SENTENZA N. 196
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 76, comma 4, da 95 a 118, da 123 a 127, 130, 131, 134, 136, comma 1, e 137 della legge della Regione Toscana 31 dicembre 2024, n. 61 (Testo unico del turismo), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 10 marzo 2025 e depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udita nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2025 la Giudice relatrice Maria Alessandra Sandulli;
uditi gli avvocati dello Stato Maria Gabriella Mangia e Giorgio Santini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Andrea Pertici per la Regione Toscana;
deliberato nella camera di consiglio del 4 novembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato e depositato il 10 marzo 2025 e iscritto al n. 14 del registro ricorsi 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, fra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 76, comma 4; 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, comma 2, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, comma 1, 112, comma 3, 113, comma 1, 114, comma 3, 115, commi 1 e 3, 116, commi 2, 7 e 8, 117, 118, 123, comma 1, 124, 125, 126, 127, comma 1, 130, 131, 134, 136, comma 1, e 137 della legge della Regione Toscana 31 dicembre 2024, n. 61 (Testo unico del turismo), denunciando la violazione di plurimi parametri costituzionali e interposti.
1.1.– Innanzitutto, il ricorrente afferma che le varie disposizioni impugnate presenterebbero numerosi profili di illegittimità costituzionale, in quanto – in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (si cita, in particolare, la sentenza n. 271 del 2009) – sarebbero meramente ripetitive di norme contenute in leggi statali; introdurrebbero una disciplina distonica o comunque non pienamente corrispondente a quella dettata dalle leggi statali o, ancora, introdurrebbero nuove figure professionali. Dal che la lamentata violazione della potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nonché l’invasione della competenza legislativa concorrente statale di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni. A quest’ultimo riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato – citando la sentenza di questa Corte n. 127 del 2023 – ricorda che in materia di professioni la potestà legislativa regionale «deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato», mentre rientrerebbe «nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale», non potendo, peraltro, le regioni, «dar vita a nuove figure professionali».
Sempre in via preliminare, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che non varrebbe a superare le ritenute ragioni di illegittimità costituzionale la circostanza che il legislatore toscano, nell’istituire nuove figure professionali, abbia utilizzato la locuzione «nelle more della definizione da parte dello Stato del relativo profilo professionale». In altri termini, l’intervento regionale non potrebbe trovare giustificazione nel «principio della c.d. cedevolezza invertita». Quest’ultimo, infatti, sarebbe operante esclusivamente in relazione a situazioni nelle quali vi sia, quantomeno, un intreccio di competenze legislative statali e regionali, consentendo alle regioni di intervenire e di disciplinare provvisoriamente ed eccezionalmente la materia, in caso di inerzia dello Stato e fino all’adozione della relativa disciplina a opera di quest’ultimo (si citano le sentenze di questa Corte n. 1 del 2019 e n. 222 del 2020).
Su tali presupposti, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che il richiamato principio della cosiddetta cedevolezza invertita non sarebbe in alcun modo predicabile «in quanto ontologicamente incompatibile con l’esigenza di assicurare, in caso di istituzione di nuove figure professionali, una disciplina unitaria funzionale» alla tutela sia della concorrenza sull’intero territorio nazionale, evitando discriminazioni legate ad ambiti territoriali infra statuali, sia del «pieno esercizio della libera prestazione di servizi e della libertà di stabilimento di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea nonché [de]l conseguimento degli obiettivi di cui alla direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (relativa ai servizi nel mercato interno) e alla direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE (relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali)».
La difesa statale rileva, inoltre, che, a ragionare diversamente, verrebbe rimessa all’iniziativa regionale, e non allo Stato, l’istituzione di nuove figure professionali, unitamente all’individuazione dei relativi profili e dei titoli abilitanti. E aggiunge che l’assenza di una disciplina statale volta a regolare una determinata attività, quale una professione, non potrebbe essere ascrivibile alla mera inerzia, «legittimante (in ipotesi) l’assunzione di iniziative legislative» regionali, ma ben potrebbe qualificarsi come puntuale volontà di non intervenire, con conseguente impossibilità per il legislatore regionale di superarla o di sostituirsi alla stessa.
1.2.– Fatte tali premesse, in primo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 76, comma 4, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, il quale dispone che «[i]l direttore tecnico deve prestare la propria attività lavorativa con carattere di continuità ed esclusività in una sola agenzia».
Il ricorrente, preliminarmente, rappresenta che la professione del direttore tecnico di agenzia di viaggi e turismo è contemplata dall’art. 20, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio), che demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato, l’individuazione dei «requisiti professionali a livello nazionale dei direttori tecnici delle agenzie di viaggio e turismo, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano»; a tale disposizione ha dato poi attuazione il decreto del Ministro del turismo 5 agosto 2021, n. 1432 (Requisiti professionali a livello nazionale dei direttori tecnici delle agenzie di viaggio e turismo), senza prevedere alcun vincolo di esclusività in capo agli stessi direttori.
Alla luce della richiamata normativa nazionale, l’impugnato art. 76, comma 4, travalicherebbe, anzitutto, i limiti della competenza legislativa concorrente attribuita al legislatore regionale, ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost., in materia di professioni. In questa materia, infatti, spetterebbe allo Stato la determinazione, per via legislativa, dei principi fondamentali, mentre alle Regioni sarebbe demandata la determinazione della disciplina di dettaglio, come chiarito da questa Corte nella già richiamata sentenza n. 127 del 2023 (si ricorda, inoltre, anche la sentenza n. 178 del 2014).
In secondo luogo, la disposizione censurata, introducendo limitazioni valide soltanto sul territorio regionale, determinerebbe una disparità di trattamento tra gli operatori del settore che esercitano l’attività in tale ambito e quelli che, invece, operano in altre regioni, nelle quali non è previsto alcun vicolo di esclusività, con il rischio di frammentazione, a livello regionale, della disciplina di tale professione. In altri termini, sarebbero stati violati i «principi in materia di concorrenza, la cui tutela è riservata alla potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, commi primo e secondo, lettera e) della Cost.».
1.3.– Con un secondo gruppo di questioni, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna un’ampia serie di disposizioni della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, che hanno introdotto e disciplinato le figure professionali dell’accompagnatore turistico (artt. 95-101) e della guida ambientale (artt. 102-110).
1.3.1.– In primo luogo, vengono impugnati gli artt. 95, 96, 97, 98 e 99, attraverso i quali la Regione avrebbe illegittimamente istituito la figura professionale dell’accompagnatore turistico (art. 95); dettato la relativa disciplina, e, in specie, individuato i requisiti per l’esercizio della professione (art. 96); previsto e disciplinato i corsi di qualificazione riconosciuti dalla Regione (artt. 97 e 98); e, infine, stabilito il regime della pubblicità dei prezzi delle prestazioni professionali indicati nel materiale pubblicitario e informativo (art. 99).
1.3.2.– In secondo luogo, lo Stato impugna gli artt. 102, 103, 104, comma 2, 105, 106, 107 e 108, lamentando l’illegittimità dell’istituzione della figura professionale della guida ambientale (art. 102, comma 1) e della relativa disciplina, ossia, nel dettaglio: l’individuazione dei requisiti per l’esercizio della professione (art. 103); la previsione di corsi di qualificazione e specializzazione riconosciuti dalla Regione (artt. 105 e 106); la previsione di obblighi professionali volti a garantire la sicurezza dei clienti in relazione alle capacità di questi ultimi e alla difficoltà dei percorsi (art. 107); e il regime della pubblicità dei prezzi delle prestazioni professionali indicati nel materiale pubblicitario e informativo (art. 108).
A parere del Presidente del Consiglio dei ministri, la Regione, nell’introdurre e disciplinare le nuove figure professionali dell’accompagnatore turistico e della guida ambientale, avrebbe travalicato i limiti della competenza legislativa concorrente attribuitale dall’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, in quanto alle regioni sarebbe precluso introdurre nuove figure professionali in assenza della preventiva individuazione delle stesse da parte del legislatore statale. Secondo il ricorrente, infatti, la potestà legislativa regionale – come espressamente previsto dall’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131) – potrebbe essere esercitata solo sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale.
Ciò, del resto, troverebbe conferma anche nella giurisprudenza di questa Corte, come dimostrerebbero le sentenze n. 271 del 2009 e n. 230 del 2011, richiamate nel ricorso.
Il ricorrente osserva, invero, che il legislatore statale si sarebbe limitato a dettare la definizione generale delle professioni turistiche, tipizzando, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 79 del 2011 (d’ora in avanti, anche: cod. turismo), solo «quelle attività, aventi ad oggetto la prestazione di servizi di promozione dell’attività turistica, nonché servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, diretti a consentire ai turisti la migliore fruizione del viaggio e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati».
Il legislatore regionale avrebbe, poi, determinato anche una frammentazione, a livello regionale, della disciplina di tali professioni, con conseguente violazione dei principi in materia di concorrenza, la cui tutela è riservata in ogni caso alla potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost.
1.3.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, quindi, gli artt. 100, 101, 109 e 110, che prevedono l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie e il divieto di prosecuzione dell’attività, rispettivamente, per l’accompagnatore turistico (artt. 100 e 101) e per la guida ambientale (artt. 109 e 110).
Sul presupposto – già chiarito da questa Corte – che la previsione di sanzioni amministrative, ancorché non possa ricondursi a un autonomo titolo competenziale, «accede alle materie sostanziali» (sentenza n. 12 del 2004; vengono inoltre citate le sentenze n. 148 e n. 121 del 2018), alle quali le sanzioni si riferiscono e che, pertanto, essa spetterebbe all’ente che abbia la competenza su queste ultime, il ricorrente ritiene che le impugnate disposizioni incorrerebbero nei vizi di illegittimità costituzionale già denunciati nelle precedenti censure. Esulando, infatti, dalla competenza delle regioni la potestà di introdurre e disciplinare le professioni turistiche, il legislatore toscano non avrebbe potuto neppure introdurre le relative fattispecie sanzionatorie.
Anche per tali disposizioni, inoltre, il ricorrente lamenta il rischio di frammentazione della disciplina a livello regionale e la conseguente violazione della «potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, commi primo e secondo, lettera e) della Cost.».
1.3.4.– L’impugnazione investe, poi, l’art. 103, e in particolare il suo comma 3, il quale dispone che l’esercizio della professione di guida ambientale da parte di lavoratori autonomi è soggetto a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), da presentare allo sportello unico per le attività produttive (SUAP) competente per il territorio in cui si intende operare; l’art. 96, comma 3, che reca analoga disciplina con riferimento all’accompagnatore turistico, e l’art. 104, comma 2, il quale prevede che «[l]e guide del parco o della riserva naturale già abilitate ai sensi dell’art. 21, comma 3, della legge regionale 11 aprile 49/1995, n. 49 (Norme sui parchi, le riserve naturali e le aree naturali protette di interesse locale) possono continuare a esercitare l’attività esclusivamente nel parco o riserva naturale di pertinenza».
A parere del ricorrente, invero, le richiamate disposizioni limiterebbero la possibilità delle guide di operare fuori dalla Regione, determinando, anche per questo profilo, una frammentazione su base regionale delle professioni turistiche, con effetti distorsivi della necessità di coordinamento unitario e tutela dell’uniformità del mercato e, quindi, dell’interesse pubblico. In altri termini, le impugnate disposizioni inciderebbero negativamente su «un assetto normativo […] volto, tra le altre cose, a garantire sia il pieno diritto alla libera prestazione di servizi e alla libertà di stabilimento, di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE sia il conseguimento degli obiettivi di cui alla direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (relativa ai servizi nel mercato interno) e alla direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE (sul riconoscimento delle qualifiche professionali)».
In definitiva, l’impugnata disciplina delineerebbe una regolamentazione applicabile esclusivamente all’ambito regionale toscano, peraltro non giustificata da un collegamento con le peculiari esigenze della realtà territoriale (si citano a supporto le sentenze di questa Corte n. 153 del 2006 e n. 230 del 2011), e sarebbe suscettibile di impedire e/o ostacolare l’esercizio della medesima attività da parte di operatori residenti nel territorio di altre regioni, con conseguente violazione dei principi in materia di concorrenza, la cui tutela è riservata alla potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost.
1.4.– Con un terzo gruppo di questioni, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 111, comma 1, 112, comma 3, 113, 114, comma 3, 115, commi 1 e 3, 116, commi 2, 7 e 8, 117, 118, 123, comma 1, e 124, che disciplinano la figura del maestro di sci.
Salvo che per l’impugnazione dell’art. 117 (infra, punto 1.4.6.), il ricorrente ritiene che alcune di tali disposizioni travalicherebbero i limiti della competenza legislativa concorrente attribuita al legislatore regionale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di professioni, poiché si porrebbero in contrasto con alcuni principi fondamentali della materia, introdotti dalla legge 8 marzo 1991, n. 81 (Legge-quadro per la professione di maestro di sci e ulteriori disposizioni in materia di ordinamento della professione di guida alpina).
Sono richiamati anche i commi primo e secondo, lettera e), dell’art. 117 Cost., che però sono menzionati nella sola epigrafe del motivo di ricorso (e il solo art. 117, primo comma, anche nelle conclusioni).
1.4.1.– Ciò premesso, l’art. 111, comma 1, è ritenuto costituzionalmente illegittimo poiché, recando una definizione del profilo professionale sulla base di quella già fornita dall’art. 2, comma 1, della legge n. 81 del 1991, violerebbe il principio, affermato da questa Corte (si richiama la sentenza n. 271 del 2009), secondo cui alla legge regionale non sarebbe consentito ripetere quanto già stabilito da una legge statale.
