Sentenza  191/2025 (ECLI:IT:COST:2025:191) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore:  MARINI F. S.
Camera di Consiglio del 17/11/2025;    Decisione  del 17/11/2025
Deposito del 19/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 168 bis, primo comma, del codice penale.
Massime: 
Atti decisi: ord. 1/2025

Pronuncia

SENTENZA N. 191

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Cagliari, nel procedimento penale a carico di S. S., con ordinanza del 28 novembre 2024, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 novembre 2025 il Giudice relatore Francesco Saverio Marini;

deliberato nella camera di consiglio del 17 novembre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 28 novembre 2024 (reg. ord. n. 1 del 2025), il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Cagliari ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, nella parte in cui «non consente la sospensione del processo con messa alla prova in relazione al delitto di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, secondo comma, c.p.».

Il giudice a quo riferisce di procedere, in sede di udienza preliminare, a carico di S. S. per il reato di incendio boschivo colposo «causato da una stufa lasciata incautamente accesa e non sorvegliata per pochi minuti» e di dover decidere sull’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova presentata dall’imputato.

2.– Ad avviso del rimettente, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. sarebbe rilevante nel giudizio a quo, risultando soddisfatte le condizioni in presenza delle quali può essere disposta la messa alla prova. Tuttavia, il citato art. 168-bis limita l’operatività dell’istituto in esame alle ipotesi in cui si proceda «per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale»; mentre l’incendio boschivo colposo è punito con la pena massima di cinque anni di reclusione e non rientra nel novero di quelli a cui, ai sensi del menzionato comma 2 dell’art. 550, si applica il procedimento per citazione diretta a giudizio. Il che preclude la concessione della messa alla prova.

3.– In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. violi l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza.

Il rinvio della norma censurata all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen. «[fa] sì che l’accesso all’istituto sia consentito per delitti dolosi più gravi, per limiti di pena minima e massima, di reati colposi […] che non permettono la sospensione del processo con messa alla prova».

Tale effetto, però, «non deriva da valutazioni discrezionali del legislatore sul reato specifico», bensì dall’applicazione di un criterio, quello dell’accertamento processuale, che è «eccentrico rispetto alla ratio dell’ammissibilità o no della messa alla prova», che dovrebbe fondarsi sulla gravità del reato.

Peraltro, il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) ha notevolmente ampliato il catalogo dei reati di cui all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., includendovi fattispecie criminose dolose, caratterizzate dalla «semplicità dell’accertamento processuale» e punite con una pena edittale massima fino a sei anni di reclusione.

Il medesimo decreto, invece, non ha attuato la delega legislativa laddove prevedeva l’estensione dell’ambito applicativo della messa alla prova a reati che, pur puniti con pena superiore, nel massimo, a quattro anni di reclusione e non compresi nei casi di «citazione diretta» a giudizio, «si prest[assero] a percorsi risocializzanti o riparatori».

In conclusione, ad avviso del rimettente, sarebbe dubbia la «razionalità dell’esclusione dall’istituto di un reato come quello in analisi, che rientra nel limite di pena di sei anni e che si presta certamente a percorsi risocializzanti o riparatori, innanzitutto per la sua natura colposa».

4.– Il giudice a quo ritiene, invece, che non «vi siano i presupposti per la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale in relazione [al parametro] della finalità rieducativa della pena», essendo stata la analoga censura già dichiarata non fondata dalla sentenza n. 146 del 2023.

5.– È intervenuto in giudizio, con atto depositato l’11 febbraio 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

Ad avviso della difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile per una pluralità di ragioni.

In primo luogo, il petitum dell’ordinanza di rimessione sarebbe «distonico con le motivazioni» della stessa, in quanto la questione sarebbe stata sollevata in riferimento al solo art. 3 Cost., nonostante sia stato censurato un «vizio per inosservanza, ad opera di un decreto ex art. 76 Cost., della legge di delegazione».

In secondo luogo, vi sarebbe un difetto di motivazione in punto di non manifesta infondatezza. Il giudice a quo, infatti, denuncia l’irragionevolezza della scelta legislativa di non consentire l’accesso alla messa alla prova per il reato di incendio boschivo colposo, «visto che alcuni reati più gravi [lo] permettono», senza tener conto che è la stessa norma censurata ad impiegare, per la delimitazione dell’ambito operativo dell’istituto, non solamente il criterio della gravità dei reati, ma anche quello della «natura (tendenzialmente non complessa) dei relativi procedimenti».

