Considerato in diritto
1.– Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto tre distinte questioni di legittimità costituzionale di altrettante disposizioni della legge della Regione Siciliana 6 agosto 2019, n. 14 (Collegato alla legge di stabilità regionale per l’anno 2019 in materia di pubblica amministrazione e personale. Interventi in favore dell’aeroporto di Trapani Birgi).
1.1.– È impugnato, anzitutto, l’art. 3 della citata legge regionale, il quale modifica l’art. 10, comma 1, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2012, n. 47 (Istituzione dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza e dell’Autorità Garante della persona con disabilità. Modifiche alla legge regionale 9 maggio 2012, n. 26), sostituendo (al comma 1) le parole «il Garante si avvale degli uffici e del personale dell’Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro senza ulteriori e maggiori oneri a carico del bilancio della Regione» con le parole «al Garante vengono garantite adeguate risorse umane e finanziarie. A tal fine è istituito un ufficio alle dirette dipendenze del Garante denominato Ufficio del Garante il cui personale è individuato con decreto dell’Assessore regionale per la famiglia, le politiche sociali ed il lavoro nell’ambito delle attuali dotazioni organiche».
Il comma 2 del denunciato art. 3 stabilisce, quindi, che «[p]er le finalità del presente articolo è autorizzata, per l’esercizio finanziario 2019, la spesa di 45 migliaia di euro per il funzionamento dell’Ufficio e per ogni altra iniziativa promossa dal Garante nell’ambito delle proprie funzioni. Ai relativi oneri si provvede, per l’esercizio finanziario 2019, mediante riduzione di pari importo delle disponibilità della Missione 20, Programma 3, Capitolo 215704 – accantonamento 1001».
Il ricorrente sostiene che la norma impugnata contrasti con l’art. 81 [terzo comma] della Costituzione e con l’art. 14 [lettera p] del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, poiché avrebbe un «impatto pluriennale sulla finanza regionale, ma non quantifica in alcun modo gli oneri a carico della Regione per gli anni successivi al 2019 (individuati come visto al comma 2), né individua le risorse per far fronte agli stessi».
1.2.– Viene, poi, denunciato l’art. 7 della medesima legge regionale n. 14 del 2019, il cui comma 1 estende ai dipendenti della Regione l’applicazione degli istituti del trattamento anticipato di pensione e del finanziamento dell’indennità di fine servizio previsti, rispettivamente, dagli artt. 14 e 23, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26; mentre il comma 2 dello stesso art. 7 individua, per una certa categoria di dipendenti regionali – quelli di cui all’art. 52, comma 5, della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale) – requisiti e modalità del trattamento pensionistico, escludendo, dai primi, gli incrementi alla speranza di vita di cui all’art. 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, e stabilendo, quanto alle seconde, la decorrenza del trattamento di quiescenza trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti pensionistici.
Al comma 3, infine, l’art. 7 censurato dispone che dalla sua attuazione «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione».
Ne consegue – ad avviso della difesa erariale – la lesione degli artt. 81 [terzo comma] Cost. e 17 [lettera f] dello statuto di autonomia, nonché della norma interposta dell’art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), giacché, a fronte della disciplina innanzi ricordata, la «clausola di invarianza […] finisce con l’essere una mera clausola di stile […] del tutto avulsa dalla effettiva realtà economica e finanziaria», come, del resto, sarebbe dimostrato dal fatto che «la disposizione è del tutto sprovvista della Relazione tecnica di accompagno», di cui al citato art. 17 della legge n. 196 del 2009.
1.3.– È, da ultimo, impugnato l’art. 11 della medesima legge regionale n. 14 del 2019, che sostituisce le parole «31 dicembre 2018» con le parole «31 dicembre 2020» nel contesto dell’art. 7, comma 2, della legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n.8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale). Norma, quest’ultima, che, a sua volta, rinviava alla scadenza della predetta data (del 31 dicembre 2018) l’applicazione, nei confronti degli enti, istituti, aziende, agenzie, consorzi ed organismi regionali comunque denominati (ad eccezione degli enti finanziati con il fondo sanitario regionale), di cui al comma 3 dell’art. 6 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I.), delle disposizioni dell’art. 11 della legge della regione Siciliana 13 gennaio 2015, n. 3 (Autorizzazione all’esercizio provvisorio del bilancio della Regione per l’anno 2015. Disposizioni finanziarie urgenti. Disposizioni in materia di armonizzazione dei bilanci), concernenti i principi contabili e schemi di bilancio di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).