1.4.2.– È denunciata, poi, l’illegittimità costituzionale dell’art. 112, comma 3, in quanto prevede che l’albo dei maestri di sci sia «suddiviso, per specialità, nelle seguenti sezioni: a) maestri di sci alpino; b) maestri di sci di fondo; c) maestri di sci di snowboard».
Posto che, come chiarito da questa Corte nella sentenza n. 127 del 2023, gli albi regionali possono svolgere solo «funzioni meramente ricognitive o di comunicazione e di aggiornamento», il legislatore toscano, nel parcellizzare la figura professionale definita dal legislatore statale in modo unitario, avrebbe, infatti, travalicato le proprie competenze in materia.
Il vizio di illegittimità costituzionale investirebbe, correlativamente, gli artt. 114, comma 3, e 115, i quali «prevedono che i corsi di qualificazione propedeutici all’iscrizione all’albo regionale riguardino la “singola specialità”».
1.4.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia, inoltre, l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma 1, che stabilisce i requisiti per ottenere l’iscrizione all’albo.
Il ricorrente, innanzitutto, deduce che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (si cita ancora una volta la sentenza n. 271 del 2009) – il legislatore regionale non potrebbe indicare specifici requisiti per l’esercizio delle professioni, pur se in parte coincidenti con quelli espressi dalla legislazione statale, poiché la disciplina dei titoli necessari si qualifica come principio fondamentale della materia, di competenza dello Stato.
Lamenta, poi, che, così operando, il legislatore toscano ostacolerebbe, in contrasto con quanto previsto dall’art. 5 della legge n. 81 del 1991, anche il trasferimento dei maestri di sci da un albo regionale all’altro.
1.4.3.1.– Viene denunciata, quindi, l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, commi 2 e 7, nella parte in cui, ai fini dell’iscrizione nell’albo regionale dei maestri di sci di professionisti già iscritti negli albi di altre regioni ovvero ai fini dell’esercizio stabile della professione da parte di maestri provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea, richiamano i requisiti di cui all’impugnato art. 113.
1.4.4.– Il ricorrente censura poi, in modo specifico, l’art. 115, comma 1, il quale, nel prescrivere che «[c]on deliberazione della Giunta regionale sono determinate le materie oggetto dei corsi di cui all’articolo 114, il numero delle ore e le modalità di accesso. Le materie e gli argomenti dei corsi sono determinati nel rispetto dei criteri e dei livelli delle tecniche sciistiche», illegittimamente demanderebbe la definizione della durata oraria e delle materie dei corsi a una deliberazione della Giunta regionale.
La riportata disposizione si porrebbe, a suo avviso, in contrasto con i principi fondamentali della materia dettati dall’art. 7 della legge n. 81 del 1991, il quale dispone che «[i] corsi hanno durata minima di 90 giorni effettivi di insegnamento e prevedono i seguenti insegnamenti fondamentali: tecniche sciistiche; didattica; pericoli della montagna; orientamento topografico, ambiente montano e conoscenza del territorio regionale di competenza; nozioni di medicina e pronto soccorso; diritti, doveri e responsabilità del maestro; leggi e regolamenti professionali».
1.4.5.– Viene anche dedotta l’illegittima costituzionale dell’art. 116, commi 7 e 8, della legge regionale in oggetto, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, , laddove, nel subordinare l’esercizio stabile e quello occasionale della professione da parte dei maestri di sci di Stati non appartenenti all’Unione europea al rispetto della condizione di reciprocità del trattamento, attribuirebbe il potere di riconoscere l’equivalenza del titolo professionale alla Federazione italiana sport invernali, mentre la normativa statale individuerebbe quale organo competente il Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri.
L’Avvocatura generale richiama sul punto l’ art. 12, comma 3, della legge n. 81 del 1991, il quale dispone che, per i cittadini provenienti da Stati non appartenenti all’Unione europea, in possesso di titoli professionali per l’esercizio dell’attività di maestro di sci rilasciati da tali Stati, «l’autorizzazione all’esercizio della professione è subordinata all’applicazione di quanto previsto dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
Ricorda poi che in materia sarebbe intervenuto il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206 (Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione di Bulgaria e Romania), il quale, all’art. 5, comma 1, stabilisce che «[a]i fini del riconoscimento di cui al titolo II e al titolo III, capi II e IV, sono competenti a ricevere le domande, a ricevere le dichiarazioni e a prendere le decisioni: a) la Presidenza del Consiglio dei ministri - Ufficio per lo sport, per tutte le attività che riguardano il settore sportivo e per quelle esercitate con la qualifica di professionista sportivo, ad accezione di quelle di cui alla lettera l-septies), nonché per le professioni di cui alla legge 2 gennaio 1989, n. 6».
L’individuazione in tale ufficio statale (oggi Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri dell’autorità competente a ricevere le domande per il riconoscimento delle qualifiche professionali di coloro che provengono da Stati non appartenenti all’Unione europea) determinerebbe, quindi, la denunciata illegittimità costituzionale del suindicato art. 116, commi 7 e 8, in parte qua.
1.4.6.– È censurato anche l’art. 117, in base al quale «[l]’esercizio abusivo della professione di maestro di sci è punito ai sensi dell’articolo 348 del codice penale».
Alla luce del richiamato principio secondo cui al legislatore regionale sarebbe impedito ripetere quanto già stabilito da quello statale, la disposizione impugnata, pur limitandosi a rinviare all’art. 348 del codice penale, avrebbe illegittimamente invaso la competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento penale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Osserva, infatti, l’Avvocatura generale che l’impugnato art. 117 della legge toscana potrebbe creare confusione nelle fonti dirette a disciplinare la materia, soprattutto laddove il legislatore statale dovesse in futuro modificare la norma penale incriminatrice o individuare per la stessa una diversa sedes materiae.
1.4.7.– Il ricorrente chiede altresì che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 118 dell’impugnata legge regionale, che disciplina il Collegio regionale dei maestri di sci.
Tale disposizione, seppure con alcune difformità, sarebbe, secondo lo Stato, perlopiù ripetitiva di quanto già previsto dall’art. 13, comma 1, della legge n. 81 del 1991, intervenendo così illegittimamente su un ambito già disciplinato dalla legge statale di principio.
1.4.8.– È censurato, poi, l’art. 123, comma 1, della stessa legge regionale, limitatamente alle parole «[f]ermo restando quanto previsto dalle norme penali», per violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento penale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché, derogando all’art. 9, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), avrebbe introdotto sanzioni amministrative per l’esercizio abusivo della professione di maestro di sci destinate a cumularsi alla sanzione penale.
1.4.9.– Da ultimo (con riguardo alla disciplina regionale del maestro di sci), il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 124 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, il quale prescrive che «[l]a prosecuzione dell’attività professionale di maestro di sci è vietata dal comune qualora l’interessato perda uno dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività. In tal caso è ritirata la tessera di riconoscimento».
A parere della difesa statale la norma si porrebbe in contrasto con le previsioni dell’art. 13, comma 1, della legge n. 81 del 1991, che, invece, attribuisce al Collegio regionale dei maestri di sci, e in particolare al consiglio direttivo, «“tutte le funzioni” concernenti, tra l’altro, “la tenuta degli albi professionali, la vigilanza sull’esercizio della professione, l’applicazione delle sanzioni disciplinari”».
1.5.– Con l’ultimo gruppo di questioni, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 125, 126, 127, 130, 131, 134, 136, comma 1, e 137, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, disciplinanti la figura professionale delle guide alpine, denunciando la violazione di una serie di parametri costituzionali e interposti, analogamente a quanto dedotto per le altre figure professionali.
Salvo che per l’impugnato art. 136, comma 1, (infra, punto 1.5.5.), il ricorrente denuncia che la disciplina regionale in parola, analogamente alle disposizioni sul maestro di sci, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
1.5.1.– In primo luogo viene censurato l’art. 125 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, il quale, nel definire l’attività della guida alpina in modo «pressoché ripetitivo» di quanto disposto dagli artt. 2 e 3 della legge 2 gennaio 1989, n. 6 (Ordinamento della professione di guida alpina), violerebbe, per le ragioni esposte nei precedenti motivi di ricorso, la competenza legislativa statale in materia di professioni.
1.5.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia, poi, l’illegittimità costituzionale degli artt. 126 e 127, comma 1, della stessa legge regionale, concernenti rispettivamente l’albo regionale delle guide alpine e i requisiti per l’iscrizione allo stesso, in quanto, riprendendo, pur se «con alcune differenze», i contenuti della legge n. 6 del 1989, si sovrapporrebbero a quanto previsto dai medesimi. In particolare, non risulterebbero del tutto «coincidenti le previsioni al riguardo dettate dall’art. 5 della [citata] legge statale e quelle di cui all’art. 127 della legge regionale».
Pertanto, «[g]li artt. 126 e 127 […] appaiono costituzionalmente illegittimi, così come l’art. 130, comma 2, che rinvia all’art. 127 ai fini dell’iscrizione all’albo regionale delle guide alpine di altre regioni».
Viene impugnato anche il solo comma 3 del citato art. 126, il quale definisce «esercizio stabile della professione» l’attività svolta «dalla guida alpina avente un recapito, anche stagionale, in Toscana ai fini dell’offerta delle proprie prestazioni», in combinato disposto con l’art. 130, comma 1, della citata legge regionale, il quale stabilisce che «[l]e guide alpine già iscritte negli albi di altre regioni che intendono esercitare stabilmente la professione anche in Toscana devono richiedere l’iscrizione nell’albo professionale regionale delle guide alpine della Toscana».
La difesa statale osserva che l’impugnata normativa regionale non consentirebbe, in difformità da quanto stabilito dall’art. 4, comma 5, della legge n. 6 del 1989, l’iscrizione all’albo regionale a coloro che, pur non avendo un recapito, anche stagionale, nella Regione, offrono le proprie prestazioni sul suo territorio. In tal modo, sarebbe, altresì, violato il principio espresso dal comma 3 del citato art. 4, secondo il quale l’abilitazione all’esercizio della professione di guida alpina ha efficacia su tutto il territorio nazionale.
1.5.2.1.– Il ricorrente denuncia anche l’art. 130, comma 3, dell’impugnata legge regionale il quale, nello stabilire che l’esercizio «della professione da parte di guide alpine che provengono dall’estero o da altre regioni italiane e che accompagnano i loro clienti, non è subordinato all’iscrizione all’albo», contrasterebbe con l’art. 6 della legge n. 6 del 1989, che, invece, consente alla guida iscritta in un albo regionale di esercitare la professione sull’intero territorio nazionale.
1.5.3.– Viene poi censurato il comma 4 del medesimo art. 130, il quale disciplina l’iscrizione delle guide alpine provenienti da Stati non appartenenti all’Unione europea. Il ricorrente ritiene, infatti, che, analogamente alla disciplina del maestro di sci, l’impugnata disposizione regionale, oltre che con l’art. 117, terzo comma, Cost., si porrebbe in contrasto con l’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., in relazione all’art. 5 del d.lgs. n. 206 del 2007, che individua nel Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri l’organo competente al riconoscimento delle relative qualifiche professionali.
La Regione, infatti, illegittimamente subordinerebbe l’iscrizione all’albo delle guide alpine al Collegio nazionale delle guide alpine, individuato quale organo deputato al riconoscimento della equivalenza del titolo rilasciato dallo Stato di provenienza.
1.5.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche gli artt. 131 e 134 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, che disciplinano rispettivamente il Collegio regionale delle guide alpine e le sanzioni disciplinari, deducendo che le relative disposizioni sarebbero «pressoché ripetitive degli artt. 13, 14 e 17 della legge n. 6/1989 e, pertanto, […] costituzionalmente illegittime».
1.5.5.– Rinviando integralmente alle ragioni addotte in relazione all’impugnato art. 123, l’Avvocatura generale chiede altresì di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 136, comma 1, poiché introdurrebbe un «doppio binario sanzionatorio in materia di sanzioni alle guide alpine», in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
1.5.6.– Da ultimo, viene impugnato l’art. 137, il quale stabilisce che il comune possa vietare la prosecuzione delle attività nell’ipotesi in cui l’interessato perda i requisiti per l’esercizio di attività di guida alpina. Anche per tale disciplina, divergente dall’art. 14, comma 2, della legge n. 6 del 1989, sussisterebbero i medesimi profili di illegittimità costituzionale già rilevati in relazione all’art. 124 della citata legge regionale, recante analoga disciplina per i maestri di sci.
2.– Con atto depositato il 17 aprile 2025, si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo di dichiarare manifestamente infondate o comunque non fondate le questioni promosse.
2.1.– La resistente premette che l’asserita illegittimità costituzionale delle norme impugnate si fonderebbe su presupposti e argomenti manifestamente erronei, nonché sulla base di una lettura non condivisibile della giurisprudenza costituzionale.
In particolare, si osserva che il legislatore toscano aveva già introdotto una disciplina specifica in relazione alle figure professionali di accompagnatore turistico, guida ambientale, maestro di sci e guida alpina, con la legge della Regione Toscana 20 dicembre 2016, n. 86 (Testo unico del sistema turistico regionale), non impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri né oggetto di pronunce di illegittimità costituzionale, quale esito di un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.
