligo del magistrato di sorveglianza di procedere all’accertamento – ancora d’ufficio – della sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata, ove non siano già stati oggetto di valutazione in occasione delle istanze di cui al comma 1, «[n]el termine di novanta giorni antecedente al maturare del termine di conclusione della pena da espiare».
Una residuale ipotesi di concessione della liberazione anticipata su istanza dello stesso condannato è prevista, infine, dal nuovo comma 3, l’unico a essere in effetti censurato dai rimettenti (supra, 3). Esso prevede la facoltà del condannato di formulare la relativa istanza «quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima».
4.3.– La relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 92 del 2024 (A.S. 1183 - XIX Legislatura), presentata in Senato, chiarisce che le modifiche previste dall’art. 5 di tale decreto-legge rispondono «in via principale all’esigenza di semplificare il procedimento per il riconoscimento della liberazione anticipata, sia per sgravare gli uffici di sorveglianza da una serie di incombenze, sia per dare maggiore certezza ai detenuti circa il maturare, nel corso dell’esecuzione della pena, del beneficio sia, infine, per evitare il rischio che il riconoscimento sopravvenga a troppa distanza dall’insorgere dei suoi presupposti, con effetti negativi sull’accesso ad altri benefici penitenziari e sulla individuazione del termine finale della pena».
In particolare, la novella dell’art. 69-bis è stata così illustrata: «la verifica dell’effettiva sussistenza del diritto alla detrazione, ossia della effettiva, positiva, partecipazione all’opera di rieducazione, viene spostata nei momenti nei quali la detrazione effettivamente rileva nella concreta vita del detenuto […]. I momenti rilevanti sono costituiti, in via principale […], dall’approssimarsi del termine di conclusione della pena da espiare, come individuato computando le detrazioni previste dall’articolo 54» (art. 69-bis, comma 1), salve le deroghe rappresentate dalla presentazione da parte del detenuto di istanze di accesso a misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi (comma 2) ovvero nel caso in cui il detenuto faccia richiesta della liberazione anticipata «per “uno specifico interesse”, diverso da quelli relativi al fine pena o all’accesso ai benefici penitenziari» (comma 3). Tale specifico interesse – prosegue la relazione – «deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima, proprio in ragione del fatto che si tratta di una ipotesi residuale, che ha la propria ragion d’essere solo ove l’interesse non sia già tutelato dalle previsioni che si sono viste. Un caso emblematico è sicuramente quello relativo all’interesse al cosiddetto “scioglimento del cumulo”: ossia l’interesse ad accertare che, computando le detrazioni previste dall’articolo 54, la pena relativa ad un reato preclusivo all’applicazione di determinati istituti (diversi da quelli di cui al comma l) è decorsa».
4.4.– La modifica normativa censurata dai rimettenti è affiancata da ulteriori disposizioni, di cui pure conviene dare brevemente conto, nei limiti di interesse ai fini del presente giudizio.
Il comma 1 dell’art. 5 del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, ha inserito tre commi nell’art. 656 cod. proc. pen. Tra le nuove disposizioni merita qui di essere evidenziata, per la sua connessione con il riformato art. 69-bis ordin. penit., il comma 10-bis dell’art. 656 cod. proc. pen., ai termini del quale «[n]ell’ordine di esecuzione la pena da espiare è indicata computando le detrazioni» a titolo di liberazione anticipata, «in modo tale che siano specificamente indicate le detrazioni e sia evidenziata anche la pena da espiare senza le detrazioni. Nell’ordine di esecuzione è [altresì] dato avviso al destinatario che [tali detrazioni] non saranno riconosciute qualora durante il periodo di esecuzione della pena il condannato non abbia partecipato all’opera di rieducazione».
Nella citata relazione illustrativa si legge che «[q]uesta previsione ha il duplice scopo di stabilizzare fin dall’inizio (nell’ordine di esecuzione della pena) i semestri di interesse e il relativo conteggio delle riduzioni premiali, ma anche di promuovere l’adesione al programma rieducativo da parte del detenuto, il quale ha modo di vedere già conteggiate tutte le detrazioni, ma, al contempo, è avvisato del fatto che, perché divengano effettive, dovrà partecipare all’opera di rieducazione».