La norma impugnata recherebbe un vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che ascrive allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, giacché – dopo l’ultimo differimento al 1° gennaio 2019 previsto dalla citata legge regionale n. 8 del 2018 – «dispone un ulteriore rinvio di ben due anni del termine di adozione per gli organismi e degli enti strumentali della Regione», della disciplina sui principi contabili e sugli schemi di bilancio recata dal d.lgs. n. 118 del 2011, mettendo in evidenza «un’innegabile volontà di elusione di quei principi».
2.– La Regione Siciliana, costituitasi in giudizio, ha chiesto dichiararsi «inammissibile o, comunque, non fondato il ricorso».
2.1.– Quanto all’impugnazione dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 14 del 2019, la resistente si limita a rappresentare che provvederà, «con apposita modifica normativa “alla quantificazione dell’onere annuo” con la relativa copertura finanziaria “alla legge di bilancio”».
2.2.– In riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della stessa legge regionale, la Regione Siciliana ne eccepisce, anzitutto, l’inammissibilità per erronea individuazione del parametro costituzionale che si assume vulnerato, dovendo esso ravvisarsi non già nell’art. 17, lettera f), dello statuto, bensì nell’art. 14, lettera q), che precede, il quale intesta alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di «stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato».
Nel merito, la difesa regionale premette, e ribadisce in memoria, che i dipendenti destinatari della norma sarebbero solo quelli di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 10 della legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986, n. 21 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 29 ottobre 1985, n. 41, recante «Nuove norme per il personale della Amministrazione regionale» e altre norme per il personale comandato, dell’occupazione giovanile e i precari delle unità sanitarie locali), il cui trattamento è regolato dall’art. 51 della legge reg. Siciliana n. 9 del 2015, il quale, al comma 3, stabilisce che «il trattamento pensionistico complessivo annuo lordo non può superare l’ottantacinque per cento della media delle retribuzioni degli ultimi cinque anni». Sicché, al momento della risoluzione del rapporto, le erogazioni di carattere pensionistico dovrebbero ridursi di «un’aliquota non inferiore al 25%», dovendo, altresì, tenersi conto che i dipendenti potenzialmente interessati dalla norma censurata sarebbero circa cento, con «ricadute patrimoniali pressoché consequenziali irrisorie».
Inoltre, quanto al comma 2 del censurato art. 7, la difesa regionale evidenzia che il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 5 dicembre 2017 (Adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita) ha incrementato di 5 mesi i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici di cui all’art. 12, commi 12-bis e 12-quater, del d.l. n. 78 del 2010 (come convertito), per cui – avendo ciò snaturato «l’iniziale perimetro di calcolo dei requisiti di pensione, come previsto dalla richiamata legge reg. n. 9/2015» – il censurato comma 2 dell’art. 7 in esame risponderebbe alla ratio dell’art. 52 della legge regionale n. 9 del 2015, e cioè quella di consentire, «ai dipendenti che avevano già presentato istanza di ottenere il collocamento a riposo», sterilizzando detto incremento, senza però introdurre alcuna deroga al regime ordinario dei requisiti di accesso al pensionamento dei dipendenti della Regione Siciliana e senza, di conseguenza, comportare alcun incremento di spesa sul bilancio regionale.
Argomentazioni, queste, che la resistente sostiene essere, peraltro, coerenti «con la relazione tecnica depositata dall’ARS sull’articolo 9 del DDL 491, corrispondente all’impugnato art. 7 della legge regionale n. 14 del 2019, utilizzata poi dal competente Assessorato regionale nel controdedurre alle osservazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze»; controdeduzioni che il Governo non avrebbe tenuto in considerazione nel decidere sull’impugnativa in esame.