Sempre in via preliminare, la difesa regionale delinea il contesto normativo e giurisprudenziale in cui si inserisce la disciplina censurata, richiamando in primo luogo «l’orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente, anche recentemente ribadito dal Consiglio di Stato» (si cita Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 13 agosto 2024, n. 7124), secondo cui le regioni possono intervenire e disciplinare provvisoriamente ed eccezionalmente una materia (cosiddetta “cedevolezza invertita”) che non sia ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, allorché vengano del pari in discussione competenze legislative regionali.
La Regione premette altresì che, con riguardo all’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., in materia di tutela della concorrenza, il diritto dell’Unione europea avrebbe fortemente inciso sull’ordinamento degli Stati membri, imponendo una sempre più spiccata liberalizzazione delle attività professionali; il che avrebbe altresì comportato che, anche sul versante della legislazione regionale grava un generale divieto di introdurre ostacoli ingiustificati alla libera circolazione all’interno dell’Unione europea dei soggetti che esercitano le attività professionali.
La resistente osserva, poi, che la giurisprudenza costituzionale, seppure abbia negli anni determinato «una notevole compressione dello spazio di manovra del legislatore regionale», avrebbe, di recente, arginato la tendenza del legislatore statale a monopolizzare la produzione normativa in materia di professioni.
Essa ricorda, infatti, che, per un verso, fin dalla sentenza n. 355 del 2005, questa Corte avrebbe riconosciuto alle regioni la competenza a disciplinare gli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale e, per l’altro verso, con la sentenza n. 192 del 2024 avrebbe individuato nella «specificità territoriale» un criterio che sorreggerebbe l’intero sistema di differenziazione delle competenze legislative.
Infine, muovendo dalla tradizionale tripartizione «tra professioni cosiddette ordinistiche, professioni riconosciute e professioni non riconosciute», osserva che la definizione dei confini tra la competenza legislativa statale e quella regionale in materia di professioni non può non tenere conto della categoria professionale che viene in rilievo. Da tale considerazione, sul ritenuto presupposto che sarebbero «assai rare le ipotesi in cui una professione diversa ([perché] ad esempio caratterizzata da attività prevalentemente manuali o meccaniche)» da quella intellettuale (presa a riferimento dall’art. 33 Cost.) possa avere rilievo sotto il profilo della tutela degli interessi costituzionali, deriverebbe, secondo la difesa regionale, anche in considerazione degli interessi costituzionali in gioco, che l’esigenza di una più penetrante e uniforme regolazione dovrebbe essere massima nell’ambito delle sole professioni ordinistiche.
2.2.– Con riguardo all’impugnazione dell’art. 76, comma 4, la resistente ritiene che «da una prima e sommaria lettura del motivo di ricorso» si evincerebbe chiaramente come la giurisprudenza costituzionale ivi citata sia manifestamente inconferente.
Il punto cruciale di una disciplina come quella in discussione sarebbe rappresentato dall’eventuale disparità di trattamento che essa potrebbe ingenerare con il connesso rischio di alterazione dei meccanismi concorrenziali; ma, a parere della difesa regionale, il Presidente del Consiglio dei ministri giunge a tale conclusione in modo non condivisibile oltre che apodittico.
Ciò anche in ragione del fatto che la disposizione impugnata troverebbe la propria giustificazione nel contesto regionale toscano, nel quale il turismo rappresenta un settore economico di particolare rilevanza e che necessiterebbe «di personale sempre più specializzato e presente sul territorio», e avrebbe come ratio quella di rafforzare la filiera turistica regionale, all’interno della quale il direttore tecnico assumerebbe un ruolo centrale nelle attività svolte dalle agenzie di viaggio e di turismo, come avrebbe chiarito anche l’art. 1 d.m. n. 1432 del 2021.
Per le ragioni sin qui esposte, la Regione chiede che sia dichiarata la manifesta infondatezza delle questioni.
2.3.– La resistente chiede che siano dichiarate manifestamente infondate anche le questioni di legittimità costituzionale delle impugnate disposizioni che hanno istituito e regolato le figure professionali dell’accompagnatore turistico e della guida ambientale.
In primo luogo, si deduce che esse risulterebbero in sostanza specificazione delle professioni turistiche, previste dalla legislazione statale e in particolare dall’art. 6 dell’Allegato 1 al d.lgs. n. 79 del 2011.
In secondo luogo, viene messo in evidenza che l’introduzione di tali figure e della relativa disciplina esplicherebbe la propria efficacia solo fintantoché intervenga il legislatore statale, il quale si sarebbe tuttavia dimostrato colpevolmente inerte con riguardo alla regolamentazione di tali professioni, contrariamente a quanto fatto con altre figure parimenti riconducibili alle professioni turistiche. Inerzia, questa, che avrebbe creato difficoltà alla Regione Toscana, data la sua particolare vocazione turistica, e che rappresenterebbe la giustificazione dell’intervento legislativo de quo, divenuto improcrastinabile soprattutto in considerazione del vero e proprio disordine che caratterizza il settore delle guide, non di rado prive di un’adeguata formazione e inidonee ad offrire al turista un servizio con un elevato standard qualitativo, in un contesto territoriale che avrebbe registrato negli ultimi anni un notevole incremento della presenza turistica. Su tali basi, la resistente deduce che, contrariamente a quanto avrebbe apoditticamente affermato lo Stato, sussisterebbe quel particolare e specifico collegamento che – anche per la giurisprudenza di questa Corte (si citano le sentenze n. 153 del 2006 e n. 230 del 2011) – legittimerebbe le regioni ad adottare disposizioni legislative «di dettaglio nella materia delle professioni».
Con particolare riguardo all’impugnazione dell’art. 104, comma 2, la difesa regionale osserva che il ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., non avrebbe preso in considerazione il secondo periodo di tale comma, secondo il quale le guide del parco o della riserva naturale possono, se in possesso di un’adeguata formazione, esercitare la professione di guida ambientale sull’intero territorio regionale. La Regione aggiunge che non si comprenderebbe poi come le previsioni dell’art. 104, comma 2, potrebbero impedire o ostacolare l’esercizio della medesima attività da parte di operatori residenti nel territorio di altre Regioni, «risultando conseguentemente del tutto inconferenti le censure avanzate dalla difesa erariale».
2.4.– Quanto all’impugnazione delle varie disposizioni che disciplinano la figura del maestro di sci, la difesa regionale deduce, in primo luogo, che quella dell’art. 111, comma 1, sarebbe priva di fondamento. Il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe, infatti, omesso di considerare che tale disposizione attuerebbe un rinvio improprio e meramente dichiarativo, ossia rappresenterebbe un’ipotesi di legge regionale che richiama quella statale al solo fine di facilitare l’individuazione delle norme regolanti i rapporti. Come avrebbe chiarito questa Corte (viene richiamata sul punto la sentenza n. 192 del 2024), tale tipo di rinvio non sarebbe costituzionalmente illegittimo.
2.4.1.– In relazione all’impugnato art. 112, comma 3, la resistente osserva che i tre profili professionali, previsti rispettivamente nelle sezioni in cui è suddiviso l’albo professionale regionale dei maestri di sci, non rappresenterebbero autonome figure professionali, ma mere articolazioni interne dell’unica figura costituita dal maestro di sci. Sarebbe stata introdotta, in sostanza, un’articolazione dell’albo, volta a rendere più agevole l’identificazione dell’ambito di insegnamento del maestro di sci, sempre nella logica di una razionalizzazione e migliore organizzazione delle attività turistiche.
2.4.2.– La Regione chiede che venga dichiarata la non fondatezza anche della questione di legittimità costituzionale dell’art. 113.
Per quanto riguarda l’idoneità psicofisica – non contemplata dalla disciplina statale – viene dedotto che il legislatore toscano avrebbe introdotto un requisito necessario, la cui omissione nella legge statale sarebbe foriera di seri dubbi in ordine alla legittimità costituzionale della stessa. Si ritiene, infatti, manifestamente irragionevole non contemplare un simile requisito in relazione all’esercizio di una professione che impone peraltro l’assunzione di notevoli responsabilità in ordine alla salute e alla sicurezza dei clienti.
La difesa regionale afferma, inoltre, che la previsione, nel suddetto art. 113, di requisiti parzialmente differenti da quelli contemplati dal legislatore statale non ostacolerebbe – come invece denunciato nel ricorso – il trasferimento da un albo professionale regionale all’altro o l’autorizzazione all’esercizio temporaneo della professione in un’altra regione. Ciò – si afferma – soprattutto in considerazione del fatto che i (due) requisiti ulteriori previsti dall’articolo impugnato sono rappresentati dall’idoneità psicofisica e dal decorso del quinquennio in caso di condanna penale, quest’ultimo, invero, più favorevole per il richiedente.
E aggiunge che neppure si comprenderebbe in che modo la previsione dei due requisiti in parola, solo parzialmente differenti da quelli contemplati dal legislatore statale, possa ostacolare l’iscrizione nell’albo regionale di maestri di sci provenienti da Stati non appartenenti all’Unione europea.
2.4.3.– Sarebbe poi manifestamente infondata l’impugnazione dell’art. 115, che demanda la definizione della durata oraria e delle materie dei corsi a una deliberazione della Giunta regionale, in quanto sarebbe «evidente» che tale definizione debba avvenire nel rispetto dei principi fondamentali fissati all’art. 7 della legge n. 81 del 1991.
2.4.4.– Anche la censura dell’art. 116, commi 7 e 8, non sarebbe fondata, poiché sarebbe stata «dedotta sulla base di un vero e proprio errore, non considerando la differenza tra i maestri di sci cittadini dell’Unione europea […] e quelli di Stati non appartenenti» alla stessa. Per questi ultimi professionisti, infatti, il legislatore regionale non avrebbe potuto fare riferimento – come invece ha fatto per i primi – alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 206 del 2007. Ciò spiegherebbe l’introduzione di «una disciplina regionale, ovviamente “cedevole” rispetto a quella nazionale che eventualmente intervenisse» sul punto. Inoltre, la disciplina regionale avrebbe il pregio di demandare a organi massimamente qualificati, quali la Federazione italiana sport invernali e il Collegio nazionale dei maestri di sci, la verifica dei requisiti.
2.4.5.– La resistente ritiene, poi, manifestamente infondata l’impugnazione dell’art. 117 della medesima legge regionale, in quanto non riprodurrebbe il testo dell’art. 348 cod. pen., ma si limiterebbe a operarvi un rinvio formale, che escluderebbe in radice l’emersione di qualsiasi possibile confusione nel sistema delle fonti e di conseguenza la denunciata violazione dell’art. 117, primo comma, lettera l), Cost.
2.4.6.– Con riguardo al censurato art. 118, disciplinante il Collegio regionale dei maestri di sci, la difesa regionale rinvia a quanto affermato in relazione all’impugnato art. 111 (supra, punto 2.4.) e si limita «a porre in evidenza che nel caso dell’art. 118 della legge regionale impugnata il testo normativo è solo parzialmente coincidente con quello inserito nella legge statale, non potendosi di conseguenza qualificare il primo come puramente e semplicemente riproduttivo del secondo».
2.4.7.– Sarebbe non fondata anche l’impugnazione dell’art. 123, che disciplina le sanzioni amministrative irrogabili ai maestri di sci, in quanto si baserebbe su un’interpretazione del dato testuale palesemente contra legem. L’inciso, che apre il comma 1 del suddetto articolo («Fermo restando quanto previsto dalle norme penali»), non potrebbe «infatti che essere interpretato nel senso di prevedere che la sanzione amministrativa possa in concreto essere irrogata solo quando il fatto non integri, al tempo stesso, un reato».
La formula utilizzata opererebbe un rinvio generalizzato all’intero ordinamento penale e, conseguentemente, anche all’art. 9, comma 2, della legge n. 689 del 1981, il quale impone la prevalenza della legge penale statale rispetto alla disciplina regionale.
2.4.8.– Quanto all’impugnazione dell’art. 124, perché violerebbe l’art. 13 della legge n. 81 del 1991, la difesa regionale rileva che tra le due disposizioni normative non sussisterebbe «in alcun modo una relazione di antinomia, di talché è ben possibile che – senza che ciò determini l’illegittimità costituzionale della disposizione prodotta dal legislatore regionale» – tanto il Collegio regionale dei maestri di sci (come prevede il citato art. 13), quanto i comuni (come statuisce l’impugnato art. 124) «risultino titolari del potere di vietare la prosecuzione dell’attività professionale di maestro di sci».
2.5.– Con riguardo all’impugnazione delle varie disposizioni della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 che disciplinano la figura della guida alpina, la difesa regionale deduce, innanzitutto, la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 125, rinviando alle argomentazioni già spese in merito all’impugnato art. 111 (supra, punto 2.4.).
2.5.1.– Sull’impugnazione degli artt. 126 e 127, la resistente spende, nella sostanza, i propri argomenti difensivi solo in relazione alla specifica impugnazione del comma 3 del citato art. 126.
La questione promossa viene ritenuta non fondata, in quanto la riferita disposizione mirerebbe «a semplificare e, al tempo stesso, a rendere maggiormente certo il criterio [dell’esercizio stabile della professione], offrendo un riferimento semplice e concreto come il recapito, cioè un indirizzo al quale fare riferimento». Ciò anche in considerazione del fatto che – osserva ancora la difesa regionale – il mero recapito, che potrebbe essere agevolmente indicato anche nella sede di lavoro, non sarebbe elemento tale da rendere più onerosa la stabilità dell’esercizio professionale.