Infine, la censura di violazione dell’art. 3 Cost. non sarebbe «accompagnata dalla necessaria individuazione di un tertium comparationis». Il rimettente, infatti, «non offr[irebbe] alcun esempio di reato che, per converso, è incluso nell’elenco di cui all’art. 550, co. 2, c.p.p.. [ed è] caratterizzato da omogeneo disvalore penale».

6.– La questione sollevata sarebbe, comunque, manifestamente infondata per una pluralità di ragioni.

In primo luogo, il rimettente «stimol[erebbe] un sindacato […] in punto di opportunità sulle scelte operate dal Legislatore», che paiono, invece, «ragionat[e] e ragionevol[i]».

In secondo luogo, l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., nel rinviare all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., avrebbe «inteso porre in essere un tendenziale parallelismo tra i giudizi assegnati all’attribuzione del tribunale in composizione monocratica e quelli per i quali è ammessa la sospensione con messa alla prova». Si tratterebbe di «una scelta legislativa non soltanto non manifestamente irragionevole ma, tutto al contrario, ragionata e ben ponderata», anche sotto il profilo dell’«efficienza della giustizia».

Inoltre, la cornice edittale non è l’unico indice di gravità dei reati, con la conseguenza che il loro trattamento può ben essere differenziato a parità di pena, ad esempio «limitando i benefici che gli imputati o i condannati […] potranno ottenere». Il rimettente non avrebbe, quindi, considerato che «l’incendio boschivo, se anche colposo, è fatto criminale gravemente offensivo […] del bene giuridico ambiente» e desta particolare allarme sociale in questo momento storico.

Peraltro, il giudice a quo nulla avrebbe «dedotto e considerato (in disparte il profilo della cornice edittale) sulle peculiarità del reato di incendio boschivo colposo», limitandosi a sostenere che vi sarebbero reati più gravi di questo nell’elenco di cui all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen.

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 1 del 2025), il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari dubita della legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., nella parte in cui «non consente la sospensione del processo con messa alla prova in relazione al delitto di incendio boschivo colposo di cui all’art. 423-bis, secondo comma, c.p.».

Ad avviso del rimettente, sarebbe violato l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza.

L’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., infatti, delimita l’ambito applicativo della messa alla prova sia mediante il riferimento alla pena edittale massima del reato per cui si procede sia mediante il rinvio all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen.; disposizione che reca un elenco di reati – cui si applica il rito speciale della citazione diretta a giudizio – sanzionati con pena superiore alla soglia fissata dal citato art. 168-bis («pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria»). Tale elenco, peraltro, è stato ampliato dal d.lgs. n. 150 del 2022, che vi ha incluso fattispecie criminose dolose, caratterizzate dalla «semplicità dell’accertamento processuale», ma punite con una pena edittale massima fino a sei anni di reclusione.

Il «rinvio recettizio dell’art. 168-bis c.p.» all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen. – prosegue il rimettente – avrebbe «fatto sì che l’accesso all’istituto sia consentito per delitti dolosi più gravi, per limiti di pena minima e massima, di reati colposi […] che non permettono la sospensione del processo con messa alla prova», nonostante si prestino «a percorsi risocializzanti o riparatori, [proprio] per la [loro] natura colposa». E tale effetto «non deriva da valutazioni discrezionali del legislatore sul reato specifico», bensì dall’applicazione di un criterio, quello dell’accertamento processuale appunto, che è «eccentrico rispetto alla ratio dell’ammissibilità o no della messa alla prova», che dovrebbe fondarsi sulla gravità del reato.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità della questione sotto tre diversi profili.

2.1.– In primo luogo, il petitum dell’ordinanza di rimessione sarebbe «distonico con le motivazioni» della stessa, in quanto la questione sarebbe stata sollevata in riferimento al solo art. 3 Cost., nonostante sia stato censurato un «vizio per inosservanza, ad opera di un decreto ex art. 76 Cost., della legge di delegazione».

L’eccezione non è fondata.

Il rimettente lamenta l’irragionevolezza intrinseca dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. e per questo evoca, quale parametro del giudizio di legittimità costituzionale, l’art. 3 Cost.

L’ordinanza di rimessione non denuncia, infatti, un vizio nell’attuazione della delega legislativa e, quindi, la violazione dell’art. 76 Cost., ma fa riferimento all’ampliamento del catalogo dei casi di «citazione diretta» a giudizio da parte del d.lgs. n. 150 del 2022 e al conseguente ampliamento dell’ambito applicativo della messa alla prova solo per argomentare la dedotta irragionevolezza del sistema delineato dal legislatore, che sarebbe stata “aggravata” dalla riforma in esame.