2.3.– Infine, quanto all’ultima questione proposta con il ricorso, relativa all’art. 11 indicato, la difesa regionale rappresenta che la proroga ivi disposta – rispetto ad un termine già prorogato senza censure da parte dello Stato – si sarebbe resa necessaria affinché alcuni enti e organismi regionali potessero «adeguarsi alle regole dell’armonizzazione contabile», là dove, peraltro, la Regione Siciliana avrebbe, comunque, dato «avvio ai processi di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio», essendosi, quindi, «correttamente attenuta a tutti gli insegnamenti» della giurisprudenza costituzionale in materia, a partire dalla sentenza n. 178 del 2012.
3.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Sicilia n. 14 del 2019, che viene in primo luogo in esame, è fondata.
3.1.– Giova, anzitutto, rammentare l’orientamento costante di questa Corte secondo cui il canone costituzionale dell’art. 81, terzo comma, Cost. («Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte») «opera direttamente, a prescindere dall’esistenza di norme interposte» (ex plurimis, sentenze n. 26 del 2013 e n. 227 del 2019), applicandosi immediatamente anche agli enti territoriali ad autonomia speciale. Del resto, è lo stesso statuto della Regione Siciliana che, nell’attribuire alla Regione competenza legislativa esclusiva su determinate materie e, tra queste, a quella dell’ordinamento degli uffici e degli enti regionali (art. 14, lettera p), ne condiziona, al suo unico comma, l’esercizio «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato».
3.2.– Nondimeno, sussistono, nella specie, disposizioni puntualmente attuative del precetto costituzionale, da ravvisarsi, in primo luogo, nell’art. 19 della legge 196 del 2009 in forza del quale si prescrive, anche nei confronti delle Regioni, la previa quantificazione della spesa quale presupposto della copertura finanziaria («per l’evidente motivo che non può essere assoggettata a copertura un’entità indefinita»: così la sentenza n. 147 del 2018) e, quindi, nelle disposizioni – ulteriormente specificative dell’art. 81, terzo comma, Cost. – di cui agli artt. 36, 38, 39 e 48 del d.lgs. n. 118 del 2011, a tenore dei quali, le leggi regionali che prevedono spese obbligatorie a carattere continuativo (e, tra queste, le spese «relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni ed altre spese fisse»: comma 1, lettera a, del citato art. 48) debbono quantificarne l’onere annuale per ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio di previsione, che deve avere «un orizzonte temporale almeno triennale» (artt. 36 e 39 citati).
Il denunciato art. 3 della legge reg. Siciliana n. 14 del 2019 ha viceversa circoscritto al solo esercizio finanziario 2019 l’autorizzazione di spesa per il funzionamento del neo-istituito Ufficio del Garante «e per ogni altra iniziativa promossa dal Garante nell’ambito delle proprie funzioni», pur dotando detto Ufficio di personale.
La norma impugnata, dunque, viene ad autorizzare spese che comprendono (anche e soprattutto) quelle per il personale in dotazione dell’Ufficio e, dunque, le spese per gli «stipendi», nonché, comunque (e necessariamente), ulteriori «spese fisse» per il funzionamento dell’Ufficio medesimo e per le iniziative assunte dal Garante coerentemente con le funzioni assegnategli.
Si tratta, quindi, di «spese continuative obbligatorie», che richiedono, alla luce di quanto evidenziato, una quantificazione dell’onere annuale previsto per ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio di previsione: ciò che la Regione ha mancato appunto di adottare con il denunciato art. 3, in contrasto, pertanto, con l’art. 81, terzo comma, Cost.
4.– Anche la questione di legittimità dell’art. 7 della stessa legge reg. n. 14 del 2019 è fondata.
4.1.– Va, anzitutto, disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Siciliana in ragione della non corretta individuazione del parametro statutario di riferimento, che, secondo la resistente, andrebbe individuato nella lettera q) dell’art. 14 dello statuto di autonomia, che attribuisce alla Regione stessa competenza legislativa esclusiva sullo stato giuridico ed economico degli impiegati regionali.
