Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 28 novembre 2018, iscritta al n. 145 del r.o. 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Messina ha censurato – d’ufficio e in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione – l’art. 153 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante posta elettronica certificata (PEC).
1.1.– Il rimettente deve delibare un’eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio di M.M. T., sollevata dalla difesa di quest’ultimo in ragione dell’omesso espletamento dell’interrogatorio dell’indagato, ai sensi dell’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen.
Il giudice a quo riferisce che il difensore dell’indagato aveva trasmesso via PEC la richiesta di interrogatorio al pubblico ministero, dopo che quest’ultimo aveva notificato l’avviso di conclusione delle indagini tramite PEC, come consentito dagli artt. 157, comma 8-bis, e 148, comma 2-bis, cod. proc. pen. Il thema decidendum atterrebbe dunque alla verifica della regolarità della notifica via PEC della richiesta di interrogatorio da parte del difensore al pubblico ministero.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente osserva che l’esigenza di rimodulazione di «alcune forme e procedure» del codice di rito, onde conseguirne l’adattamento alle «più moderne possibilità fornite dalla tecnologia», in coerenza con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, «non [potrebbe] non involgere la fase procedimentale».
Questa Corte, pronunciandosi in tema di notifiche nel procedimento fallimentare, avrebbe poi posto l’accento sulla necessità di «rigida attuazione, anche nella fase delle modalità tecniche, del diritto di difesa e della stessa parità delle parti».
Nel caso di specie, a fronte della possibilità, offerta al pubblico ministero dagli artt. 157 e 148 cod. proc. pen., di notificare i propri atti via PEC all’indagato, non vi sarebbe alcuna ragione che giustifichi l’esclusione dalla medesima possibilità, «specie a fronte di termini cogenti», al difensore dell’indagato, il quale dispone di PEC e avrebbe la possibilità di «avere un destinatario certo della notifica».
E invero, «a fronte di due atti collegati, avviso di conclusione indagini e richiesta di interrogatorio, e [di] due notifiche di identica tipologia», «vanificare il diritto all’interrogatorio dell’indagato per omesso deposito in cancelleria della richiesta, ed invio della richiesta con PEC», sarebbe lesivo dell’«uguaglianza processuale delle parti» e del diritto di difesa, oltre che contrastante «con l’intero impianto di informatizzazione determinato dal principio costituzionale della giusta durata del processo».
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.
2.1.– Il giudice a quo non avrebbe verificato la tempestività della richiesta di interrogatorio avanzata dal difensore dell’indagato via PEC, il che impedirebbe di vagliare la rilevanza delle questioni sollevate. Ai fini dell’accertamento della dedotta nullità della richiesta di rinvio a giudizio, risulterebbe infatti preliminare valutare se la richiesta di interrogatorio sia stata formulata entro il termine di cui all’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. Di qui l’inammissibilità delle questioni.
2.2.– Le questioni sarebbero altresì inammissibili per omesso esperimento del tentativo di interpretazione conforme della disposizione censurata.
L’ordinanza di rimessione non si confronterebbe con il principio – enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione a istanze e memorie presentate con modalità non conformi a quelle prescritte dall’art. 127 cod. proc. pen. – secondo cui, pur essendo precluso alle parti private l’uso dei mezzi tecnici di cui all’art. 418-ter (recte: 148, comma 2-bis) cod. proc. pen., l’irregolare notificazione di un atto via PEC non ne determina l’assoluta irricevibilità, né l’inesistenza, ma pone soltanto a carico di colui che ha adoperato il mezzo tecnico non consentito l’onere di appurare che l’atto sia pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario (sono citate Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 16 maggio 2017, n. 31314; sezione prima penale, sentenza 16 novembre 2017-17 gennaio 2018, n. 1904).
Tale principio sarebbe estensibile, per identità di ratio, alle notificazioni di atti diretti al pubblico ministero; sicché il rimettente avrebbe dovuto verificare la possibilità di interpretare la disposizione censurata nel senso dell’efficacia della richiesta di interrogatorio dell’indagato, pur irregolarmente trasmessa via PEC, che fosse stata tempestivamente portata a conoscenza del pubblico ministero.
