Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 28 febbraio 2022 e iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 28 dicembre 2021, n. 41, recante «Modifica dell’articolo 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici). Proroga termini», per violazione degli artt. 9, 117, secondo comma, lettere s) ed l), e 118 della Costituzione.
2.– La norma impugnata prevede la sostituzione, «[a]lla fine del comma 1 dell’articolo 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici)», delle parole: «31 dicembre 2021» con le seguenti: «31 dicembre 2022».
In particolare, il citato art. 27 stabilisce una procedura semplificata per la liquidazione degli usi civici, per la legittimazione dell’occupazione sine titulo di terre del demanio civico comunale e per l’affrancazione del fondo enfiteutico, relativamente alle aree individuate dall’art. 26 della medesima legge reg. Calabria n. 18 del 2007.
3.– Il ricorrente, dopo aver evidenziato che la norma impugnata sarebbe idonea a «determinare, irrimediabilmente, [la] stabilizzazione» di una disciplina, dal carattere originariamente provvisorio, ravvisa, innanzitutto, una violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., relativamente alla materia «“tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema”».
3.1.– A supporto di tale censura, viene ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, che testimonia la progressiva accentuazione del rilievo paesaggistico e ambientale delle terre gravate da usi civici.
Viene, a tal fine, richiamata, innanzitutto, la disciplina che ha previsto l’apposizione di un vincolo paesaggistico, finalizzato a veicolare interessi generali, in ragione del valore intrinseco di quelle aree (disciplina contenuta nell’art. 1, comma 1, lettera h, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, recante «Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale», convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, poi riprodotto nell’art. 142, comma 1, lettera h, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»). Inoltre, viene fatto riferimento all’introduzione con la legge 20 novembre 2017, n. 168 (Norme in materia di domini collettivi) del «concetto [di] “perpetua” destinazione agro-silvo-pastorale dei beni demaniali di uso civico» e alla previsione del mantenimento del vincolo paesaggistico «anche in caso di liquidazione degli usi civici» (art. 3, comma 3, della citata legge).
L’Avvocatura precisa, di seguito, che il principio generale della indivisibilità, inusucapibilità e perpetua destinazione agro-silvo-pastorale dei beni collettivi non sarebbe smentito dalla disciplina introdotta con l’art. 63-bis del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108. L’aggiunta di tre nuovi commi (8-bis, 8-ter e 8-quater) all’art. 3 della legge n. 168 del 2017, con l’attribuzione alle regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano della facoltà di consentire ai comuni, a determinate condizioni, trasferimenti di diritti di uso civico e permute in altre aree appartenenti al patrimonio disponibile degli enti territoriali e locali, avrebbe, infatti, una valenza eccezionale soggetta a stretta interpretazione.
Infine, il ricorrente ripercorre la giurisprudenza costituzionale, che avrebbe, a sua volta, sempre più valorizzato la «vocazione ambientalista degli usi civici e dei domini collettivi» (sentenza n. 103 del 2017), riconducendola alla competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
3.2.– Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, il ricorrente asserisce che la norma impugnata, favorendo un meccanismo semplificato di liquidazione degli usi civici, nonché di legittimazione dell’occupazione senza titolo e di affrancazione dei fondi enfiteutici, si porrebbe «radicalmente in contrasto con la disciplina statale che non reca analoghe “semplificazioni”» e, in specie, con i «principi sottesi alla legge n. 168 del 2017».
In particolare, ad avviso del ricorrente, detta norma regolerebbe in via autonoma una materia di competenza statale, posto che alle regioni sono state trasferite unicamente funzioni amministrative (sono richiamate, in proposito, le sentenze n. 178 e n. 113 del 2018 di questa Corte).
Al contempo, la norma impugnata, non tenendo conto della circostanza «che le zone gravate da usi civici sono assoggettate a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera h), del Codice dei beni culturali e del paesaggio», svolgerebbe «le funzioni riservate al piano paesaggistico, che è lo strumento al quale è rimessa la fissazione della disciplina d’uso dei beni paesaggistici, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio».
Il Presidente del Consiglio dei ministri asserisce, pertanto, l’«assoluta preminenza» assegnata nella legislazione statale allo strumento del piano paesaggistico, approvato sulla base di intesa tra Stato e regioni, (sono richiamati gli artt. 135, comma 1, 143 e 145 cod. beni culturali), che non sarebbe derogabile dal legislatore regionale (è richiamata, in proposito, la sentenza n. 182 del 2006).
4.– La citata violazione e, in particolare, il mancato ricorso allo strumento della co-pianificazione paleserebbero, al contempo, secondo il ricorrente, anche un contrasto con il principio di leale collaborazione di cui all’art. 118 Cost.
5.– Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la norma impugnata violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
5.1.– Ad avviso del ricorrente, la disciplina impugnata andrebbe a incidere sul «regime dominicale degli usi civici», in modo difforme rispetto a quanto previsto dalle norme statali, così pregiudicando la necessaria uniformità della regolazione dell’istituto su tutto il territorio nazionale.
L’Avvocatura generale dello Stato richiama, in proposito, la giurisprudenza costituzionale, nella parte in cui afferma che la disciplina dell’istituto è attratta «nella materia “ordinamento civile”, alla quale [appartengono] la qualificazione della natura pubblica o privata dei beni (sentenza n. 228 del 2016), la regolazione della titolarità e dell’esercizio del diritto, l’individuazione del suo contenuto, la disciplina delle facoltà di godimento e di disposizione in cui esso si estrinseca (art. 832 del codice civile) e quella della loro estensione e dei loro limiti. L’attribuzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato della materia “ordinamento civile” trova fondamento nell’esigenza, sottesa al principio di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati (da ultimo, sentenza n. 75 del 2021)» (sentenza n. 228 del 2021).
6.– Nel corso dell’udienza del 4 ottobre 2022, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021, per violazione degli artt. 9, 117, secondo comma, lettere s) ed l), nonché 118 Cost.
2.– La norma impugnata prevede la sostituzione, «[a]lla fine del comma 1 dell’articolo 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici)», delle parole: «31 dicembre 2021» con le seguenti: «31 dicembre 2022».
La disposizione così prorogata (ossia il citato art. 27 della legge reg. Calabria n. 18 del 2007) stabilisce una procedura semplificata per la liquidazione degli usi civici, per la legittimazione delle occupazioni sine titulo di terre del demanio civico comunale e per l’affrancazione del fondo enfiteutico.
In particolare, essa dispone per le aree di cui all’art. 26, comma 1, della medesima legge – «aree con destinazione urbanistica edificatoria, commerciale agricola o industriale, ovvero aree parzialmente o completamente edificate o pertinenze di fondi urbani» – un procedimento che esonera l’istante dal dover acquisire il parere delle comunità montane, nonché l’approvazione o il visto regionali.
Al contempo, l’art. 27, comma 4, della stessa legge reg. Calabria n. 18 del 2007 delinea un meccanismo di silenzio assenso, in base al quale «[l]’istanza si intende favorevolmente accolta ove il comune non comunichi entro il termine di centoventi giorni dalla presentazione il rigetto della stessa, ovvero rappresenti esigenze istruttorie o richieda l’integrazione di atti o documenti, nel qual caso, il termine è interrotto e riprende a decorrere per ulteriori centoventi giorni dall’espletamento dell’istruttoria o dall’integrazione documentale».
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la norma impugnata sia idonea a «determinare, irrimediabilmente, [la] stabilizzazione» di una disciplina, che violerebbe gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., relativamente alla materia della «“tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema”», nonché l’art. 118 Cost.
Ad avviso del ricorrente, il legislatore regionale avrebbe invaso la competenza legislativa esclusiva statale e avrebbe modificato unilateralmente, anziché tramite la pianificazione condivisa, il regime di beni gravati dal vincolo paesaggistico di cui all’art. 142, comma 1, lettera h), cod. beni culturali, in tal modo violando anche il principio di leale collaborazione.