Infine, il comma 4 dell’art. 5 del d.l. n. 92 del 2024, come convertito, ha rinviato a un regolamento governativo le modifiche al d.P.R. n. 230 del 2000 necessarie ad assicurare il coordinamento con la nuova disciplina, e in particolare a consentire al magistrato di sorveglianza di effettuare tempestivamente le valutazioni relative alla liberazione anticipata, da effettuarsi ora – di regola – d’ufficio, alla scadenza dei termini indicati dai commi 1 e 2 del novellato art. 69-bis, ordin. penit.
4.5.– Il 25 novembre 2025 il regolamento in questione è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (d.P.R. 3 ottobre 2025, n. 176, intitolato «Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in materia di procedimento per la concessione della liberazione anticipata e di corrispondenza telefonica dei detenuti e degli internati»).
Il regolamento modifica, per ciò che qui rileva, l’art. 26 reg. ordin. penit., che disciplina la cartella personale del detenuto o internato. In particolare, dopo il comma 5 – il quale prevede che allo scadere di ogni semestre di custodia cautelare e di pena detentiva, nella cartella personale di ciascun detenuto (e, oggi, anche di ciascun soggetto in esecuzione penale esterna) è annotato il giudizio espresso dalla direzione sugli indici attestanti la partecipazione del condannato all’opera di rieducazione – è stato inserito un nuovo comma 5-bis, a tenore del quale «[q]uando il giudizio espresso è negativo lo stesso è comunicato all’interessato» (art. 1, comma 1, lettera a, numero 5, del d.P.R. n. 176 del 2025).
A tale innovazione si ricollega direttamente una modifica dell’art. 103 reg. ordin. penit., che detta disposizioni in materia di riduzioni di pena per la liberazione anticipata. Il nuovo comma 1-ter dell’art. 103 reg. ordin. penit. dispone, infatti, che «[n]ei casi di cui all’articolo 26, comma 5-bis» (e dunque nei casi di giudizio negativo sulla partecipazione all’opera di rieducazione), «l’interessato è legittimato a proporre istanza al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’articolo 69-bis, comma 3, della legge. In questo caso, l’istanza deve essere proposta nel termine di trenta giorni dalla comunicazione del giudizio» (art. 1, comma 1, lettera d, numero 3, del d.P.R. n. 176 del 2025).
Come emerge dal parere del Consiglio di Stato del 1° settembre 2025, sullo schema di regolamento prodotto dall’Avvocatura generale dello Stato, la relazione illustrativa a tale atto chiarisce che l’intervento concernente gli artt. 26, comma 5-bis, e 103, comma 1-ter, reg. ordin. penit. «ha lo scopo di superare i dubbi sollevati, anche con una questione di legittimità costituzionale, circa il fatto che il detenuto (rispetto al passato in cui sceglieva lui i tempi in cui chiedere la liberazione anticipata) può non avere contezza, durante l’esecuzione della pena, della valutazione che è data della sua partecipazione al percorso trattamentale rieducativo. In questo modo, invece, siccome già la legge prevede che l’istanza possa essere effettuata quando il condannato ha un interesse qualificato alla pronuncia, detto interesse è specificamente ravvisato nel fatto che sul suo percorso trattamentale rieducativo l’amministrazione ha dato un giudizio negativo».
5.– Tutto ciò premesso, occorre anzitutto valutare i profili di ammissibilità delle questioni sollevate.
L’Avvocatura generale dello Stato ha sollevato varie eccezioni di inammissibilità concernenti le sole questioni sollevate con l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Napoli, iscritta al n. 75 reg. ord. del 2025.
Nessuna di tali eccezioni è però fondata.