2.3.– Le questioni sarebbero comunque infondate.
2.3.1.– Non sarebbe ravvisabile alcun irragionevole esercizio della discrezionalità del legislatore, in quanto il differente regime di notificazione degli atti del difensore dell’indagato e del pubblico ministero sarebbe giustificato dal ruolo di «parte pubblica» di quest’ultimo, che peraltro, alla data di promovimento dell’incidente di costituzionalità, non sarebbe stato nemmeno titolare di un domicilio digitale.
Del resto, anche gli atti e i provvedimenti del giudice dovrebbero essere comunicati al pubblico ministero mediante consegna di copia in segreteria, ex art. 153, comma 2, cod. proc. pen., potendosi utilizzare «mezzi tecnici idonei» solo ove ricorrano le specifiche condizioni indicate dall’art. 64 delle Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale; il che ulteriormente dimostrerebbe la non fondatezza della censura relativa alla violazione dell’art. 3 Cost.
2.3.2.– Sarebbe poi da escludere la prospettata lesione del principio della parità processuale delle parti, poiché quest’ultimo postula esclusivamente la necessità di garantire «l’eguale diritto alla prova e la formazione della stes[s]a nel contraddittorio delle parti» e non il riconoscimento alle parti stesse di identici poteri e strumenti di azione (è citata l’ordinanza n. 286 del 2003 di questa Corte).
2.3.3.– Né tantomeno si profilerebbe un conflitto con il principio della ragionevole durata del processo, rispetto al quale le modalità di notificazione degli atti previste dall’ordinamento sono prive di rilevanza, essendo la durata del processo condizionata unicamente dai termini stabiliti per il compimento degli atti.
2.3.4.– Sarebbe infine insussistente la dedotta violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost., atteso che l’inefficacia di un atto dipendente dalla difformità della sua notificazione dal modello prefigurato dalla legge deriverebbe dalla natura essenzialmente formale della disciplina delle notificazioni, cui si ricollega la funzione di assicurare «la legalità del procedimento».
3.– In prossimità della camera di consiglio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, ribadendo le argomentazioni già svolte nell’atto di intervento e insistendo per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di non fondatezza delle questioni sollevate.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 28 novembre 2018, iscritta al n. 145 del r.o. 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Messina ha censurato – d’ufficio e in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione – l’art. 153 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente alle parti o ai difensori di eseguire le notificazioni al pubblico ministero mediante posta elettronica certificata (PEC).
Il rimettente muove dal presupposto ermeneutico che alla trasmissione della richiesta di interrogatorio ex art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. si applichi l’art. 153 cod. proc. pen., disposizione che detta la disciplina generale delle notificazioni dirette al pubblico ministero, consentendo alle parti e ai difensori di avvalersi della forma semplificata costituita dalla consegna di copia dell’atto in segreteria.
Ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione, nella disposizione censurata, della possibilità di utilizzare quale mezzo di notificazione la PEC, di cui invece il pubblico ministero può avvalersi per le notifiche al difensore ai sensi degli artt. 148, comma 2-bis, e 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., sarebbe lesiva:
– dell’art. 3 Cost., perché non vi sarebbe alcuna ragione che giustifichi l’esclusione per il difensore dell’indagato della medesima facoltà riconosciuta al pubblico ministero, nonché
– degli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost., dal momento che la disciplina censurata comprometterebbe, assieme, il diritto di difesa, l’uguaglianza processuale delle parti e il canone di ragionevole durata del processo.
2.– Preliminare all’esame dell’ammissibilità e del merito delle questioni è la ricostruzione del quadro normativo relativo alle notificazioni via PEC nel processo penale.
2.1.– La scelta della PEC quale mezzo per effettuare comunicazioni e notificazioni telematiche nel processo penale risale all’art. 4, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), convertito, con modificazioni, nella legge 22 febbraio 2010, n. 24, il quale ha previsto in via generale che «nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica si effettuano, mediante posta elettronica certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e delle regole tecniche». Le modalità attuative sono state poi stabilite, ai sensi del comma 1 del medesimo art. 4, dal decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24).