4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, inoltre, che la disciplina impugnata andrebbe a incidere sul regime degli «usi civici e ora domini collettivi», ascrivibile alla materia «ordinamento civile» di esclusiva competenza statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La difformità della disposizione regionale prorogata rispetto a quanto previsto dalle norme statali pregiudicherebbe il fondamento ultimo della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, vale a dire la necessaria uniformità di disciplina su tutto il territorio nazionale.
5.– Questa Corte ritiene di esaminare anzitutto l’eccepita lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile.
La questione è fondata.
5.1.– La disciplina statale in materia di usi civici, nella sua complessa e articolata evoluzione, si è focalizzata su molteplici profili ascrivibili all’ordinamento civile, come sottolineato di frequente da questa Corte (sentenze n. 228 del 2021, n. 71 del 2020, n. 178 e n. 113 del 2018 e n. 103 del 2017): il regime della particolare categoria di beni, le vicende giuridiche che li riguardano, gli interessi implicati, nonché la natura e la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive.
5.1.1.– In particolare, la disposizione regionale impugnata, che proroga la previsione di procedure semplificate dirette alla liquidazione degli usi civici, alla affrancazione del fondo enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo, implicitamente si richiama ai paradigmi delineati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), nonché dal regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno).
Tale normativa statale, da un lato, adotta una prospettiva liquidatoria, quale riflesso di una «posizione di disfavore con cui il legislatore dell’epoca valutava l’uso promiscuo delle risorse fondiarie» (sentenza n. 228 del 2021), in quanto ritenuto foriero di conflittualità nel mondo agricolo, da un altro lato, tratteggia i caratteri dei beni che restano destinati agli usi collettivi, pur sotto l’egida della proprietà pubblica e talora della proprietà di associazioni agrarie.
In base alla citata legge n. 1766 del 1927, la liquidazione degli usi civici consiste in una trasformazione del diritto reale atipico di uso civico: talora nella proprietà pubblica di una parte del fondo, che viene scorporata e divisa dalla restante parte lasciata alla proprietà privata (artt. 5 e 6); talora nella sua mera conversione in un canone di natura enfiteutica spettante al comune (art. 7, primo comma); talora – ma solo nel caso delle ex province pontificie – nell’attribuzione della proprietà «a favore della popolazione di un Comune, di una frazione, o di una associazione agraria» (art. 7, secondo comma), a seguito di un meccanismo di affrancazione invertita, che fa salva l’imposizione di un canone a favore del privato.
Inoltre, rispetto ai beni assegnati in proprietà a un comune, o a una frazione, o a una associazione agraria – o ad essi pervenuti all’esito dei citati meccanismi – il legislatore opera una ulteriore distinzione fra le terre con una destinazione boschiva o pascoliva e le terre «convenientemente utilizzabili per la coltura agraria» (art. 11, primo comma). Solo per queste ultime si prevede un processo di quotizzazione e l’assegnazione a privati di diritti reali di enfiteusi, fermo restando l’onere propter rem di corrispondere il canone enfiteutico e salva la possibilità, a seguito dell’apporto di migliorie, di affrancare il fondo, ciò che conduce all’acquisizione della proprietà privata (art. 21, secondo comma).
Infine, quanto al terzo paradigma cui si rapporta la previsione regionale, la legittimazione delle occupazioni sine titulo, essa riguarda – sempre in base alla legislazione statale del 1927 – l’ipotesi nella quale sui beni di proprietà di un comune, di una frazione, o di una associazione agraria si verifichino occupazioni sine titulo protratte per almeno dieci anni, a fronte delle quali, se «l’occupatore […] abbia apportato sostanziali e permanenti migliorie» e se «la zona occupata non interrompa la continuità dei terreni», è eccezionalmente ammesso un meccanismo di legittimazione (art. 9, commi primo e secondo), fatta salva l’imposizione di un canone di natura enfiteutica a favore del comune, della frazione o delle associazioni.