La resistente osserva, poi, che non sussisterebbe la denunciata antinomia tra l’impugnato art. 126, comma 3, e l’art. 4, comma 5, della legge n. 6 del 1989, in quanto il primo si limiterebbe a non prevedere una delle due condizioni prescritte per qualificare come «stabile» l’esercizio della professione e, quindi, sarebbe perfettamente possibile operare un’integrazione tra le due fattispecie, salvando così la disposizione impugnata dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.
2.5.2.– Non fondate sarebbero anche le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 130, commi 1 (in combinato disposto con l’impugnato art. 126, comma 3), 3 e 4. Per gli argomenti sulla non fondatezza, la difesa regionale rinvia a quanto già affermato in relazione all’art. 116, commi 7 e 8 (punto 2.4.4.).
2.5.3.– Riguardo alle questioni relative agli artt. 131 e 134, recanti, rispettivamente, la disciplina del Collegio regionale delle guide alpine e quella delle sanzioni disciplinari, e all’art. 136, comma 1, sulle sanzioni amministrative per l’esercizio abusivo della professione, la difesa regionale rinvia a quanto già argomentato in relazione, rispettivamente, agli artt. 111 (punto 2.4.) e 123 (punto 2.4.7.).
2.5.4.– Da ultimo, sull’impugnazione dell’art. 137, la difesa regionale rinvia a quanto già argomentato in relazione a quella dell’art. 124 (supra, punto 2.4.8).
3.– In data 17 settembre 2025 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria, con la quale ha replicato alle deduzioni della resistente, insistendo per l’accoglimento del ricorso. In particolare, la difesa statale ha osservato che le giustificazioni fornite a fondamento delle norme impugnate – ruotanti attorno alle peculiari esigenze della realtà territoriale regionale – non rappresenterebbero un dato ufficiale o spendibile nel giudizio costituzionale, poiché non risulterebbero illustrate le peculiarità della realtà regionale.
4.– In pari data, anche la Regione Toscana ha depositato memoria nella quale, replicando alle deduzioni del ricorrente, ha insistito nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione, svolgendo, tra l’altro, precisazioni sulle ragioni che giustificherebbe il proprio intervento, ossia lo specifico collegamento tra questo e il territorio regionale. È stato messo, in particolare, in evidenza che le norme impugnate disciplinano profili professionali connessi al settore del turismo, di sicura competenza regionale e che «secondo i dati Istat-Irpet nel 2023, la Toscana si è imposta come la terza Regione in Italia per presenze turistiche e i consumi dei turisti rappresentano il 23% dei consumi interni della Toscana». Dati, questi, che darebbero fondamento allo specifico collegamento tra la realtà regionale e la disciplina impugnata.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 14 del 2025), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, fra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 76, comma 4; 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, 103, 104, comma 2, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, comma 1, 112, comma 3, 113, comma 1, 114, comma 3, 115, commi 1 e 3, 116, commi 2, 7 e 8, 117, 118, 123, comma 1, 124, 125, 126, 127, comma 1, 130, 131, 134, 136, comma 1, e 137 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, denunciando la violazione di diversi parametri costituzionali, nonché di plurimi parametri interposti.
Nella valutazione delle singole impugnazioni saranno puntualmente indicati i parametri di volta in volta evocati, ma in via preliminare si evidenzia che il ricorso si fonda, in larga parte, sulla denunciata violazione della competenza legislativa statale in materia di professioni, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
2.– Le ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe sono state definite con la sentenza n. 186 del 2025.
3.– Lo Stato censura, in primo luogo, l’art. 76, comma 4, a norma del quale il direttore tecnico dell’agenzia di viaggio deve prestare la propria attività lavorativa con carattere di continuità ed esclusività per una sola agenzia.
A parere del ricorrente, l’impugnata disposizione regionale travalicherebbe i limiti della competenza legislativa concorrente in materia di professioni, rispetto alla quale spetta allo Stato la determinazione, per via legislativa, dei principi fondamentali, mentre alle regioni è demandata la disciplina di dettaglio, come chiarito da questa Corte nella sentenza n. 127 del 2023 (si richiama anche la sentenza n. 178 del 2014).
L’art. 76, comma 4, violerebbe altresì la competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto, introducendo limitazioni valide soltanto sul territorio regionale, determinerebbe una disparità di trattamento tra gli operatori del settore che esercitano l’attività nella Regione Toscana e quelli che, invece, la svolgono in altre regioni, nelle quali non è previsto alcun vincolo di esclusività, con il rischio di frammentazione, a livello regionale, della disciplina di tale professione.
Sebbene sia menzionato nell’atto introduttivo anche l’art. 117, comma primo, Cost., tale parametro, comparendo nella sola epigrafe del motivo di ricorso e nelle conclusioni, che si appuntano tuttavia sulla sola violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, non può ritenersi ritualmente evocato e, quindi, validamente coinvolto nell’impugnazione.
3.1.– È preliminarmente opportuno ricordare che – come evidenziato da entrambe le parti – l’art. 20, comma 1, cod. turismo, rinvia a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o del ministro delegato, l’individuazione dei «requisiti professionali a livello nazionale dei direttori tecnici delle agenzia di viaggio e turismo, previa intesa con la Conferenza permanente per il rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano». A dare attuazione alla citata disposizione è intervenuto (a distanza di anni) il d.m. n. 1432 del 2021, il quale, tuttavia, non fa alcun riferimento alla continuità ed esclusività dell’attività lavorativa prestata dal direttore tecnico dell’agenzia di viaggio.
Sempre in via preliminare, deve essere messo in evidenza che su questi ultimi requisiti si è anche espressa l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, con segnalazione del 2 febbraio 2017, n. AS1350 (Profili distorsivi della concorrenza nella disciplina delle agenzie di viaggio e dei direttori tecnici ivi operanti), la quale, prendendo atto della loro presenza nella quasi totalità delle discipline regionali, li ha ritenuti un fattore «di criticità in termini di tutela della concorrenza», evidenziando che «il divieto di esercizio di un’attività economica in più sedi o in più aree geografiche è stato espressamente qualificato come restrizione non ammissibile ai sensi dei decreti di liberalizzazione della riforma 2011 (articolo 34 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214)».
3.2.– Ciò premesso, la questione relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost, è fondata.
Come ha chiarito questa Corte all’indomani della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, la nozione di concorrenza, che «non può non riflettere quella operante a livello europeo» (affermazione, questa, costante e ribadita, anche di recente, nella sentenza n. 183 del 2024, punto 8.2. del Considerato in diritto), «comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza» (sentenza n. 14 del 2004, punto 4 del Considerato in diritto).
La giurisprudenza costituzionale ha pure affermato che la tutela della concorrenza «non si declina soltanto come contrasto agli atti e ai comportamenti delle imprese che incidano negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati, ma investe anche la promozione della competizione tra le imprese»; promozione che «si realizza, in primo luogo, mediante l’eliminazione di limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale» (sentenza n. 36 del 2024, punto 8 del Considerato in diritto).
Pertanto, le regioni, quando adottano leggi che limitano o ostacolano il libero ingresso di lavoratori e imprese nel mercato e la competizione tra queste ultime, incidono direttamente sull’ambito di competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.
È questo il caso anche dell’impugnato art. 76, comma 4, il quale, nell’imporre al direttore tecnico di prestare la propria attività lavorativa con carattere di continuità ed esclusività, per una sola agenzia, introduce un limite all’attività lavorativa.
Limite, questo, che ha dei riflessi anche sulla competizione tra operatori economici del settore, ossia non solo sui singoli direttori tecnici, ma anche sulle agenzie, le quali vedono limitata la possibilità (recte: libertà) di rivolgersi a un più ampio numero di professionisti del settore.
La previsione del carattere continuativo ed esclusivo dell’attività lavorativa del direttore tecnico dell’agenzia di viaggio, pertanto, investe un «profilo» rientrante «nell’ampia nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost.», si traduce in «una scelta che impone un limite alla libertà di iniziativa economica individuale e incide sulla competizione tra operatori economici nel relativo mercato» (sentenza n. 265 del 2016, punto 4.3. del Considerato in diritto) ed è lesiva della competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza.
3.3.– In conclusione, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., con assorbimento delle restanti censure.
4.– Il ricorrente denuncia, poi, l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 volte a introdurre e disciplinare le figure professionali dell’accompagnatore turistico e della guida ambientale.
In specie, con riguardo alla prima, vengono impugnate le seguenti disposizioni:
– art. 95, che ha istituito la figura professionale dell’accompagnatore turistico;
– art. 96, che ha previsto i requisiti per l’esercizio della suddetta professione;
– artt. 97 e 98, che disciplinano i corsi di qualificazione riconosciuti dalla Regione;
– art. 99, che disciplina il regime della pubblicità dei prezzi delle prestazioni professionali indicate nel materiale pubblicitario e informativo;
– artt. 100 e 101, che disciplinano, rispettivamente, le sanzioni amministrative e il divieto di prosecuzione dell’attività.
Per quanto riguarda, invece, la guida ambientale vengono censurati:
– l’art. 102, che ha istituito la figura professionale della guida ambientale;
– l’art. 103, che ha previsto i requisiti per l’esercizio della suddetta professione;
– gli artt. 105 e 106, che disciplinano i corsi di qualificazione riconosciuti dalla Regione;
– l’art. 107, che prescrive gli obblighi professionali volti a garantire la sicurezza dei clienti in relazione alle loro capacità e alla difficoltà dei percorsi;
– l’art. 108, che disciplina il regime della pubblicità dei prezzi delle prestazioni professionali indicate nel materiale pubblicitario e informativo;
– gli artt. 109 e 110, che disciplinano, rispettivamente, le sanzioni amministrative e il divieto di prosecuzione dell’attività.
L’Avvocatura generale lamenta che il legislatore regionale, attraverso le richiamate disposizioni, avrebbe introdotto e compiutamente disciplinato figure professionali non previste dalla legislazione statale, travalicando i limiti della competenza legislativa concorrente attribuitagli dall’art. 117, comma terzo, Cost., in materia di professioni. Alle regioni, infatti, sarebbe precluso introdurre figure professionali.
Il legislatore regionale avrebbe, inoltre, determinato una frammentazione, a livello regionale, della disciplina di tali professioni, con conseguente violazione dei principi in materia di concorrenza, «la cui tutela è riservata in ogni caso alla potestà legislativa esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, [comma] primo e comma secondo, lettera e) della Cost.».
L’Avvocatura dello Stato deduce, poi, che non varrebbe a superare i rilevati vizi di illegittimità costituzionale la circostanza che gli artt. 95, comma 1, e 102, comma 1, dell’impugnata legge regionale, istitutivi delle professioni in parola, rechino, entrambi, la locuzione «nelle more della definizione da parte dello Stato del relativo profilo professionale».
In altri termini, secondo il ricorrente, le citate disposizioni, e la disciplina delle figure professionali da esse introdotte, farebbero illegittima applicazione del principio (implicito) della cosiddetta “cedevolezza invertita”; principio sul quale si fondano, invero, le difese della Regione Toscana.
4.1.– Logicamente pregiudiziale allo scrutinio di costituzionalità è la valutazione sull’effettiva esistenza, e sull’eventuale portata, del richiamato principio della cedevolezza invertita nel sistema costituzionale del riparto delle competenze legislative.
Tale valutazione dà un esito negativo.
Entrambe le parti, infatti, muovono da una lettura non corretta della giurisprudenza costituzionale e nella specie della sentenza n. 1 del 2019.
È vero che in tale sentenza si legge che «nella prospettiva della cosiddetta “cedevolezza invertita”, […] l’intervento che il legislatore regionale può anticipare nell’inerzia del legislatore statale attiene pur sempre (e soltanto) a materie di competenza concorrente della Regione» (punto 4.1.3. del Considerato in diritto). Tale affermazione, tuttavia, deve essere letta alla luce del più generale contesto normativo in cui essa si colloca, che è quello dell’attuazione del diritto eurounitario e in special modo delle direttive dell’Unione. Nella vicenda venuta all’attenzione di questa Corte in quell’occasione era denunciata, infatti, per ritenuta invasione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, una norma regionale ligure avente la finalità di dare temporaneamente attuazione alla normativa europea, nell’attesa di un intervento organico di riordino della materia da parte del legislatore statale.
La mera presa in considerazione del contesto in cui vanno collocate le affermazioni della richiamata sentenza n. 1 del 2019, e, più in generale, delle pronunce nelle quali questa Corte ha fatto riferimento alla “cedevolezza invertita” (oltre alle decisioni già ricordate, si vedano le sentenze n. 89 del 2025, punto 5.4. del Considerato in diritto; e n. 398 del 2006, punto 3.1. del Considerato in diritto), rende evidente che il richiamo a quest’ultima non può, e non deve, essere inteso come il riferimento a – né tantomeno come un’affermazione dell’esistenza di – un principio costituzionale implicito recante una deroga al riparto delle competenze legislative delineate dall’art. 117 Cost.