2.2.– L’art. 16, commi 4 e 9, lettera c-bis), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 novembre 2012, n. 221, e poi subito modificato dall’art. 1, comma 19, punto 1), lettera a), numero 1), della legge 28 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», ha introdotto – a partire dal 15 dicembre 2014 – l’uso delle notifiche telematiche negli uffici giudiziari penali di primo e secondo grado, limitatamente però alle «notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale».
Si è così previsto l’uso della PEC solo da parte dell’autorità giudiziaria (come si evince dall’ultimo periodo del sopra citato comma 4, secondo cui «[l]a relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria»), per eseguire:
a) le notificazioni ai difensori (art. 148, comma 2-bis, cod. proc. pen.);
b) le notificazioni urgenti nei confronti di persone diverse dall’imputato (art. 149 cod. proc. pen.);
c) le notificazioni in circostanze particolari, indicate dal giudice in apposito decreto motivato, a persone diverse dall’imputato (art. 150 cod. proc. pen.);
d) le notificazioni richieste dal pubblico ministero nei confronti delle persone interessate (art. 151, comma 2, cod. proc. pen.).
2.3.– A fronte del tenore letterale dell’art. 16, commi 4 e 9, lettera c-bis), del d.l. n. 179 del 2012, la giurisprudenza di legittimità ha in linea generale ritenuto preclusa alle parti private la trasmissione via PEC agli uffici giudiziari di istanze, atti e documenti, in particolare negando la possibilità di utilizzare tale mezzo tecnico:
– per l’impugnazione di provvedimenti giudiziari (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 19 dicembre 2019-27 marzo 2020, n. 10682; sezione quarta penale, sentenza 27 novembre 2019, n. 52092; sezione terza penale, sentenza 13 aprile 2018, n. 38411; sezione quarta penale, sentenza 23 gennaio 2018, n. 21056; sezione sesta penale, sentenza 5 dicembre 2017, n. 55444; sezione terza penale, sentenza 11 luglio 2017, n. 50932; sezione quarta penale, sentenza 30 marzo 2016, n. 18823);
– per il deposito di memorie nel giudizio di cassazione (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 16 maggio 2017, n. 31336; sezione terza penale, sentenza 20 settembre 2016, n. 48584);
– per il deposito delle liste testimoniali (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 26 ottobre 2016 – 14 febbraio 2017, n. 6883);
– per il deposito della nomina del difensore di fiducia (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 18 febbraio 2019, n. 38665; sezione quinta penale, sentenza 25 ottobre 2018, n. 53217).
L’uso della PEC per la trasmissione di atti e istanze delle parti private all’autorità giudiziaria è stato invece ammesso in relazione alla trasmissione delle istanze di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dell’imputato o del difensore, con la precisazione che l’uso di tale irrituale forma di trasmissione comporta per la parte che se ne avvalga l’onere di accertarsi che l’istanza sia giunta a effettiva conoscenza del destinatario (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 14 luglio 2021, n. 35542; sezione prima penale, sentenza 4 giugno 2021, n. 25366; sezione seconda penale, sentenza 1 dicembre 2020-27 gennaio 2021, n. 3436; sezione prima penale, sentenza 17 luglio 2020, n. 21981; sezione prima penale, sentenza 22 marzo 2019, n. 17879). È stata inoltre riconosciuta la possibilità di trasmettere via PEC le istanze di rinvio della trattazione per adesione del difensore all’astensione degli avvocati dalle udienze (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 8 gennaio 2020, n. 4655; sezione quarta penale, sentenza 6 giugno 2018, n. 35683).
2.4.– Il quadro normativo poc’anzi ricostruito, vigente all’epoca in cui è stata pronunciata l’ordinanza di rimessione oggi all’esame della Corte, è radicalmente mutato in forza della normativa emanata per fronteggiare l’emergenza pandemica da COVID-19, che ha per la prima volta espressamente consentito alle parti private di trasmettere via PEC agli uffici giudiziari memorie, documenti, richieste e istanze.