A tal fine è dirimente rammentare quanto già evidenziato (punto 3.1., che precede) circa l’applicazione immediata, anche alla Regione Siciliana, del precetto di cui al terzo comma dell’art. 81 Cost., là dove, peraltro, il parametro costituzionale indicato dallo stesso ricorrente trova comunque evidenza, nella sua più ampia portata, in base alla sostanza delle censure svolte dall’Avvocatura generale dello Stato.
4.2.– Venendo alla proposta questione di legittimità costituzionale, occorre anzitutto premettere che il pagamento del trattamento di quiescenza e dell’indennità di buonuscita del personale regionale è a carico di apposito Fondo di Quiescenza, (art. 15 della legge della Regione Siciliana 14 maggio 2009, n. 6, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2009»), «avente natura giuridica di ente pubblico non economico» (comma 2), con propria dotazione finanziaria iniziale, cui provvede la Regione.
Il Fondo, in particolare, è gravato (art. 15, comma 7) dell’onere del trattamento di quiescenza del personale destinatario delle disposizioni di cui al primo comma dell’art. 10 della legge reg. Siciliana n. 21 del 1986, con apposito trasferimento ad esso della contribuzione previdenziale a carico del dipendente ed a carico dell’Amministrazione regionale (art. 15, comma 9).
Quanto, poi, al personale di cui al secondo e terzo comma del citato art. 10, l’onere del trattamento di quiescenza, nonché quello relativo all’indennità di buonuscita di tutto il personale regionale, a decorrere dall’esercizio finanziario 2010, «è a carico del bilancio della Regione che provvede al relativo pagamento tramite il Fondo, attraverso appositi trasferimenti» (art. 15, comma 8).
Giova rammentare, altresì, che il comma primo dell’art. 10 della legge reg. n. 21 del 1986 aveva previsto, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della medesima legge regionale, che al personale regionale – tranne per quello in servizio (o comunque assunto in base concorsi indetti entro la predetta data) o già in quiescenza (commi secondo e terzo dello stesso art. 10) – trovasse applicazione la disciplina del trattamento di quiescenza e delle prestazioni previdenziali dettata dalle norme relative agli impiegati civili dello Stato, «restando ferma la competenza diretta della Regione per l’amministrazione dei relativi trattamenti».
Soltanto con l’art. 20, comma 1, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2003, n. 21 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2004) si è provveduto ad estendere al personale di cui ai citati commi secondo e terzo dell’art. 10 della legge reg. n. 21 del 1986 il «sistema contributivo di cui all’articolo 1, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 e successive modifiche ed integrazioni», nonché le norme statali concernenti i requisiti per l’accesso alle prestazioni previdenziali; inoltre, lo stesso art. 20, al comma 6, ha previsto che per tutto il personale della Regione (senza eccezioni) la liquidazione dell’indennità di buonuscita (fatta salva la quota già maturata) avvenga con le modalità di calcolo dettate «dalle disposizioni statali che disciplinano la materia».
Quanto, poi, al calcolo della residua quota retributiva di pensione del personale regionale destinatario delle disposizioni di cui all’art. 10, commi secondo e terzo, della legge reg. n. 21 del 1986, l’art. 51 della citata legge reg. n. 9 del 2015 ha stabilito che venga effettuato «in base alle norme relative agli impiegati civili dello Stato» (comma 1), indicando nella misura massima dell’«ottantacinque per cento della media delle retribuzioni degli ultimi cinque anni» il tetto del trattamento pensionistico complessivo annuo lordo (comma 3), ma comunque non inferiore a quello previsto per gli impiegati civili dello Stato (comma 6).
Il successivo art. 52 (richiamato dal censurato art. 7 della legge reg. n. 14 del 2019) ha disposto, sempre nei soli confronti dei dipendenti anzidetti – collocati, però, in quiescenza entro il 31 dicembre 2020 con i requisiti pensionistici di cui al decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, per i quali trovano applicazione i trattamenti di pensione disciplinati dall’art. 20 della legge reg. n. 21 del 2003 – «una decurtazione della quota retributiva tale da determinare una riduzione complessiva del 10 per cento sul trattamento pensionistico complessivo annuo lordo finale, che non può in ogni caso superare il novanta per cento della media delle retribuzioni degli ultimi cinque anni per coloro che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2016 e dell’ottantacinque per cento per coloro che maturano i requisiti dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2020» (comma 1).