Il riferimento è, invece, a un preciso meccanismo previsto dalla legislazione statale sull’attuazione delle direttive europee, ossia dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), la quale, stabilendo che le regioni provvedono tempestivamente, nelle materie di loro competenza, al recepimento delle suddette direttive (in base a quanto disposto dagli artt. 29, comma 1, e 40, comma 1, della stessa legge), seppure riconosce alle regioni il potere di intervenire nelle materie di competenza concorrente senza dover attendere la normativa di principio statale, non introduce una generale deroga al riparto costituzionale delle competenze legislative. Nelle materie di competenza concorrente, resta, quindi, riservata al legislatore statale l’individuazione dei principi fondamentali della materia (così art. 30, comma 2, lettera g, della citata legge) e resta, parimenti, fermo l’obbligo costituzionale delle regioni – direttamente derivante dall’art. 117, terzo comma, Cost. – di conformarsi alle disposizioni di principio, anche sopravvenute, dettate dalla legge statale.
Chiariti ambito e limiti della “cedevolezza invertita”, deve aggiungersi che l’incompatibilità di questo meccanismo, nella connotazione che ne danno le parti, con il riparto costituzionale delle competenze legislative, trova indirettamente conferma nell’art. 1, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale dispone che «[n]elle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti». La giurisprudenza di questa Corte, infatti, nel riconoscere che «le Regioni, per poter esercitare le proprie potestà legislative di tipo concorrente, non devono attendere l’eventuale determinazione dei principi fondamentali da parte dello Stato» (sentenza n. 94 del 2003, punto 4.1. del Considerato in diritto; nonché, nello stesso senso, fra le altre, sentenze n. 166 del 2021, punto 3.2. del Considerato in diritto; n. 120 del 2005, punto 4 del Considerato in diritto; n. 359 del 2003, punto 3 del Considerato in diritto; e n. 196 del 2003, punto 4 del Considerato in diritto), ha, del pari, affermato che in tali circostanze i principi fondamentali possono e devono essere tratti non solo dalle leggi statali espressamente rivolte a tale scopo, ma anche dalla normativa statale già in vigore (fra le molte, sentenze n. 424 del 2005, punto 2.3. del Considerato in diritto; n. 120 del 2005, punto 4 del Considerato in diritto; n. 359 del 2003, punto 3 del Considerato in diritto; n. 196 del 2003, punto 4 del Considerato in diritto; e n. 282 del 2002, punto 4 del Considerato in diritto).
In definitiva, il richiamo alla “cedevolezza invertita”, intesa, come assunto dalla resistente, quale generale potere delle regioni, nelle materie di potestà legislativa concorrente, di dettare una disciplina di principio surrogatoria di quella statale, non ha fondamento costituzionale.
4.2.– Alla luce delle considerazioni che precedono, si può passare all’esame delle specifiche censure, muovendo dalla preliminare valutazione della legittimità costituzionale degli artt. 95, comma 1, e 102, comma 1, recanti la definizione, e quindi l’istituzione, delle figure professionali dell’accompagnatore turistico e della guida ambientale. Tale scrutinio è, invero, logicamente antecedente (e quindi condizionante) quello sulle altre disposizioni impugnate, inerenti alla disciplina delle figure professionali in parola.
Le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 95, comma 1, e 102, comma 1, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, che possono essere unitariamente scrutinate, sono fondate.
Questa Corte ha, invero, reiteratamente affermato che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma Cost., «“l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale; e che tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura […] quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale, da ciò derivando che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali” (sentenza n. 98 del 2013, come richiamata dalla sentenza n. 209 del 2020)» (così sentenza n. 127 del 2023, punto 4.1. del Considerato in diritto; in senso analogo, fra le molte, sentenze n. 161 del 2025, punto 2.1. del Considerato in diritto; n. 6 del 2022, punto 4.4. del Considerato in diritto; n. 241 del 2021, punto 5.1. del Considerato in diritto; n. 228 del 2018, punto 3 del Considerato in diritto; n. 217 del 2015, punto 2.2. del Considerato in diritto).
Ne consegue che «l’enucleazione di peculiari figure professionali, a partire da un genus indicato dalla legge statale», nel caso di specie l’art. 6 cod. turismo, che contiene una definizione generale di professione turistica, «è preclusa alla legge regionale (sentenza n. 328 del 2009)» (sentenza n. 117 del 2015, punto 2.2. del Considerato in diritto).
Il contenuto delle disposizioni impugnate si pone in evidente contrasto con la richiamata giurisprudenza costituzionale, in quanto la Regione Toscana, attraverso esse, ha introdotto due figure professionali aggiuntive a quelle previste dalla legislazione statale.
Non è fondato, poi, l’argomento, dedotto dalla resistente, secondo cui le questioni in esame dovrebbero essere destinate a una pronuncia di non fondatezza in quanto la disciplina impugnata è riproduttiva di quanto già contenuto nell’abrogata legge reg. Toscana n. 86 del 2016, in precedenza non impugnata.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’istituto dell’acquiescenza non si applica nei giudizi in via principale, atteso che la disposizione contestata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere» (sentenza n. 76 del 2024, punto 2.1. del Considerato in diritto; in senso analogo, fra le molte, sentenze n. 22 del 2025, punto 2 del Considerato in diritto; e n. 151 del 2024, punto 2 del Considerato in diritto).
Neppure può trovare accoglimento l’ulteriore argomento speso dalla difesa regionale, secondo il quale la normativa impugnata sarebbe giustificata dalla vocazione turistica della Regione.
Come ha avuto modo di chiarire a più riprese questa Corte (e come qui si è pure ricordato) l’individuazione delle figure professionali è un limite di ordine generale che non può mai essere travalicato dalle regioni, ossia è un ambito sempre e comunque precluso all’esercizio dell’autonomia legislativa regionale, la quale, invece, può esplicarsi nella disciplina di «aspetti» – ossia di puntuali oggetti – inerenti a professioni già istituite dalla legislazione statale, allorché tale operazione sia giustificata dalla (ossia si mostri collegata alla) specifica realtà regionale.
Da ultimo, è destituita di fondamento anche la distinzione tra professioni ordinistiche e non ordinistiche, dedotta dalla regione al fine di giustificare l’adozione della disciplina censurata e, quindi, l’introduzione e la regolamentazione delle due figure professionali in parola. Ciò per l’assorbente motivo che non è il tipo di professione, ma l’esigenza di regolamentazione unitaria, e quindi di uniformità di disciplina, a impedire alle regioni di istituire nuove professioni.
4.3.– Alla luce delle considerazioni che precedono deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale degli artt. 95, comma 1, e 102, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, con assorbimento delle restanti censure.
4.4.– Per le medesime ragioni deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale degli impugnati artt. 95, comma 2, 96, 97, 98, 99, 100, 101, 102, commi 2 e 3, 103, 105, 106, 107, 108, 109 e 110 della stessa legge.
5.– Lo Stato censura anche l’art. 104, comma 2, primo periodo, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, il quale stabilisce che «[l]e guide del parco o della riserva naturale già abilitate ai sensi dell’art. 21, comma 3, della legge regionale 11 aprile 1995, n. 49 (Norme sui parchi, le riserve naturali e le aree naturali protette di interesse locale) possono continuare ad esercitare l’attività esclusivamente nel parco o riserva naturale di pertinenza».
A parere del ricorrente, tale disposizione limiterebbe la possibilità delle stesse guide di operare fuori dalla Regione e, «nel delineare una regolamentazione applicabile esclusivamente al proprio ambito territoriale di riferimento, è suscettibile di impedire e/o ostacolare l’esercizio della medesima attività da parte di operatori residenti nel territorio di altre regioni, con conseguente violazione dei principi in materia di concorrenza, la cui tutela è riservata alla potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera e), della Cost.».
5.1.– La questione non è fondata.
Il ricorso muove da un erroneo presupposto derivante dalla non adeguata considerazione dell’assetto normativo in cui si inserisce la disposizione impugnata.
Innanzitutto, lo Stato non si avvede che l’art. 104, comma 2, primo periodo, costituisce attuazione conforme dell’art. 14, comma 5, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), a norma del quale «[l]’Ente parco organizza, d’intesa con la regione o le regioni interessate, speciali corsi di formazione al termine dei quali rilascia il titolo ufficiale ed esclusivo di guida del parco».
La normativa statale appena richiamata è una delle modalità di valorizzazione e promozione dei parchi e delle aree protette delineate dallo stesso art. 14 e costituisce attuazione delle finalità di garanzia e promozione della conservazione e della valorizzazione di tali aree naturali.
La disposizione impugnata detta una disciplina che, nell’ambito della competenza legislativa regionale in materia di turismo e in piena conformità a quanto prescritto dalla legge n. 394 del 1991, è strumento di valorizzazione e di promozione delle aree naturali protette, con caratteristiche ambientali, naturali e anche storico-culturali sue proprie, le quali impongono che la guida del parco sia legata a una determinata area naturale protetta. Ciò, sull’assunto, non irragionevole, della necessità di una specifica formazione – e quindi dell’acquisizione di specifiche conoscenze – per la valorizzazione di quella particolare area.
5.2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 104, comma 2, primo periodo, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., deve, quindi, essere dichiarata non fondata.
6.– Lo Stato ha, poi, impugnato plurime disposizioni relative alla figura professionale del maestro di sci, lamentando, salvo che per l’art. 117 (infra, punto 6.6.), l’invasione della competenza legislativa statale di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
Sebbene siano menzionati, nell’atto introduttivo, anche l’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., tali parametri, comparendo nella sola epigrafe del motivo di ricorso (e il solo art. 117, primo comma, anche nelle conclusioni), non possono, invero, ritenersi ritualmente evocati e quindi validamente coinvolti nell’impugnazione.
6.1.– Le censure investono, in primo luogo, l’art. 111, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, il quale definisce la figura professionale del maestro di sci e riproduce testualmente il contenuto dell’art. 2, comma 1, della legge n. 81 del 1991, cui fa espresso richiamo la disposizione impugnata.
A parere del ricorrente, la disciplina regionale, pur non risultando antinomica a quella statale di principio, sarebbe comunque lesiva dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, in quanto alla legge regionale non è consentito ripetere quanto già stabilito da una legge statale (si richiama la sentenza di questa Corte n. 271 del 2009).
6.1.1.– La difesa resistente, a sostegno della scelta del legislatore toscano, osserva che l’impugnato art. 111, comma 1, si limiterebbe a operare un rinvio improprio e meramente dichiarativo, ossia rappresenterebbe un’ipotesi di legge regionale che richiama quella statale al solo fine di facilitare l’individuazione delle norme applicabili. La disposizione non potrebbe pertanto ritenersi costituzionalmente illegittima (come confermerebbe quanto affermato, per una fattispecie analoga, da questa Corte con la sentenza n. 192 del 2024).
6.1.2.– La replica non è condivisibile, in quanto la norma riproduce, e fa proprio, il contenuto precettivo dell’art. 2 della legge n. 81 del 1991.
Occorre pertanto valutare se la ripetizione dei contenuti della legge statale, e, nella specie, di quelli del suddetto art. 2, sia conforme al riparto costituzionale delle competenze legislative.
Tale giudizio restituisce un esito negativo.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, è «preclusa l’intrusione nelle materie di competenza esclusiva di natura non trasversale, anche al solo fine di riprodurre le (o di rinviare alle) disposizioni statali» (sentenza n. 50 del 2024, punto 4 del Considerato in diritto; fra le molte si vedano anche le sentenze n. 158 del 2025, punto 3. del Considerato in diritto; n. 239 del 2022, punto 4.2. del Considerato in diritto; e n. 4 del 2022, punto 4.1. del Considerato in diritto).
Come ricorda, poi, la difesa statale, proprio in materia di professioni questa Corte ha chiarito che la riproduzione della legislazione statale di principio, nella specie delle disposizioni recanti l’indicazione dei requisiti di iscrizione agli albi, è preclusa ai legislatori regionali (sentenza n. 271 del 2009, punto 2.2. del Considerato in diritto).
Ciò premesso, deve essere rilevato che, in linea generale, nelle materie di potestà legislativa concorrente – pur se non si può ritenere di per sé costituzionalmente illegittima la disposizione regionale che richiama «i principi fondamentali della materia desumibili dalla legislazione statale vigente, precisando gli estremi della normativa statale di riferimento alla quale è tenuta ad adeguarsi» (sentenza n. 66 del 2017, punto 3.3. del Considerato in diritto) o che «si limita a ribadire e a specificare il contenuto di un obbligo» previsto dalla legislazione statale di principio (sentenza n. 108 del 2025, punto 7 del Considerato in diritto) – il carattere meramente ripetitivo delle previsioni statali non è elemento di per sé idoneo a far superare il «test di costituzionalità» (sentenza n. 290 del 2019, punto 7.2. del Considerato in diritto).
L’indebita ingerenza nella sfera di attribuzione statale deve, infatti, ritenersi esclusa solo allorché l’intervento regionale richiami, in modo più o meno analitico, il contenuto della normativa statale di principio, in funzione direttamente attuativa della stessa, ossia quando la ripetizione del principio (statale) sia funzionale alla previsione della normativa di dettaglio (regionale); quando, invece, tale nesso funzionale manca, ossia quando la riproduzione della normativa di principio non è direttamente e specificamente volta all’introduzione della normativa regionale di dettaglio, l’intervento regionale si configura come un’indebita invasione di un ambito riservato alla competenza legislativa statale.
6.1.3.– Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 111, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 è fondata.