2.4.1.– In particolare, l’art. 83 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, ha previsto, al comma 12-quater.1 (inserito dall’art. 3, comma 1, lettera f, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante «Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta COVID-19», convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70) che, sino al 31 luglio 2020, con uno o più decreti del Ministro della giustizia di natura non regolamentare, presso ciascun ufficio del pubblico ministero che ne facesse richiesta, fosse autorizzato il deposito con modalità telematica di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen., secondo le disposizioni stabilite con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (DGSIA) – da adottarsi previo accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici – anche in deroga alle previsioni del d.m. n. 44 del 2011, con la precisazione che il deposito degli atti si sarebbe inteso come eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento direttoriale.
2.4.2.– Successivamente, l’art. 221 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, ha previsto al comma 11 (inserito in sede di conversione) che, al fine di consentire il deposito telematico degli atti nella fase delle indagini preliminari, con decreto non regolamentare del Ministro della giustizia – adottato previo accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici – fosse autorizzato il deposito con modalità telematica, presso gli uffici del pubblico ministero, di memorie, documenti, richieste e istanze di cui all’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen., secondo le disposizioni stabilite con provvedimento del DGSIA, anche in deroga alle previsioni del d.m. n. 44 del 2011.
2.4.3.– L’art. 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha poi dettato un’articolata disciplina della trasmissione in via telematica degli atti delle parti all’autorità giudiziaria; disciplina la cui vigenza, originariamente prevista «fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35», è stata poi successivamente prorogata:
– al 31 luglio 2021 dall’art. 6, comma 1, lettera d), del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76;
– al 31 dicembre 2021 dall’art. 7 del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche), convertito, con modificazioni, nella legge 16 settembre 2021, n. 126;
– e infine al 31 dicembre 2022 dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15.
Il citato art. 24 prevede, al comma 1, che il deposito di memorie, documenti, richieste e istanze indicate dall’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. presso gli uffici delle Procure della Repubblica avvenga esclusivamente tramite il «portale del processo penale telematico» (PPPT), individuato con provvedimento del DGSIA (poi emanato il 5 febbraio 2021) e con le modalità ivi stabilite. Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento. Ulteriori atti da depositare tramite il PPPT sono stati individuati con decreto del Ministro della giustizia, emanato il 13 gennaio 2021 ai sensi del comma 2 dell’art. 24.
Dall’entrata in vigore del sistema di deposito nel PPPT, in relazione agli atti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 24, l’invio tramite PEC «non è consentito e non produce alcun effetto di legge» (art. 24, comma 6).
Ai sensi dell’art. 24, comma 4, per tutti gli atti, documenti e istanze, comunque denominati, diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2 dell’art. 24, è consentito il deposito con valore legale mediante invio agli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, indicati in apposito provvedimento del DGSIA (emanato il 9 novembre 2020), nel quale sono state indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio. Il comma 5 dell’art. 24 detta la disciplina relativa all’attestazione, da parte delle segreterie e cancellerie degli uffici giudiziari, del deposito degli atti dei difensori inviati tramite PEC.
I successivi commi da 6-bis a 6-novies contengono inoltre una dettagliata disciplina che consente la trasmissione via PEC di atti di impugnazione (da redigersi in forma di documento informatico sottoscritto digitalmente), motivi nuovi e memorie e stabilisce le relative ipotesi di inammissibilità.