5.1.– In primo luogo, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità della questione sollevata in riferimento all’art. 111, sesto comma, Cost., giacché tale parametro costituzionale, se pure evocato nella parte motiva dell’ordinanza di rimessione, non risulta menzionato nel dispositivo.
L’eccezione è infondata.
La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che l’individuazione dei parametri della questione di legittimità costituzionale debba essere effettuata sulla base di una «lettura combinata di motivazione e dispositivo dell’ordinanza di rimessione» (sentenza n. 94 del 2025, punto 6 del Considerato in diritto), e che «le discrepanze tra la motivazione e il dispositivo […] possono essere risolte tramite l’impiego degli ordinari criteri ermeneutici, quando dalla lettura coordinata delle due parti dell’atto emerga l’effettiva volontà del rimettente» (sentenza n. 115 del 2025, punto 4.3.1. del Considerato in diritto, e in senso conforme i numerosi precedenti ivi citati).
L’ordinanza di rimessione ora all’esame compie un puntuale richiamo all’obbligo di motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale sancito dall’art. 111, sesto comma, Cost., argomentando in merito alla difficoltà di fornire puntuale motivazione del provvedimento sulla liberazione anticipata a distanza di anni dai periodi oggetto di valutazione. Tanto basta perché la questione possa ritenersi ritualmente proposta.
5.2.– In secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità della doglianza riferita all’art. 3 Cost., per non avere il giudice a quo individuato un tertium comparationis, ossia un «detenuto […] irragionevolmente discriminato dalla nuova disciplina», la quale in effetti non precluderebbe ad alcuna persona privata dalla libertà personale di formulare al magistrato di sorveglianza una motivata istanza di liberazione anticipata.
Anche questa eccezione è infondata, dal momento che il rimettente invoca l’art. 3 Cost. non già sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento tra due situazioni analoghe, ma sotto il diverso profilo della irragionevolezza intrinseca della nuova disciplina rispetto agli scopi dell’istituto della liberazione anticipata.
5.3.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, infine, la mancata sperimentazione da parte del rimettente di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, osservando che la nozione di «specifico interesse» che deve sorreggere l’istanza di liberazione anticipata sarebbe sufficientemente ampia da consentire al magistrato di sorveglianza di valorizzare «tutte quelle situazioni in cui il provvedimento può rivestire una qualche utilità per il detenuto, anche nell’ambito del suo percorso trattamentale», senza che sia necessaria alcuna «valutazione di fondatezza/ congruità dell’interesse.
Nemmeno questa eccezione può essere accolta.
In via generale, merita ribadire che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «quando il giudice a quo abbia consapevolmente reputato che il tenore della disposizione censurata impone una determinata interpretazione e ne impedisce altre, eventualmente conformi a Costituzione, la verifica delle relative soluzioni ermeneutiche non attiene al piano dell’ammissibilità, ed è piuttosto una valutazione che riguarda il merito delle questioni» (sentenza n. 150 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto, da ultimo richiamata dalla sentenza n. 141 del 2025, punto 4.1. del Considerato in diritto, e ulteriori precedenti in senso conforme ivi richiamati).
Nel caso ora all’esame, peraltro, l’intero impianto logico dell’ordinanza di rimessione è volto a censurare la scelta legislativa di rendere soltanto residuale la possibilità per il detenuto di formulare l’istanza di liberazione anticipata, e in particolare di precludergli, in tal modo, la possibilità di ottenere il relativo provvedimento semestre per semestre, così da avere la costante contezza dello “stato di avanzamento” del suo percorso trattamentale. Il rimettente auspica, dunque, una pronuncia di questa Corte che assicuri un risultato opposto all’obiettivo perseguito dal legislatore, puntualmente indicato nella relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 92 del 2024 (supra, 4.3) e che trova espressione nel chiaro dettato della nuova disposizione.