2.2.– In secondo luogo, la questione sarebbe inammissibile per difetto di motivazione in punto di non manifesta infondatezza. Il giudice a quo, infatti, avrebbe lamentato l’irragionevolezza della scelta legislativa di non consentire l’accesso alla messa alla prova per il reato di incendio boschivo colposo, «visto che alcuni reati più gravi [lo] permettono», senza tener conto che è la stessa norma censurata a impiegare, per la delimitazione dell’ambito operativo dell’istituto, non solamente il criterio della gravità dei reati, ma anche quello della «natura (tendenzialmente non complessa) dei relativi procedimenti».

L’eccezione non è fondata.

Il rimettente denuncia l’irragionevolezza della norma censurata nella parte in cui non consente l’accesso alla messa alla prova per l’incendio boschivo colposo, perché detto reato, proprio per la sua natura colposa, si presterebbe a percorsi risocializzanti o riparatori. L’applicazione dell’istituto, inoltre, sarebbe ammissibile «per delitti dolosi più gravi, per limiti di pena minima e massima», in quanto compresi nel catalogo dei casi di «citazione diretta» a giudizio di cui all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., a cui l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. rinvia per delimitare l’ambito applicativo della messa alla prova.

Con questa duplice argomentazione, il giudice a quo individua, con sufficiente determinatezza e con motivazione idonea a superare il vaglio di ammissibilità, le ragioni del lamentato vulnus.

2.3.– Infine, ad avviso della difesa statale, la censura di violazione dell’art. 3 Cost. non sarebbe «accompagnata dalla necessaria individuazione di un tertium comparationis»: il rimettente, infatti, «non [avrebbe offerto] alcun esempio di reato che, per converso, è incluso nell’elenco di cui all’art. 550, co. 2, c.p.p. [ed è] caratterizzato da omogeneo disvalore penale».

Anche questa eccezione non è fondata, in quanto, come già evidenziato, il rimettente evoca, quale parametro del giudizio di legittimità costituzionale, l’art. 3 Cost. sotto il profilo non già della disparità di trattamento rispetto a una fattispecie omogenea, bensì dell’irragionevolezza intrinseca della norma censurata.

3.– Nel merito, la questione non è fondata.

3.1.– Ad avviso del rimettente, l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. – nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il delitto di incendio boschivo colposo (art. 423-bis, secondo comma, cod. pen.) – violerebbe l’art. 3 Cost.: sarebbe dubbia, infatti, la «razionalità dell’esclusione dall’istituto di un reato come quello in analisi, che rientra nel limite di pena di sei anni e che si presta certamente a percorsi risocializzanti o riparatori, innanzitutto per la sua natura colposa»; ciò anche perché il «rinvio recettizio [del citato] art. 168-bis c.p. [all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen.] ha fatto sì che l’accesso all’istituto sia consentito per delitti dolosi più gravi, per limiti di pena minima e massima».

3.2.– Come è noto, l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. delimita l’ambito applicativo della sospensione del procedimento con messa alla prova sia mediante il riferimento al limite di pena del reato per cui si procede («pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni», oltre che, in ipotesi, solo pena edittale pecuniaria), «sia mediante il rinvio mobile a tutti i reati indicati dal comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen.» (sentenza n. 139 del 2025), il cui elenco «si è arricchito di numerosi reati, tutti puniti mediamente con pena edittale di cinque anni di reclusione, talora anche di sei anni; quindi oltre la soglia di quattro anni di cui [al medesimo art.] 168-bis, primo comma» (sentenza n. 146 del 2023).

In proposito, questa Corte «ha già più volte riconosciuto al legislatore “un’ampia discrezionalità nella definizione dei limiti oggettivi” – ad esempio riferiti ai limiti di pena o a “specifici titoli di reato (individuati nominativamente o, come in questo caso, attraverso il richiamo a una categoria definita da altra disposizione)” – entro i quali possono trovare applicazione gli istituti del diritto penale punitivo “non carcerario”, sempre che la scelta normativa non risulti manifestamente irragionevole, creando insostenibili disparità di trattamento (così, da ultimo, sentenza n. 139 del 2025)» (sentenza n. 157 del 2025).

Pertanto, la circostanza – denunciata dal rimettente – che «l’accesso all’istituto [della messa alla prova è] consentito per delitti dolosi più gravi, per limiti di pena minima e massima», non comporta la violazione dell’art. 3 Cost.