Il comma 5 dello stesso art. 52 (anch’esso richiamato dal censurato art. 7 della legge reg. n. 14 del 2019) ha, quindi, stabilito che, «al fine di ridurre ulteriormente la spesa per il personale in servizio e di contenere la spesa pensionistica a carico del bilancio della Regione, i dipendenti che, nel periodo dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2020, maturino i requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico in base alla disciplina vigente prima dell’entrata in vigore dell’articolo 24 del decreto legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011, possono presentare la domanda di collocamento anticipato in quiescenza» entro 180 giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della stessa legge reg. n. 9 del 2015.
Infine, il comma 8 del medesimo art. 52 ha previsto che il «trattamento di fine servizio o di fine rapporto dei dipendenti collocati in quiescenza ai sensi del presente articolo è corrisposto con le modalità e i tempi previsti dai commi 484 e 485 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147», recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»: ossia, quanto ai tempi, decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro ovvero dodici mesi in casi particolari (cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio), fatta eccezione «per i soggetti che hanno maturato i relativi requisiti entro il 31 dicembre 2013» (comma 484).
4.3.– L’art. 7 della legge regionale n. 14 del 2019 estende, come detto, ai dipendenti della Regione l’applicazione degli istituti del trattamento anticipato di pensione (cosiddetta “quota 100”, ossia la sommatoria tra il requisito dell’età anagrafica non inferiore ad anni 62 e il requisito dell’anzianità contributiva non inferiore ad anni 38) e del finanziamento dell’indennità di fine servizio (che consente ai beneficiari della cosiddetta “quota 100” di poter conseguire detta indennità in via anticipata rispetto al momento di maturazione dei requisiti ordinari di accesso alla pensione, dettati dal citato d.l. n. 201 del 2011) previsti, rispettivamente, dagli artt. 14 e 23 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito; mentre il comma 2 dello stesso art. 7, individua, per una certa categoria di dipendenti regionali – quelli di cui all’art. 52, comma 5, della legge reg. n. 9 del 2015 – requisiti e modalità del trattamento pensionistico, escludendo, dai primi, l’incremento della speranza di vita di cui all’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010 (aggiornati a cadenza triennale con decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare almeno dodici mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento) e stabilendo, quanto alle seconde, la decorrenza del trattamento di quiescenza dopo tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti pensionistici.
4.4.– Gli oneri derivanti dalla complessiva “manovra pensionistica” recata dal d.l. n. 4 del 2019, tra cui in particolare la cosiddetta “quota 100”, sono individuati dall’art. 28, comma 1, del medesimo decreto-legge e complessivamente valutati «in 4.719,1 milioni di euro per l’anno 2019, in 8.717,1 milioni di euro per l’anno 2020», nonché in importi progressivamente più elevati per gli anni successivi, venendo indicate anche le risorse per farvi fronte [comma 2, lettere a) e b)].
Quanto, poi, al finanziamento del trattamento di fine servizio di cui all’art. 23 del medesimo d.l., il relativo accesso è garantito, al comma 3, attraverso l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, di un apposito Fondo «con una dotazione iniziale pari a 75 milioni di euro per l’anno 2019». La garanzia del Fondo copre l’80 per cento del finanziamento di cui al comma 2 e dei relativi interessi. Il Fondo è ulteriormente alimentato con le commissioni, orientate a criteri di mercato, di accesso al Fondo stesso, che a tal fine sono versate sul conto corrente presso la tesoreria dello Stato.
4.5.– Secondo la resistente, l’estensione della cosiddetta “quota 100” ai dipendenti della Regione siciliana non comporterebbe – come previsto dal comma 3 dell’art. 7 della legge regionale impugnata – nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio regionale; ne potrebbero derivare, anzi, risparmi di spesa.
4.6.– A dimostrazione di quanto precede, la Regione resistente, come detto, sostiene che i destinatari della norma denunciata sarebbero solo i dipendenti di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 10 della legge regionale n. 21 del 1986, da individuarsi concretamente in soltanto circa 100 unità, là dove, poi, la previsione del comma 2 dello stesso art. 7 risponderebbe alla ratio dell’illustrato art. 52, comma 5, della legge regionale n. 9 del 2015, che, nel consentire di ottenere, ai dipendenti che lo avevano già richiesto, il collocamento a riposo, non introdurrebbe alcuna deroga al regime ordinario dei requisiti di accesso al pensionamento dei dipendenti della Regione Siciliana, né ciò comporterebbe un ricambio di personale tramite nuove assunzioni, impedite – come innanzi evidenziato − dall’art. 4 della stessa legge regionale n. 14 del 2019.
4.6.1.– Tuttavia, la asserita limitazione della platea dei destinatari ai dipendenti di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 10 della legge regionale n. 21 del 1986 non risulta confortata dalla chiara formulazione dell’impugnato art. 7, comma 1, là dove, peraltro, una siffatta limitazione neppure assume il rilievo che intende attribuirle la Regione, poiché l’art. 20 della legge regionale n. 21 del 2003 ha esteso – come visto − anche al personale anzidetto i requisiti pensionistici degli impiegati civili dello Stato.
Quanto, poi, al comma 2 impugnato, esso interviene in senso più favorevole sui requisiti di accesso alla pensione, valorizzando quelli previgenti al d.l. n. 201 del 2011 e sterilizzando il relativo incremento derivante dalla cosiddetta “speranza di vita” (di cui, anzitutto, al d.l. n. 78 del 2010), essendo quindi dubbio che, per i dipendenti regionali cui tale disposizione fa riferimento, non si sia consentito di andare in pensione in deroga alla disciplina ordinaria dettata dalla legislazione statale, così da non gravare con maggiore incidenza (essendo pensionati con minore età anagrafica) sul “Fondo pensioni Sicilia”.
4.7.– Quel che, però, più risalta, e decisamente rileva, è che, a fronte di così incisivi interventi nel settore previdenziale (sui trattamenti di pensione e su quelli di fine servizio) come quelli disciplinati dagli artt. 14 e 23 del d.l. n. 4 del 2019, che investono anche la platea dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e che hanno comportato per lo Stato ingenti oneri finanziari, la difesa regionale – nonostante che l’art. 7 denunciato estenda detti interventi ai dipendenti della Regione con una clausola di invarianza finanziaria – si limita a deduzioni affatto generiche e non del tutto concludenti quanto all’insussistenza di oneri a carico del bilancio regionale, in toto gravato (in via diretta o indiretta) dalla spesa per il trattamento di quiescenza e per l’indennità di fine servizio dei dipendenti della Regione. E ciò senza, appunto, fornire riscontro alcuno ai propri assunti.
Analogamente è da ravvisarsi per le difese regionali contrastanti la violazione – evocata dal ricorrente – della norma interposta di cui all’art. 17 della legge n. 196 del 2009, per l’assenza di una relazione tecnica a corredo del disegno di legge in punto di quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture.
A tal riguardo, va ricordato che, ai sensi del citato art. 17, comma 3, «i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo, gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati di una relazione tecnica, predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero dell’economia e delle finanze, sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture, con la specificazione, per la spesa corrente e per le minori entrate, degli oneri annuali fino alla completa attuazione delle norme e, per le spese in conto capitale, della modulazione relativa agli anni compresi nel bilancio pluriennale e dell’onere complessivo in relazione agli obiettivi fisici previsti».
Il successivo comma 6-bis precisa, poi, che «[p]er le disposizioni corredate di clausole di neutralità finanziaria, la relazione tecnica riporta la valutazione degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli elementi idonei a suffragare l’ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, attraverso l’indicazione dell’entità delle risorse già esistenti nel bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione. In ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria».