Innanzitutto, sull’impugnata disposizione vale quanto affermato da questa Corte in un lontano precedente, ossia che «se è pur vero che riproducendo esattamente il contenuto delle norme statali» in nulla la legge regionale «ha innovato per quanto riguarda la concreta disciplina della materia, nel senso che non ha posto norme diverse per contenuto da quelle vigenti, è peraltro da ritenere che, non limitandosi la disposizione ad un puro e semplice richiamo alle norme statali, ma riproducendone autonomamente il contenuto, sia pure in forma testuale, la Regione ha fatto proprie le regole relative, esercitando in ordine ad esse la propria potestà legislativa e imprimendo quindi alle stesse una forza propria di legge ulteriore e diversa da quella originaria, cioè la forza di legge regionale» (sentenza n. 128 del 1963, punto 1 del Considerato in diritto).
Pertanto, l’impugnato art. 111, comma 1, nel riprodurre la normativa statale recante la definizione del maestro di sci e con un’operazione non necessaria per l’introduzione della normativa regionale di dettaglio, ha duplicato tale definizione e le ha impresso la forza della legge regionale, così violando l’art. 117, terzo comma, Cost., che riserva allo Stato l’individuazione della professione.
Occorre considerare, infatti, che la definizione normativa della figura professionale non è elemento indifferente, sul piano degli effetti, all’individuazione di tale figura, ma è, anzi, presupposto logico (per il nesso di implicazione che intercorre tra la definizione e l’individuazione dell’oggetto da definire), prima ancora che giuridico, della sua istituzione.
Non può trascurarsi, poi, che seppure l’ordinamento appresti specifici rimedi per l’evenienza di un contrasto sopravvenuto tra legge statale vincolante e la legge regionale, ossia l’abrogazione, di cui all’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali), o l’illegittimità costituzionale sopravvenuta a seguito della eventuale rimessione della relativa questione a questa Corte da parte del giudice comune, innegabilmente, operazioni come quella posta in essere dal legislatore toscano mettono in tensione il principio della certezza del diritto.
6.1.4.– Sulla scorta delle considerazioni che precedono, deve dichiararsi pertanto l’illegittimità costituzionale dell’art. 111, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
6.2.– Lo Stato censura anche l’art. 112, comma 3, della medesima legge regionale in quanto, nel prevedere che l’albo sia «suddiviso, per specialità, nelle seguenti sezioni: a) maestri di sci alpino; b) maestri di sci di fondo; c) maestri di sci di snowboard», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, poiché avrebbe parcellizzato la figura professionale definita dal legislatore statale in modo unitario.
6.2.1.– La questione è fondata.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale, non può ritenersi che la disposizione impugnata si limiti a prevedere un’articolazione dell’albo professionale regionale dei maestri di sci, volta a rendere più agevole l’identificazione del relativo ambito di insegnamento e che le «specialità», coincidenti con le sezioni in cui è suddiviso lo stesso albo, rappresentino delle mere articolazioni interne dell’unica figura del maestro di sci.
Il citato art. 112, comma 3, infatti, nel disporre la suddivisione dell’albo regionale in sezioni corrispondenti a determinate specialità, non attribuisce a tali sezioni «funzioni meramente ricognitive o di comunicazione e di aggiornamento», come consentito al legislatore regionale (così, da ultimo, la sentenza n. 127 del 2023, punto 4.1. del Considerato in diritto), ma fa assumere alla relativa attività professionale una posizione qualificata nell’ambito dell’ordinamento giuridico regionale, rispetto alla quale l’iscrizione all’albo assume una vera e propria funzione costitutiva (in senso analogo sentenza n. 230 del 2011, punto 2 del Considerato in diritto).
L’intervento regionale si colloca, così, illegittimamente nella fase genetica di individuazione normativa della professione, al punto da determinare, mediante una sostanziale ridefinizione dell’attività del maestro di sci, una diversificazione non consentita in seno all’unica figura professionale disciplinata dalla legge dello Stato (così ancora sentenza n. 230 del 2011, punto 2 del Considerato in diritto).
Ciò trova conferma, in primo luogo, nell’art. 114, comma 3, della legge regionale impugnata, il quale subordina l’iscrizione all’esito di un percorso formativo che, per espressa previsione normativa, deve calibrarsi e svolgersi in relazione alle specialità individuate dall’impugnato art. 112, comma 3. Al punto che dette specialità si atteggiano a elemento qualificante e di differenziazione della professione del maestro di sci. E, in secondo luogo, nell’art. 112, comma 4, della stessa legge regionale, laddove limita l’iscrizione, avente efficacia triennale, alla (sola) sezione in cui il maestro è iscritto.
6.2.2.– Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 112, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, e ciò determina (come chiesto dal ricorrente) anche la declaratoria di illegittimità costituzionale dei suoi artt. 114, comma 3, limitatamente alle parole «nella singola specialità», e 115, comma 3. Quest’ultima disposizione, statuendo che «[i] maestri di sci già abilitati in una specialità che hanno superato la prova attitudinale per l’ammissione ai corsi di qualificazione di altra specialità sono esonerati dal corso di formazione e dall’esame limitatamente alle materie già oggetto del corso di formazione per il quale è stata ottenuta l’abilitazione», reca, infatti, una disciplina costruita sull’illegittima previsione delle singole specialità.
Deve, altresì, essere dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 112, comma 4, limitatamente alle parole «, è limitata alla sezione in cui il maestro è iscritto».
6.3.– Lo Stato ha impugnato, ancora, l’art. 113, comma 1, in quanto, indicando i requisiti di iscrizione all’albo, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
Oltre a lamentare, ex se, l’invasione di un ambito competenziale riservato allo Stato, il ricorrente deduce che tali requisiti non sarebbero neppure perfettamente coincidenti con quelli previsti dall’art. 4 della legge n. 81 del 1991. Infatti, il legislatore toscano, per un verso, introduce il requisito dell’idoneità psico-fisica, non contemplato dalla legislazione statale; e, per l’altro verso, prevede la possibilità, anch’essa non contemplata dalla legislazione statale, di iscrizione all’albo di coloro che sono stati condannati con sentenza passata in giudicato implicante l’interdizione, anche temporanea, dall’esercizio della professione, ove «siano decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena è stata scontata o che, con sentenza passata in giudicato, sia stata concessa la sospensione condizionale della pena». In tal modo, peraltro, il medesimo legislatore ostacolerebbe, in contrasto con quanto previsto dall’art. 5 della legge n. 81 del 1991, anche il trasferimento dei maestri di sci da un albo regionale all’altro.
6.3.1.– La censura è fondata.
Come correttamente dedotto dalla difesa statale, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato la vigenza del principio fondamentale che «riserva allo Stato non solo l’individuazione delle figure professionali, ma anche la definizione e la disciplina dei requisiti e dei titoli necessari per l’esercizio delle professioni stesse» (sentenza n. 271 del 2009, punto 2.2. del Considerato in diritto e, in senso analogo, da ultimo, sentenze n. 161 del 2025, punto 2.1. del Considerato in diritto; e n. 127 del 2023, punto 4.1. del Considerato in diritto). Ne consegue che “l’indicazione di specifici requisiti per l’esercizio delle professioni, anche se in parte coincidenti con quelli già stabiliti dalla normativa statale, viola la competenza statale, risolvendosi in una indebita ingerenza in un settore (quello della disciplina dei titoli necessari per l’esercizio di una professione) costituente principio fondamentale della materia e, quindi, di competenza statale, ai sensi anche dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 30 del 2006” (sentenze n. 153 del 2006 e n. 57 del 2007)» (sentenza n. 271 del 2009, punto 2.2. del Considerato in diritto).
6.3.2.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del citato art. 113, comma 1, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di professioni, e tale declaratoria determina (come chiesto dal ricorrente) l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, comma 2, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, limitatamente alle parole «di cui all’articolo 113».
6.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, poi, l’art. 115, comma 1, della stessa legge regionale, che, disciplinando i corsi di qualificazione, si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali della materia, dettati dall’art. 7 della legge n. 81 del 1991, e avrebbe pertanto invaso la competenza legislativa statale in materia di professioni, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
In particolare, a parere del ricorrente la disposizione impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui demanda la definizione della durata oraria e delle materie dei corsi a una deliberazione della Giunta regionale.
6.4.1.– La questione non è fondata nei limiti e nei termini di seguito precisati.
Innanzitutto, va ricordato che l’art. 6, comma 2, della legge n. 81 del 1991 prevede che l’abilitazione all’esercizio della professione di maestro di sci si consegue mediante la frequenza degli appositi corsi, organizzati dalla regione, con la collaborazione del Collegio dei maestri di sci e degli organi tecnici della Federazione italiana sport invernali, «secondo modalità stabilite dalle leggi regionali».
È la stessa legge statale, quindi, che riconosce la competenza regionale a organizzare i corsi per conseguire l’abilitazione, in linea, peraltro, con il riconoscimento della competenza legislativa regionale residuale in materia di formazione professionale.
Sulla base di tale presupposto – e come correttamente rimarca la resistente – il denunciato contrasto con la normativa statale di principio si rivela non sussistente, poiché la disposizione impugnata può essere interpretata in modo da prevenire l’insorgere della denunciata antinomia, in quanto l’impugnato art. 115, comma 1, nel riconoscere alla Giunta regionale il potere di definire la durata oraria e le materie dei corsi (in forza di quanto previsto dal citato art. 6), non preclude l’applicazione di quanto previsto dalla normativa statale.
In primo luogo, infatti, l’art. 7 della legge n. 81 del 1991, prescrivendo la durata minima dei corsi, non esclude affatto che le regioni possano stabilire una diversa durata, purché non inferiore al minimo previsto dalla legislazione statale. Pertanto, il citato art. 115, comma 1, deve essere interpretato nel senso che la Giunta regionale può determinare la durata dei corsi, dovendo rimanere tuttavia fermo il rispetto del limite minimo delle 90 ore.
In secondo luogo, anche rispetto all’insegnamento delle materie da impartire nei corsi, la disposizione impugnata deve essere interpretata nel senso che, ferma l’erogazione degli insegnamenti fondamentali indicati dal citato art. 7, la Giunta regionale può prevedere insegnamenti ulteriori ovvero – come sottolinea la resistente – l’individuazione di profili, anche operativi e tecnici, e, comunque sia, specificamente professionalizzanti rispetto alle caratteristiche proprie del turismo invernale della regione toscana.
Di conseguenza la relativa questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata non fondata nei termini qui precisati.
6.5.– Lo Stato censura, inoltre, l’art. 116, commi 7 e 8, della legge regionale impugnata, in quanto, nel subordinare l’esercizio stabile e quello occasionale della professione da parte dei maestri di sci di Stati non appartenenti all’Unione europea al rispetto della condizione di reciprocità del trattamento, attribuisce il potere di riconoscere l’equivalenza del titolo professionale alla Federazione italiana sport invernali, laddove la normativa statale individua quale organo competente il Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri.
L’Avvocatura generale deduce che l’esercizio della professione per i cittadini provenienti da Stati non appartenenti all’Unione europea è disciplinato dall’art. 12, comma 3, della legge n. 81 del 1991, il quale prevede che per questi soggetti, in possesso dei titoli professionali per l’esercizio dell’attività di maestro di sci rilasciati da tali Stati, «l’autorizzazione all’esercizio della professione è subordinata all’applicazione di quanto previsto dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
Il ricorrente ricorda, poi, che in materia è intervenuto il d.lgs. n. 206 del 2007, il quale, all’art. 5, comma 1, stabilisce che «[a]i fini del riconoscimento di cui al titolo II e al titolo III, capi II e IV, sono competenti a ricevere le domande, a ricevere le dichiarazioni e a prendere le decisioni: a) la Presidenza del Consiglio dei ministri - Ufficio per lo sport [oggi Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri], per tutte le attività che riguardano il settore sportivo e per quelle esercitate con la qualifica di professionista sportivo, ad accezione di quelle di cui alla lettera l-septies), nonché per le professioni di cui alla legge 2 gennaio 1989, n. 6».
Secondo lo Stato, l’impugnato art. 116, commi 7 e 8, sarebbe pertanto costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, nella parte in cui riconosce invece tale potere alla Federazione italiana sport invernali, d’intesa con il Collegio nazionale dei maestri di sci, previa richiesta di nulla osta al Collegio regionale dei maestri di sci della Regione Toscana.
6.5.1.– La resistente eccepisce l’inammissibilità della questione, poiché sarebbe «dedotta sulla base di un vero e proprio errore, non considerando la differenza tra i maestri di sci cittadini dell’Unione europea […] e quelli di Stati non appartenenti all’Unione europea». Per questi ultimi, a suo dire, il legislatore regionale non avrebbe potuto fare riferimento – come invece ha fatto per i primi – alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 206 del 2007.
L’eccezione deve essere respinta.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2007 è conferente nel caso di specie, poiché disciplina anche il riconoscimento dell’equivalenza delle qualifiche professionali dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea.
L’art. 12, comma 3, della legge n. 81 del 1991, evocato quale altro parametro interposto, infatti, rinvia al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in base al quale (e nella specie a quanto disposto al suo art. 1, comma 6) è stato adottato il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286). In forza dell’art. 60, comma 3, del d.lgs. n. 206 del 2007, l’art. 49, comma 2, del d.P.R. n. 349 del 1999, regolante il riconoscimento dei titoli professionali conseguiti in un Paese non appartenente all’Unione europea, deve leggersi come rinvio al citato decreto legislativo, la cui disciplina pertanto si applica anche alla fattispecie considerata dalla disposizione in esame.
In definitiva, pur se in modo sintetico, il ricorso individua correttamente la disciplina statale rilevante nel caso di specie.