Rientra, infatti, nella logica stessa della tecnica del rinvio mobile all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen. – «tecnica comune nell’ordito del codice penale» (sentenza n. 139 del 2025) – la possibilità che la messa alla prova sia consentita per fattispecie criminose il cui massimo edittale superi la soglia stabilita dal citato art. 168-bis.

La determinazione dei limiti oggettivi di applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova, «mediante il rinvio mobile a tutti i reati indicati dal comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen.» (sentenza n. 139 del 2025), è espressione, insomma, di una scelta di politica criminale di per sé non manifestamente irragionevole (sentenze n. 157 e n. 139 del 2025, e n. 146 del 2023).

Come appena rilevato, infatti, questa Corte ha già chiarito che attiene all’ampia discrezionalità del legislatore fare uso «[d]ella tecnica dell’individuazione (nominativa, o tramite richiamo ad altre disposizioni [nel caso di specie, l’art. 550, comma 2, cod. proc. pen. appunto] di reati inclusi nella [messa alla prova]» (sentenza n. 139 del 2025), anche perché «rientra nella logica del sistema penale che, nell’adottare soluzioni diversificate, vengano presi in considerazione determinati limiti edittali, indicativi dell’astratta gravità dei reati», ovvero determinati titoli di reato (sentenza n. 207 del 2017).

3.3.– Né la denunciata irragionevolezza è desumibile dalla natura colposa del reato di incendio boschivo.

Il rimettente muove dall’assunto che il reato colposo si presti, di per sé, a percorsi di risocializzazione del reo – che individua peraltro come unica ratio della messa alla prova – con la logica conseguenza che tutti i delitti colposi, e non solo l’incendio boschivo, dovrebbero rientrare nel campo di applicazione dell’istituto.

Tuttavia, se è vero che l’istituto in esame ha finalità risocializzanti e la colpa costituisce uno degli elementi di cui il legislatore può tener conto nel fissarne l’ambito applicativo, va rilevato, da un lato, che la messa alla prova persegue anche finalità sanzionatoria e deflattiva; dall’altro, che – come ha più volte affermato questa Corte – il legislatore, nella sua ampia discrezionalità, può ben valutare, oltre all’elemento soggettivo, altri fattori, come il bene giuridico tutelato, la condotta incriminata o il trattamento sanzionatorio. Senza, peraltro, considerare che proprio il rilievo qui assegnato dal legislatore all’elemento soggettivo della colpa attesta l’importanza del bene giuridico tutelato.

4.– Quanto precede non vale a escludere in assoluto che la tecnica normativa del rinvio a una norma che disciplina un diverso istituto possa, in taluni casi, creare «insostenibili disparità di trattamento» o condurre «a risultati manifestamente sproporzionati» rispetto a specifiche ipotesi di reato (sempre, sentenza n. 139 del 2025), che risultano ammesse alla, o escluse dalla, messa alla prova in modo manifestamente incongruo rispetto al conseguimento delle «finalità risocializzanti, da un lato, e deflattive, dall’altro», proprie dell’istituto (sentenza n. 90 del 2025).

Deve ribadirsi, infatti, che «le fattispecie di reato […] elencate nell’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., al quale, come detto, rinvia l’art. 168-bis cod. pen. […] presentano elementi di notevole disomogeneità, tanto che è problematico individuarne un’univoca e coerente ratio ispiratrice» (sentenza n. 157 del 2025) e sono, pur sempre, individuate per delimitare l’ambito applicativo di un istituto processuale – il rito speciale della citazione diretta a giudizio – avente natura e funzione non sovrapponibili a quelle sottese alla messa alla prova.

A eventuali disarmonie di sistema derivanti da tale tecnica di individuazione dei reati inclusi nella messa alla prova, questa Corte può porre rimedio, come già accaduto con la sentenza n. 90 del 2025, valutando in concreto se il reato escluso dall’ambito applicativo dell’istituto e sottoposto al suo sindacato meriti invece di esservi ricompreso, in virtù della sua struttura e della sua oggettività giuridica, e anche mediante un’analisi comparativa con le fattispecie criminose incluse nell’elenco di cui all’art. 550, comma 2, cod. proc. pen.

Tuttavia, con l’odierna questione, il rimettente non ha chiamato questa Corte a una tale valutazione in concreto con riferimento alla specifica fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, ma ha censurato, in via astratta e generale, la legittimità costituzionale della tecnica del rinvio mobile al citato comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen.; ciò che – come già posto in evidenza – costituisce una legittima forma di esercizio della discrezionalità del legislatore nella determinazione dei limiti oggettivi di applicazione della sospensione del procedimento con messa alla prova.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Cagliari con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Francesco Saverio MARINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA


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