2.5.– Infine, nel quadro della generale riforma del processo penale, l’art. 1, comma 5, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) ha delegato il Governo a emanare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di processo penale telematico, da adottarsi nel rispetto, tra l’altro, dei seguenti principi e criteri direttivi:
«a) prevedere che atti e documenti processuali possano essere formati e conservati in formato digitale, in modo che ne siano garantite l’autenticità, l’integrità, la leggibilità, la reperibilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza; prevedere che nei procedimenti penali in ogni stato e grado il deposito di atti e documenti, le comunicazioni e le notificazioni siano effettuati con modalità telematiche; prevedere che le trasmissioni e le ricezioni in via telematica assicurino al mittente e al destinatario certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione, nonché circa l’identità del mittente e del destinatario; prevedere che per gli atti che le parti compiono personalmente il deposito possa avvenire anche con modalità non telematica;
b) prevedere che, con regolamento adottato con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, siano definite le regole tecniche riguardanti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni telematiche di cui alla lettera a) del presente comma, assicurando la conformità al principio di idoneità del mezzo e a quello della certezza del compimento dell'atto e modificando, ove necessario, il regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44; prevedere che ulteriori regole e provvedimenti tecnici di attuazione possano essere adottati con atto dirigenziale».
A tali principi e criteri direttivi si aggiungono poi quelli relativi alla previsione di una disciplina transitoria relativa al passaggio al nuovo regime telematico di deposito, comunicazione e notificazione, che tra l’altro coordini il «processo di attuazione della delega con quelli di formazione del personale coinvolto» (lettera c); alla individuazione di uffici giudiziari e tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione (lettera d); alla predisposizione di un’apposita regolamentazione dei casi di malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia (lettera e); alla previsione di «soluzioni tecnologiche che assicurino la generazione di un messaggio di avvenuto perfezionamento del deposito» (lettera f).
La legge delega detta, inoltre, articolati principi e criteri direttivi in materia di modifica della disciplina del codice di rito relativa alle notificazioni, anche con riguardo alle notifiche telematiche all’imputato (art. 1, comma 6, della legge n. 134 del 2021).
3.– Tanto premesso in relazione al quadro normativo e giurisprudenziale che fa da sfondo alle questioni sollevate dal GUP del Tribunale di Messina, va subito precisato che non è rilevante per lo scrutinio delle questioni stesse lo ius superveniens (supra, punto 2.4.) che ha oggi reso possibili i depositi telematici e l’invio di atti, documenti e istanze via PEC da parte dei difensori durante la pandemia da COVID-19. L’ordinanza di rimessione è stata infatti depositata il 28 novembre 2018, e il giudice a quo deve valutare la ritualità della notifica via PEC effettuata dal difensore dell’imputato con riferimento alla normativa all’epoca vigente, secondo il principio tempus regit actum che opera in materia processuale.
4.– Devono ora essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.
4.1.– La difesa erariale ha eccepito il difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni, dal momento che il rimettente avrebbe omesso di verificare la tempestività della richiesta di interrogatorio ex art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen., trasmessa via PEC dal difensore; verifica che sarebbe preliminare rispetto alla valutazione di nullità del rinvio a giudizio per omesso interrogatorio dell’indagato.
L’eccezione non è fondata.
È ben vero che, secondo il disposto dell’art. 416, comma 1, cod. proc. pen., la declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio per omissione dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio presuppone che quest’ultimo sia stato richiesto «entro il termine di cui all’articolo 415-bis, comma 3» (venti giorni dalla notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari). Ma è evidente che l’affermazione del rimettente, secondo cui la decisione sulla ritualità della trasmissione via PEC della richiesta di interrogatorio è preliminare rispetto alla delibazione dell’eccezione di nullità del rinvio a giudizio, sottende una implicita positiva valutazione circa la tempestività della richiesta stessa.
4.2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha altresì eccepito l’inammissibilità delle questioni per omesso esperimento del tentativo di interpretazione conforme della disposizione censurata. Il rimettente avrebbe potuto applicare anche al caso di specie il principio affermato da alcune pronunce di legittimità, secondo cui, pur essendo precluso alle parti private l’uso dei mezzi tecnici di cui all’art. 418-ter (recte: 148, comma 2-bis) cod. proc. pen., l’irregolare notificazione di un atto via PEC non ne determina l’assoluta irricevibilità né l’inesistenza, ma pone soltanto a carico di colui che ha adoperato il mezzo tecnico non consentito l’onere di appurare che l’atto sia pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario (sono citate Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 16 novembre 2017-17 gennaio 2018, n. 1904; sezione seconda penale, sentenza 16 maggio 2017, n. 31314).
Nemmeno questa eccezione è fondata.
Le sentenze richiamate dall’Avvocatura generale dello Stato riguardano rispettivamente la trasmissione via PEC alla corte d’appello di una richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dell’imputato (sentenza n. 31314 del 2017) e la trasmissione via telefax, sempre alla corte d’appello, di una richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del difensore (sentenza n. 1904 del 2018). Tali fattispecie non sono però assimilabili alla trasmissione della richiesta di interrogatorio ex art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen., se non altro in quanto, per espressa previsione dell’art. 420-ter, commi 1, 2 e 5, cod. proc. pen., il giudice in udienza è tenuto anche d’ufficio a prendere atto dell’esistenza di un legittimo impedimento a comparire dell’imputato o del difensore, allorché in qualsiasi modo «risulta» (commi 1 e 5) o anche solo «appare probabile» (comma 2) che l’assenza sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, e dunque anche in assenza di formale comunicazione da parte del difensore dell’impedimento.
La stessa sentenza n. 31314 del 2017, invocata dalla difesa statale, ribadisce d’altra parte il principio generale – applicabile prima dell’entrata in vigore della normativa emergenziale legata alla pandemia da COVID-19 – secondo cui, nel processo penale, alle parti private non era consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l’utilizzo della PEC; principio costantemente applicato dalla giurisprudenza di legittimità, che aveva altresì escluso, con riferimento alla finitima materia delle comunicazioni del giudice al pubblico ministero (art. 153, comma 2), la possibilità di utilizzare la PEC, proprio in ragione del mancato richiamo dell’art. 153 da parte dell’art. 16, commi 4 e 9, lettera c-bis), del d.l. n. 179 del 2012 (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 14 novembre 2018-23 gennaio 2019, n. 3181).
Va soggiunto che non sembrano consentire un’interpretazione nel senso dell’ammissibilità dell’uso della PEC, nel caso sottoposto al rimettente, nemmeno le pronunce di legittimità secondo cui la richiesta di interrogatorio formulata ai sensi dell’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. può essere trasmessa al pubblico ministero anche mediante telegramma o lettera raccomandata, purché la sottoscrizione sia autenticata dal difensore o da altro pubblico ufficiale abilitato (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 18 settembre 2018, n. 50087; sezione terza penale, sentenza 2 dicembre 2008-20 gennaio 2009, n. 2109), atteso che dette sentenze hanno in sostanza fatto applicazione della disciplina prevista dall’art. 583 cod. proc. pen. per la spedizione delle impugnazioni; spedizione che la stessa giurisprudenza di legittimità ha sempre escluso potesse avvenire via PEC (supra, punto 2.3.).
A fronte di questo quadro normativo e giurisprudenziale, correttamente il rimettente si è attenuto al «principio – ripetutamente affermato da questa Corte – secondo il quale l’onere di interpretazione conforme viene meno, lasciando il passo all’incidente di costituzionalità, allorché il tenore letterale della disposizione non consenta tale interpretazione» (sentenza n. 221 del 2019, nonché, da ultimo, sentenze n. 34 e n. 19 del 2022).
5.– Le questioni sono tuttavia inammissibili per una diversa ragione.
5.1.– È innegabile che dal quadro normativo precedente alla legislazione emergenziale del 2020, poc’anzi ricostruito, trasparisse una evidente disparità di trattamento tra le parti del processo penale.
Al pubblico ministero era infatti consentito in via generale l’uso della PEC per le notificazioni al difensore dell’imputato o indagato, laddove analoga possibilità era preclusa al difensore per le notificazioni al pubblico ministero.
E ciò ancorché il difensore fosse già tenuto a dotarsi di PEC e a comunicare il proprio indirizzo all’Ordine di appartenenza (art. 16, comma 7, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2), nonché ad adempiere ai doveri di corretta manutenzione della propria casella di posta elettronica certificata, delineati dall’art. 20 del d.m. n. 44 del 2011 (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 18 giugno 2018, n. 51464), onde poter ricevere le notificazioni dell’autorità giudiziaria. Al punto che, in difetto di istituzione o comunicazione dell’indirizzo di PEC, ovvero in caso di mancata consegna del messaggio di PEC proveniente dall’autorità giudiziaria per cause imputabili al destinatario, le notificazioni al difensore erano eseguite «esclusivamente mediante deposito in cancelleria» (art. 16, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012).
5.2.– Una tale disparità di trattamento non poteva, d’altra parte, ritenersi sorretta da ragionevoli giustificazioni.
Vero è che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato: potendo una disparità di trattamento “risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia”» (sentenza n. 34 del 2020, e ivi numerosi precedenti citati).
E vero è, altresì, che tra queste esigenze, idonee a giustificare una transitoria differenza di trattamento tra pubblico ministero e difensore, ben potevano annoverarsi – allorché il legislatore introdusse, con il d.l. n. 179 del 2012, le notifiche telematiche al difensore – le difficoltà tecniche, per gli uffici del pubblico ministero, legate alla gestione di un gran numero di comunicazioni via PEC, con conseguente necessità di monitorare continuamente le caselle di posta elettronica e – in assenza di fascicoli digitalizzati – di stampare, registrare e inserire nei fascicoli cartacei i documenti inviati dai difensori.
Cionondimeno, tali indubbie difficoltà avrebbero potuto e dovuto essere affrontate – nell’arco dei ben sei anni trascorsi tra il d.l. n. 179 del 2012 e l’ordinanza di rimessione – attraverso appositi accorgimenti tecnici e organizzativi, come quelli posti in essere con immediatezza non appena scoppiata la pandemia da COVID-19 (supra, punto 2.4.). Il che avrebbe evitato il verificarsi, nel 2018, di situazioni singolari come quella, realizzatasi nel giudizio a quo, di un difensore che riceve legittimamente dal pubblico ministero via PEC la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico del proprio assistito, ai sensi dell’art. 415-bis cod. proc. pen., e che si trova però nell’impossibilità di rispondere con la medesima modalità al pubblico ministero, per esercitare una delle più importanti facoltà – la richiesta di interrogatorio dell’indagato – previste dallo stesso art. 415-bis.
Questo ritardo nell’adeguamento della normativa sulle notificazioni e comunicazioni al pubblico ministero all’evoluzione tecnologica si è tradotto, d’altra parte, in un pregiudizio significativo a carico del difensore e dello stesso imputato. In effetti, la facoltà di utilizzare lo strumento telematico per le proprie notificazioni e comunicazioni è funzionale a una maggiore effettività del diritto di difesa, che l’ordinamento ha il dovere di garantire e di promuovere in forza dell’art. 24, secondo comma, Cost. Notificare un atto via PEC dal proprio studio professionale comporta evidentemente un significativo risparmio di tempi e di costi non solo rispetto all’ordinario procedimento tramite ufficiale giudiziario, ma anche rispetto alla pur semplificata modalità prevista dall’art. 153 cod. proc. pen., rappresentata dal deposito di copia dell’atto nella segreteria del pubblico ministero, dal momento che tale attività presuppone pur sempre l’accesso a un ufficio che potrebbe trovarsi anche a grande distanza dallo studio del difensore, con conseguente necessità per quest’ultimo di munirsi di un procuratore in loco, e per l’imputato di accollarsi i costi relativi (sull’effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost., sentenza n. 18 del 2022, punto 4.4. del Considerato in diritto, in fine; sentenza n. 10 del 2022, punto 9.2. del Considerato in diritto, e ulteriori precedenti ivi citati).
5.3.– Tuttavia, l’auspicata pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione censurata rischierebbe di determinare essa stessa nuove disarmonie e incongruenze.