6.5.2.– Ciò chiarito, la questione è fondata, poiché l’impugnato art. 116, commi 7 e 8, viola l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
È preliminarmente opportuno evidenziare che le predette disposizioni impugnate riproducono la disciplina dell’art. 12, comma 1, della legge n. 81 del 1991, nella versione antecedente alla modifica operata dall’art. 17, comma 1, della legge 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001). Il citato art. 12, comma 1, nella versione originaria, disponeva, infatti, che «[l]e regioni disciplinano l’esercizio non saltuario nel proprio territorio della attività di maestri di sci stranieri non iscritti in albi regionali italiani. L’autorizzazione all’esercizio della professione è subordinata al riconoscimento, demandato alla Federazione italiana sport invernali, d’intesa con il collegio nazionale di cui all’articolo 15, della equivalenza dei titoli e della reciprocità».
Ciò premesso, l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2007, che, come si è visto, regola anche il riconoscimento dei titoli professionali conseguiti in un Paese non appartenente all’Unione europea, deve considerarsi principio fondamentale della materia, in quanto la disciplina del riconoscimento dell’equivalenza delle qualifiche professionali conseguite in altri Stati è strettamente connessa all’individuazione dei requisiti e dei titoli per esercitare la professione.
Con l’impugnato art. 116, commi 7 e 8, il legislatore regionale, rimettendo alla Federazione italiana sport invernali la competenza a riconoscere l’equivalenza del titolo professionale di maestro di sci ai cittadini non europei, ha, dunque, violato il principio fondamentale della materia, espresso dal citato art. 5, il quale, come si è detto, individua oggi nel Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’autorità competente in materia.
6.5.3.– Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 116, comma 7, secondo periodo, laddove dispone che l’iscrizione è effettuata a seguito di riconoscimento, «da parte della Federazione italiana sport invernali, d’intesa con il Collegio nazionale dei maestri di sci, della equivalenza del titolo professionale acquisito nello stato di provenienza, di verifica della reciprocità di trattamento e della sussistenza dei requisiti soggettivi di cui all’articolo 113», anziché «da parte del Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, della equivalenza del titolo professionale acquisito nello stato di provenienza».
Deve altresì essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 116, comma 8, nella parte in cui dispone che il nulla osta è rilasciato a seguito di riconoscimento, «da parte della Federazione italiana sport invernali d’intesa con il Collegio nazionale dei maestri di sci», anziché «da parte del Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri».
6.6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 117 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, in base al quale «[l]’esercizio abusivo della professione di maestro di sci è punito ai sensi dell’articolo 348 del codice penale», denunciandone il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Per l’Avvocatura generale, alla luce del richiamato principio che impedisce al legislatore regionale di ripetere quanto già stabilito da quello statale, l’impugnata disposizione regionale, pur limitandosi a rinviare all’art. 348 cod. pen., esorbiterebbe dall’ambito delle competenze legislative regionali, disponendo nella materia «ordinamento penale», demandata alla competenza legislativa esclusiva statale dal richiamato art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
6.6.1.– La questione è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è costituzionalmente illegittima una norma regionale che – al pari di quella oggi impugnata – provveda a qualificare penalmente determinati fatti, trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla legislazione statale (sentenza n. 167 del 2010, punto 6.1. del Considerato in diritto).
Né il richiamo, contenuto nella legge regionale, alla legge statale (e, comunque, la conformità della prima alla seconda) vale a emendare il vizio denunciato, posto che non rileva «“stabilire se la legislazione regionale sia o non sia conforme a quella statale, ma, ancor prima, se sia competente o meno a disporre”» la qualificazione penale di un fatto «“indipendentemente dalla conformità o dalla difformità rispetto alla legge dello Stato” (sentenza n. 313 del 2003; in senso analogo, sentenza n. 167 del 2010)» (sentenza n. 35 del 2011, punto 2 del Considerato in diritto).
6.6.2.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 117, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
6.7.– Il ricorrente ha chiesto di dichiarare l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 118 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, che disciplina il Collegio regionale dei maestri di sci.
Al riguardo si limita, tuttavia, a rilevare che la disposizione reca una disciplina perlopiù ripetitiva di quanto già previsto dall’art. 13 della legge n. 81 del 1991, seppure con alcune difformità in relazione alla composizione del Collegio regionale, che non è del tutto coincidente con l’analoga previsione di cui all’art. 13, comma 1, della citata legge statale. L’impugnata disciplina regionale sarebbe, pertanto, costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, poiché interverrebbe, anche in tale ambito, su oggetti già disciplinati dalla legge statale di principio.
6.7.1.– La questione deve essere dichiarata inammissibile, in quanto la motivazione a supporto dell’impugnazione è carente e meramente assertiva.
La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che «“l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini rigorosi nei giudizi proposti in via principale, nei quali il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con argomentazioni chiare, complete e sufficientemente articolate (ex multis, sentenze n. 125 del 2023, n. 265, n. 259 e n. 135 del 2022, n. 170 del 2021 e n. 279 del 2020)” (sentenza n. 169 del 2024)» (sentenze n. 126 del 2025, punto 4.1. del Considerato in diritto e n. 106 del 2025, punto 2.1. del Considerato in diritto).
Il ricorrente non ha assolto in modo adeguato tale onere. Non viene, infatti, presa esattamente in considerazione la portata normativa della disposizione impugnata, posto che essa è attuativa della disposizione statale che richiede l’istituzione dei collegi dei maestri di sci in ogni regione e non è, peraltro, ascrivibile alla categoria delle norme che istituiscono la figura professionale e stabiliscono i relativi profili e titoli abilitanti. Non avendo il ricorso portato alcuna «sia pur sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure» (sentenza n. 175 del 2024, punto 4.4. del Considerato in diritto), non risultano, pertanto, chiari i motivi per cui l’impugnato art. 118 contrasterebbe con gli evocati parametri costituzionali e interposti.
6.7.2.– La questione di legittimità costituzionale del citato art. 118, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., deve pertanto essere dichiarata inammissibile.
6.8.– Lo Stato censura poi l’art. 123, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, limitatamente all’inciso «[f]ermo restando quanto previsto dalle norme penali», poiché la formulazione letterale sarebbe idonea a introdurre un doppio binario sanzionatorio per i maestri di sci.
A parere del ricorrente il legislatore regionale avrebbe introdotto una sanzione amministrativa per l’esercizio abusivo della relativa professione, destinata a cumularsi con la sanzione penale, così invadendo la competenza legislativa statale in materia di ordinamento penale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
6.8.1.– La questione deve essere dichiarata inammissibile, poiché la disposizione impugnata non risulta indicata né nell’atto autorizzativo al ricorso del Consiglio dei ministri, né nell’allegata relazione, cui esso rinvia. E, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «[l]a riscontrata omissione comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere le relative questioni e, dunque, la loro inammissibilità. Infatti, […] nei giudizi in via principale deve sussistere una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione e il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione (tra le tantissime, sentenze n. 134 e n. 58 del 2023 e n. 179 del 2022)» (sentenza n. 142 del 2024, punto 6.3.1. del Considerato in diritto).
6.9.– Da ultimo (in questo gruppo di questioni inerenti alla figura del maestro di sci), il ricorrente censura l’art. 124 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, in quanto, nel disporre che «[l]a prosecuzione dell’attività professionale di maestro di sci è vietata dal comune qualora l’interessato perda uno dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività. In tal caso è ritirata la tessera di riconoscimento», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, in relazione all’art. 13 della legge n. 81 del 1991.
6.9.1.– La questione è fondata.
L’impugnato art. 124 si pone, invero, in contrasto con il citato art. 13, che, al comma 4, attribuisce al Collegio regionale dei maestri di sci, e in particolare al suo consiglio direttivo, «tutte le funzioni» concernenti, tra l’altro, «la tenuta degli albi professionali, la vigilanza sull’esercizio della professione, l’applicazione delle sanzioni disciplinari».
Non ha pregio l’argomento speso, a sostegno della legittimità della disposizione impugnata, dalla difesa regionale, secondo cui tra le due previsioni normative non sussisterebbe «in alcun modo una relazione di antinomia, di talché è ben possibile che – senza che ciò determini l’illegittimità costituzionale della disposizione prodotta dal legislatore regionale» – tanto il Collegio regionale dei maestri di sci (come prevede il citato art. 13), quanto i comuni (come statuisce l’impugnato art. 124) «risultino titolari del potere di vietare la prosecuzione dell’attività professionale di maestro di sci».
Il suddetto art. 124, infatti, erode o, comunque sia, mette in discussione le attribuzioni del Collegio regionale dei maestri di sci, così invadendo la competenza statale nello stabilire i principi fondamentali della materia.
Del resto, neppure si riesce a comprendere come un ente (il comune) che non abbia competenza alcuna sulla tenuta dell’albo, sulla verifica dei requisiti per l’iscrizione a quest’ultimo, nonché sul connesso rilascio della tessera di riconoscimento, possa efficacemente esercitare un potere di controllo sulla sussistenza degli stessi, con il correlato potere di ritirare la citata tessera di riconoscimento.
6.9.2.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del citato art. 124 per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di professioni.
7.– Con l’ultimo gruppo di questioni, lo Stato ha impugnato una serie di disposizioni della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 relative alla professione della guida alpina.
In via preliminare, è opportuno ricordare che, a parere della difesa statale, la disciplina regionale in parola, analogamente a quella oggetto delle questioni in precedenza analizzate sul maestro di sci, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni (salvo, l’impugnazione dell’art. 130, comma 4, in riferimento all’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., e 136, comma 1, in riferimento l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., infra, rispettivamente, punti 7.6. e 7.8.).
7.1.– Viene, in primo luogo, censurato l’art. 125, il quale, nel definire l’attività della guida alpina in modo «pressoché ripetitivo» di quanto disposto dagli artt. 2 e 3 della legge n. 6 del 1989, violerebbe la competenza legislativa statale in materia di professioni, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
La questione è fondata.
Come l’art. 111, comma 1, della citata legge regionale, anche l’impugnato art. 125, nel riprodurre i contenuti dell’atto legislativo statale, ha, infatti, realizzato un’illegittima novazione della fonte, appropriandosi dei principi stabiliti dalla legge statale e riservati alla competenza di quest’ultima.
7.1.1.– Pertanto, per ragioni analoghe a quelle più diffusamente esposte per il citato art. 111, comma 1, (supra, punto 6.1.) deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 125, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
7.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia, poi, congiuntamente, gli artt. 126 e 127, comma 1, inerenti rispettivamente all’albo regionale delle guide alpine e ai requisiti per l’iscrizione allo stesso.
A parere del ricorrente, la disciplina introdotta dai citati articoli si sovrapporrebbe, riprendendone, pur se «con alcune differenze», i contenuti, a quanto previsto dalla legge n. 6 del 1989. In particolare, non risulterebbero del tutto «coincidenti le previsioni al riguardo previste dall’art. 5 della legge statale e quelle di cui all’art. 127 della legge regionale».
Pertanto, gli artt. 126 e 127, comma 1, sarebbero costituzionalmente illegittimi, «così come l’art. 130, comma 2, che fa rinvio all’art. 127 ai fini dell’iscrizione all’albo regionale delle guide alpine di altre regioni».
7.3.– Per quanto concerne l’art. 126, nonostante il ricorrente, nella prima parte del relativo motivo di ricorso, lamenti l’illegittimità costituzionale dell’articolo nella sua interezza, nello sviluppare le censure, lo Stato indirizza specificamente le proprie doglianze sul solo comma 3, impugnato, in combinato disposto con l’art. 130, comma 1, della citata legge regionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, in relazione all’art. 4, commi 3 e 5, della legge n. 6 del 1989.
Come ricorda l’Avvocatura generale, il citato art. 130 dispone, al comma 1, che «[l]e guide alpine già iscritte negli albi di altre regioni che intendono esercitare stabilmente la professione anche in Toscana devono richiedere l’iscrizione nell’albo professionale regionale delle guide alpine della Toscana»; mentre il richiamato art. 126, comma 3, definisce come «esercizio stabile della professione» l’attività svolta «dalla guida alpina avente un recapito, anche stagionale, in Toscana ai fini dell’offerta delle proprie prestazioni».
La difesa statale lamenta che quest’ultima disposizione, non consentirebbe, in difformità da quanto stabilito dall’art. 4, comma 5, della legge n. 6 del 1989, l’iscrizione all’albo regionale a coloro che, pur non avendo un recapito, anche stagionale, nella Regione Toscana, offrono le proprie prestazioni sul suo territorio, così violando, altresì, il principio espresso dal comma 3 del citato art. 4, secondo il quale l’abilitazione all’esercizio della professione di guida alpina ha efficacia su tutto il territorio nazionale.
Come si deduce dalla surriportata sintesi delle ragioni di censura, la questione di legittimità costituzionale non investe il combinato disposto degli artt. 130, comma 1, e 126, comma 3, dell’impugnata legge regionale, ma solo quest’ultima disposizione, recante, appunto, la definizione di esercizio stabile della professione.
Del resto, il citato art. 130, comma 1, costituisce attuazione conforme del principio contenuto nell’art. 4, comma 2, della legge n. 6 del 1989, il quale dispone che le guide alpine che intendono esercitare stabilmente la professione nel territorio di più regioni possono iscriversi in più albi.
7.3.1.– La censura, circoscritta all’art. 126, comma 3, è fondata.