In sostanza, i meccanismi di liquidazione degli usi civici, di affrancazione del fondo enfiteutico e di legittimazione delle occupazioni sine titulo delineati dal legislatore statale consentono, in talune particolari ipotesi e per differenti ragioni, di trasformare il diritto reale di uso civico in una prestazione pecuniaria.
Dove invece la destinazione agli usi civici permane, la stessa legge del 1927 già prospettava, insieme alla fruizione collettiva, un regime di inalienabilità (nei termini previsti dall’art. 12, secondo comma), e dunque di indisponibilità del bene, nonché la garanzia della sua destinazione.
Vero è che, a fronte di un tale assetto, lo stesso Stato ha ritenuto di delegare alle regioni – negli anni settanta del precedente secolo – le funzioni amministrative relative alle citate procedure (art. 66, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»), con l’eccezione dell’approvazione delle legittimazioni, di cui all’art. 9 della legge n. 1766 del 1927, che deve essere effettuata con decreto del Presidente della Repubblica d’intesa con la regione interessata (art. 66, settimo comma, dello stesso d.P.R. n. 616 del 1977).
Sennonché, la delega si limita, per l’appunto, alle funzioni amministrative e, dunque, non consente alle regioni di disciplinare i presupposti sostanziali dei diversi meccanismi e, invero, neppure di intervenire sui relativi procedimenti, ove il distacco dal modello delineato dal legislatore statale finisca per tradursi in un diverso modo di incidere sul regime giuridico di tali beni, operante solo nella singola regione (infra, punto 5.2.).
Del resto, anche di recente questa Corte ha escluso «che “nell’intero arco temporale di vigenza del Titolo V, Parte II, della Costituzione – sia nella versione antecedente alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), sia in quella successiva – e, quindi, neppure a seguito dei d.P.R. n. 11 del 1972 e n. 616 del 1977 […], il regime civilistico dei beni civici sia mai passato nella sfera di competenza delle Regioni. Infatti, la materia “agricoltura e foreste” di cui al previgente art. 117 Cost., che giustificava il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni e l’inserimento degli usi civici nei relativi statuti, mai avrebbe potuto comprendere la disciplina della titolarità e dell’esercizio di diritti dominicali sulle terre civiche” (sentenza n. 113 del 2018)» (sentenza n. 71 del 2020).
5.1.2.– Il contrasto della disciplina regionale impugnata con la competenza esclusiva statale, segnata dal perimetro dell’ordinamento civile, emerge poi con ulteriore evidenza, ove si passi a considerare l’impostazione della legislazione statale successiva a quella sopra richiamata.
Si tratta, infatti, di una normativa tutta ispirata all’obiettivo assiologico della conservazione di realtà e di territori, che vedono intrecciarsi l’ambiente e il paesaggio con le tradizioni antropologiche e culturali associate ai luoghi.
Un simile connubio si rinviene in due ordini di interventi.
Il primo è quello che ha imposto l’apposizione di un vincolo paesaggistico alle «aree assegnate alle università agrarie e [al]le zone gravate da usi civici» (art. 1, primo comma, lettera h, del d.l. n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, nella legge n. 431 del 1985, che ha integrato l’art. 82, quinto comma, lettera h, del d.P.R. n. 616 del 1977, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, recante «Protezione delle bellezze naturali», disposizione poi trasfusa nell’art. 142, comma 1, lettera h, cod. beni culturali).
Il secondo si identifica con la disciplina recata dalla legge n. 168 del 2017, fortemente innovativa rispetto ai capisaldi civilistici dell’istituto, a partire dal riconoscimento di una nuova istituzione espressamente attuativa degli artt. 2, 9, 42, secondo comma, e 43 Cost., i domini collettivi, qualificati come «ordinamento giuridico primario delle comunità originarie» e riferiti a una «collettività [di] membri» (art. 1, comma 1), che traggono normalmente utilità dal fondo (art. 2, comma 3, lettera a).
A tale paradigma si raccorda una nuova categoria di beni collettivi che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, ricomprende non soltanto le terre attribuite, originariamente o all’esito di liquidazioni, a comuni, frazioni o associazioni agrarie, nonché quelle derivanti da «scioglimento delle promiscuità» e da altri meccanismi previsti dalla legge n. 1766 del 1927; «da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione», ma anche le terre collettive delle comunioni familiari montane; i corpi idrici sui quali i residenti esercitano gli usi civici e, infine, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), le terre gravate da usi civici non ancora liquidati su proprietà di soggetti pubblici o privati. A tutto questo insieme di beni viene riferito il regime giuridico «dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale» (art. 3, comma 3).
La natura del bene si dimostra, dunque, funzionale a un interesse di godimento collettivo che spetta ai componenti della comunità, i quali sono al contempo vincolati, nella conservazione della destinazione delle terre, al rispetto di una «comproprietà inter-generazionale» (art. 1, comma 1, lettera c).
Quanto alla forma giuridica che la legge statale associa all’interesse, si tratta o di una proprietà collettiva (art. 1, comma 1, lettera c, e comma 2) o di «diritti di uso civico» in re aliena (art. 1, comma 2), senza attribuzione di quote, la cui titolarità è riferita a «enti esponenziali […] di diritto privato» (art. 1, comma 2), secondo una logica radicalmente distinta da quella del dominio individuale, ma che si colloca ugualmente nel solco della dimensione privatistica.
L’approccio fortemente conservativo della nuova disciplina rende non agevole il coordinamento ermeneutico con la precedente legge n. 1766 del 1927, che non è stata abrogata con il nuovo intervento.
Per un verso, vengono attribuiti anche alle terre gravate da usi civici non ancora liquidati (art. 3, comma 1, lettera d, della legge n. 168 del 2017) i caratteri della inalienabilità, della indivisibilità, della inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale. Per un altro verso, l’art. 3, comma 6, della medesima legge fa espresso riferimento al «caso di liquidazione degli usi civici».
Il punto di saldatura fra perpetua destinazione dei beni e liquidazione degli usi civici viene individuato dallo stesso art. 3, comma 6, nel mantenimento del vincolo paesaggistico anche all’esito del meccanismo liquidatorio.
Un così delicato e complesso raccordo normativo, che impone il massimo rigore nella verifica dei presupposti sostanziali che consentono di accedere alla liquidazione degli usi, alla affrancazione del fondo e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo, non consente alcuna ingerenza da parte del legislatore regionale.
5.2.– Per converso, l’impugnato art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021 non solo invade una materia di esclusiva competenza del legislatore statale, ma oltretutto, nel prorogare la vigenza di una disciplina improntata alla massima semplificazione delle citate procedure, si colloca agli antipodi delle esigenze cui fa fronte la disciplina statale.
Dove la legislazione statale prevede la competenza regionale e, nel caso delle legittimazioni di cui all’art. 9 della legge n. 1766 del 1927, il decreto del Presidente della Repubblica, d’intesa con la regione interessata (supra, punto 5.1.1), l’art. 27 prorogato dal citato art. 1 esclude tout court l’approvazione e lo stesso visto regionale, così facendo residuare la mera competenza comunale ai sensi dell’art. 14 della legge reg. Calabria n. 18 del 2007.
Infine, e soprattutto, il legislatore regionale dispone un meccanismo di silenzio assenso il quale espone al rischio che non vengano effettuati i delicati e rigorosi accertamenti richiesti rispetto ai procedimenti di liquidazione degli usi civici, di affrancazione dei fondi, nonché rispetto alla eccezionale previsione della legittimazione di occupazioni sine titulo.
Un tale meccanismo non solo non è contemplato dal legislatore statale, ma al contrario – come si dirà (infra, punto 6) – in presenza del vincolo paesaggistico è espressamente escluso.
In sostanza, la disciplina regionale impugnata configura un procedimento semplificato che, nel distaccarsi dal modello delineato dal legislatore statale e dalle finalità conservative dei beni gravati da usi civici, si risolve in un diverso modo di incidere sul regime giuridico di tali beni, il che non compete in alcun modo alle regioni.
5.3.– Deve, dunque, ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto disposizione che proroga una disciplina invasiva della materia di competenza esclusiva del legislatore statale «ordinamento civile», differenziando, per il solo territorio della Regione Calabria, il modo di procedere alla liquidazione degli usi civici, all’affrancazione del fondo enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo.
Viene, in tal modo, intaccato il fondamento stesso della «attribuzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato» della competenza in materia di ordinamento civile, che si rinviene «nell’esigenza, sottesa al principio di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati» (da ultimo sentenza n. 228 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 75 del 2021).
6.– Parimenti fondata è la questione di legittimità costituzionale posta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riguardo alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
La richiamata evoluzione della disciplina statale attesta una «consolidata vocazione ambientalista degli usi civici e dei domini collettivi» (sentenza n. 228 del 2021) che – secondo un orientamento costante di questa Corte (sentenze n. 228 del 2021, n. 103 del 2017, n. 367 del 2007, n. 46 del 1995, n. 133 del 1993, n. 391 del 1989, n. 151, n. 152 e n. 153 del 1986) – «chiama in causa la competenza esclusiva del legislatore statale» in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (ancora sentenza n. 228 del 2021).
Il d.l. n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, all’art. 1, comma 1, e, con il medesimo contenuto, il successivo codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 142, comma 1, lettera h) hanno sottoposto a vincolo paesaggistico tutti i beni destinati a usi civici, senza operare alcuna distinzione fra destinazione boschiva e pascoliva o destinazione agricola. È il segno, insieme a una generalizzata esigenza di protezione del paesaggio, di un nuovo rapporto fra ambiente e agricoltura, di un possibile utilizzo eco-sostenibile della terra che vede coniugarsi la fruizione collettiva con le istanze di conservazione «degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di “una integrazione tra uomo e ambiente naturale” (art. 1, comma 3, della legge quadro sulle aree protette, 6 dicembre 1991, n. 394)» (sentenza n. 46 del 1995).
L’impostazione trova una chiara conferma nella legge n. 168 del 2017 che, all’art. 2, comma 1, motiva la tutela e la valorizzazione dei beni collettivi di godimento, anche a beneficio delle «future generazioni» (sentenza n. 228 del 2021), con la loro attitudine a configurarsi quali: «a) elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali; b) strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale; c) componenti stabili del sistema ambientale; d) basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale; e) strutture eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale; f) font[i] di risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività locali degli aventi diritto».
Ebbene, la disciplina regionale contestata, nel prorogare la possibilità di liquidare gli usi civici, di affrancare i fondi e di legittimare le occupazioni sine titulo, attraverso un procedimento semplificato che esclude l’approvazione o il nulla osta della regione, non solo invade la competenza esclusiva del legislatore statale in materia ambientale, ma deroga alle stesse previsioni statali quanto ai soggetti competenti a provvedere (supra, punto 5.2.), eludendo i controlli predisposti a tutela del paesaggio e dell’ambiente.
Inoltre, e soprattutto, la disposizione regionale impugnata proroga un meccanismo di silenzio assenso nell’approvazione dei citati provvedimenti che, riguardando beni gravati dal vincolo paesaggistico, si pone in aperta collisione con la legislazione statale. L’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e successive modificazioni, esclude l’applicazione del silenzio assenso cosiddetto “verticale”, ove vengano in rilievo il patrimonio culturale e paesaggistico o l’ambiente (da ultimo si veda la sentenza n. 160 del 2021).
Una tale semplificazione di procedimenti che necessitano, per il loro contenuto e il loro incidere su beni di rilievo paesaggistico, ambientale e culturale, di controlli effettivi, non surrogabili con il mero trascorrere del tempo, determina la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
7.– È, dunque, dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021 che, nel disporre la proroga dell’art. 27 della legge reg. Calabria n. 18 del 2007, ha invaso la competenza esclusiva del legislatore statale in materia sia di ordinamento civile sia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
8.– Sono assorbite le ulteriori questioni promosse dal ricorso.