Il comma 7, primo periodo, dello stesso art. 17 stabilisce, infine, che «[p]er le disposizioni legislative in materia pensionistica e di pubblico impiego, la relazione di cui al comma 3 contiene un quadro analitico di proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all’andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari e al comparto di riferimento».
Si tratta di “metodologie di copertura” finanziaria delle leggi di spesa che, richiamando proprio l’art. 81, terzo comma, Cost., l’art. 19, comma 2, della medesima legge n. 196 del 2009 prevede che siano utilizzate anche dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
La resistente, a tal fine, si limita a richiamare a sostegno «la relazione tecnica depositata dall’ARS sull’articolo 9 del DDL 491, corrispondente all’impugnato art. 7 della legge regionale n. 14 del 2019, utilizzata poi dal competente Assessorato regionale nel controdedurre alle osservazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze»; tuttavia, non solo di tale relazione non si fornisce dettaglio alcuno, ma l’art. 9 citato riguarda tutt’altra materia, ossia quella delle «Convenzioni» relative al sistema di gestione del ciclo dei rifiuti.
Questa Corte (con la sentenza n. 227 del 2019), in tema di necessaria copertura finanziaria delle spese ai sensi dell’art. 81, terzo comma, Cost., ha già posto in rilievo come una legge “complessa” dovrebbe «essere corredata, quantomeno, da un quadro degli interventi integrati finanziabili, dall’indicazione delle risorse effettivamente disponibili a legislazione vigente, da studi di fattibilità di natura tecnica e finanziaria e dall’articolazione delle singole coperture finanziarie, tenendo conto del costo ipotizzato degli interventi finanziabili e delle risorse già disponibili».
Nella specie, come detto, le argomentazioni a sostegno della coerenza della clausola di invarianza finanziaria con la spesa previdenziale che comporta l’art. 7 denunciato sono generiche e prive di riscontri ed evocano, peraltro, un assunto – quello del risparmio di spesa in ragione della minore consistenza economica del trattamento di pensione rispetto a quello stipendiale, senza ulteriori oneri sotto quest’ultimo profilo in mancanza di nuove assunzioni – che (al di là della carenza in concreto di effettiva dimostrazione) non è neppure concludente. E ciò in quanto la sostenibilità del sistema pensionistico regionale – anch’esso espressione dell’art. 38 Cost., quale norma ispirata dal presupposto per cui detta sostenibilità (ossia l’equilibrio tra spesa previdenziale ed entrate a copertura della stessa) venga assicurata anzitutto all’interno dello stesso sistema, in ragione della contribuzione dei “lavoratori”, essendo l’intervento statale ad “integrazione” – vedrebbe, da un lato, aumentato il carico finanziario della spesa per i trattamenti di quiescenza (in ragione della più giovane età dei pensionati) e, dall’altro, non sarebbe sostenuto, nel tempo, da adeguate risorse contributive in assenza di nuove assunzioni.
Donde, un disequilibrio finanziario il cui rimedio non potrebbe che essere – come, del resto, è nel sistema attuale gestito “a ripartizione” − l’assunzione dei relativi oneri a carico del bilancio regionale, che la norma denunciata non indica affatto.
5.– Infine, anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge regionale n. 14 del 2019 è fondata.
5.1.– Va, anzitutto, ricordato che l’art. 11 della legge della regione Siciliana n. 3 del 2015 – nelle more della definizione, in conformità con lo statuto regionale, mediante le procedure di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), della decorrenza e modalità di applicazione delle disposizioni del d.lgs. n. 118 del 2019 e successive modifiche ed integrazioni, secondo quanto previsto dall’art. 79 del decreto stesso – aveva previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la Regione e i suoi enti e organismi strumentali (esclusi quelli del settore sanitario) avrebbero applicato le disposizioni del medesimo d.lgs. n. 118 del 2011 «secondo quanto previsto dal presente articolo».
Per quanto concerne gli organismi e gli enti strumentali regionali, i successivi commi 2 e 3, nel loro combinato contesto rinviano all’esercizio finanziario 2015 l’applicazione degli artt. 2 (affiancamento della contabilità economico patrimoniale alla contabilità finanziaria) e 4 (adozione del piano dei conti integrato) del citato d.lgs. n. 118 del 2011.
Infine, il successivo comma 9 del medesimo art. 11 imponeva a detti enti strumentali l’adeguamento dei propri regolamenti contabili alle disposizioni del d.lgs. n. 118 del 2011 «entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, fermo restando che le disposizioni dei regolamenti in contrasto con quelle del medesimo decreto legislativo cessano di avere efficacia dall’1 gennaio 2015».
L’art. 7, comma 1, della legge regionale n. 8 del 2018, modificando il comma 3 dell’art. 6 della legge regionale n. 16 del 2017, ha imposto agli organi di amministrazione di enti istituti, aziende, agenzie, consorzi ed organismi regionali comunque denominati, di adottare entro il rendiconto generale o il bilancio d’esercizio entro il 30 giugno dell’anno successivo, pena la decadenza dell’organo e la nullità degli atti adottati. Tale disposizione, stabilisce il comma 2 dell’art. 7 citato, trova applicazione dal 1° gennaio 2019.
Lo stesso art. 7 della legge regionale n. 8 del 2018 aveva disposto, prima della novella introdotta dall’art. 11 impugnato, che per detti enti, istituti, aziende, agenzie, consorzi ed organismi regionali comunque denominati, le disposizioni dell’art. 11 della legge regionale n. 3 del 2015 trovassero applicazione «entro e non oltre il 31 dicembre 2018».
La norma denunciata ha, poi, procrastinato di due anni (dal 31 dicembre 2018 al 31 dicembre 2020) l’adozione, per gli organismi e per gli enti strumentali della Regione della disciplina sui principi contabili e sugli schemi di bilancio recata dal d.lgs. n. 118 del 2011, secondo quanto già disposto dal citato art. 11 della legge regionale n. 3 del 2015.
5.2.– In forza dell’art. 79 del d.lgs. n. 118 del 2011, «la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni» di cui allo stesso decreto legislativo «nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché nei confronti degli enti locali ubicati nelle medesime Regioni speciali e province autonome, sono stabilite, in conformità con i relativi statuti, con le procedure previste dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42».
Nella specie, la Regione ha disposto una dilazione (ulteriore) dell’applicazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 118 del 2011, in riferimento agli enti strumentali regionali, con legge regionale e non – come, semmai, avrebbe dovuto – con la procedura concertativa o “pattizia” richiesta dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, quindi, in forza delle norme di attuazione dello statuto, che richiedono l’attivazione della Commissione paritetica di cui all’art. 43 dello stesso statuto.
Del resto, la stessa sentenza n. 178 del 2012 di questa Corte, richiamata dalla difesa regionale, ribadisce che l’art. 27 citato «non pone alcuna deroga all’adozione di tali procedure [id est.: le procedure pattizie], con la conseguenza che, in base alla legge n. 42 del 2009, tutte le disposizioni attuative della legge di delegazione (ivi comprese quelle dell’art. 2, che il d.lgs. n. 118 del 2011 dichiara espressamente di attuare) si applicano agli enti ad autonomia differenziata non in via diretta, ma solo se recepite tramite le speciali procedure previste per le norme di attuazione statutaria».
La circostanza, poi, che la decorrenza da ultimo indicata con l’art. 11 censurato segua altri analoghi interventi del legislatore regionale, non fatti oggetto di impugnativa statale, non può costituire elemento emendativo della dedotta, e sussistente, lesione dell’evocato parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che intesta allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, tenuto conto inoltre (come messo in evidenza dalla sentenza n. 80 del 2017) della indefettibilità del principio di armonizzazione dei bilanci pubblici, della natura del d.lgs. n. 118 del 2011 di norma interposta in tale materia e del fatto che l’art. 1, comma 1, dello stesso decreto legislativo (il quale, tra l’altro, stabilisce: «A decorrere dal 1° gennaio 2015 cessano di avere efficacia le disposizioni legislative regionali incompatibili con il presente decreto») è espressione di un principio generale di armonizzazione che governa i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali, ivi incluse le autonomie speciali.