Giungere a un tale risultato in via ermeneutica equivarrebbe, pertanto, a compiere non già una interpretazione costituzionalmente conforme, ma una interpretazione contra legem, senz’altro preclusa al giudice; il quale è invece tenuto – ove ritenga che dalla disposizione non possano evincersi significati compatibili con i principi costituzionali – a sollevare incidente di legittimità costituzionale (sul punto, da ultimo, sentenza n. 142 del 2025, punto 9.2. del Considerato in diritto, ove si sottolinea – sulla scorta di altri precedenti ivi citati – che «il dato testuale configura un limite invalicabile in presenza del quale il tentativo di interpretazione conforme cede il passo necessariamente al sindacato di legittimità costituzionale»).
Ciò che, per l’appunto, ha fatto il giudice a quo.
6.– Nel merito, le questioni sono fondate, in riferimento a tutti i parametri evocati.
6.1.– Le articolate ordinanze di rimessione, di cui si è dato conto analiticamente nel Ritenuto in fatto, ruotano attorno all’argomento centrale secondo cui la nuova disciplina dell’art. 69-bis, comma 3, ordin. penit. comprometterebbe gravemente la funzionalità dell’istituto della liberazione anticipata a promuovere il processo di rieducazione del condannato, ponendosi così in contraddizione con la finalità stessa dell’istituto. Con conseguente vulnus agli artt. 27, terzo comma, e 3 Cost.
Il solo Magistrato di sorveglianza di Napoli ritiene, inoltre, che la disposizione censurata violi l’art. 111, sesto comma, Cost., rendendo difficile – in ragione del lasso temporale, che potrebbe essere in concreto assai esteso, tra il semestre oggetto di valutazione e il momento del giudizio – l’adempimento dell’obbligo costituzionale di motivazione del relativo provvedimento giurisdizionale.
6.2.– L’Avvocatura generale dello Stato oppone a tale prospettazione essenzialmente tre argomenti.
Anzitutto, la scelta del legislatore rientrerebbe in un suo ambito di discrezionalità, non censurabile al metro di valutazioni – in definitiva – di mera opportunità, come sarebbero quelle operate dalle ordinanze di rimessione.
In secondo luogo, la difesa statale sottolinea come la disciplina censurata conservi il principio della valutazione riferita ai singoli semestri di pena, spostando semplicemente l’accertamento dei presupposti della liberazione anticipata in un tempo prossimo a quello in cui le detrazioni di pena divengono concretamente utili per il condannato: ossia nell’imminenza del fine pena, ovvero della possibilità di accesso a una misura alternativa o a un beneficio penitenziario che presupponga l’espiazione di una quota della pena, sulla quale possano effettuarsi le detrazioni. Un tale spostamento non muterebbe la sostanza del beneficio in esame e la sua logica in senso lato premiale, ma risulterebbe al contempo funzionale ad alleggerire il carico di lavoro della magistratura di sorveglianza, consentendole così di rispondere più sollecitamente alle istanze degli stessi detenuti.
Infine, l’Avvocatura generale dello Stato sottolinea come il nuovo comma 10-bis dell’art. 656 cod. proc. pen., introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.l. n. 92 del 2024, come convertito (supra, 4.4.), disponga oggi che l’ordine di esecuzione della pena indichi espressamente, accanto alla pena da espiare in forza della sentenza di condanna, anche le detrazioni che il condannato potrà ottenere a titolo di liberazione anticipata, dando specifico avviso al destinatario che tali detrazioni non saranno riconosciute qualora durante il periodo di esecuzione della pena egli non abbia partecipato all’opera di rieducazione.
6.3.– Al riguardo, questa Corte osserva che la pur ampia discrezionalità del legislatore nella configurazione delle regole processuali, anche nella materia penitenziaria, non può autorizzare un vulnus al principio della finalità rieducativa delle pene – l’unica finalità espressamente menzionata dalla Costituzione, ancorché non in funzione escludente le altre cui le pene assolvono.
La tensione delle pene verso l’obiettivo della rieducazione del condannato è oggetto di un preciso dovere («[l]e pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato»), che l’art. 27, terzo comma, Cost. pone a carico di tutte le istituzioni e i poteri che esercitano la potestà punitiva nell’ordinamento italiano, a cominciare dal legislatore. La rieducazione – che la sentenza n. 179 del 2017 ha definito come espressione di sintesi che include gli obiettivi di «recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (punto 4.4. del Considerato in diritto) – indica «una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (sentenza n. 313 del 1990, punto 8 del Considerato in diritto). Tale finalità non può essere sacrificata a vantaggio di alcun’altra, seppur legittima, finalità della pena (sentenza n. 139 del 2025, punto 9.1. del Considerato in diritto, nonché, in precedenza, sentenza n. 149 del 2018, punto 7 del Considerato in diritto, e ivi ulteriori riferimenti).
La liberazione anticipata è istituto chiave nel perseguimento di tale finalità, costituzionalmente necessaria, della pena.
Già con la sentenza n. 274 del 1983, nel dichiarare costituzionalmente illegittima l’esclusione dei condannati all’ergastolo dalla liberazione anticipata (ai fini, quanto meno, dell’anticipato accesso alla liberazione condizionale), questa Corte ha posto in luce la funzionalità dell’istituto a promuovere la finalità rieducativa della pena (punto 4 del Considerato in diritto). La successiva sentenza n. 276 del 1990 ha ulteriormente rimarcato che la liberazione anticipata è finalizzata a «sollecitare l’adesione e la partecipazione all’azione di rieducazione dei soggetti sottoposti a trattamento», attraverso il riconoscimento del diritto alla detrazione di una quota di pena per ogni semestre espiato, «durante il quale il detenuto abbia dato prova di volere concretamente partecipare all’opera di rieducazione». La logica di quel meccanismo implica – ha proseguito la sentenza – la «prospettiva di un premio da cogliere in [un] breve lasso di tempo, purché in quel tempo egli riesca a dare adesione all’azione rieducativa» (punto 3 del Considerato in diritto).
Ancora, la sentenza n. 17 del 2021 ha posto in luce «l’importanza d’una tempestiva valutazione del comportamento tenuto dal condannato, fin dai periodi iniziali della sua detenzione, affinché si consolidino stabili atteggiamenti di partecipazione all’offerta rieducativa, in termini di vera e propria abitudine, immediatamente produttiva di effetti favorevoli» (punto 2 del Considerato in diritto; sul «potente stimolo» all’opera rieducativa rappresentato dalle riduzioni di pena semestrali a titolo di liberazione anticipata, si veda anche, di nuovo, la sentenza n. 149 del 2018, punto 6 del Considerato in diritto).
6.4.– Alla luce di tali precedenti, osserva questa Corte che l’attuale meccanismo di valutazione globale dei presupposti della liberazione anticipata relativi a ciascun semestre in una fase avanzata dell’espiazione della pena, in prossimità del momento in cui il condannato può immediatamente fruire delle riduzioni di pena (rispetto all’anticipazione del fine pena o dell’accesso a misure alternative e benefici), fa venir meno il riscontro periodico sulla qualità del concreto percorso trattamentale individuale, che era stato sin qui assicurato dalla possibilità di una valutazione frazionata dei presupposti della liberazione anticipata, semestre per semestre, sollecitata da una istanza del detenuto. Tale riscontro, se positivo, assicurava immediatamente a quest’ultimo il diritto alla riduzione di pena: una riduzione, invero, di cui avrebbe usufruito soltanto in futuro, ma sulla quale sin da subito poteva fare affidamento certo (salva soltanto l’eccezionale possibilità di una revoca, alle stringenti condizioni previste dall’art. 54, comma 3, ordin. penit., come inciso dalla sentenza n. 186 del 1995).
Come si è osservato durante i lavori preparatori della riforma, il riconoscimento della detrazione per ciascun semestre da parte del magistrato di sorveglianza «rassicura il detenuto perché gli fornisce una prospettiva concreta e periodicamente aggiornata rispetto al suo fine pena, e, in tal modo aiuta a stemperare le tensioni che la carcerazione produce; ciò che giova anche alla sicurezza ed alla qualità della vita all’interno degli istituti di pena» (testo della relazione presentata dalla Presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari alla Commissione giustizia del Senato nella seduta del 10 luglio 2024).
In effetti, il meccanismo di riscontro frazionato circa l’esito positivo delle istanze di liberazione anticipata ha, sino al recente passato, costituito per il detenuto uno stimolo importante a proseguire sul cammino di cambiamento intrapreso, attraverso la progressiva anticipazione, che in tal modo gli si prospettava, del fine pena e del termine per l’accesso ai benefici. Ciò in piena consonanza con quei caratteri di progressività e flessibilità della pena che derivano dallo stesso principio rieducativo, e che si declinano in una duplice speculare responsabilità: quella del condannato, chiamato a «intraprendere un cammino di revisione critica del proprio passato e di ricostruzione della propria personalità, in linea con le esigenze minime di rispetto dei valori fondamentali su cui si fonda la convivenza civile»; e quella correlativa del sistema penale nello stimolare il condannato a intraprendere e proseguire tale cammino, avvicinandolo gradualmente ai benefici finalizzati a promuovere il suo progressivo reinserimento nella società (sentenza n. 149 del 2018, punti 5 e 7 del Considerato in diritto, e ivi per ulteriori riferimenti).
D’altra parte, come sottolineano i rimettenti, anche l’eventuale diniego della liberazione anticipata con riferimento a un singolo semestre non segnava un irreparabile fallimento del percorso trattamentale, ma costituiva esso stesso stimolo per il condannato a modificare al più presto il proprio comportamento, sì da ottenere la riduzione di pena alla successiva scadenza semestrale. Il tutto nell’ambito di un cammino in cui il condannato dovrebbe idealmente essere aiutato – attraverso un costante dialogo con il magistrato di sorveglianza e il personale dell’amministrazione penitenziaria, nonché con i volontari che quotidianamente dedicano il loro impegno alle carceri italiane – a ritrovare in se stesso le risorse personali indispensabili per realizzare quel processo di cambiamento cui mira, in definitiva, l’art. 27, terzo comma, Cost.
La disciplina qui censurata ha cancellato tutti questi riscontri periodici, lasciando il condannato nell’incertezza circa la meritevolezza del percorso nel frattempo compiuto, o viceversa la sua inadeguatezza rispetto alle aspettative dell’ordinamento. E ciò sino al momento in cui i potenziali premi diventino in concreto fruibili in termini di riduzioni della pena da espiare: un momento – però – in cui il condannato non è più in grado di correggere efficacemente il proprio comportamento.
6.5.– Lo scopo perseguito dal legislatore, su cui insiste nelle proprie difese l’Avvocatura generale dello Stato, di alleggerire il carico di lavoro della magistratura di sorveglianza è invero apprezzabile, stanti i noti gravissimi ritardi nella definizione delle cause pendenti: a cominciare da quelle concernenti l’enorme numero dei cosiddetti “liberi sospesi” – e cioè condannati a pene detentive non superiori a quattro anni, che restano anche per anni in attesa delle determinazioni del tribunale di sorveglianza sulla propria istanza di misura alternativa alla detenzione –, su cui questa Corte ha già avuto modo di richiamare l’urgente attenzione del legislatore (sentenza n. 84 del 2024, punto 3.3.2. del Considerato in diritto).
E tuttavia, un tale interesse alla sollecita definizione dei giudizi pendenti, esso stesso di rilievo costituzionale (art. 111, secondo comma, Cost.), non può essere perseguito con modalità che determinano – come nel caso oggi all’esame – grave pregiudizio alla finalità rieducativa della pena.
6.6.– Questa Corte ritiene dunque che la disciplina censurata – precludendo al condannato di formulare istanza di liberazione anticipata in assenza di uno «specifico interesse» diverso da quello alla determinazione del fine pena e del termine di accesso a misure alternative o a benefici penitenziari – violi il principio della finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., e risulti distonica rispetto alla stessa finalità dell’istituto della liberazione anticipata, pensata dal legislatore dell’ordinamento penitenziario come strumento atto a favorire quella finalità costituzionale, integrandosi altresì con il principio del “minimo sacrificio necessario” della libertà personale, che la costante giurisprudenza di questa Corte deduce dal particolare rilievo costituzionale della libertà personale (sentenza n. 139 del 2025, punto 9.1. del Considerato in diritto, e ivi ulteriori riferimenti)
Ciò determina, altresì, un’evidente incongruità della disciplina rispetto alla sua finalità: il che integra un’ipotesi di irrazionalità intra legem, riconducibile al novero dei vizi di irragionevolezza ex art. 3 Cost. (sentenze n. 38 del 2025, punto n. 4.3.1. del Considerato in diritto; n. 95 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto; n. 197 del 2023, punto 5.5.4. del Considerato in diritto; n. 223 del 2022, punto 12 del Considerato in diritto; n. 195 del 2022, punto 8 del Considerato in diritto).
Come ritenuto dal Magistrato di sorveglianza di Napoli, inoltre, la disciplina censurata risulta distonica anche rispetto all’art. 111, sesto comma, Cost., rendendo arduo per il giudice l’adempimento del suo dovere costituzionale di motivare il provvedimento che riconosca o neghi le detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata a distanza, in ipotesi, di molti anni dal semestre cui ciascuna di esse si riferisce, sulla base di relazioni rispetto alle quali diviene in pratica assai difficile chiedere chiarimenti alle amministrazioni penitenziarie presso le quali il condannato è stato in carico. Con la correlata difficoltà per il condannato stesso di esercitare efficacemente il proprio diritto di difesa, stante la difficoltà di produrre prove della propria partecipazione all’opera di rieducazione a distanza di anni dai semestri in valutazione.
6.7.– Resta, a questo punto, da vagliare se e in che misura le altre innovazioni normative operate con il d.l. n. 92 del 2024, come convertito, e poi con il d.P.R. n. 176 del 2025, sortiscano l’effetto di elidere i vizi di illegittimità costituzionale sin qui posti in luce.
6.7.1.– Prendendo le mosse dagli interventi sull’art. 656 cod. proc. pen., essi sono compendiabili nell’espressa indicazione, nell’ordine di esecuzione della pena, delle detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata di cui il condannato potrà fruire, accompagnata dall’avvertimento che tali detrazioni non saranno riconosciute in caso di mancata partecipazione all’opera di rieducazione.
Ritiene questa Corte che l’obbligo di fornire sin dall’inizio al condannato queste informazioni, peraltro già desumibili dalla mera lettura del dettato normativo, non valga a compensare il venir meno di quella verifica periodica che era garantita dalla possibilità di ottenere, per l’intero corso dell’esecuzione della pena, un riscontro puntuale sull’andamento del percorso trattamentale, assicurato dalla valutazione idealmente espressa dal magistrato di sorveglianza al termine di ogni semestre. Solo tale valutazione individualizzata è, infatti, idonea a segnalare le specifiche criticità riscontrate nel semestre, e a consentire allo stesso condannato – anche grazie ai colloqui con il magistrato e con l’amministrazione penitenziaria – di superare tali criticità.
6.7.2.– Necessariamente più articolato è, invece, il discorso concernente l’impatto sulle odierne questioni del novum rappresentato dalle modifiche al regolamento penitenziario, e in particolare dal combinato disposto dei nuovi commi 5-bis dell’art. 26 e 1-ter dell’art. 103, di cui si è dato conto poc’anzi (supra, 4.5.).
Per effetto di tali modifiche, al condannato deve essere ora comunicato il giudizio negativo espresso dalla direzione del carcere sulla sua partecipazione all’opera di rieducazione in relazione a ciascun semestre. In tal caso, il condannato si considera titolare di uno «specifico interesse» ai sensi del censurato art. 69-bis, comma 3, ordin. penit., che lo legittima a formulare, nei trenta giorni successivi, istanza di liberazione anticipata in relazione – evidentemente – allo specifico semestre in relazione al quale è stato espresso il giudizio negativo.
Un tale meccanismo certamente attenua i profili di frizione con la finalità rieducativa della pena, di irragionevolezza intrinseca e di contrasto con i principi del “giusto processo” nella fase esecutiva della pena sin qui evidenziati, consentendo al condannato di sollecitare immediatamente una verifica giurisdizionale, alla luce delle proprie deduzioni difensive, rilevante al fine dell’accertamento dei presupposti della liberazione anticipata in relazione al singolo semestre.
Tuttavia, un meccanismo così congegnato continua a presentare gravi incongruenze, che finiscono per lasciare il detenuto, il quale non abbia ricevuto una inequivoca valutazione negativa da parte dell’amministrazione, nell’incertezza circa il proprio fine pena reale (e i termini per accedere a misure alternative e benefici). Al riguardo, non può infatti trascurarsi che la valutazione circa la sussistenza dei presupposti della liberazione anticipata spetta, in base alla legge, al solo magistrato di sorveglianza: il quale, certo, dovrà considerare con attenzione il giudizio comunicatogli dall’amministrazione penitenziaria, nell’ambito però di una valutazione che egli dovrà compiere in autonomia, sulla base di parametri anche ulteriori rispetto alle periodiche relazioni dell’amministrazione penitenziaria. La giurisprudenza di legittimità è infatti costante nel sottolineare la necessità di tenere in considerazione, nella valutazione della partecipazione del condannato all’opera di rieducazione, plurimi elementi ulteriori rispetto ai riscontri dell’amministrazione penitenziaria (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 marzo-3 luglio 2025, n. 24506, e ivi ulteriori precedenti, nonché sezione prima penale, sentenza 12 luglio 2018-22 gennaio 2019, n. 2886). Il che potrebbe condurlo a negare le detrazioni di pena anche in presenza di un giudizio non negativo (o non totalmente negativo) dell’amministrazione, e viceversa.
In altre parole, ciò che conta per il condannato ai fini del riconoscimento delle detrazioni di pena per ciascun semestre è la valutazione del magistrato di sorveglianza, non quella dell’amministrazione. Di qui il suo persistente interesse, nell’ottica dell’efficacia del complessivo percorso rieducativo, a sollecitare tale valutazione semestre per semestre, anche nell’ipotesi in cui non gli venga comunicato un giudizio negativo da parte dell’amministrazione.
Donde l’insufficienza dei correttivi al regolamento penitenziario introdotti con il d.P.R. n. 176 del 2025 a sanare i vulnera poc’anzi evidenziati nella disciplina legislativa censurata.
Restano assorbiti tutti gli ulteriori profili di censura prospettati dalle ordinanze di rimessione.
7.– La reductio ad legitimitatem della disciplina censurata è possibile mediante l’ablazione, nel comma 3 del novellato art. 69-bis ordin. penit., dell’intera seconda parte della disposizione che condiziona la possibilità per il condannato di formulare istanza di liberazione anticipata alla sussistenza di uno specifico interesse («quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima»).
La sopravvivenza della proposizione iniziale («Il condannato può formulare istanza di liberazione anticipata») assicurerà così al condannato la possibilità di formulare in qualsiasi momento l’istanza in relazione al semestre o ai semestri già maturati.
Resta fermo, invece, l’obbligo – introdotto dal d.l. n. 92 del 2024, come convertito, – di valutazione ex officio dei presupposti per la concessione della libertà anticipata in relazione a ciascun semestre, ove non già effettuata in risposta a previe istanze del condannato, nelle scansioni temporali previste dai primi due commi dell’art. 69-bis ordin. penit., che non sono oggetto delle censure dei rimettenti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69-bis, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall’art. 5, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92 (Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024, n. 112, limitatamente alle parole «quando vi abbia uno specifico interesse, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, che deve essere indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza medesima».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2025
Il Cancelliere
F.to: Igor DI BERNARDINI
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