Anzitutto, va considerato che l’introduzione della facoltà, per le parti e i difensori, di effettuare notificazioni al pubblico ministero tramite PEC presuppone una complessa attività di normazione primaria e secondaria, volta a creare le condizioni pratiche perché tale facoltà possa essere utilmente esercitata. È necessario, tra l’altro, assicurare il corretto funzionamento dei servizi di ricezione delle notificazioni telematiche da parte degli uffici giudiziari; stabilire le caratteristiche tecniche degli atti da notificare; disciplinare le modalità di attestazione della loro spedizione e ricevimento; gestire la fase di transizione dalle notifiche tradizionali a quelle telematiche e la necessaria formazione del personale degli uffici giudiziari. Il tutto nel più ampio contesto della realizzazione di un processo penale telematico, nel quale il legislatore è altresì chiamato a scegliere, in radice, se la modalità di trasmissione degli atti di parte al pubblico ministero durante le indagini preliminari debba essere individuata nella PEC, o in altro strumento telematico – come avvenuto, durante l’emergenza pandemica, in relazione all’uso del «portale del processo penale telematico» (PPPT) di cui all’art. 24, commi 1 e 2, del d.l. n. 137 del 2020 (supra, punto 2.4.3.).
Tutti ciò esorbita, ovviamente, dai poteri di questa Corte, che potrebbe unicamente limitarsi a introdurre, con la propria pronuncia, una nuova modalità a disposizione dei difensori per effettuare notificazioni o comunicazioni al pubblico ministero, senza poter però assicurare il corretto funzionamento dei flussi comunicativi: obiettivo, quest’ultimo, per realizzare il quale sono invece necessari interventi legislativi e regolamentari ad hoc, caratterizzati peraltro da ampia discrezionalità quanto all’individuazione di «modi, condizioni e termini» (sentenza n. 146 del 2021).
D’altra parte, questa Corte non può non tenere conto del mutamento del quadro normativo intervenuto nel lunghissimo lasso temporale che separa l’ordinanza di rimessione dalla presente decisione, causato – per ironia della sorte – dalle difficoltà incontrate dalla cancelleria del giudice a quo nell’eseguire le prescritte notificazioni e comunicazioni al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere. Le modifiche normative fanno sì che la richiesta del giudice a quo di introdurre nell’art. 153 cod. proc. pen. la facoltà per il difensore di effettuare notifiche e comunicazioni al pubblico ministero via PEC sia ormai in conflitto con la diversa scelta compiuta dal legislatore del 2020 di prevedere – quanto meno sino al 31 dicembre 2022 – che memorie, documenti, richieste e istanze del difensore al pubblico ministero (compresa quella di interrogatorio dell’indagato ai sensi dell’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen.) siano depositati sul menzionato portale del processo penale telematico (PPPT), anziché – appunto – inviati mediante PEC.
Infine, l’intervento richiesto ora a questa Corte inevitabilmente si sovrapporrebbe in maniera disorganica all’esercizio della delega di cui all’art. 1, commi 5 e 6, della legge n. 134 del 2021, finalizzata a introdurre una compiuta e stabile disciplina del processo penale telematico.
5.4.– Di qui l’inammissibilità delle questioni prospettate (sulla inammissibilità della questione, laddove il rimedio al vulnus riscontrato richieda interventi normativi di sistema, implicanti scelte di fondo tra opzioni alternative rientranti tutte nella discrezionalità del legislatore, sentenze n. 259, n. 240, n. 146, n. 103, n. 33 e n. 32 del 2021, n. 250 del 2018 e n. 252 del 2012).
Al contempo, questa Corte non può, però, esimersi dal formulare il pressante auspicio che il Governo dia puntuale attuazione alla delega conferitagli dall’art. 1, commi 5 e 6, della legge n. 134 del 2021, confermando così anche per il futuro la facoltà per il difensore di giovarsi di modalità telematiche per l’effettuazione di notificazioni e depositi presso l’autorità giudiziaria. Ciò in coerenza con il dovere costituzionale di assicurare piena effettività al diritto di difesa, e assieme di superare definitivamente l’irragionevole disparità di trattamento tra parte pubblica e privata ravvisata, a ragione, dal giudice rimettente.