Come ricorda correttamente la difesa statale, l’art. 4, comma 5, della legge n. 6 del 1989 considera, infatti, esercizio stabile della professione «l’attività svolta dalla guida alpina-maestro di alpinismo o dall’aspirante guida che abbia un recapito, anche stagionale, nel territorio della regione interessata, ovvero che in essa offra le proprie prestazioni ai clienti». Si dispone, pertanto, che l’esercizio della professione può essere considerato stabile in un determinato territorio regionale, non soltanto se la guida alpina abbia in esso un recapito, ma anche se in esso svolga effettivamente la propria attività.
In tal modo la disciplina inerente ai requisiti per l’esercizio della professione deve considerarsi espressione del principio fondamentale, a più riprese richiamato dalla giurisprudenza costituzionale (e in questa pronuncia), che riserva allo Stato non solo l’individuazione delle figure professionali, ma anche la definizione e la disciplina dei requisiti e dei titoli necessari per l’esercizio delle relative professioni.
Con l’impugnata disposizione, che reca a sua volta una nozione di esercizio stabile della professione, peraltro più ristretta di quella recata dalla citata previsione statale, il legislatore regionale si è appropriato, quindi, di un ambito, quello dell’individuazione dei requisiti per l’iscrizione all’albo, riservato alla competenza legislativa statale. Ciò, peraltro, con evidenti ricadute sulla libertà di esercizio della professione di guida alpina per coloro che, pur iscritti in altri albi regionali, offrono le proprie prestazioni nella Regione Toscana, i quali, in contrasto con quanto previsto dall’art. 4, comma 2, della legge n. 6 del 1989, non potranno iscriversi nel relativo albo regionale.
7.3.2.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 126, comma 3, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
7.4.– Nell’impugnazione dell’art. 127, comma 1, il ricorrente muove censure analoghe a quelle rivolte all’art. 113, comma 1, della medesima legge regionale, lamentando che la Regione Toscana avrebbe, attraverso l’illegittima riproduzione del contenuto dell’art. 5 della legge n. 6 del 1989, disciplinato i requisiti di iscrizione all’albo delle guide alpine, in modo peraltro neppure perfettamente coincidente con la disciplina statale.
In via preliminare, va rilevato che la censura, pur se sinteticamente argomentata, è ammissibile, in quanto motivata per mezzo di rinvio interno alle doglianze rivolte contro il citato art. 113.
Come chiarito da questa Corte, tale tecnica argomentativa non è, di per sé, ragione di inammissibilità, in quanto il ricorrente ha rinviato in modo puntuale ad argomentazioni già esposte nelle pagine precedenti del ricorso, per motivare censure di analogo tenore e inerenti a una disposizione di analogo contenuto (così sentenza n. 68 del 2011, punto 3.2. del Considerato in diritto; nello stesso senso e più di recente: sentenza n. 90 del 2023, punto 13.1.1. del Considerato in diritto), rendendo in tal modo perfettamente intellegibile la censura mossa contro l’impugnato art. 127, comma 1.
7.4.1.– Nel merito la questione è fondata.
Come si è già affermato in relazione all’art. 113 (supra, punto 6.3.), infatti, l’indicazione di specifici requisiti per l’esercizio delle professioni è ambito riservato alla competenza statale e, conseguentemente, precluso all’intervento regionale.
7.4.2.– Deve pertanto concludersi per l’illegittimità costituzionale dell’art. 127, comma 1, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di professioni e la declaratoria di illegittimità costituzionale determina (come richiesto dal ricorrente) anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 130, comma 2, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, limitatamente alle parole «di cui all’articolo 127».
7.5.– Il ricorrente ha impugnato, ancora, l’art. 130, comma 3, della medesima legge regionale, laddove stabilisce che l’esercizio «della professione da parte di guide alpine che provengono dall’estero o da altre regioni italiane e che accompagnano loro clienti, non è subordinato all’iscrizione all’albo», per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, in relazione all’art. 6, comma 1, della legge n. 6 del 1989.
Quest’ultimo articolo, recante la disciplina per il «trasferimento» e la «aggregazione temporanea» delle guide alpine, prevede, tra le altre, la possibilità per la guida alpina iscritta «nell’albo di una regione [di trasferirsi] presso l’albo di altra regione» (art. 6, comma 1), «a condizione che l’interessato abbia la propria residenza o il proprio domicilio o stabile dimora in un comune della regione medesima» (art. 6, comma 2).
7.5.1.– La censura, peraltro non chiarissima, deve essere dichiarata inammissibile.
Nella delibera che autorizza l'impugnazione – nella quale peraltro si fa genericamente riferimento all’(intero) art. 130, ma nulla si dice sul suo comma 3 – manca infatti la necessaria indicazione del parametro. Difetta, dunque, quella necessaria corrispondenza tra ricorso e delibera, che è condizione necessaria nel giudizio in via principale (fra le tante, si vedano le sentenze n. 142 del 2024, punto 6.3.1. del Considerato in diritto; e n. 134 del 2023, punto 2.1. del Considerato in diritto).
7.6.– Viene impugnato anche l’art. 130, comma 4, il quale statuendo che «[l]’iscrizione, per i cittadini di stati non appartenenti all’Unione europea, è subordinata al riconoscimento da parte del Collegio nazionale delle guide alpine dell’equivalenza del titolo rilasciato nello stato di provenienza», violerebbe l’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), e terzo comma, Cost., in materia di professioni.
Anche alla luce del senso complessivo del ricorso, volto innanzitutto alla denuncia della violazione delle competenze statali di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, questa Corte – avvalendosi del potere di decidere l’ordine delle questioni da affrontare (tra le molte, sentenze n. 192 del 2024, punto 13.2. del Considerato in diritto, n. 92 del 2023, punto 6.4. del Considerato in diritto, n. 120 del 2022, punto 5 del Considerato in diritto) – ritiene di dovere scrutinare prioritariamente quest’ultima censura.
7.6.1.– La questione è ammissibile.
Pur se sinteticamente motivata, infatti, la disposizione censurata e il citato parametro costituzionale risultano individuati in modo chiaro, avendo lo Stato denunciato la violazione di quest’ultimo da parte di tutte le impugnate disposizioni sulle guide alpine in apertura del motivo di ricorso; ed emerge anche la ragione delle impugnazioni, ossia l’invasione di un ambito riservato al legislatore statale, con una disciplina peraltro antinomica con quella dettata da quest’ultimo.
7.6.2.– Nel merito, la questione è fondata.
Anche con il citato art. 130, comma 4, così come con l’art. 116, commi 7 e 8, della legge regionale in oggetto, il legislatore toscano si è, invero, appropriato di un ambito riservato alla legislazione statale, ossia il riconoscimento dell’equivalenza dei titoli professionali acquisiti all’estero, dettando, una disciplina che viola quella statale di principio, che attribuisce tale competenza al Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri (supra, punto 6.5.2.).
7.6.3.– Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 130, comma 4, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni, laddove dispone che l’iscrizione è subordinata al riconoscimento «da parte del Collegio nazionale delle guide alpine» anziché «da parte del Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri», con assorbimento delle restanti censure.
7.7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia congiuntamente anche l’illegittimità costituzionale degli artt. 131 e 134, che disciplinano rispettivamente il Collegio regionale delle guide alpine e le sanzioni disciplinari. Le disposizioni, infatti, sarebbero «pressoché ripetitive degli artt. 13, 14 e 17 della legge n. 6/1989 e, pertanto, […] costituzionalmente illegittime».
Il passaggio sopra riportato esaurisce, in sostanza, quanto dedotto nel ricorso introduttivo, sicché le questioni relative agli impugnati artt. 131 e 134 devono essere dichiarate inammissibili.
7.7.1.– Il ricorrente, infatti, non ha adeguatamente assolto all’onere di motivazione richiesto nel giudizio in via principale, essendosi limitato a indicare genericamente i suddetti articoli, i quali sono, peraltro, tra loro marcatamente eterogenei, disciplinando, il primo, il Collegio regionale delle guide alpine e, il secondo, le sanzioni disciplinari. Pur a voler ritenere superabile il difetto rappresentato dalla mancata indicazione, anche meramente pro forma, delle disposizioni costituzionali asseritamente violate (difetto cui potrebbe rimediare la generale evocazione della violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., fatta in apertura del relativo motivo di ricorso), osta, comunque, all’esame del merito, la motivazione estremamente sintetica e con ogni evidenza assertiva (si denuncia semplicemente che le disposizioni censurate sono ripetitive degli artt. 13, 14 e 17 della legge n. 6 del 1989); difetti, questi, che vengono vieppiù amplificati proprio dalla rilevata eterogeneità del contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, che avrebbero preteso una puntuale e separata, pur se sintetica, esposizione sui motivi del contrasto con i parametri costituzionali e interposti.
7.7.2.– In definitiva, sul punto, il ricorso non ha assolto all’onere di motivazione richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, dovendosi di conseguenza dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 131 e 134 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024.
7.8.– Il ricorrente ha poi censurato l’art. 136, comma 1, della medesima legge regionale, che introdurrebbe un «doppio binario sanzionatorio in materia di sanzioni alle guide alpine». Richiamando integralmente le ragioni addotte in relazione all’impugnato art. 123, si chiede di dichiarare l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 136 della citata legge regionale per violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento penale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
7.8.1.– La questione deve essere, anche in questo caso, dichiarata inammissibile, per mancata corrispondenza tra il ricorso e la delibera di autorizzazione all’impugnazione.
Nella delibera è presente l’indicazione dell’art. 136, ma, poiché le ragioni dell’impugnazione vengono espresse per relationem, ossia mediante il rinvio a quanto sostenuto per l’inesistente impugnazione dell’art. 123 della stessa legge regionale, il rimando si risolve in un rinvio a vuoto, non risultando indicati, in relazione all’art. 136, né i parametri, né i motivi dell’impugnazione.
Come ha avuto modo di ribadire questa Corte, da ultimo nella sentenza n. 179 del 2022 (punto 8.1. del Considerato in diritto), «“[…] ‘l’omissione di qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione all’impugnazione dell’organo politico, comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente inammissibilità della questione che, sul medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel ricorso’ (sentenza n. 239 del 2016)” (sentenza n. 128 del 2018, richiamata nella sentenza n. 166 del 2021; in termini, tra le più recenti, anche sentenza n. 129 del 2021)».
7.9.– Da ultimo viene impugnato l’art. 137 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, il quale stabilisce che il comune possa vietare la prosecuzione delle attività nell’ipotesi in cui l’interessato perda i requisiti per l’esercizio di attività di guida alpina, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
Anche tale disciplina sarebbe affetta dai medesimi vizi di illegittimità costituzionale dedotti per l’art. 124 della citata legge regionale, recante analoga disciplina per i maestri di sci.
Nella specie, il ricorrente rileva che l’impugnato art. 137 divergerebbe dall’art. 14, comma 2, della legge n. 6 del 1989, in quanto, tra le prerogative che la norma statale attribuirebbe al Collegio regionale delle guide alpine rientrerebbe anche il potere di vigilanza sulla persistenza dei requisiti per lo svolgimento dell’attività di guida alpina e, conseguentemente, il potere di inibire la prosecuzione della professione quando se ne riscontri la mancanza.
7.9.1.– La questione è fondata.
Anche l’impugnato art. 137 – analogamente a quanto si è già rilevato in merito all’art. 124 (supra, punto 6.9.) – si pone, invero, in contrasto con il principio fondamentale della materia espresso dal citato art. 14, comma 2, della legge n. 6 del 1989, il quale – come rileva la difesa statale – attribuisce al Collegio regionale delle guide alpine i richiamati poteri di vigilanza e di inibitoria.
7.9.2.– Dev’essere pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 137 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024 per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di professioni.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4, della legge della Regione Toscana 31 dicembre 2024, n. 61 (Testo unico del turismo);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 95, 96, 97, 98, 99, 100 e 101 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 102, 103, 105, 106, 107, 108, 109 e 110 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 111, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 112, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 114, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, limitatamente alle parole «nella singola specialità»;
7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 115, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
8) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 112, comma 4, limitatamente alle parole «, è limitata alla sezione in cui il maestro è iscritto»;
9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 113, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
10) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, comma 2, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, limitatamente alle parole «di cui all’articolo 113»;
11) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, comma 7, secondo periodo, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, laddove dispone che l’iscrizione è effettuata a seguito di riconoscimento, «da parte della Federazione italiana sport invernali, d’intesa con il Collegio nazionale dei maestri di sci, della equivalenza del titolo professionale acquisito nello stato di provenienza, di verifica della reciprocità di trattamento e della sussistenza dei requisiti soggettivi di cui all’articolo 113», anziché «da parte del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, della equivalenza del titolo professionale acquisito nello stato di provenienza»;
12) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, comma 8, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, nella parte in cui dispone che il nulla osta è rilasciato a seguito di riconoscimento, «da parte della Federazione italiana sport invernali d’intesa con il Collegio nazionale dei maestri di sci», anziché «da parte del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri»;
13) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 117 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
14) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 124 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
15) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 125 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
16) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 126, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
17) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 127, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
18) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 130, comma 2, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, limitatamente alle parole «di cui all’articolo 127»;
19) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 130, comma 4, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, laddove dispone che l’iscrizione è subordinata al riconoscimento «da parte del Collegio nazionale delle guide alpine», anziché «da parte del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri»;
20) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 137 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024;
21) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 118 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
22) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 123, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
23) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 130, comma 3, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
24) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 131 e 134 della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
25) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 136, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
26) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 104, comma 2, primo periodo, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
27) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 115, comma 1, della legge reg. Toscana n. 61 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Maria Alessandra SANDULLI, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA